Quanta tristezza, quella sera,nelle
sue vene.
Parigi ribolliva di vita,di musica,
di belle speranze.
Frotte di giovani, di donne, di famiglie al completo
popolavano le strade del centro cittadino, festanti ed emozionati per
l'imminente inizio del nuovo anno.
I più lanciavano sguardi curiosi e colorati da un
pizzico di invidia, attraversando il viale antistante
all'Opera Garnier.
L'intera città era a conoscenza del Gran Galà che avrebbe animato gli immensi saloni del
teatro, quella notte.
E non c'era parigino che non desiderasse ardentemente
ricevere un invito per quella sera: solo la creme de
la creme della società aveva accesso a un simile evento mondano.
Erik sospirò, un ghigno
ironico a deformargli ancora di più il volto.
Non c'era cittadino che non desiderasse entrare nel suo
teatro,quella notte.
E lui, vero padrone di quel
castello impenetrabile, avrebbe desiderato soltanto poterselo lasciare alle
spalle, poter uscire dalla porta principale e non tornarvi mai più.
No, non era il teatro, che voleva abbandonare.
Voleva allontanarsi solo da lei.
Lei, la sua piccola dolce Christine.
Da pochi giorni fidanzata, anche se
ancora in via ufficiosa, col Visconte Raoul de Chagny.
Aveva assistito a tutta la penosa scena: la dichiarazione di
quell'idiota, la conseguente proposta di matrimonio,
l'offerta di un prezioso anello di brillanti, da secoli pegno d'amore per le
Viscontesse di famiglia.
Credeva di essere sul punto di morire, di fronte a quella
scena disgustosamente romantica.
Ma d'improvviso, come sempre,
Christine aveva sorpreso lui quanto il suo futuro sposo, togliendosi l'anello
dal dito ed infilandolo nella catenina che portava appesa al collo, insieme
alla croce che le aveva regalato suo padre, quand'era bambina.
Aveva rassicurato l'incredulo Raoul: lo faceva solo per
prudenza. Non era ancora il caso di annunciare il loro fidanzamento in via
ufficiale,dopo la tragedia che si era abbattuta sul
Teatro solo poche settimane prima.
Nessuno avrebbe gioito di questo fidanzamento: nè Madame Giry, la madre
adottiva di Christine, nè
la famiglia di Raoul, imbarazzata di fronte ai pettegolezzi che ogni liason con attrici o ballerine comporta irrimediabilmente.
Bisognava lasciar calmare le acque.
Ottime argomentazioni, e il buon Raoul non aveva trovato nulla da eccepire nelle scelte della sua
futura sposa, che dimostrava buonsenso e prudenza.
Ma Erik
non era stupido quanto lui.
Sapeva bene che quel gesto di Christine
sanciva la presenza di una piccola, infinitesimale speranza per lui. Una fiammella
di vita che gli impediva di scomparire nella notte.
Forse lei lo amava ancora, a dispetto di tutto.
A dispetto del suo carattere,del
suo aspetto, della strage sfiorata durante la rappresentazione de Il Muto.
In fondo, era sempre stato il suo angelo.
Non poteva abbandonare la partita, così, senza
lottare.
Gettò un'ultima fuggevole occhiata allo specchio
infranto.
Il completo rosso fiamma gli stava
a pennello, rendendolo simile al peggiore dei diavoli vomitati dall'Inferno. La
maschera di pelle bianca e nera lo rendeva altero, quasi un principe delle
tenebre: anzi,
Sfiorò, per un attimo esitante, l'astuccio di pelle
in cui aveva riposto la sua ultima opera, il Don Giovanni Trionfante.
La consapevolezza si impadronì
di lui: se mai quell'opera fosse stata messa in
scena, li avrebbe divorati tutti, come la fiamma consume
la cera di una candela.
E'stupenda, luminosa, avvolgente:
ma quando finisce di ardere, non vale più nulla.
Scacciò i brividi che quella riflessione gli aveva provocato.
E con passo deciso si avviò
verso la sua imbarcazione.
Un nuovo anno stava per cominciare.
La sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.