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Autore: ViolaNera    16/06/2012    5 recensioni
«Andrò a casa sfidando la tremenda tempesta», replica freddissimo, accennando a muoversi.
Olanda gli si affianca, mettendo l'ombrello a coprire entrambi.
«Non disturbarti.»
«Nessun disturbo.»
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ci mancava soltanto la pioggia.

Normalmente la trova piacevole, rilassante da guardare attraverso il vetro dell'automobile in movimento o con la fronte appoggiata alla finestra del soggiorno. Gli piace soprattutto il suono delicato che fa colpendo gli oggetti, le foglie, il tessuto impermeabile degli ombrelli.

Già.

Ombrelli.

Volgendo la testa qua e là ne vede a centinaia e lui se l'è dimenticato a casa. Non ha ascoltato le previsioni con molto interesse (deve ammetterlo), ma il fatto di essere uscito ed esserselo scordato, con quel cielo minaccioso ben evidente, lo innervosisce.

Tecnicamente ha questa fissa di voler programmare ogni cosa, a partire dal più minuscolo dei dettagli. Nevrotico? No, solo organizzato, com'è giusto che sia.

Assottiglia gli occhi e si trattiene dal mugugnare qualcosa, accorgendosi che il battere della pioggia sui marciapiedi sembra aumentato nel giro di pochi secondi. È un dannato acquazzone?

«Nor?»

Si volta leggermente, scrutando l'uomo che gli si è improvvisamente affiancato. Un viso serio ed apparentemente accigliato che, per sua sfortuna, conosce molto bene.

«Ned.»

Torna a guardare la strada dopo avergli concesso un minimo cenno del capo in segno di saluto. L'uomo non dice niente e si accende una sigaretta, tenendo il manico dell'ombrello premuto sotto il braccio. Lo guarda di sbieco compiere il gesto, provando una fastidiosissima fitta per il fatto che lui ci abbia pensato.

«Ti serve un passaggio?», gli chiede, aspirando una boccata di fumo e liberandola dalle narici.

Lo squadra, pensando a qualcosa di abbastanza gelido per rifiutare, ma non troppo per non sembrare maleducato senza ragioni; non è certo colpa sua se non l'ha mai sopportato.

Anzi, sì. Sì che è colpa sua.

Il fatto che sia sempre stato un grande amico di Dan non lo trattiene dal pensare cose poco carine di lui. Certo, sarà anche una persona che si fa gli affari suoi e perlopiù indossa espressioni composte che non gli dispiacciono affatto, niente risate fragorose o sorrisi smisurati, ma... si parla di quando è lucido.

Sa che ha il vizio di fumare la pipa e tutti sanno che non ci infila dentro solo tabacco. Per sua sfortuna gli è capitato anche di vederlo sbronzo un paio di volte, con Dan, ed in un'altra manciata di occasioni era fatto.

Molto loquace, molto fastidioso, molto in vena di abbracciare.

«Aspetto che si calmi», risponde alla fine per chiudere il discorso. «Grazie lo stesso.»

Incrocia le braccia stringendosi meglio nel lungo cappotto dal taglio elegante e torna a scrutare, distaccato, la strada bagnata e le sommità degli ombrelli dei pedoni che si affrettano.

La voce calma e d'un tratto troppo vicina dell'olandese lo sorprende come una mano sul fondoschiena durante una corsa in metro.

«Non per rovinarti le previsioni, Nor, ma potresti diventare tutt'uno con l'asfalto.»

Si volta e lo distrugge con un'occhiata glaciale. Come osa bisbigliargli addosso?

Si ritrae impercettibilmente, inarcando un sopracciglio.

L'uomo fa ancora un tiro dalla sigaretta e gli sorride leggermente come se sapesse di averlo infastidito e ne fosse contento, sfiorandosi la cicatrice sulla fronte con l'unghia del pollice, distratto. «Non smetterà tanto presto. Voglio dire questo.»

Beh, 'fanculo, Ned.

«Andrò a casa sfidando la tremenda tempesta», replica freddissimo, accennando a muoversi.

Olanda gli si affianca, mettendo l'ombrello a coprire entrambi. Norvegia si ferma di botto e solleva il mento osservando le scure stecche interne, confuso per un attimo. Ma che...?

Stringe un pugno all'interno della tasca, reprimendo un sibilo. «Non disturbarti.»

«Nessun disturbo.»

Olanda lancia il mozzicone, dopo averlo spento con l'acqua piovana, direttamente dentro un cestino lì accanto, poi torna a guardarlo negli occhi.

«Perché farti fare la doccia quando ho un ombrello che sembra una tenda?»

Si incanta ad osservare la forma particolare di quegli occhi verdi; deve ammettere che quando è sobrio hanno un'espressività carismatica. Sono intensi e scrutano con attenzione, di qualsiasi argomento si stia discutendo, sempre.

Sembra quasi intelligente. Cosa che non può essere di certo.

Sospira, sconfitto dal fatto che nemmeno lui abbia poi così tanta voglia di beccarsi il temporale al suo massimo splendore e passare la serata a starnutire davanti al caminetto.

La pioggia dietro un vetro è un pochino diversa. Più affascinante, meno invasiva. Oppure ha appena scoperto di amarla solo quando è delicata come piccoli aghi indolore.

Gli occhi limpidi di Olanda lo studiano per qualche secondo, prima di tornare a concentrarsi sul marciapiede ed uscire dalla tettoia protettiva del palazzo assieme a Norvegia.

Camminano senza fretta, il che sembra la cosa più sbagliata da fare. Sarebbe meglio affrettarsi per ridurre il tempo insieme e per evitare di restare in quell'aria ghiacciata, eppure l'olandese gli fa notare che le strade sono già zuppe, le pozzanghere ovunque e se andassero a passo svelto si laverebbero i pantaloni anche fino alle ginocchia; per cui deve, a malincuore, dargli ragione e assecondare quel ritmo pacato.

Camminando lentamente possono scegliere il percorso più adatto fino alla prima scala della metropolitana, possono evitare gli schizzi delle auto di fretta e le persone che non si rendono conto di come i loro ombrelli sgocciolino addosso alle spalle dei pedoni che li affiancano.

Impercettibilmente si avvicinano uno all'altro. Norvegia si innervosisce, ma non può farci niente se ci tiene al cappotto, alle belle scarpe e ai capelli perfetti. Respirare quel vago odore di tabacco e sentire il calore del suo braccio è un piccolo prezzo da pagare, in fondo.

«Kiku tempo fa mi disse che dalle sue parti è considerato un gesto romantico camminare sotto la pioggia dividendo lo stesso ombrello», osserva Olanda improvvisamente, sbirciando un pezzo di cielo e facendo una smorfia per il colore livido.

Norvegia sussulta e si volta a guardarlo di scatto, facendosi male al collo.

«Calma, biondino. Niente sguardi velenosi. Era per chiacchierare.»

«Condividi il tuo sapere con qualcun altro», sibila, imporporandosi al solo pensiero che qualcuno possa considerarli una coppia. È evidente che c'è un profitto, no? Un ombrello meglio che niente ombrello, semplice come un'addizione. No, non c'è un'anima che immediatamente, vedendo due uomini sotto lo stesso ombrello, possa pensar male. Ha anche le mani in tasca, diamine.

«Era chiaro che non intendessi nulla», prosegue l'altro, spostando il manico in modo da ripararsi meglio una spalla.

Norvegia espira nervosamente in risposta, rilassandosi quando intravede il segnale della presenza della fermata.

«Perché tu hai già una persona speciale con la quale dividere l'ombrello, giusto?», prosegue, facendogli cascare la mascella in via metaforica.

Si ferma e lo costringe a fare lo stesso, mentre si guardano negli occhi in un silenzio protratto. Olanda si limita a fissarlo mordicchiando mollemente una seconda sigaretta ancora spenta che non si è accorto di avergli visto tirar fuori.

«Cosa ti fa credere che mi confiderei con te su un argomento del genere», replica, neutro.

«Non mi sembra di averti chiesto il codice della carta di credito. Rilassati un po', ogni tanto», lo attacca, inarcando entrambe le sopracciglia.

Perché quel suggerimento sembra riferirsi ad altro, come se gli stesse consigliando di essere meno rigido in altri modi? Non per le parole, ma per le azioni controllate che lo contraddistinguono.

«Credo di poter proseguire da solo. Grazie del passaggio.»

«Aspetta, Nor.»

Lo trattiene con una mano sulla spalla e si china di nuovo, sussurrandogli all'orecchio. «Non posso farti prendere tutta l'acqua che sta venendo giù, Dan non me lo perdonerebbe. Lasciati scortare fino alla scala. Vado anche io in quella direzione.»

«Si può sapere che vuoi?»

Olanda fa un sorrisetto e si ritira su. «Soltanto essere gentile», si giustifica facendo deboli spallucce.

«Mi stai sulle scatole e credo tu lo sappia», confessa finalmente, fissandolo in tralice.

«Lo so.»

«Credo che per te sia la stessa cosa.»

«Probabilmente.»

«Quindi?»

«Quindi accetta un favore e basta.»





«Era una vita che volevo farlo.»

È la prima cosa che gli sente dire non appena le loro labbra si separano.

Il braccio di Olanda gli passa dietro e lo tiene per la nuca, l'altra mano gli risale lungo la gamba, segue il fianco, il petto e le dita sfregano la pelle accaldata della guancia morbida.

La testa di Norvegia è piena di nulla, piena di fumo e forme contorte.

C'è quell'odore penetrante, simile al tabacco ma completamente diverso e c'è il profumo di lui, come un miscuglio di menta e arancia. Poi...

Apre lentamente gli occhi, scontrandosi con le iridi verdi e annebbiate che ha di fronte e scopre che ci sono anche quelli, quegli occhi dannatamente vicini e penetranti che non ha mai guardato tanto a lungo.

Olanda si avvicina di nuovo premendo la bocca alla sua, ancora, obbligandolo a schiuderla per infilargli la lingua dentro, ancora, accarezzarla con calma e allo stesso tempo una passione che non credeva possibile tra loro.

Non riesce a credere a quello che stanno facendo, a quello che gli sta permettendo.

Toccarlo, abbracciarlo, baciarlo in quel modo indecente. E non brucia niente, Olanda, esplora con calma incrollabile la sua bocca, scivolando dentro e fuori, dandogli strattoni tremendi alla pancia.

Ha perso il conto del tempo speso su quel divano, incollato al viso dell'olandese, ha perso il conto dei gemiti che ha bloccato in fondo alla gola e di quelli che gli sono sfuggiti per i suoi baci e le carezze insistenti vicino all'anca, quelli che gli ha suo malgrado dovuto far ascoltare.

Quando si separano di nuovo, è Norvegia a prendere la parola. «Che razza di roba mi hai fatto fumare», chiede tetro.

«Non importa.»

È un soffio, poi è di nuovo bacio. Caldo, umido, mai appagante, troppo profondo per riuscire a respirare come si deve eppure non abbastanza da placarlo.

Nessuno l'ha mai baciato in quel modo e si sente come un bambino, docile e arreso, che scopre un dolce nuovo e gli piace talmente tanto da volersene abbuffare. Per questo mugola qualcosa, spingendolo debolmente indietro e guardando in basso. Prende avide boccate d'aria, sbattendo le palpebre con fatica. Non può lasciarsi andare così.

«Basta.»

«... Sicuro?»

Le dita di Olanda scivolano tra i suoi capelli e separano le ciocche quasi con dolcezza, avvicinandoselo di nuovo. Infila la testa nell'incavo del suo collo e posa baci delicati sulla pelle nuda, facendolo rabbrividire orribilmente.

«Sei sicuro, Lukas?», ripete, tendendo al roco sul nome umano e posando entrambe le mani sul suo fondoschiena per premerselo contro. Continua a baciarlo e mordicchiarlo sensualmente, iniziando a fare un movimento col corpo, col suo dannatissimo bacino, che lo getta senza ritegno nella confusione più totale.

«Vuoi veramente che smetta?»

Si preme a lui, si sfrega con tutta la calma del mondo e si rende conto che Olanda lo sta seducendo, lo sta provocando contro ogni senso di decenza e logica.

Potrebbe gettarlo sul divano e continuare indisturbato a fare quello che gli pare, con un Norvegia così indebolito e arrendevole, eppure sembra voler giocare con lui, farlo cedere davvero, fargli ammettere cose che non direbbe mai.

In qualche modo riesce a rinunciare a quel respiro caldissimo e si solleva, le mani ben premute sulle ampie spalle avvolte nel cotone nero della sua stupida camicia.

Stupido corpo, stupida faccia, stupida cicatrice, stupida personalità. Perché gli piace tanto?

«Ho detto basta, Jan, o non so dove finiamo.»

Cerca di suonare freddo ed irritato, ma la roba che ha fumato (perché l'ha fatto? Più ci pensa e più sa di essere stato un idiota, non è da lui) lo fa suonare ovattato e distante, non convincente.

«Io lo so», sogghigna appena l'altra nazione, scivolando con le mani al suo torace e slacciando un paio di bottoni. «So esattamente dove finiremmo.»

«Mh.»

È tutto quello che gli esce, fissando quello sguardo carico di aspettativa. Sente le lunghe dita sfiorargli il petto, infilarsi sotto il tessuto con quella sua caratteristica, dilaniante sicurezza.

Lo sta facendo? Sta accadendo realmente?

«Tu non mi piaci», mormora scostandosi.

Le mani di Olanda gli afferrano i polsi e gentilmente se lo riportano addosso; lo sente sorridere contro il proprio collo.

«Nemmeno tu.»

Osa troppo, seguendo con la punta della lingua la curva del pomo d'Adamo fino a riprendere pieno possesso della bocca, invadendola a suo piacimento senza che Norvegia riesca ad obiettare altro. Non si agita, non fa altro se non ricambiare, debolmente ma profondamente, quasi pronto a quella reazione, attendendola.

La testa continua a girare forte, profumo di arancia, fumo, spezie, mani che lo accarezzano senza fretta, ma tanto basta per fargli sentire le gambe tremanti, a infondergli un senso di piacevolissimo e giusto abbandono.

Dev'essere la droga. Non è certo per il suo modo di baciare, esasperante ed intenso, e non è l'odore della sua pelle, non sono i polpastrelli che premono sulla nuca per tenerselo vicino come se fosse indispensabile, per lui, quel contatto.

Ogni minimo tocco si lascia dietro scie infuocate e Norvegia ricomincia a lamentarsi, spingendo più a fondo nella sua bocca e acquisendo il controllo. Recupera se stesso con estrema fatica, imponendosi nel bacio, dicendosi che mai si lascerà dominare da quell'amante di tulipani e pipe.

Respira affannato contro la sua bocca umida, offrendogli un lungo sguardo carico di gelo.

«Ti odio.»

Olanda si lecca le labbra quasi rosse e gli stringe una generosa quantità di capelli nel pugno, senza tirare. Infila la mano sotto la camicia di Norvegia e gli sfrega un capezzolo.

«Mi ecciti.»

La sua voce bassa è quanto basta per fargli stringere con forza i denti, poi lo spinge violentemente indietro e lo stende sul divano, standogli sopra naso a naso.

«Non mi hai sentito.»

«Ti ho sentito», soffia l'olandese, una mano salda sul fianco di Norvegia e l'altra allo sterno. Non stacca gli occhi dai suoi, sollevando impercettibilmente l'angolo delle labbra per sorridere. Strafottente, o semplicemente sensuale.

Con uno strattone secco gli fa saltare tutti i bottoni e sosta con le dita tra ombelico e cintura. Il cuore gli finisce in gola e resta immobile a trattenere il respiro, mentre i bottoni si disperdono nelle pieghe del divano.

Per un folle istante, Norvegia desidera mandare tutto al diavolo e fare sesso con lui, minacciandolo di ogni genere di turpe vendetta al minimo riferimento del fatto.

Ci pensa davvero e a lungo, lasciando le sue dita a viaggiargli su e giù per gli addominali, causandogli ogni genere di brivido, finché Olanda non si aggrappa alla cintura e la tira debolmente con un nuovo tipo di sguardo.

Si riscuote, lo incenerisce e preme verso il basso col bacino.

«Mi hai drogato.»

«Se l'avessi fatto sarei una persona davvero spregevole.»

Perché sembra così divertito da tutta quella situazione? Lo manda fuori dai gangheri.

«Non hai pensato che forse sono io quello drogato?»

«Poco ma sicuro.»

Olanda sorride di nuovo. Sembra famelico e pericoloso come un lupo.

«Intendevo di te.» Una pausa significativa e poi riprende. «Ne voglio ancora, Lukas.»

Le bocche si scontrano di nuovo e questa volta non c'è la calma che ha contraddistinto i baci precedenti, ma solo furore e voracità, come se il loro tempo su quel divano stesse per scadere.

Olanda gli prosciuga nuovamente le forze e gli spinge il bacino contro, in una lotta a chi sa farsi sentire meglio.

Maledetto. Maledettissimo bastardo.

«Ho... ho detto basta.» Quasi balbetta, sollevandosi e allontanandosi più possibile da quell'uomo. Si accoccola all'angolo estremo del divano, al fresco, le ginocchia contro il mento.

«Hai paura», osserva l'altro dopo un riflessivo silenzio.

Norvegia trema a braccia conserte, lo sguardo rigidamente rivolto alla TV spenta. Detesta essere fissato, soprattutto in quel momento, figurarsi fare conversazione. Se non tremasse tanto sparirebbe da lì in un lampo, ma non può dargli la soddisfazione di fargli vedere quant'è sconvolto, barcollando fino alla porta.

«Non ho affatto paura, men che meno di un tossico come te.»

Per difendersi ha solamente le parole, servite con un tono tagliente.

«Sì, invece. Hai tanta paura.»

Sente il suono inconfondibile del fiammifero e sa che si è rimesso a fumare. Trattiene un sibilo di disappunto, pensando che preferiva il profumo d'arancia e menta; pensiero che scaccia all'istante, perché non gli piace nulla di lui, figurarsi il profumo.

«Hai paura di ammettere che mi vuoi allo stesso modo.»

«Stai sognando.»

«Vuoi farlo.»

«Cazzate.»

«E temi di scoprire che io possa piacerti da morire.»

Norvegia si volta di scatto con la ferma intenzione di lanciargli una scarpa in faccia.


Sobbalza.

Olanda lo fissa con interesse, una mano tra i capelli e l'altra a giocherellare con la sciarpa. La stessa sciarpa che poco prima non indossava.

«Bentornato», lo saluta in tono sottilmente ironico.

«Che... che cosa...»

Norvegia è seduto sul divano, le gambe incrociate, i piedi nudi, le mani sopra le ginocchia come se stesse meditando fino a due secondi prima. Ha la testa incredibilmente sgombra e si sente molto leggero.

«Cosa...?», bofonchia di nuovo, fissandolo di rimando.

«Hai avuto una visione interessante? Sei stato via quasi un'ora.»

«Via dove?»

«Non lo so, dovresti dirlo tu a me. Ti limitavi a fissare il vuoto.» Olanda si allunga e gli scosta una ciocca di capelli, alitandogli nell'orecchio. «E a gemere, di tanto in tanto.»

Norvegia si irrigidisce, sgrana gli occhi e forma un pugno con la mano più vicina a lui.

«Era un sogno piacevole? C'ero io?»

Si volta di scatto e a quel punto lo colpisce forte, però l'olandese si limita a sorridere, incassando il pugno e gettando la sigaretta nel posacenere lì accanto, distruggendone la punta accesa.

In quel breve istante Norvegia si premura di avere la camicia integra e se la ritrova perfettamente abbottonata, a confermare la sensazione di profondo smarrimento nel momento in cui l'ha guardato e l'ha visto differente.

È un'altra situazione: le loro posizioni, i vestiti, la luce nella stanza... tutto diverso, tutto sbagliato. La camicia strappata è fottutamente a posto.

«Devo andare.»

Il norvegese si alza, barcolla subito e si porta due dita alla fronte. Lucido ci si sente, ma è come se avesse una percezione troppo chiara delle cose, come se indossasse occhiali eccessivamente potenti.

«Che... fame?»

«È normale.»

«Non è normale per niente!», sibila, lanciandogli uno sguardo carico di odio velenoso. Lo indica con violenza, ma poi si dice che non è abbastanza minaccioso con quel dito tremante. Si china e lo prende per il colletto, tirandolo in piedi con sé e scrollandolo. «Cosa mi hai fatto fumare? Tu, brutto...»

Per quanto sia fuori dai gangheri, come mai neanche Danimarca è riuscito a ridurlo, mantiene una voce bassa e sibilante, carica del disprezzo che prova per quell'uomo, ed i suoi occhi gettano lampi direttamente nelle iridi penetranti dell'altro, quasi a volerlo accecare di furore.

Olanda non risponde e lo fissa con strafottenza.

«Ti ho fatto una domanda.»

Lo vede sospirare, quasi rassegnato.

«È soltanto una droga leggera di recente sperimentazione. Dovrebbe farti vedere ciò che il tuo cuore realmente desidera.»

Un guizzo divertito gli accende lo sguardo per qualche secondo, prima che si abbassi pericolosamente fino a sfiorargli le labbra. Intuendo il gesto, il norvegese rabbrividisce prima ancora che ci sia l'effettivo contatto tra loro.

«Hai visto me, non negare. Che mi facevi?»

Le mani di Norvegia stringono più forte, mentre arretra quel tanto che basta per non sentirsi addosso il suo respiro di nicotina e le sue labbra.

Arancia e menta. Ma quello era nel suo... no, non lo chiamerà sogno. Visione, magari, ed in senso dispregiativo, ovviamente.

«Ti uccidevo lentamente e spargevo i tuoi inutili pezzi agli angoli più remoti del mondo.»

«Aah, quindi sospiravi il mio nome ad ogni pezzo gettato? Jan... Jan... Jan...»

È di nuovo vicino, troppo vicino, ed al terzo nome ripetuto la sua lingua gli si infila in bocca senza preavviso.

Si odia decisamente tanto scoprendosi prontissimo ad accoglierla con un lamento di desiderio.



Spalanca gli occhi, agitandosi e ritrovandosi sdraiato per terra intrappolato come un involtino dentro una quantità esagerata di coperte.

«Nor!»

In pochi istanti le braccia forti di Danimarca lo tirano su, lo rimettono sul letto e lo rimbacuccano con sciarpe, scialli e cos'altro gli ha messo addosso.

«Dan?», mormora confuso.

Gli basta un'occhiata alle sue spalle per accorgersi del silenzioso olandese, appoggiato a braccia conserte al comò della camera in penombra.

Danimarca annuisce, preoccupato, e gli posa la mano sulla fronte.

«Sei ancora tanto caldo, Nor, ma starai meglio... mh, bevi un po' di tisana.»

Gli avvicina alle labbra una tazza bianca a forma di muso di coniglietto, i due anelli vuoti per infilare le dita a rappresentare le orecchie. La fissa basito, trovando il tempo di ammirarla, poi beve con cautela. Ha un sapore amarognolo e dolce al tempo stesso ed è terribilmente buona.

«L'ha preparata Ned, dice che ti aiuterà a far passare la febbre. Nor, che combini? Come hai potuto dimenticare l'ombrello? Dovevi comprarne uno nuovo oppure chiamare un taxi!»

Smette di bere appena sente chi ha preparato quell'infuso di erbe e mille pensieri orribili gli attraversano la mente.

«Nederland ha...»

Gli si blocca la voce, abbassando la tazza e fissando trucemente il liquido scuro.

«Due volte al giorno, Dan», sussurra l'olandese, venendo avanti verso la luce della lampada. «E non soffocarlo. Ha soltanto preso troppa pioggia.»

Norvegia stringe gli occhi, confuso molto più di prima, ma apprezza l'appunto al danese. «Dove siamo?», chiede, incapace di inventarsi qualcosa di meglio.

Danimarca sorride indulgente, gli sfila la tazza di mano e lo costringe a sdraiarsi di nuovo. Gli rimbocca le coperte fin sotto il mento, sopportando con pazienza il suo sguardo di ghiaccio.

«A casa tua!», ridacchia. «Ned è rimasto per controllare che stessi bene e ti riprendessi. Io invece resto e non ti lascio finché la febbre non sarà passata!»

Sorride ancora di più, accarezzandogli i capelli. Quel gesto lo fa arrossire, ma mai come lo sguardo da felino che lo scruta lì accanto, facendolo sentire come nudo al centro di una piazza affollata.

«Hai chiamato tu questo qui?», bofonchia irritato.

Olanda annuisce e Norvegia fissa il soffitto, se non altro per sfuggire a quei due paia d'occhi troppo interessati all'ammalato.

Ricostruisce debolmente e con tutta la lentezza del caso gli eventi di quella giornata. Pioggia, nessun ombrello, acidità mentale verso se stesso. Incontro sfortunato con l'olandese, ombrello in due, riferimenti romantici non desiderati. Conversazione spiacevole.

Poi...

Droga, baci, profumo di arancia, tabacco buono e menta, mani audaci.

Geme di frustrazione, ma Danimarca lo prende per un segno di sofferenza e le sue carezze si fanno più delicate. Non lo infastidiscono e riescono a rilassarlo, perché le sue mani sono fresche e piacevoli.

«Da quanto tempo sei qui, Dan.»

«Mh, fammi pensare... saranno due ore. Hai dormito profondamente non appena Ned ti ha messo a letto», sorride, come rincuorato dal semplice fatto che sia finito tra le mani di una persona tanto affidabile come il suo prezioso amico. «Mi ha chiamato subito e quando sono arrivato stava cercando altre coperte per farti stare al caldo.»

«Sto morendo di caldo, infatti», si lamenta, riemergendo con le braccia e tirandosi su quanto basta per recuperare la tazza del coniglio.

Spera che nessuno si accorga dell'imbarazzo violento o, se non altro, che non possano mai e poi mai capire che è causato dall'essersi immaginato messo a letto, incosciente, da quello.

«Sta' buono, hai preso molta pioggia quando mi sei sfrecciato via da sotto l'ombrello», puntualizza Olanda, facendo un altro passo avanti e mettendo una mano sulla spalla di Danimarca. «Io vado.»

«Ah! Grazie mille, Ned!», lo saluta, alzandosi e dandogli una rumorosa pacca sul braccio.

Olanda annuisce ancora, poi lancia a Nor uno sguardo talmente intenso da far domandare al norvegese se per caso non debba dirgli qualcosa di serio, ma alla fine se ne esce con un pacato suggerimento.

«Riguardati.»

Gli concede un debole cenno affermativo con la testa, poi torna a sorseggiare la bevanda, cupo.


Sentendoli parlare vicino all'ingresso, le voci così lontane da non permettergli di cogliere ogni singola parola, si mette a mordicchiare il bordo della tazza bianca più e più volte, contrito.

Il solo pensare a quello che ha sognato, in quello stato febbricitante, lo riempie di sgomento e di terribili crampi fin troppo reali alla bocca dello stomaco. Ci mette una mano sopra e cerca di ricordare, ma tutto quello che la mente gli propina sono baci senza fine, respiri sommessi, batticuore... una straziante voglia.

Oh, maledizione. Voglia di lui, di essere desiderato in quel modo.

Non lo accetta, anche se è un sogno (incubo). Avrebbe potuto sognare qualsiasi cosa, qualsiasi!

«È stato carino, vero? Aah, Ned è proprio una brava persona!»

Danimarca torna in camera, si siede sul bordo del letto e gli accarezza la testa come se fosse un cucciolo. Avrebbe voglia di ringhiare (non per le coccole, ma per la frase), eppure si trattiene perché tutto sommato avere quelle attenzioni non è così male e teme di farlo allontanare davvero.

«Ha agito così solo perché vai in giro a dire che chi non mi rispetta verrà invaso dalla tua ascia. O roba simile che neanche voglio ricordare», farfuglia.

Dan scoppia a ridere e lo osserva posare sul comodino la tazza ormai svuotata.

«Un altro oggetto non necessario?», lo punzecchia con un'alzata di sopracciglia.

Grande, grandissimo Danimarca che riesce sempre a scovare quei doni perfetti per lui. Fosse matto se pensa di dirgli cosa pensa per davvero.

«Cos... ah, la tazza? È adorabile!» L'uomo seduto la prende tra le mani e se la rigira tra le dita, sorridendo e ammirandola da varie angolazioni. «Devo chiedergli dove te l'ha comprata.»

Chiedergli?

«L'ha presa Ned», gli spiega, notando la sua espressione confusa. «Mentre aspettava il taxi ha detto che aveva un negozio alle spalle e l'ha vista in vetrina. Non chiedermi come ha fatto a comprare una tazza mentre ti reggeva sulla schiena, ma l'ha fatto!»

La risata per poco non lo assorda, ma lo stupore è troppo per rimproverarlo del volume eccessivo.

«Che... che cosa?!»

«Ned è fatto così.» Il danese fa spallucce, come se la cosa fosse normalissima.

«Non ci sopportiamo», puntualizza, incrociando le braccia sul petto e starnutendo come un pulcino. Danimarca lo fissa con tanto d'occhi, probabilmente pensando a quanto gli piacerebbe strapazzarlo a morte, ma ritrova la calma e si limita a farglisi più vicino, intenerito dal suo raffreddamento.

«Sei tu che non lo sopporti, Nor, e francamente non capisco perché. È un buon amico, sai.»

La lista di cose che odia dell'olandese è talmente lunga che glissa sulla domanda implicita, cosa che comunque non ferma la sua parlantina.

«Ned dice che quando qualcuno è ammalato un piccolo dono serve a tirar su il morale. È così, Nor? La tazza ti fa sentire meglio?»

«La tazza sì, ma non scommetterei su quella roba che mi ha propinato.”

«Ma se l'hai bevuta tutta!», sghignazza. «Quindi... mh... posso restare finché non ti rimetti completamente?»

Il danese sbatte gli occhioni blu, inclinando la testa e sorridendo con cautela. Norvegia sospira e gli indica con il pollice l'altra metà del letto matrimoniale, causando l'immediato spostamento sotto le coperte accanto a lui, bello stretto con braccia e gambe. Il bisogno di ucciderlo con una mazzata si dissipa non appena ricomincia a coccolargli la testa un po' dolorante, portando piccoli brividi piacevoli.

«Credo che a Ned tu piaccia, Norge.»

Gli va la saliva di traverso e per poco non soffoca nel suo petto, ritrovando compostezza solo dopo un paio di minuti passati a tossire. Il danese gli massaggia la schiena, preoccupato. «Stai proprio male. Povero Nor...»

Povero un corno vichingo appeso al muro sopra al caminetto!

Ingoia trenta insulti coloriti e riprende a deglutire normalmente, la gola distrutta dallo sforzo e bruciante per lo stupido malanno.

«Ned non ti piace proprio, vero?»

Norvegia ripensa ai baci, alla sensazione vivida del suo corpo premuto contro il proprio, ai capelli morbidi tra le dita, alle mani che lo spogliano e lo cercano.

Un movimento insistente del bacino, un gemito caldo nell'orecchio, frasi imbarazzanti.


«Hai paura di ammettere che mi vuoi allo stesso modo.»


Si riscuote con un tremito e sprofonda nell'incavo della spalla del fratello maggiore.

«Direi di no.»

Le sue braccia lo stringono con dolcezza e Danimarca continua a coccolarlo, probabilmente felice, in segreto, di quella risposta seccata.






[Per chi fosse interessato a saperne di più, c'è un seguito.]

   
 
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