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Autore: Echan    14/06/2012    2 recensioni
Fanfiction classificatasi 4° al contest "Per una volta protagonisti!" di ellacowgirl
La storia è bastata sui pensieri di Rin dopo la morte di Obito, sulle sue paure e dolori.
"Lui non poteva capire ciò che provavo, nascere e vivere sempre nella guerra, nel tumulto, nella disperazione di centinaia di persone, che perdevano figli, che perdevano fratelli.
 O forse ero io quella egoista, forse anche lui soffriva, come me. La verità era che lo invidiavo. Invidiavo maledettamente il maestro Minato, riusciva a nascondere tutte le sue paure, tutte le sue incertezze dietro ad un sorriso, colmo di gioia, pieno di sentimento."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Rin, Yondaime
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Riderò anche per te

L’uomo biondo fissava ridendo il ragazzo dalla capigliatura argentea. Lui serio, guardava il piatto posto dinnanzi a lui, bianco, immacolato.
-…e poi mi ha detto che sarei un pericolo per il mio stesso villaggio! Da  non crederci!-
Riassunse un’espressione seria, e quasi autoritaria, poi aggiunse  -Rin, mi passi il vino per favore?-
Annuii lievemente, e afferrai il collo della bottiglia. Sul vetro verde era riflesso un viso, chiaro e stanco, un viso pieno di graffi e lividi; il centro del vetro rifletteva la mia immagine,il mio volto distrutto dalla guerra, che ormai da innumerevoli giorni devastava e coinvolgeva sempre più villaggi. Sollevai leggermente la bottiglia e allungai di più il braccio verso il maestro.
Odiavo questa guerra. Questo massacro che si stava portando dietro sempre più vite, sempre più sangue.
Un brivido mi percorse la schiena, fino ad arrivare alle dita della mano tesa, che, presa da quel tremore, lasciò scivolare la bottiglia.
La candida tovaglia bianca, su cui ancora dovevamo mangiare, si tinse di un profondo ed intenso rosso.
Ritrassi velocemente la mano, portandola al petto, e mi spinsi con la schiena contro il muro della casetta in cui stavamo pranzando. L’altra mano, lasciata morbida lungo i fianchi, andò a stringere la stoffa scura della gonna che portavo.
La luce chiara di quel pomeriggio, illuminava il tavolo su cui era posata la tovaglia macchiata.
Kakashi mi guardava, e il maestro mi fissava allibito.
-Stai bene Rin?- Il maestro si era avvicinato di più a me. Lui non poteva capire ciò che provavo, nascere e vivere sempre nella guerra, nel tumulto, nella disperazione di centinaia di persone, che perdevano figli, che perdevano fratelli.
 O forse ero io quella egoista, forse anche lui soffriva, come me. La verità era che lo invidiavo. Invidiavo maledettamente il maestro Minato, riusciva a nascondere tutte le sue paure, tutte le sue incertezze dietro ad un sorriso, colmo di gioia, pieno di sentimento.
Quando rideva il maestro, tutta la luce si concentrava sul suo sorriso, tanto da far sembrare bui i momenti in cui non lo mostrava.
Un giorno anch’io avrei voluto sorridere come faceva lui, senza nascondere niente però, un giorno in cui la guerra fosse cessata, io avrei voluto ridere.
Annuii e mi ricomposi. Quel pranzo non ancora consumato, mi sapeva già di amaro, già di tristezza.
Guardai per un istante Kakashi; era tornato a contemplare il piatto, non più bianco, ma macchiato da quell’immenso rosso.
Anche lui soffriva, forse anche più di me. Lui provava a nascondere tutto, provava a sopprimere le emozioni, a farle scomparire. Ma se si guardava nel profondo dei suoi occhi, si vedevano tutte le sue paure, le sofferenze e le sue incertezze.
Tornai a fissare il tavolo macchiato, e sentii il rumore della fusuma aprirsi, e la donna che ci aveva ospitato nella casetta varcò la soglia.
Aveva tra le mani un vassoio di legno chiaro, dove era posata una grande ciotola piena di riso.
Minato le sorrise e la donna lo ricambiò, poi spostò lo sguardo verso il tavolo, in viso aveva un’espressione esterrefatta. Dopo averla guardata, riposai lo sguardo sulla tavolata.
- M-mi scusi … -  Dissi, fissando il tavolo - … s-sistemo tutto io. Ripulisco tutto quanto io. -
La donna mi sorrise e io mi avvicinai di più al tavolo. Tolsi i piatti, impilandoli lentamente sulle mie ginocchia piegate, sistemai bacchette e bicchieri al mio fianco, presi la bottiglia e la poggiai delicatamente a terra. Infine, piegai disordinatamente la tovaglia, posandola sul pavimento.
Tremavo ancora, non avevo smesso nemmeno per un secondo di farlo. I piatti impilati sulle gambe oscillavano incessantemente. Con calma li risistemai sulla tavola, la donna mi si avvicinò; portava i capelli chiari raccolti in una lunga coda di cavallo, si chinò dolcemente, lo yukata che indossava si arricciò in prossimità della vita.
Mi tese una mano. La pelle chiara, era illuminata dalla luce di una piccola finestra posta di fronte a lei.
Afferrai la tovaglia piegata e gliela porsi. Il contrasto di quei due colori, mi ricordò il sangue sulle bianche garze,che si usavo per fasciare i feriti.
Facevo il ninja medico, ma non mi ero ancora abituata a vedere il sangue degli innocenti. Conoscevo i miei limiti, e sapevo che non tutte le ferite si potevano curare. Non tutto ciò che è male si può guarire con un jutsu.
L’ho sempre creduto.
Nel corso della guerra, avevo guarito più di una ventina di ferite, più di un centinaio di graffi. Ma spesso, non ero riuscita a salvare della vite. Ho visto persone morire sotto le mie mani, persone che c’e l’avrebbero fatta, se solo fossi arrivata un istante prima. Ogni volta che accadeva, ogni volta che una vita si spegneva, e io non avevo potuto nulla, finivo sempre per tormentarmi; per affibbiarmi la colpa di tutto.
“Se solo fossi arrivata prima …” Mi dicevo. Ero sicura che se fossi stata più veloce, se non fossi sempre stata goffa, se avessi sviluppato un forte ninjutsu, avrei potuto salvare persone che ora, non ci sono più.
E quando poi, mi dicevano che non c’era più nulla da fare, che ormai ogni sforzo era inutile, io non volevo crederci e pensavo che prima non lo era, che se io fossi stata più in gamba, se fossi stata più potente, ci sarebbero state più speranze. E che forse quell’anima non sarebbe scomparsa.
Poi, mi venivano vicino Obito, o il maestro Minato; e mi dicevano che non era stata colpa mia, che era inutile portarsi il peso di ciò sulle spalle. Mi confortavano, mi dicevano che era in condizioni troppo gravi per essere salvato. Io avevo sempre pensato, nella maggior parte dei casi, che me lo ripetevano solamente perché mi volevano bene, perché non volevano darmene peso, perché non volevano che mi dispiacessi, che mi convincessi di non essere utile.
La donna, dopo aver riposto la tovaglia in un cesto di vimini scuro, riempì il piatto di ognuno di noi con due mestoli di riso, e ce li porse.
Minato la ringraziò, io e Kakashi ci prostrammo con un cenno del capo, e la donna sorrise, come per dire “Non c’è di che …” Poi uscì dalla stanza, accompagnando dolcemente la  fusuma, che chiudendosi, emise un suono quasi ovattato.
Il maestro, appena udì quel suono, aprì le bacchette, e iniziò a mangiare allegramente il riso. Kakashi a ruota, divise lentamente le bacchette, e iniziò a masticare a piccoli bocconi.
Io rimasi immobile, le mani erano raccolte l’una dentro l’altra, ed erano posate al centro del grembiule che indossavo.
Il maestro Minato alzò lo sguardo verso di me, mi guardò con aria preoccupata, e lentamente posò le bacchette sul tavolo di legno.
- Rin, si può sapere che cos’hai, perché non mangi? Sei sicura che va tutto bene? -
No, non andava bene proprio niente. Portavo il peso di troppe morti, e sentivo l’autostima arrivare fin sotto i piedi. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che non fosse colpa mia, che non fosse sempre stata colpa mia.
Kakashi si bloccò, la bocca spalancata e un boccone di riso sulla punta delle bacchette era rimasto a mezz’aria. Alzò lo sguardo, che prima teneva sul piatto, e incominciò a fissarmi con quel suo unico occhio visibile. L’altro era coperto dal copri fronte.
Ricordo quel giorno come se fosse ieri, quando la mia inutilità superò ogni limite. Quel giorno, per colpa mia, la vita dell’amico migliore che avevo si spense. La mia incapacità nel difendermi si era rivelata letale; ma non per me, per lui: Obito Uchiha.
Se fossi stata in grado di difendermi, se mi fossi accorta del pericolo, non avrei mai costretto Obito a rischiare la sua vita; e di conseguenza, non lo avrei costretto a buttarla.
Era un ragazzo simpatico, che aveva sempre cercato di essere coraggioso, e proprio quando, forse, non era necessario, lo era stato.
- Rin, smettila di sentirti in colpa. -
Alzai di scatto lo sguardo, che tenevo basso, e incontrai, nuovamente, quello severo di Kakashi. Un brivido mi fece sussultare. Aprii di più gli occhi, e notai lo sguardo gelido con cui mi osservava. Minato guardava serio la scena, con le braccia conserte sul petto.
Scossi il capo, e cercai di sorridere, ma esso si tramutò in una smorfia. Era giusto che mi sentissi in colpa, infondo era tutta colpa mia.
- La devi finire, è inutile addossarsi colpe su colpe, quando non se ne ha neppure una. - La sua voce era calma e pacata, sembrava quasi che non provasse emozioni. Lo sguardo era fisso su di me. Non lo ressi, e portai il mio verso il basso.
Due colpi secchi, ma dolci, e la fusuma si aprì nuovamente. La donna entrò ansimando, si avvicinò al tavolo, porgendomi una brocca d’acqua che non riuscii ad afferrare, per il troppo oscillare di essa. Socchiuse gli occhi, mi guardò stanca, barcollò lievemente e cadde a terra con un tonfo ovattato. Il maestro si precipitò in suo soccorso, il viso era a contatto con la vecchia pavimentazione rovinata, e bagnata, della casetta.
Kakashi immobile, osservava la scena; un lieve cenno di preoccupazione si faceva spazio nel suo sguardo. Mi alzai di scatto, e velocemente mi misi al fianco di Minato, che aveva afferrato la testa della donna. Lo scansai e mi misi in grembo il volto bollente.
- Acqua! - Dissi dura. Sentivo l’occhio di ghiaccio del mio compagno fissarmi la schiena.
Il mio maestro mi porse una brocca. Cocci ovunque; mi tagliai un dito, ma non me ne accorsi. Mi strappai un lembo della gonna scura, e lo immersi nella brocca che teneva fermamente, nelle grandi mani, il maestro Minato. Prontamente avvicinai la stoffa alla fronte della donna, tamponandola rapidamente.
Ad occhi estranei, poteva parere la cosa più facile al mondo; ma occorreva fermezza emotiva, e estrema precisione. Difatti, assieme al pigiare freneticamente il viso, bisognava far fluire il chakra ad ogni contatto. Serviva per permettere alla circolazione di recuperare un flusso stabile, e un regolare battito cardiaco.
Sbatté forte le palpebre e strizzò gli occhi, al che mi rivolsi al maestro e gli feci cenno di tenere lui la testa. La prese calmo, e io mi alzai. Occorreva acqua, e noi ne avevamo troppa poca.
Uscii dalla casetta, e mi recai verso una piccola fonte, che si trovava a pochi metri da essa. Raccolsi da terra un secchio d’ottone, e mi avvicinai. Il sole scottava sopra la mia testa, i raggi cercavano di impedirmi di compiere i movimenti, ma in cuor mio sapevo di non potermi fermare. Non persi tempo e legai al secchio una fune che trovai posata accanto al pozzo. Lo calai giù lentamente, ma un sospiro altrui mi fece sobbalzare, la corda mi scivolò, e udii il tonfo del recipiente sull’acqua.
Mi voltai di scatto, estraendo un kunai. Niente, nessuno si mosse. Ma ero sicura che qualcuno si stesse nascondendo, perciò rimasi immobile.
-Chi c’è?- Dissi con un tono basso, ma deciso e chiaro, ed un cespuglio verde si mosse. Da esso fece capolino una piccola testa bionda. Una bambina, dalle guancie paffute, con un espressione impaurita e felice allo stesso tempo, si avvicinò a me.
Abbassai l’arma che tenevo in pugno, e mi accorsi che stava nascondendo qualcosa. Mi sorrise, e dalle candide manine bianche, che aveva tenuto dietro la schiena, mi fece notare un altro secchio d’ottone. Sorrise nuovamente, porgendomelo.
- G-grazie - Sussurrai, ed afferrai il manico del recipiente. Il suo sorriso era diventato più smagliante e, timidamente, lo ricambiai. Mi voltai, e mi diressi nuovamente verso la fonte. Dietro di me, dei passi risuonavano incerti. La bambina mi seguiva. Arrivata di fronte al pozzo cinsi il secchio e lo riempii completamente.
- Ehi… - Un sussurro, simile ad un lamento. Mi girai verso la bambina, che mi guardava con un sorriso gioioso stampato in volto.
- Hai salvato qualcuno…? - La piccola manina indicava il mio vestito stracciato. - … di nuovo! - Aggiunse, nella sua voce c’era tanta felicita da farmi quasi dimenticare della guerra.
Abbassai lo sguardo, presi il recipiente e lo poggiai sul terreno.
- Non ancora.- Dissi con un filo di voce. Mi misi una mano sulla fronte e mi caricai il secchio sulla spalla. - Hai salvato la mia mamma, te lo ricordi? Lei stava tanto male, e tu l’hai salvata. Voglio diventare come te! Un ninja che salva le persone che stanno tanto male! - Lo splendido sorriso che mi regalò, fece quasi scaldare l’acqua che portavo nel secchio.
Mi chinai alla sua altezza, le misi una mano sulla testa, i capelli si scomposero, ma la bambina non mutò la sua allegra espressione.
- Lo diventerai! - Sorrisi. Pronunciai quelle parole con una naturalezza esemplare, la bambina entusiasta, si allontanò da me correndo. Mi salutò con un cenno della mano, e corse via gaia.
Entrai nell’abitazione, e mi precipitai vicino alla donna, che ancora priva di sensi, sudava freddo. Portai il suo viso nuovamente sul mio grembo. Avvicinai a me il secchio ed inizia nuovamente l’operazione.
Infondo non ero così inutile, quella bambina rideva grazie a me. Avevo ridato la possibilità di ridere a tante persone, e me ne facevo una colpa.
La donna ansimò, e si mosse. Dovevo salvarla, era l’unico modo che avevo per ridargli la gioia, e per riscattare il mio orgoglio. Bagnai la benda, e ricominciai a pigiare sulla fronte calda di lei.
La luce aveva incominciato a divenire calda, e come incurante del lavoro che stavo compiendo, continuava a bruciarmi sulla schiena. La mia missione era quella di salvare ogni persona avesse chiesto il mio aiuto, ed ogni persona che aveva diritto al mio ausilio.
Gli occhi scurissimi della donna si aprirono, rispecchiandosi perfettamente nei miei. Si alzò sui gomiti, ed io, dopo essermi accertata che stesse bene, mi lasciai scivolare lentamente sulla parete.
Il mio compito consisteva nel ridere anche per le persone che non ce l’avevano fatta, per quelle che non ero riuscita a salvare. Nel portare il loro ricordo con me per tutta la vita, e nel non dimenticarle. Mai.
Riderò anche per te, Obito. Sarò felice per te, e vivrò insieme al tuo ricordo; amandolo più di quanto non abbia mai fatto quando, tu, ricordo non eri ancora.
Il giorno in cui la guerra sarà cessata, io riderò.
 
Stora classificatasi 4° al contest "Per una volta protagonisti" di ellacowgirl.


Emozione EFP 

Valutazioni: 
6/10 – Grammatica e sintassi 
4/5 – Stile 
10/10 – Trattazione del personaggio 
3/5 – Trattazione dell’oggetto/situazione/ambiente 
4/5 – Originalità 
5/5 – Gradimento personale 
tot: 32 pt. 

Giudizio Personale: 
La storia in sé mi è piaciuta, i sentimenti che traspaiono dal personaggio sono chiari e molto… Umani. Sì, credo che sia l’aggettivo più appropriato per descrivere la Rin di cui hai parlato e credo che proprio per questo la storia abbia un suo valore, una sua profondità, un suo significato. 
La piccola ninja medico mostra tutte le fragilità che una ragazza come lei possa avere e non solo le manifesta, lasciando trasparire una certa tenerezza, ma è anche in grado di superarle ed è proprio questa evoluzione del personaggio che lo porta ad essere reale… Che porta te a raggiungere il pieno punteggio, senza ombra di dubbio! 
Per quanto riguarda la grammatica e la sintassi, avrei solo due errori da segnalarti che ho notato che fai spesso, ma sono certa che notandolo non avrai difficoltà a correggerti autonomamente: ho notato che metti sempre la “e” congiunzione dopo una virgola, questo viene accettato in alcuni tipi di scrittura solo in casi eccezionali, la regola vuole che la “e” sia un modo per continuare la frase mentre la virgola la spezzi, crei una sorta di pausa. Sicuramente hai adottato questo metodo (io credo) per creare appunto queste pause e far riflettere il lettore su alcune parti: l’intento è sicuramente intelligente e sintomo di una certa sensibilità, ma prova magari a coordinare meglio le frasi pur lasciando le tue intenzioni. 
Ad esempio, quando hai scritto “Abbassai l’arma che tenevo in pugno, e mi accorsi che stava nascondendo qualcosa. Mi sorrise, e dalle candide manine bianche, che aveva tenuto dietro la schiena…”, magari la frase poteva essere trasformata così: “Abbassai l’arma che tenevo in pugno e mi accorsi che stava nascondendo qualcosa: mi sorrise, mentre delle candide manine bianche che aveva tenuto dietro la schiena…” 
Non so se ho reso l‘idea, la mia è solo una proposta: se non sono stata chiara chiedi pure! 

Per il resto direi che è un’ottima storia, i miei complimenti! Sono certa che sistemate quelle cosette saprai scrivere qualcosa di davvero profondo, ci vuole solo dell’allenamento, dato che la base c’è! 

Mi sono divertita tantissimo nel partecipare a questo magnifico contest, ho inserito la storia come consegnata al giudice, quindi compresi tutti gli errori segnalati...
Spero trasmetta a voi tutte le emozioni che ho provato io nello scriverla!

Emozione

  
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