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Autore: ____Faxas    16/06/2012    2 recensioni
Zack non lo sapeva, ma involontariamente, senza fare alcunché, salvava Cloud dal baratro profondo e nero della depressione e tutto ciò di cui comportava. E proprio come un oggetto di metallo viene attratto da un magnete, Cloud era attratto da Zack per il suo essere così diverso da lui, per la sua spontanea allegria.
(Possibile OOC)
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cloud Strife, Zack Fair
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Angolo autrice IMPORTANTE: Allora, questa piccola storia sarà divisa in tre parti circa, e fa parte di una piccola serie di One-shot che ha comunque un filo conduttore. All'inizio doveva essere una long, ma non voglio impelagarmi in un progetto troppo grande per me, perché so che lo lascerei a metà, o non riuscirei a esserne soddisfatta. Ma parliamo di questa prima One-Shot. Allora, prima cosa molto importante che dovete sapere: diciamo che per questa prima parte ho dovuto un po' "plasmare" il carattere di Cloud per la situazione, ma lo si potrebbe associare al carattere di Cloud che si può trovare in Advent Children (depresso, e senza voglia di combattere e reagire). Secondo: non odiatemi per il fatto che sia stata tanto, tanto, tanto crudele con Cloud. E terzo, ma non meno importante: questa raccolta tutta, ma in particolare questa prima shot, è dedicata a Kairih, che ieri ha compiuto gli anni, e questa la si potrebbe considerare come un piccolo regalo per il suo compleanno. :) Quarto: questa parte e le prossime due sono ispirate alla canzone 'Magnet' di Miku Hatsune e Luka Megurine, infatti all'interno della vicenda ci saranno dei riferimenti sia al testo che al video di questa canzone.
Detto questo, vi lascio alla lettura.
Spero vi piaccia!






Magnet



#1
[I am drawn to you like a magnet.]
Le lezioni erano iniziate già da due ore, ma Cloud continuava imperterrito ad osservare, dal fondo della classe, il profilo del volto di Zack, il quale sedeva qualche banco più avanti alla sua destra. Ciò che il professore in classe stava spiegando in quel momento non gli interessava granché, essendo un argomento che già gli era noto, e prese da sotto il libro di scienze il suo blocco da disegno, da cui ne staccò un foglio, e cominciò a disegnare.
I movimenti della mina sulla carta erano veloci e sicuri, poiché tante volte si era cimentato nel ritrarre quel volto di nascosto, riempiendo fogli e fogli del suo blocco. Quando abbassava gli occhi verso il disegno cercava di tracciare le linee il più velocemente possibile per poter tornare a guardare il suo modello prediletto, il suo amato modello.
Catturò in poco tempo l’espressione annoiata di quegli occhi chiari, persi nel vuoto davanti a sé, la morbidezza di quelle labbra stese verso il basso come se fosse triste, e la delicatezza di quella mano su cui era poggiata la guancia destra, in modo tale da esporre maggiormente il collo.
Cloud continuò a disegnare con più decisione di prima, spinto dal desiderio di poter imprimere ancora una volta sulla carta la bellezza di quel ragazzo. Il tempo passava veloce, ma Cloud continuava ad aggiustare e perfezionare il proprio disegno finché, a trenta minuti dallo scadere della quinta ora, non posò la matita per ammirare il lavoro completato.
Dopo circa tre mesi di continui ritratti, ormai aveva raggiunto quasi la perfezione del tratto; ciò che disegnava sembrava prendere vita propria e voler saltare fuori dal foglio.
Amava disegnare quasi quanto amasse il modello dei suoi disegni.
Quando la mina della sua matita solcava delicatamente la carta, delineando la forma del volto di Zack, gli sembrava come se lo stesse sfiorando con la punta delle dita, accarezzandogli le guance, assaporando la loro morbidezza, salendo poi verso le palpebre e la fronte alta, deliziandosi al tocco con la pelle liscia, per poi scendere di nuovo verso le labbra, soffermandosi al loro contorno delicato.
Attraverso i suoi disegni Cloud immaginava di poter davvero toccare il suo volto, di poter avvertire il calore delle sue mani nelle sue, la dolcezza di quello sguardo incatenato ai suoi occhi.
Il disegno era il suo unico modo per potersi salvare dalla tristezza, diventando una dolce illusione che sperava non si sarebbe mai spezzata, per non ritrovarsi con il cuore e la mente distrutti per il mancato appagamento ai suoi desideri e alle sue passioni.
Ormai, si era abituato a quella situazione, a non poter esprimere il suo amore se non attraverso il tratto della sua matita su un foglio di carta. Certamente era una continua ferita, alimentata dai pensieri che gli affollavano la mente in ogni momento del giorno e della notte; ma far finta di poter toccare con la punta delle proprie dita quella figura così vicina quanto lontana, gli sembrava un doloroso piacere che sopportava volentieri.
L’illusione è il primo di tutti i piaceri”, diceva Oscar Wilde, e mai una frase dettata più di cent’anni prima gli sembrava più adeguata alla sua situazione, ai suoi sentimenti e desideri.
Diede un’ultima occhiata al suo ritratto, sorridendo lievemente come se fosse stato soddisfatto del proprio lavoro, prima di riporlo di nuovo nel suo blocco.
Tornò ad osservare Zack con fare sognante, il cuore che batteva all’impazzata nel vederlo sorridere allegramente come suo solito.
Molte volte Cloud si era chiesto come facesse Zack ad essere così felice in ogni momento, sia che fosse stato serio, sia che fosse stato tragico. Spesso si rispondeva pensando che il carattere di quel ragazzo fosse di quel tipo che rideva sempre su tutto, non importava la situazione; ma poi, cedendo al suo lato più romantico, pensava che Zack ridesse sempre forse perché voleva nascondere la sua tristezza e il suo disagio; per non piangere.
Questa seconda idea rimaneva accantonata nella mente di Cloud, perché pensava che fosse un pensiero stupido. In fondo, non conosceva affatto Zack e non poteva certo dir lui ciò che il moro pensasse.
Quindi, alla fine, il sorriso perenne di Zack rimaneva qualcosa di irrisolto, qualcosa di sacro come tutta la sua persona. Certo, Cloud avrebbe tanto voluto poter conoscere quel ragazzo fino in fondo, capire il suo carattere per poterlo adorare ancor di più, ma sapeva che non avrebbe avuto neppure una sola possibilità di poter parlare con lui anche solo per un secondo. Cloud era e sarebbe rimasto sempre il solitario e sfigato della scuola, quello che veniva preso di mira dai bulletti quando non avevano niente da fare, quello che nessuno voleva conoscere.
Non era stato sempre così, però. Per circa un anno c’era stata una ragazza più grande di lui di tre anni che gli era stato accanto, l’aveva protetto più che aveva potuto e che gli aveva voluto bene.
Quella ragazza era Aerith.
Cloud sentiva un enorme senso di gratitudine verso quella ragazza per tutto quello che aveva fatto durante il suo primo anno di liceo; per averlo consolato nei momenti di sconforto, per essergli stato vicino quando, in quell’ultimo periodo, si era innamorato perdutamente di Zack; per averlo spronato a cominciare a disegnare, e per avergli fatto capire che poteva avere degli amici, che non era davvero solo a quel mondo.
Ma Aerith non era più in quella città. Era lontana, in un posto dove avrebbe potuto coltivare la sua passione per i fiori; magari aveva aperto una fioreria in una grande città, vendendo i fiori più belli che aveva, convinta che avrebbero reso felici le persone che li avrebbero ricevuti in dono.
Cloud non poteva saperlo, poiché Aerith non gli aveva mai detto nulla su ciò che avrebbe fatto della sua vita, ma gli aveva soltanto promesso che un giorno sarebbe tornata per fargli visita e che fino ad allora lui avrebbe dovuto vivere serenamente la sua vita.
Perché lui era una persona speciale e non poteva essere trattato diversamente.
I primi tempi Cloud era riuscito a convincersi che avrebbe continuato a vivere serenamente anche senza la presenza di Aerith, che avrebbe dovuto pensare solo a se stesso. Ma proprio l’assenza della sua unica amica diede ai suoi persecutori la possibilità di poter prendersela con lui quanto volevano, senza alcuna interruzione.
Se Cloud aveva vissuto nell’altalenante calma del Purgatorio prima della partenza di Aerith, in quel momento viveva tra le fiamme dell’Inferno. Non c’era giorno in cui non venisse picchiato o maltrattato dai suoi coetanei durante l’intervallo. E non c’era alcun modo per scappare dalle loro grinfie; anche se si nascondeva in qualche classe deserta, come una preda tenta di fuggire al proprio predatore, i suoi persecutori riuscivano a scovarlo, e la situazione peggiorava ancor di più.
Ormai aveva perso il conto dei lividi sulla sua pelle diventata quasi di un unico colore violaceo, e i colpi che riceveva giornalmente cominciavano a non sortire più alcun dolore. Si era rassegnato a questa routine. Durante l’intervallo aspettava quasi con ansia il momento in cui sarebbero arrivati i suoi aguzzini, così che sarebbe finito tutto subito e si sarebbe potuto andare a rifugiare in un angolo isolato del cortile per continuare ad osservare Zack, come se fosse l’unico sollievo che aveva per il suo dolore.
Nonostante quel suo amore puro e platonico verso Zack gli provocasse tristezza e malinconia, sembrava quasi togliergli dal cuore tutto il peso che sopportava; sembrava l’unica luce dolce e confortante in quella sua esistenza cupa e disastrata.
Zack non lo sapeva, ma involontariamente, senza fare alcunché, salvava Cloud dal baratro profondo e nero della depressione e tutto ciò di cui comportava. E proprio come un oggetto di metallo viene attratto da un magnete, Cloud era attratto da Zack per il suo essere così diverso da lui, per la sua spontanea allegria.
Ma l’unica cosa che Cloud aveva il coraggio di desiderare con tutto il suo cuore era poter avere una piccola possibilità di parlargli, anche solo per un secondo, solo per poter avvertire lo sguardo del moro attaccato ai suoi occhi e per sentire la sua voce chiamarlo per nome. Non osava ambire ad un desiderio più grande, come per esempio poter diventare amico di Zack, perché sapeva che fosse qualcosa ben lontano dalle sue possibilità.
Gli bastava solamente uno sguardo.
La quinta ora era appena finita e il professore aveva salutato gli alunni, uscendo poi dall’aula. In quel preciso istante la classe si rianimò di colpo: chi si alzava di scatto facendo strisciare la sedia rumorosamente contro il pavimento, chi si voltava verso il proprio compagno di banco per chiacchierare, chi entrava per salutare gli amici e invitarli ad andare nel cortile.
Solo Cloud rimaneva da solo al proprio posto a guardare con aria sconsolata tutta la vitalità dei suoi compagni, quasi invidiandoli per la loro allegria. Sarebbe rimasto lì volentieri, a gustare passivamente quella vivacità, soprattutto perché sarebbe stato bellissimo poter ascoltare la voce felice di Zack che scherzava con gli amici.
Sospirò impercettibilmente, ripose tutti i suoi libri nello zaino e uscì dall’aula con il capo chino, camminando il più velocemente possibile per non ascoltare le parole derisorie dei suoi compagni. Mentre continuava a percorrere il corridoio, per arrivare al cortile e nascondersi, sentì qualcuno alle sue spalle che lo chiamava da lontano. Non riconobbe la sua voce, e si agitò tantissimo, pensando che fosse qualche bullo che non aveva ancora avuto la “fortuna” di poterlo picchiare a sangue.
Si irrigidì quando sentì che qualcuno gli si era avvicinato, e si fermò dopo aver alzato lo sguardo davanti a sé. C’erano due ragazzi, che non sapeva chi fossero, che lo guardavano con fare derisorio, le braccia incrociate sul petto. Non aveva neanche bisogno di voltarsi per capire che quel ragazzo che l’aveva chiamato dal fondo del corridoio chiudeva quel trio.
Nel momento in cui quei tre ragazzi lo spinsero contro il muro, Cloud non aveva avuto altro desiderio che scappare, fuggire da quella scuola e non rientrarci mai più. Non voleva più che quella situazione continuasse in quel modo, non riusciva più a sopportare quelle continue persecuzioni. Sapeva che quel giorno sarebbe di nuovo tornato in dormitorio con altri lividi, magari con un occhio gonfio e il labbro spaccato.
Erano passati ormai tre mesi da quando le persecuzioni erano ricominciate, ed erano passati tre mesi da quando Cloud aveva smesso di essere felice davvero. Fino a quando non rivedeva anche di sfuggita Zack, Cloud non ricordava più che cosa significasse la felicità, né ricordava come si facesse a sorridere. Ma in quel momento, Cloud non poteva fare altro che abbandonarsi al dolore che stava per subire, pensando che sarebbe finita presto, e avrebbe potuto guardare da lontano Zack; magari l’avrebbe ritratto di nuovo mentre giocava allegro con i suoi compagni.
Chiuse gli occhi, cercando di trattenere le lacrime che stavano per bagnargli le guance, almeno per mantenere un po’ di contegno prima di essere massacrato. Quei tre ragazzi intanto parlavano, ma non li sentiva davvero, avvertiva soltanto il tono canzonatorio delle loro voci, e prese il respiro. Era pronto al peggio.
Il primo pugno allo stomaco finalmente arrivò, e in modo così tanto violento che Cloud quasi urlò per il dolore; poi un altro pugno seguì il precedente, dando inizio ad una catena di colpi che a Cloud sembrò infinita. Le lacrime cominciarono a scendere copiosamente lungo le sue guance, nonostante cercasse di trattenerle.
Dopo quella che a Cloud sembrò un’eternità, i suoi aguzzini smisero di massacrargli lo stomaco e li sentì sogghignare. Cloud cominciava a non avere più forza nelle gambe per rimanere in piedi e si abbandonò al muro dietro di sé. Teneva il capo chino e continuava a piangere, mentre sentiva l’urgenza di vomitare.
Sperava che sarebbe finito tutto presto. Non riusciva a sopportare più quel dolore lancinante che gli toglieva anche la forza di rimanere cosciente.
-Non ho ancora finito con te.- gli sussurrò malignamente all’orecchio uno dei tre ragazzi, prendendolo per i capelli e tirandolo indietro, così che potesse vedere il suo volto.
Cloud strizzò di nuovo gli occhi mentre avvertiva l’impatto delle nocche del ragazzo davanti a sé contro la sua guancia. Ricevette così tanti colpi al viso che avvertì in bocca il sapore amaro e metallico del sangue uscito dal naso.
Quando la raffica di pugni terminò, a Cloud sembrava di aver perso la sensibilità alle labbra e aveva l’impressione di avere le guance gonfie. Non riusciva più a vedere bene, i volti dei suoi aguzzini erano completamente sfocati, e quasi non si rese conto di essere stato fatto cadere a terra e che era stato preso ripetutamente a calci.
A stento riuscì a capire che gli avevano aperto lo zaino e avevano cominciato a gettargli addosso tutti i libri, e che, cosa che gli aveva fatto recuperare un po’ di lucidità e un po’ di forza nelle braccia, avevano trovato il suo blocco da disegno.
-Ri..ridatemelo.- mormorò Cloud tirandosi su, facendo leva sul gomito, guardando quei ragazzi davanti a sé con fare supplichevole con gli occhi ancora lucidi.
Quelli non fecero altro che ridere, e mentre due di loro cominciarono a dargli del ‘frocio’, quello che teneva in mano il blocco iniziò a strappare i fogli, uno dopo l’altro. Cloud rimase impietrito mentre vedeva i suoi disegni cadere a terra, lacerati.
Tutto ad un tratto sembrò che la sua forza fosse tornata e si lanciò verso il ragazzo che teneva il suo blocco, cercando disperatamente di riprenderselo, supplicandolo in ginocchio.
-Ti prego…- mormorava singhiozzando, stringendo tra le mani un lembo del pantalone del ragazzo. –Per favore, restituiscimelo! Ti scongiuro!
Ma quel ragazzo continuò imperterrito a strappare davanti agli occhi di Cloud i suoi disegni. Cloud, dopo altri inutili tentativi di suppliche, aveva lasciato andare i pantaloni di quel ragazzo e guardava impotente il sadico divertimento dei suoi aguzzini, che quasi piangevano per le risate.
Non riusciva a credere che dei ragazzi che non lo conoscevano potessero provare un divertimento e una gioia tale nel vederlo soffrire così tanto. Cloud aveva cominciato a pensare che non fossero neppure umani.
Gli girava talmente la testa, e il dolore allo stomaco era così forte che si accasciò a terra. Non capiva più nulla di ciò che lo circondava, e chiuse gli occhi, sperando di poter perdere presto i sensi.
Prima di svenire, sentì dei rumori confusi di urla e gli sembrò come se qualcuno stesse lottando. Ma tutto poi divenne completamente buio.


Non poteva sapere quanto tempo fosse passato da quando avesse perso i sensi, ma quando aveva aperto gli occhi si era quasi meravigliato di essere steso su un letto in infermeria. Si era chiesto come avesse fatto ad arrivare fin lì, essendo svenuto e non avendo avuto neppure la forza di mettersi in piedi. Pian piano, però, quel quesito non divenne più così importante per lui, poiché aveva cominciato a ricordare tutto quello che era successo.
Si sentiva ancora sconvolto dalla situazione che aveva subito, dalla crudeltà di quei ragazzi mentre strappavano i suoi disegni proprio davanti ai suoi occhi. Certo, quelli non erano tutti i ritratti che aveva fatto di Zack, ma a lui sembrava come se con quel gesto i suoi aguzzini l’avessero violato fin nel profondo del suo animo, senza neanche sfiorarlo con un dito.
Cloud, in quel momento, pensava che tutti i maltrattamenti che aveva subito in quei mesi non erano niente rispetto a quello sconvolgimento. Non si era mai sentito così sconvolto, nemmeno quando tutta quella dannata storia era cominciata, e soprattutto non gli era mai capitato di avere dei cedimenti psicologici così forti da rendergli impossibile anche solo parlare.
Gli sembrava come se fossero passate delle ere da quando era stato seduto in classe a ritrarre Zack di nascosto durante le lezioni. Eppure erano appena passate circa quattro ore, ed era lì, steso sul letto dell’infermeria a fissare i pezzi strappati di quello stesso disegno, del profilo lacerato di Zack messo insieme come se fosse un puzzle. Sfiorò delicatamente con la punta delle dita il tratto delicato degli zigomi, immaginando di avvertire al tatto la morbidezza della sua pelle invece della carta, scendendo verso la linea delle labbra.
Cloud chiuse gli occhi e immaginò, forse per la millesima volta in quegli ultimi mesi, di avvertire le braccia di Zack che gli circondavano la vita e di sentire il profumo della sua pelle che gli riempiva le narici. Poteva solo supporre come fosse la stretta dell’abbraccio di Zack, perché non era mai stato suo amico, e il profumo della sua pelle era solo un’idea, perché non l’aveva mai sentito.
Si coprì il volto con le mani e soffocò i singhiozzi, per non far allarmare l’infermiera, seduta alla sua scrivania, oltre la tenda. Come avrebbe voluto avere qualcuno accanto a sé, qualcuno che avrebbe potuto consolarlo, dandogli soprattutto un po’ di affetto. Era in quei momenti di tristezza che cercava di ricordare il periodo passato insieme ad Aerith, delle parole che gli diceva, e degli abbracci che gli dava per consolarlo.
Tentò di calmarsi un po’ per poter riposare, ancora distrutto per il pestaggio di quel giorno. Riaprì gli occhi e raggruppò i pezzi dei fogli, rimettendoli nel blocco nello zaino. In quel momento pensò che se Zack fosse venuto a conoscenza dei sentimenti che provava per lui, e avesse cominciato a disprezzarlo e a deriderlo come tutti quanti, avrebbe preferito morire anziché continuare a vivere, sapendo che la persona che amava non avrebbe mai potuto ricambiare i propri sentimenti.
Avrebbe voluto riposarsi, in quel momento, ma non riusciva neppure a trovare la forza di stendersi e chiudere gli occhi per quanto fosse stremato. Non riusciva neanche a smettere di piangere, continuando a pensare al dolore che aveva sofferto. Cercava di asciugarsi le guance con un lembo della manica della camicia, ma non serviva a nulla, perché subito altre lacrime le bagnavano di nuovo.
Si abbandonò sul cuscino e rimase a guardare il soffitto, ancora nella mente quelle immagini terribili.
All’improvviso sentì il rumore dei ganci della tenda che stridevano, segno che qualcuno si era avvicinato al suo letto. Forse era l’infermiera che era andata da lui per controllare che non gli uscisse più il sangue dal naso, aveva pensato Cloud, rimanendo fermo a fissare con sguardo vuoto il soffitto.
Ad un tratto sentì che la persona che gli si era avvicinata gli aveva messo un vassoio sulle lenzuola, accanto alle sue gambe, e si era seduta vicino a lui. Curioso, Cloud si alzò pian piano sui gomiti per vedere chi gli avesse fatto visita… e quasi svenne di nuovo mentre incrociava per la prima volta, dopo tanto tempo a desiderare di poterlo vedere da vicino, lo sguardo di quegli occhi che amava tantissimo, come la persona che li possedeva.
-Ehi, come ti senti?- gli chiese Zack, sorridendogli affettuosamente, nello sguardo una nota accentuata di preoccupazione.
Non poteva crederci. Non voleva crederci. Pensava che quello fosse tutto un sogno, che in realtà si era addormentato e quel Zack che vedeva davanti a sé era solo una mera immaginazione. Si morse la lingua per controllare se fosse sveglio oppure no, e sussultò per il dolore, facendo quasi saltare Zack per lo spavento, che sembrava quasi morire dalla preoccupazione.
-Sì...- sussurrò Cloud impercettibilmente, completamente perso nell’azzurro fantastico degli occhi di Zack. –Sto… fantasticamente.
Zack lo guardò perplesso, avvicinando la mano destra verso la guancia di Cloud, sfiorandola con il pollice. –Non direi la stessa cosa, guardandoti.
Cloud si sentì quasi sciogliere, rendendosi conto che Zack si stava preoccupando per lui, e provava una felicità assurda avvertendo il tocco della sua mano sulla guancia. Poi si accorse che aveva ancora le guance bagnate di lacrime e si affrettò ad asciugarsele con il dorso della mano.
-Adesso sto meglio, davvero.- mormorò Cloud, quasi impappinandosi mentre parlava perché il cuore gli batteva così forte nel petto che gli riusciva difficile anche solo pronunciare quelle poche parole.
Zack gli sorrise leggermente, allontanando la mano dal suo viso, con grande dispiacere di Cloud. Solo in quel momento si accorse della bendatura alla mano di Zack e il cerotto sulla guancia sinistra.
-Che ti è successo alla mano? E alla guancia?- esclamò Cloud, mettendosi a sedere di scatto.
-No, niente.- rispose Zack sorridendo allegro. –Ho solo dato una lezioncina a quei tre che ti hanno ridotto così.
Quelle ultime parole le pronunciò quasi con stizza, come se fosse infastidito al solo pensiero. Cloud rimase sbalordito. Non riusciva a credere che Zack l’avesse “salvato”, e che per aiutarlo si era anche fatto male. Si sentì sciogliere all’istante, e avvertì le guance andargli a fuoco per l’emozione. Vide Zack abbassare un po’ lo sguardo, amareggiato.-Mi dispiace tanto di non essere arrivato prima. Avrei voluto che non ti avessero fatto nulla, né che ti avessero strappato i tuoi disegni…
Al ricordo di quella scena, Cloud sentì gli occhi che bruciavano, ma non poteva più piangere. Non “voleva” piangere di fronte a Zack.
-Non ti preoccupare per i disegni.- disse, cercando di rassicurarlo, anche se la voce lo stava tradendo. –Li posso rifare tranquillamente.
Zack lo interruppe, parlandogli da sopra, quasi urlando per la rabbia. –Non importa! Non avevano il diritto di prendere le tue cose, tantomeno prenderti a pugni!
Cloud continuava ad essere meravigliato da quella situazione assurda, ma non riuscì a non arrossire e abbassare un po’ lo sguardo per l’imbarazzo. Nessuno, dopo Aerith, l’aveva mai trattato in quel modo, né si era preoccupato per lui.
-Grazie.- sussurrò, sorridendo impercettibilmente.
Zack lo guardò perplesso, la rabbia completamente sbollita. –Per cosa? Non ho fatto nulla.
-Perché ti sei preoccupato per me. Nessuno lo fa mai, da quando se n’è andata Aerith.- alzò lo sguardo per poterlo guardare, e di nuovo si sentì sciogliere mentre incrociava quegli occhi azzurri. –Te ne sono infinitamente grato.- soffiò, il cuore che gli fermava il fiato in gola.
Zack sorrise, in un modo che Cloud trattenne il fiato per quanto fosse bello.-Non devi ringraziarmi.- lo guardò per un po’, poi gli mise il vassoio sulle gambe.-Bene, ma adesso cerchiamo di mangiare qualcosa, perché abbiamo saltato entrambi il pranzo.- e gli scompigliò i capelli, dandogli una sensazione stranissima che non ricordava di poter ricevere da qualcuno.
Affetto.




Nota dell'autrice: Non potete capire quanto io adori questa One-Shot, nonostante abbia impiegato mesi su mesi per scriverla, ma è bellissima, davvero. <3
Ma questo è solo l'inizio...
A presto!
  
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