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Autore: AgnesDayle    15/06/2012    7 recensioni
Andrea cercava qualcosa nella sua compagnia e lei riusciva in qualche modo a intuirlo, sebbene poi non fosse in grado di capire cosa effettivamente volesse. Forse quella libertà che tanto le invidiavano gli altri, quella indifferenza ai pettegolezzi dei compagni benpensanti. O forse, senza tanti giri di parole, cercava semplicemente lei. Nei rari momenti di lucidità, quando pensava ai motivi per cui Andrea si era finalmente sbloccato, si ammoniva sempre di non abbandonarsi a stupide illusioni, perché non era da lei e, così facendo, rischiava di prendere una bella delusione. Una di quelle che ti fanno piangere per giorni e ti lasciano con l’amaro in bocca per anni.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La bellezza di Andrea


A voi che avete sperato,
cercando bellezza a cui appigliarvi.


La bellezza di Andrea




Un elaborato da scrivere, qualcosa che parlasse di lei e del suo personale modo di vedere ciò che aveva studiato in quegli anni. Interi capitoli di storia da ripassare. La maledetta matematica da recuperare. Il classico greco e latino, il temibile Hegel, l’amato Nietzsche…
Tutto in un mese. Poi il diploma.
 Il mese di Costanza.
Un elaborato da scrivere, magari copiando da Wikipedia e qualche altra fonte su internet. La Prima Guerra Mondiale da studiare per intero. Un’occhiata frettolosa all’adorata matematica e alla geografia astronomica. Gli sconosciuti Kierkegaard e Nietzsche, poi magari un po’ di greco e latino e gli ultimi giorni di sua madre…
Tutto in un mese. Poi il vuoto.
Il mese di Andrea.

***

MAGGIO

All’interno del Garibaldi c’era un’insopportabile quanto anticipata aria d’estate. Era ancora maggio, dopotutto. Ma gli studenti più piccoli sembravano non curarsi troppo delle ultime interrogazioni che avrebbero deciso le loro sorti, presi com’erano a progettare le loro vacanze non troppo lontane. Un lusso, questo, che non potevano permettersi le due classi del quinto, sulle quali gravava il pesante fardello dell’Esame di Stato, neanche questo purtroppo molto lontano.
Gli ultimi mesi erano trascorsi tra simulazioni della terza prova, preparazione di saggi ed esercitazioni di greco. A peggiorare l’umore dei maturandi c’erano poi le interrogazioni e i compiti, da cui sembravano dipendere le vite di ogni studente, e tutto questo in un clima affatto sereno: c’era stata la lite furibonda tra Monica e Alessia, maldicenze sul nipote di secondo grado della professoressa di educazione fisica e, ovviamente, la malcelata invidia per gli studenti migliori della classe, i due cento assicurati.
Costanza non poteva evitare di storcere il naso tutte le volte che il suo nome veniva pronunciato insieme a quello di Andrea Castiglia e, in tutta onestà, non capiva per quale assurda ragione il compagno di classe fosse considerato così capace. C’era sempre stata una differenza fondamentale tra loro due: Costanza cercava sempre di distinguersi dal resto della classe, con i suoi approfondimenti tra i libri di letteratura e filosofia che le prestava sua madre e con interpretazioni del tutto personali delle poesie di Montale e Ungaretti; Andrea, invece, si limitava a fare i compiti così come assegnati dai professori, nulla di meno, nulla di più.
Negli ultimi mesi, poi, non aveva fatto neanche lo stretto necessario. Eppure i professori sembravano non notare il calo del loro beniamino  ed erano tutti sorrisi e gentilezze, quando spiegava loro che non era abbastanza preparato per sostenere l’interrogazione.
Quei pensieri la irritavano terribilmente, facendola sentire meschina e immatura e, nonostante cercasse di scacciarli via, non riusciva a fare a meno di chiedersi il motivo di un simile trattamento di riguardo per il suo compagno.
— Lo stai fissando di nuovo.
Sentitasi colta in fallo, Costanza si costrinse a distogliere lo sguardo dall’oggetto dei suoi pensieri e  posarlo sulla sua compagna di banco.
— Non per il motivo che pensi tu.
Valeria scosse il capo ridendo, mentre il solito dito torturava una ciocca di capelli. — Lo ripeti da due mesi, ma continui comunque a fissarlo.
— Ti pare che adesso perdo la testa per Castiglia?— domandò infastidita.
— Che ne so.— rispose l’altra, scrollando le spalle.— Dopo Praga tutto è possibile…
Praga…
***

MARZO

— Castiglia ti sta fissando.
Costanza prese posto sulla panchina accanto all’amica. I loro compagni chiacchieravano allegri e fin troppo eccitati per l’imminente partenza. Del resto anche Costanza e Valeria ostentavano un’indifferenza che erano ben lontane dal provare. Era la gita dell’ultimo anno, avevano diciotto anni e il mondo era ai loro piedi.
— E dov’è la novità?
Il compagno aveva sempre mostrato un particolare interesse nei suoi confronti, ne era ben consapevole. In quegli anni si erano più volte avvicinati, ma nessuno dei due aveva mai fatto quel passo necessario a far evolvere il loro rapporto. Lei per orgoglio, lui… non ne aveva idea! E così tra loro c’era sempre qualcosa in sospeso, parole non dette e sguardi dal significato incerto. Tensione e poca confidenza, così avrebbe definito il loro rapporto. E a lei stava bene anche in quel modo.
— Da quando ti ha vista salutare il tuo ragazzo, ti guarda in modo strano.
— Luca non è il mio ragazzo.— protestò scocciata. Era una cara ragazza, Valeria: l’unica persona di cui si fidasse. Ma aveva quel piccolo difetto che non smetteva mai di irritarla: etichettava. Per lei ogni persona, ogni legame doveva essere catalogato e, se i diretti interessati non se ne curavano, era lei ad affibbiare  nomi fastidiosi alle cose.
Non si stupì quindi vedendola sbuffare spazientita.— Ma se state sempre incollati…
— Sai come la penso. Nessun legame.— concluse con semplicità.
Il miglior pregio di Valeria era che sapeva quando tacere, o quanto meno quando cambiare discorso.— Resta il fatto che la sua presenza e i vostri baci hanno urtato Castiglia.
Rivolse un sorriso all’amica, uno di quelli strafottenti che tanto la facevano ammirare da ragazzi e ragazze in egual misura.— Cazzi suoi.

Musica assordante, luci stroboscopiche, alcolici sottobanco e corpi addossati gli uni agli altri. Era la loro prima notte a Praga e nessuno aveva intenzione di perdere neanche un solo secondo di quell’esperienza. Di certo non lei, che solo da poco tempo aveva scoperto il piacere di perdersi nella folla di volti anonimi e dimenticare se stessa per qualche ora. Ignorò le istruzioni della professoressa e lasciò indietro le sue compagne, compresa un’incredula Valeria: non voleva limitazioni quella sera, cercava qualcosa di intenso che nessuno dei suoi conoscenti poteva darle. Non sapeva ancora quanto quel pensiero fosse sbagliato.
Nessun falso pudore, nessuna limitazione. Ballava libera, lasciando muovere il corpo in modo seducente in modo che la sua mente si riempisse di musica chiassosa, in una piacevole bolla che annullava ogni pensiero razionale. Non si guardava intorno, benché sapesse con immodesta certezza che occhi avidi non la lasciassero per un solo momento. Attese e attese ancora, scostando mani sgradite e dando le spalle a volti insistenti. Era lei a condurre il gioco, era lei a scegliere.
Poi arrivò e non poté mascherare il suo stupore.
Non le posò le mani sui fianchi, come avevano fatto altri fino a quel momento.
Le prese una mano, la strinse gentilmente e si avvicinò con tutto il corpo a lei.
Castiglia.
Era bello, Andrea. Non bello in senso canonico, ma affascinante. Molto alto, sicuramente molto più di lei. Capelli scuri e occhi dal colore indefinito, a metà strada tra il castano  e il verde. Occhi attenti, normalmente. Cauti, nel valutare il prossimo. Ma che quella sera apparivano lucidi e risoluti come mai prima d’allora.
— Sei da sola.— le disse, avvicinandosi all’orecchio e accorciando così la già risicata distanza tra loro.
Non era una domanda né era suonata come un’accusa. Sembrava piuttosto una provocazione.
— Non sono venuta a Praga per stare con i compagni.— rispose con un sorriso malizioso.
Andrea si mosse in maniera impercettibile, così da far sfiorare i loro corpi. Notò distrattamente che non aveva lasciato la sua mano.
— E con chi vuoi stare? Inglesi, francesi , cechi, italiani?— la guancia di Andrea premeva sulla sua e la bocca sembrava non voler lasciare il suo orecchio.— Potrei aiutarti nella ricerca…— terminò, mentre una mano andava a posarsi sulla sua schiena, aperta e sorprendentemente possessiva.
Costanza non poté fare a meno di sorridergli, mentre gli lasciava la mano per avvolgergli il collo in un abbraccio che di innocente aveva ben poco.
Si sorridevano, mentre ballavano in un modo che avrebbe fatto parlare per giorni. Nessuno dei due se ne curava, comunque: il compagno aveva ancora quello strano luccichio negli occhi, una sicurezza che non gli aveva mai visto; lei aveva trovato quel qualcosa di intenso che aveva cercato. Era intenso l’incontro dei loro sguardi, il modo in cui lui sollevava il capo e sorrideva verso il nulla e ancora di più lo furono i baci che si scambiarono poco dopo: erano lenti, cauti come lui e maliziosi come lei; carichi di promesse, si lasciavano andare l’uno all’altra per un tempo che sembrò perdere ogni consistenza.
Iniziò così il loro viaggio a Praga, una settimana che vide Andrea e Costanza sempre insieme. Inseparabili.
Andrea cercava qualcosa nella sua compagna e lei riusciva in qualche modo a intuirlo, sebbene poi non fosse in grado di capire cosa effettivamente volesse. Forse quella libertà che tanto le invidiavano gli altri, quella indifferenza ai pettegolezzi dei compagni benpensanti. O forse, senza tanti giri di parole, cercava semplicemente lei. Nei rari momenti di lucidità, quando pensava ai motivi per cui Andrea si era finalmente sbloccato, si ammoniva sempre di non abbandonarsi a stupide illusioni, perché non era da lei e, così facendo, rischiava di prendere una bella delusione. Una di quelle che ti fanno piangere per giorni e ti lasciano con l’amaro in bocca per anni.
Poi scuoteva la testa e cacciava via ogni pensiero, mentre dividevano uno spinello reperito per caso o si ubriacavano di assenzio nella stanza di ragazzi conosciuti da qualche ora.
Quello che davvero le piaceva di Andrea era che non si limitava a baciarla ad ogni angolo disponibile, ma si sedeva accanto a lei sul pullman o a cena e le camminava accanto durante le escursioni. Parlavano molto, di tutto e di niente. Si scambiavano divertenti aneddoti su qualche amico comune, litigavano sulla politica e la scuola e si raccontavano di progetti futuri. E tutto con questo con una foga inspiegabile, come se il tempo a loro disposizione fosse poco, solo qualche giorno. E questo finiva sempre con il turbarla.
Solo un giorno rimasero in silenzio, mano nella mano: quando visitarono il campo di Terezin, con l’inquietante frase al suo ingresso e l’agghiacciante silenzio che aleggiava nel cimitero ebraico. Stettero in silenzio, ciascuno preso da riflessioni personali che non si sentivano in grado di condividere.
Un’atmosfera cupa li accompagnò fino alla sera, quando rimasero da soli nella camera di lui.
— Mi sento la morte appiccicata addosso…— mormorò, distendendosi sul letto.
Andrea la guardò in un modo  che non seppe decifrare.  Poi rispose:— Sì, anch’io.
Lo guardò accendersi una sigaretta e andare alla finestra. Era sempre molto premuroso verso gli altri e, quando fumava, faceva in modo che il fumo non infastidisse i presenti. Questo la fece sorridere, perché lei non riusciva mai ad avere una simile gentilezza, tanto che aveva perso il conto delle liti con Valeria per il suo brutto vizio di fumarle accanto.
— Non è la morte in sé.— sentì il bisogno di spiegargli.— La morte non mi ha mai fatto paura.— cercò di trovare le parole adatte,— È tutto quel dolore, quella sofferenza che il legno e le pareti sembrano aver assorbito; è il perdere tutto ciò che ci rende quel che siamo, la dignità e la libertà… Meglio una morte rapida a questa decomposizione lenta e irreversibile.
Andrea strinse le labbra infastidito, ma quando parlò la sua voce risuonò calma come sempre.— Ti sbagli, il punto sta proprio nella morte . Nessuna sofferenza, nessun maltrattamento può cancellare l’essenza dell’uomo.
— Un uomo privato della sua libertà, debilitato dalla fame e dalla fatica fisica smette di essere un uomo.— obiettò con convinzione.
— Siamo fatti di speranza e quella muore con noi. Può essere debole, solo uno spiraglio… ma nessuno può toglierla. E puoi avvertire chiunque che quel giorno morirà, ma nel suo viso leggerai comunque il momento in cui la speranza si è spezzata.

***

MAGGIO

— Ragazzi, è arrivato il momento di tirare le somme in vista degli esami.
Aveva esordito così la professoressa Padovani, una volta entrata in classe e sistemata la borsa da lavoro sulla cattedra. Rigida e severa come solo un’insegnante di matematica sapeva essere, aveva parlato di ciascun studente e adesso era il turno di Costanza.
— Tortomasi, cosa dobbiamo fare con te?— le domandò scuotendo la testa.— All’inizio dell’anno avevi detto che ti saresti impegnata e invece non riesci ad andare oltre il sei e mezzo.
Costanza si sentì arrossire per via dell’imbarazzo.— Professoressa, conto di recuperare con il compito e l’interrogazione.
L’altra la guardò dalla cattedra e Costanza ebbe la sensazione di rimpicciolire davanti agli occhi scettici dell’insegnante.— Dovresti trovare qualcuno con cui ripassare il programma. Se vuoi il cento, devi prendere almeno otto sia all’orale che allo scritto.
 Dopo qualche ora, Costanza si ritrovò suo malgrado ad aspettare Andrea all’uscita della scuola.
In tutta onestà sapeva che se era lì, ferma e nervosa come una ragazzina, non era solo per il consiglio della professoressa di matematica, ma c’era almeno un’altra motivazione. Quale delle due fosse la più forte, non voleva saperlo: era già tanto che il suo orgoglio le avesse permesso di riconoscere quel rimpianto.
Andrea, dopo la settimana a Praga, le aveva voltato le spalle. All’aeroporto si erano salutati e all’improvviso, guardandolo negli occhi, le era parso troppo lontano, come se una parte di lui, forse quella calorosa e gentile che aveva conosciuto in quei giorni, fosse rimasta a Praga. Sul momento si era detta che era solo una sua sensazione, dovuta forse a quel distacco così improvviso. Ma era bastato qualche giorno per comprendere la foga con cui lui le aveva parlato di sé e l’esasperante voglia di stare con lei che aveva mostrato: Andrea, la sera in cui si era avvicinato in discoteca per la prima volta, aveva già chiaro che per loro due ci sarebbero stati solo quei pochi giorni.
In quei due mesi, Costanza avrebbe voluto chiedere spiegazioni, forse anche mostrarsi adirata e offesa. Ma non aveva fatto nulla: era tornata con Luca per una settimana, poi era passata a Francesco, poi di nuovo Luca e poi chissà… Il suo orgoglio era stato incrinato, ma la sua dignità doveva restare intatta.
— Castiglia, posso parlarti?
Sentitosi chiamare, si voltò verso di lei sorpreso. Fu quasi strano vedergli perdere l’espressione assorta che ormai da tempo lo caratterizzava. Quando i loro occhi si incontrarono quasi per caso, non poté non notare il cambiamento: non erano cauti, come erano sempre stati; erano semplicemente chiusi, serrati… “Dove te ne sei andato, Andrea?” Si chiese confusa.
— Certo, dimmi.
Si portò un’inesistente ciocca ribelle dietro l’orecchio, mentre si sforzava di mettere da parte il suo orgoglio.— So che sei un po’ indietro con il classico di latino.
L’altro corrugò la fronte, non capendo dove volesse andare a parare.— In effetti sì.
— Bene. Cioè… no, non bene.— si corresse in difficoltà.— Ma avevo pensato che magari potrei aiutarti con il latino e tu…
— Con la matematica?— domandò con uno strano sorriso.
Lei annuì e, mentre aspettava la sua risposta, si accorse che il cuore le batteva furiosamente contro il petto.
— Mi piacerebbe…— iniziò guardandosi intorno, in difficoltà.— Solo che di pomeriggio ho da fare. Per te la sera andrebbe bene?
Stava per rispondere di sì, quando lui si affrettò ad aggiungere:— A casa tua, però. Da me non è possibile.

Il tempo iniziò a correre, portando con sé le ultime versioni di latino e greco e le interrogazioni di storia e filosofia. Il tempo scivolava beffardo, prendendosi gioco dei maturandi che cercavano informazioni sui membri esterni della commissione esami. Solo verso sera sembrava dimenticare la sua folle corsa e concedere momenti preziosi ad Andrea e Costanza.
Studiavano insieme. Lei gli passava le sue traduzioni di Tacito e Seneca, mentre lui cercava di semplificare l’odiata matematica perché potesse comprenderla meglio. Esercizi su esercizi, versi su versi… e tornarono complici come erano stati a Praga. Ma Costanza non era stupida, notava che qualcosa ostacolasse quel ritorno: c’erano giorni in cui Andrea non rispondeva al cellulare, volte in cui le aveva dato buca e poi i suoi occhi erano sempre serrati. A causa loro non c’era modo di accedere all’Andrea che aveva conosciuto a Praga. Questo nuovo Andrea, ombroso e irritabile, forse era più affascinante del primo, più allegro e loquace. Ma qualcosa di irrazionale spingeva Costanza a cercare il vecchio Andrea. Forse era paura…
Vagava tra simili pensieri, mentre i suoi occhi erano fissi sul panorama che si godeva dal balcone della sua stanza. La casa era stata costruita su un’altura e dominava la pianura su cui si susseguivano case, strade e boschi. Sussultò vistosamente quando qualcuno la sorprese alle spalle.
Si ritrovò a guardare male l’autore dello scherzo, non appena lo riconobbe come Andrea.
— Mi hai fatto prendere un colpo.— lo riprese con una pacca sulla mano.
— Ma come, non eri tu a non temere la morte?— le sorrise furbamente.
Era la prima volta che alludesse a Praga e questo finì con lo spiazzarla. — Sì, ma non ho mai detto che voglio morire. Chi ti ha fatto entrare?
— Tuo fratello.— le spiegò posando a terra lo zaino e raggiungendola vicino al davanzale.— Che genere di pensieri fai con una vista del genere?
Si ritrovò a rispondere al sorriso curioso con cui la osservava.— Pensieri di grandezza, ovviamente. Progetti per l’università, viaggi, lavoro…
— Non dovresti fumare…— disse serio, quando la vide tirare fuori dalla tasca il pacchetto di sigarette.
— E perché? Anche tu fumi!
— Ho smesso.— sollevò le spalle con semplicità.— L’ho promesso a mia madre.
Lo guardò incuriosita.— Quando mia madre lo scoprirà, smetterò anch’io.
Entrarono dentro e iniziarono a studiare, ma Andrea sembrava assente, preso da qualche pensiero che sembrava infastidirlo. La successiva mezzora trascorse in un clima inspiegabilmente freddo, che finì con il far sentire Costanza a disagio. Sentiva che Andrea volesse parlarle di qualcosa, ma non aveva idea di cosa potesse trattarsi.
— Mi chiedevo…
Sollevò il capo in modo brusco e puntò gli occhi su di lui.— Cosa?
— Cosa intendi quando dici che non temi la morte?
L’avrebbe guardato sorpresa, se non fosse stato per il nervosismo che poteva scorgere in ogni tratto del suo volto. Rimase in silenzio per un momento, poi cercò di spiegarsi.— Lo sai, capita a tutti di farsi certe domande, per quanto inquietanti possano essere. Inizi con il chiederti che tipo di persona sarai da grande, se riuscirai a realizzare i tuoi sogni o se dovrai accontentarti di piccole cose. Ti chiedi queste cose e…finisci per mettere in dubbio le tue capacità. A quel punto arriva un pensiero: e se morissi oggi? Come sarebbe se morissi oggi?
— Non realizzeresti nulla.— le rispose con una smorfia.
— Ma non fallirei mai.— gli sorrise imbarazzata.— Se sparissi oggi, mi ricorderebbero per quello che avrei potuto fare. Non ci sarebbero punti fermi, ma soltanto tre punti di sospensione… E direbbero che ero in gamba, intelligente, attaccata alla vita. Sì, credo che direbbero questo. Di me rimarrebbe una tela bianca e qualcuno, trovandosi davanti a tutto quel candore, si chiederebbe quale magnifico scenario potrebbe esservi dipinto, ma il bello sarebbe proprio questo: quella tela non verrebbe mai intaccata né da vittorie né da sconfitte.
— Hai una visione alquanto idealizzata della morte.— commentò Andrea dopo un attimo di silenzio.
Gli sorrise, mentre giocava nervosamente con la penna che teneva tra le dita.— Forse hai ragione. E tu? Che visione hai?— lo provocò per scacciare via il disagio di chi si è aperto troppo con qualcuno che conosce poco. O nulla.
— Io ho una dannata paura della morte.
Lo aveva detto con semplicità, sorridendo e scrollando le spalle come era sua abitudine.
— Non che mi importi molto di cosa ci sia dopo.— le spiegò rabbuiandosi,— Ma vedi… la vita è imprevedibile, può diventare ricca da un momento all’altro e svuotarsi improvvisamente l’attimo dopo, per poi mutare e diventare qualcos’altro ancora. Ci sono promesse, nella vita: luoghi dove andare, persone da incontrare, rapporti da costruire, impegni da mantenere. La morte è la negazione di tutto questo. È assenza, vuoto, nulla. Muori e…tutto finisce. I tuoi pensieri… dove vanno i pensieri di qualcuno che muore? È terribile che spariscano nel nulla.
Non seppe dire l’esatto momento in cui successe, ma lo seppe con assoluta chiarezza: Andrea non stava più parlando con lei, era altrove e stava soltanto sfogando le sue paure. Cosa nascondono i tuoi occhi?

***

Lo scoprì i primi di giugno, quando la calura estiva era già soffocante e l’aria estiva incombeva sulla cittadina. Con un messaggio al cellulare lo avvertì che stava andando a casa sua perché aveva delle importanti novità che non potevano attendere. Negli ultimi giorni non si era fatto vedere a scuola né aveva risposto alle sue telefonate e Costanza si ritrovò, suo malgrado, a provare una strana ansia, mentre se ne stava ferma ad attendere sull’uscio di casa Castiglia.
— Ciao.— lo salutò con un sorriso incerto, non appena le ebbe aperto la porta.
Non le fece cenno di entrare e la ragazza finì con il chiedersi se avesse sbagliato qualcosa.
— Ciao.— rispose con un cenno vago del capo.— Tutto bene?
Lei si limitò ad annuire e, confusa dal tono distaccato con cui le aveva parlato, si affrettò a spiegare il motivo della sua venuta.— Oggi sono stata interrogata in matematica e ho preso 8 e mezzo!— disse sorridendo,— E volevo ringraziarti di persona, perché senza di te non ci sarei mai riuscita.
Finalmente lo vide sorridere.— Di niente. Poi tu mi hai passato le traduzioni di latino, no?— si schernì ironicamente.
— A proposito di latino, oggi il professore si è lamentato della tua assenza.
— Oh, l’interrogazione…— sembrò ricordarsi all’improvviso,— Credevo di averle finite tutte.
— Il problema è che ti restano solo due giorni per farti interrogare.— commentò dispiaciuta.— Se vuoi...—iniziò in difficoltà,— Posso aiutarti a ripetere. Ho finito le interrogazioni e mi aiuterebbe ripassare in vista dell’esame.
Andrea si guardò nervosamente alle spalle e, quando posò gli occhi su di lei, sembrò stranamente risoluto. Le ricordò la decisione con cui le si era avvicinato quella sera lontana nella discoteca di Praga.— Vuoi entrare?
Non appena lo seguì dentro casa, fu accolta da uno strano odore. Era dolciastro, non brutto ma comunque sgradevole. Lui tornò a parlare solo quando furono in cucina.— L’odore che senti viene da quelle.— le spiegò con un cenno a delle strane casse contenenti bottiglie,— Mi dispiace, so che è fastidioso.
— No, non preoccuparti.— lo rassicurò mentre si sedeva.
— Nel soggiorno staremmo più comodi, ma lì c’è mia madre.— si scusò di nuovo impacciato.
— Andrea, per favore. Qui andrà benissimo.
Iniziarono a studiare e dovette trascorrere del tempo prima che l’iniziale imbarazzo scemasse e la normale curiosità spingesse Costanza a guardarsi intorno: era una bella cucina, spaziosa e ben tenuta; ma alcuni particolari stonavano con l’ambiente e la ragazza si ritrovò a fissare diverse scatole di medicinali, siringhe e ricette. Presa da una cattiva sensazione, cercò di non fare notare ad Andrea il suo disagio e si impose di guardare solo i libri di testo o il compagno.
— Andri…— una ragazzina comparve alla porta. Non degnava Costanza neanche di uno sguardo e sembrava alquanto scontrosa.— Mamma ha detto…— la guardò di sfuggita, visibilmente infastidita.— Deve…
— Sì, ho capito.— l’anticipò alzandosi.— Scusami, devo aiutare mia madre.— le disse distratto.
La lasciarono sola e, mentre suoni soffocati e passi leggeri smorzavano quel silenzio opprimente in cui sembrava avvolta la casa, Costanza iniziò a porsi delle domande, che trovarono risposta solo quando Andrea tornò a sedersi davanti a lei e i loro occhi si incontrarono. Fu un attimo, un piccolo cedimento. E ciò bastò perché Costanza potesse scorgere l’Andrea che quegli occhi, perennemente serrati, le avevano impedito di vedere. E bastò anche a farle comprendere il motivo di quella che non era altro che una difesa: dietro quegli occhi Andrea stava tremando.
Non seppe dire, invece, cosa avesse visto lui nei suoi occhi, ma qualcosa lo spinse ad annuire. Chiuse gli occhi, li riaprì e la guardò con rinnovata decisione.— Ha un tumore.
Nonostante la forte tentazione, Costanza non abbassò gli occhi, ma si ritrovò anche lei ad annuire. Ripensò a Praga, alle loro insolite conversazioni e si vergognò della superficialità mostrata in certi casi. Non avrebbe mai detto quelle cose, se avesse saputo.
— Quando siamo andati a Praga, lo avevamo scoperto da poco tempo. In quel periodo lei e mio padre sono andati a Verona, perché lì c’è un centro specializzato per i tumori all’esofago ed è stata lei a insistere perché partissi comunque.— si fermò un attimo per riprendere fiato. Sembrava che ne stesse parlando per la prima volta, tanto era agitato.— Non volevo venire, onestamente. Ma poi lei ha insistito e io…
— Hai ceduto.— gli venne in aiuto.
Andrea annuì e rimasero in silenzio.
— Avresti potuto parlarmene.— disse a un certo punto,— Non fraintendermi, non dico che avresti dovuto per forza. Ma guardami…— strinse un pugno sulla coscia, cercando una forza che onestamente non aveva idea di dove trovare.— Potrei starti accanto.
— L’hai fatto.— la sorprese con un sorriso carico di malinconia.— Forse non volontariamente, ma mi hai aiutato molto.
— Ma quando?— chiese desolata.
— I giorni a Praga…
Costanza ripensò alle notti in cui avevano ballato in discoteca, ai loro sproloqui da ubriachi, alle risate quando un tizio aveva rifilato loro del pongo anziché del fumo, alle fughe sconsiderate dai professori, a tutte le volte che si erano nascosti in qualche posto a baciarsi, perdendo sempre la cognizione del tempo. E finalmente comprese le sensazioni che aveva provato sottopelle in quei giorni: Andrea aveva preso tutto ciò che lei era in grado di dare e, allo stesso tempo, poiché nulla si può prendere davvero se non si è disposti a dare qualcosa in cambio, anche lui le aveva offerto la parte migliore di sé.
— Non sai quante volte mi sono aggrappato a quei giorni: quando la vedo peggiorare, ma devo sorridere per non farle capire qualcosa; quando mi danno solo brutte notizie e mi prende la paura; quando…quando la sera mi corico lì, sul divano e ascolto il suo respiro.
La mano stretta a pugno iniziava a farle male, ma rimase comunque immobile.— Non preferisci parlarne?
Scosse la testa.— Non voglio parlarne mai più. Vorrei che tu…— cercò le parole giuste, ma forse non riuscì a trovarle e il silenzio si protrasse tra loro.
— In questo momento non c’è bellezza nella mia vita.— si costrinse a spiegarle alla fine.
Deglutì a fatica, quando comprese quelle parole.— Vuoi che io sia…
Andrea annuì nervosamente.— La bellezza.
E lo fu. O meglio, ci provò con tutta se stessa.
A partire da quel giorno, studiarono sempre insieme o almeno tutte le volte che Andrea non aveva altro da fare. Non tornò più a casa Castiglia, ma si incontrarono sempre da lei: tra una materia e l’altra, si sedevano sul pavimento del suo balcone e chiacchieravano allegri di piccolezze, dividendo gelati o dolci preparati apposta da lei. Un giorno, poi, mentre Costanza gli raccontava la trama di un film stupido che aveva visto la sera prima, le prese la mano tra le sue e ben presto quella divenne un’altra delle loro abitudini. A volte Andrea non si faceva vedere né sentire per giorni, ma tutte le volte che tornava da lei, Costanza fingeva che fosse tutto normale e che non avesse temuto il peggio.
Alla fine arrivarono gli esami e in qualche modo riuscirono a cavarsela. Erano nervosi, come tutti i loro coetanei. Ma quando i loro occhi si incontrarono poco prima di iniziare la versione di greco, condivisero una consapevolezza che forse, e per fortuna, mancava a molti dei loro compagni.
Alla fine successe e, quando le arrivò il messaggio con cui Andrea l’avvertiva, le vennero in mente le parole che lui le aveva detto in un tempo che adesso sembrava lontanissimo, in un luogo che in quel momento le parve inesistente: Siamo fatti di speranza.

***

GIUGNO

Salì le scale lentamente, un pesante gradino dopo l’altro. Arrivata al pianerottolo, fu accolta da un mormorio sommesso e un caldo soffocante. Entrò in casa e si fermò quasi subito, trovando un angolo nella grande stanza affollata ma silenziosa.
C’era amore in quel luogo. E dolore, mancanza, paura. Andrea era seduto accanto alla sorella minore: piangeva inconsolabile, lei; scuoteva la testa con incredulità, lui.
L’avevano vista stare male, peggiorare ogni giorno di più, soffrire. Ma la speranza si spezza solo con la morte, adesso anche lei lo sapeva.
Rimase all’in piedi, immobile a fissare una scena intima che non avrebbe mai voluto vedere. Attese e attese ancora, perdendo il senso del tempo e delle parole che qualche estraneo le rivolgeva. Attese e alla fine lui arrivò.
Non lo vide avvicinarsi, perché teneva gli occhi bassi sulle mani. Lo riconobbe solo quando le prese gentilmente la mano e accostò il corpo al suo. Pianse al ricordo di Praga e di come quel gesto avesse avuto tutt’altro significato, quella volta.
— Sei qui da sola.
Non era un’accusa né una domanda e Costanza si sentì autorizzata ad abbracciarlo.— So che non mi avresti voluto qui, ma io…— tentò di spiegargli mentre lo teneva stretto a sé, ma anche quella volta Andrea la stupì, baciandola sulla guancia umida: — Sei comunque bella.





Note:
Pensavo a questo racconto già da tempo, c'erano cose di cui mi premeva parlare da ancora più tempo e, alla fine, eccomi qui...con una storia scritta in soli due giorni e con la metà delle cose che avrei voluto dire. Sarò sincera, non so neanch'io cosa pensare di questa os e di questi due personaggi... C'era qualcosa di cui volevo parlare: maturità, crescita, l'idea della morte. Questo è il risultato e non ne sono affatto sicura, ma la pubblicherò grazie a Emily, che leggendola ha capito le mie intenzioni molto più di quanto ci sia riuscita io.
Un abbraccio a tutte voi che avrete voglia di leggere.
Agnes

   
 
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