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Autore: Tenar80    14/06/2012    0 recensioni
Nell’Arcipelago i giorni hanno tutti più o meno la stessa lunghezza e non siamo soliti misurare il tempo in anni, ma nel corso della mia vita le balene erano già tornate quindici volte a innalzare i loro canti d’amore davanti all’Isola Lunga, quando arrivarono gli Uomini Luminosi.
La storia di Ehlohe è la primissima che pubblico qui. Racconta di persone e mondi che si incontrano e che si infrangono e incantesimi intessuti col sangue.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco la terza parte della storia, in cui termina il racconto di Ehlohe. Un grazie a tutti quelli che hanno voluto leggere. A presto l’epilogo della vicenda
Forse, il giorno in cui ci imbarcammo fu quello in cui tornai a vivere.
 La mia isola non esisteva più. 
 Quella che lasciavo era una terra di morti, dove ogni notte gli spiriti della mia gente, che non erano stati accompagnati nel giusto modo nell’aldilà, tornavano a graffiarmi. Quello che restava della mia famiglia era da qualche parte, sulla montagna. 
 Stavano peggio di me, eppure io stavo male.
 Il viaggio durò a lungo e io ero una schiava. Ma ero la schiava del mago del re e nessuno mi importunava. Pulivo la cabina, rassettavo le vesti. Pollok era allegro, nonostante avesse paura delle tempeste. Azel compiva pochissime magie di cura e mi faceva leggere da alta voce libri che parlavano del mondo verso cui stavamo andando, che non sembrava composto da persone peggiori di quello del mio villaggio. Mi spiegava le parole che non conoscevo e mi parlava della città dove saremmo approdati, che aveva torri più alte delle palme più alte della mia isola. Avremmo vissuto in una di esse, sopra strade lastricate di pietra su cui passavano carrozze trainate da cavalli. 
 E mentre parlava con quella voce calma e dolce era così facile dimenticare che era stato lui a incendiare le capanne del mio villaggio.
 Arrivammo nel porto nella stagione che chiamate inverno e c’era del bianco che scendeva dal cielo, l’acqua solida di cui avevo sentito parlare, tanto tempo prima, sulla riva di un mare diverso.
 La città era grigia, con davvero le torri alte come palme e odori strani. Quando scendemmo, il porto era pieno di gente pallida dalle vesti esotiche. Indicavano gli ufficiali di ritorno dalla spedizione e il mago del re. Indicavano anche me.
 - E’ perché sembri una principessa di un paese straniero, bimba. - mi sussurrò Pollok.
 Mi aveva fatto indossare un mantello foderato di pelliccia di Azel, un indumento lussuoso e caldo.
 Mi domandai dove fossero le altre ragazze, quelle che erano state con me, tanto tempo prima, a ridere sulle ossa di balena. Nessuna di loro era imbarcata sulla nostra nave. 
 Da allora sono trascorsi due anni.
 Viviamo in una delle torri, nel centro della città, con altri servi oltre a Pollok e a me. 
 A volte vado al mercato a fare compere e sento gli strani profumi di questa terra fredda e grigia. La gente mi guarda passare, ma non fa commenti. Nessuno fa commenti sui maghi del re e sulle loro proprietà. Nessuno in assoluto fa commenti su un mago del re che è disposto a curare anche la gente del popolo.
 Aiuto Azel a preparare le sue pozioni. Lo assisto quando cura i malati e, quando deve usare il sangue, fascio i suoi polsi. 
 A volte, mentre mi spiega qualcosa o gli passo un oggetto, le nostre mani si sfiorano e suoi occhi verdi indugiano un istante in più sulla mia pelle. Poi, però, riprende quello che stava facendo e io non so se esserne dispiaciuta o sollevata. Nessuno mi tratta come una schiava e penso che se volessi andarmene, dovrei solo chiederlo. Ma non lo desidero.
 Solo a volte, quando sento il gabbiano gridare, mi ricordo il significato del mio nome e il luogo da dove provengo. E mi sento infinitamente meschina perché non ho neppure una cicatrice sul mio corpo... 
 Vorrei almeno poter seguire i gabbiani, come diceva mio padre, ma non so quali sogni dovrei fare e quali desideri esprimere. Il mio passato è morto e non vedo alcun futuro. 
 Vivo solo il presente, come un fortunato animale domestico.
 Fino a tre giorni fa.

 Azel è stato chiamato in udienza dal Commissario Reale, sulla cima della torre più alta di tutte.
 Quando è tornato, era corrucciato e triste.
 - Mi è stato ordinato di partire in una nuova spedizione di conquista. Sono un mago del re, non posso rifiutarmi. - ha detto.
 Mi ha guardato a lungo, come se mi dovesse una spiegazione.
 - Sono anche io uno schiavo, in un certo senso. - ha aggiunto.
 Ho ricordato il suono della mia lingua. Il vento caldo e le piogge che duravano una notte e lasciavano l’aria pulita. Ho ricordato i lividi sul volto di mia madre e il corpo di mio fratello, che ancora non sapeva parlare, mezzo bruciato nella polvere. Ho ricordato i polsi di Azel e le parole dello stregone. Nulla vale tre gocce di sangue.
 Nella tenda e sulla nave dormivo su un giaciglio accanto a quello di Azel. Da quando sono nella torre, ho una stanza tutta mia, dove Pollok fa tenere il fuoco del camino sempre acceso, anche quando per gli altri fa caldo. 
 Ho preso un coltello in cucina e l’ho nascosto sotto il cuscino. 
 Ce l’ho ben saldo nella mia mano, mentre piano apro la porta della stanza di Azel, non la chiude mai a chiave. 
 Non provo rabbia, solo tristezza. 
 La porta si apre.
 Azel non è nel suo letto e neppure seduto al tavolo, come avevo temuto.
 E’ a terra, al centro della stanza, il corpo scosso da convulsioni. Nell’aria, l’acre odore del veleno.
   
 
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