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Autore: Lesta_Mancina    17/06/2012    0 recensioni
Julian, giovane e agiato studente nasconde una doppia vita. La noia ha fatto di lui un corriere per gente poco raccomandabile. A guidarlo tra spaccio e segreti, Dario, un uomo di poche parole e quasi mai piacevoli. Tra tradimenti, doppi giochi, segreti, sangue e femme fatales Julian imparerà a sopravvivere in una pericolosa e torrida estate.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Questa storia è ambientata nel periodo in cui è stata scritta,  il che significa (ahimè) molti anni fa ormai... 
Cari lettori fate un salto con me in una pericolosa e torrida estate  alla fine degli anni '90:

 

Una pericolosa torrida estate

In un tempo
in cui ancora si poteva
fumare liberamente…

 

Capitolo 1 – Rosse intriganti e more ubriache

 

Il caldo soffocante delle sere di agosto si faceva sentire più intensamente nell’affollato locale nel centro della città, il ghiaccio nella vodka sembrava sciogliersi più velocemente delle altre notti e i drink si dovevano bere in fretta, tutti d’un fiato uno dopo l’altro.
 
Francesca si era recata in quel fumoso disco-pub per un appuntamento con Dario e Julian e si chiedeva come mai, con tutti i locali all’aperto che c’erano in zona, dovessero incontrarsi proprio nel più chiuso e claustrofobico, ma soprattutto: perché così tanta altra gente aveva deciso di rintanarsi proprio lì?
Certo i cocktail e le birre erano le migliori della città e la musica dal vivo del misconosciuto gruppo jazz che stava suonando era inebriante e febbricitante, ma da quando la gente aveva iniziato ad apprezzare le cose buone?
 
Purtroppo le dimensioni piuttosto ridotte e la struttura del locale penalizzavano l’acustica e il vociare della gente ai tavoli e addossata al bancone creava caos e frastuono, fortunatamente però l’alcol che la ragazza aveva bevuto era sufficiente ad attutire anche la nota più stridente.
 
Gli occhi scuri, arrossati a causa delle luci e del fumo del locale, avevano iniziato a non obbedirle più già dal terzo drink, le braccia, spossate e pesanti, al quarto ed ora se ne stava seduta in mezzo a quella baraonda aspettando che i suoi colleghi finissero ciò che dovevano fare e la riportassero a casa.
 
In un angolo meno affollato della sala comodamente seduto su una sedia in similpelle bordeaux, con le spalle rivolte alla parete, Dario spegneva innervosito l'ultima sigaretta nel piccolo posacenere metallico ormai pieno, aprendo subito un nuovo pacchetto.
Attraverso le lenti dal colore scuro sfumato degli occhiali scrutava tutta la sala senza dare nell’occhio e teneva sotto controllo Julian, seduto ad un tavolo non molto distante ed attorniato, in modo più o meno discreto, da tre ragazze decisamente allegre e vogliose di portarsi la loro preda in un luogo decisamente più intimo.
 
Accadeva sempre così quando dovevano muoversi in luoghi di quel tipo confondendosi tra la gente comune, la prestanza di Julian non passava mai inosservata e per tipi come loro non era certo un bene. Julian era alto, slanciato, dalla carnagione chiara e i capelli castani anch’essi piuttosto chiari, che davano un'aria da bravo ragazzo al suo viso fanciullesco. A differenza di Julian, soltanto ventiquattrenne, Dario era un uomo fatto dall’aspetto serio ed elegante, ma nella sua espressione c’era sempre qualcosa di collerico; l’uomo era di statura media, aveva capelli medio-corti scuri  e lineamenti marcati; il naso deciso sorreggeva un paio di occhiali dalle lenti scure che accentuavano l’aria dura e irosa a cui le sopracciglia  e la fronte dell’uomo erano naturalmente predisposte.
 
Posando lentamente il boccale di media rossa l’attenzione di Dario fu catturata da un altro tipo di rossa tra la folla. Porse maggiore attenzione per essere sicuro di ciò che aveva visto e quando la vide avvicinarsi al tavolo di Julian non ebbe dubbi, conosceva fin tropo bene quella figura e di certo era l’ultima nella lista di coloro che aveva voglia di vedere quel giorno.
“Che cazzo ci fa qui quella stronza?” Pensò fra sé l’uomo, già inferocito.
 
Una giovane donna si fermò innanzi a Julian, che alzò su di lei uno sguardo risoluto; le ragazze smisero di ridere e squadrarono la ragazza incuriosite. Una di loro prese il proprio bicchiere e bevve appoggiandosi allo schienale del divanetto facendosi più vicina a Julian. La ragazza ferma davanti al loro tavolo le osservò senza troppo interesse, ma con un sorriso di beffarda superiorità che avrebbe offeso chiunque.
 
Una delle amiche di Julian  stava per rivolgersi a lei malignamente curiosa quando, senza curarsene, la nuova arrivata appoggiò sul tavolo un pacchetto scuro non più grande di una videocassetta. Dopo un altro istante di silenzio, con aria distaccata esclamò rivolta a Julian:
-Ehi, bellosguardo, lo sai che è maleducazione fissare con insistenza una damigella?
 
Julian accennò un mezzo sorriso, rimanendo comunque in silenzio e senza distogliere gli occhi da quella curiosa presenza al massimo di due anni più vecchia di lui, i cui capelli ramati, raccolti disordinatamente in una piccola coda, sembravano bruciare come il suo sguardo strafottente. La diafana apparizione vestita semplicemente con un paio jeans ed un top nero, che si atteggiava da dura, aveva qualcosa di buffo e inquietante insieme.
 
-Questo è per il tuo capo,- si decise a dire la giovane. -Lui sa a chi darlo.- e dopo un’ultima occhiata se ne andò, confondendosi di nuovo fra la mischia.
Julian vide allontanarsi una iena.
 
Francesca ancora seduta al bancone di scatto smise di fissare il bicchiere vuoto e spazientita iniziò a guardarsi intorno in cerca dei suoi due accompagnatori.
L'effetto ancora insistente dell'alcool la confondeva, per non parlare della musica che ora le sembrava solo doloroso chiasso e della ressa ormai più sudata che accaldata.
Più volte inciampò, tanto che, quasi scivolando, decise di levarsi i sandali dai tacchi alti per tenerli in una mano, mentre con l'altra si faceva strada fra la gente. La sua media statura certo non l'aiutava a farsi notare in mezzo a quella confusione ed il suo vestito, corto ed aderente, non faceva che attirarle vicino individui di cui non aveva proprio bisogno in quel momento.
 
Spintonata da una coppia Francesca si scontrò con un ragazzo al quale per poco non fece rovesciare il bicchiere.
-Ehi attenta!- disse inizialmente infastidito il ragazzo.
-Scusa- mormorò Francesca di riflesso, ma senza essersi resa conto di quanto accaduto. Cercò di passare oltre e continuare la sua ricerca, ma il ragazzo la fermò sorridente, mentre il gruppo di amici intorno a lui già rideva malizioso.
-Dai, ti perdono se ti fai offrire da bere.-
Francesca lo guardò, ma era così sbronza da non capire neanche il senso delle frasi più semplici.
–Al diavolo, me ne torno a casa da sola!- borbottò la ragazza, iniziando a cercare l'uscita e lasciando il gruppo a ridersela tra di loro.
 
Finalmente la ragazza trovò una porta: -Maledizione, apriti!- inveì Francesca tirando il maniglione antipanico con la poca forza rimastale, poi esausta Francesca spinse tutti i suoi cinquanta chili contro la porta d'emergenza fino ad aprirla. Subito si coprì gli occhi con una mano: la luce bianca ed inaspettata di un neon li aveva colpiti tanto da farli lacrimare. Si appoggiò ad un muro per non cadere e, ciondolando, iniziò a salire delle scale alla sua sinistra, strette e ricoperte di materiale antiscivolo. Si trovava in un ambiente del tutto diverso e sconosciuto, con pareti bianche e ruvide perfettamente insonorizzate.
I fischi e i ronzii che udiva erano solo nella sua testa.
Giunta faticosamente in cima alle scale cercò di aprire una porta di legno, ma invano e forse, se fosse stata ancora in grado di leggere la targhetta con scritto “privato”, non si sarebbe messa a prenderla a calci. Girandosi di scatto di centottanta gradi verso l’altra porta alle sua spalle un sandalo le scivolò di mano rotolando giù per le scale, Francesca lo guardò inebetita, ma infine esclamò un risoluto:
–Fottiti!- E spalancò la porta finestra.
Francesca sentì una piacevole ventata accarezzarle i lunghi capelli castani: senza rendersene conto era giunta su un balcone, che si affacciava sul piccolo parcheggio del locale.
 
L’aria decisamente più fresca e ossigenata la fecero riprendere un po’ e la vista delle automobili parcheggiate le fece venire in mente che sarebbe stato decisamente meglio prendere un taxi: casa sua non era distante, ma, contrariamente all'andata, ora non era nelle condizioni più adatte per una passeggiata.
Senza rendersi conto del dislivello di circa tre metri che la separava dal marciapiede sottostante, si sporse dalla ringhiera del balcone, la testa le girava vorticosamente e la ragazza ricadde sulle sue ginocchia.
 
Julian afferrato il pacchetto lasciato dalla curiosa ragazza dai capelli rossi si alzò e sistemandosi la camicia azzurro chiaro si congedò dalla compagnia.
-Scusate ragazze, ma devo andare al bagno.-
Julian raggiunse Dario che lo aspettava all’uscita.
-Non la vedo…eppure era qui un attimo fa!- esclamò preoccupato Julian.
-L'ho già cercata ovunque anch’io, non ho intenzione di perdere altro tempo per quell’ubriacona, andiamocene!
-Controllo un'ultima volta…magari…- cercò di trattenerlo Julian.
-Ho detto andiamo, cazzo!- Lo interruppe Dario uscendo deciso.
 
Julian seguì l'uomo in silenzio verso il parcheggio: anche se non lo vedeva in faccia sapeva che stava iniziando ad irritarsi seriamente.
–Cazzo!- Imprecò Dario scuotendo il suo accendino che aveva smesso di funzionare lasciandolo con un sigaretta spenta tra le labbra.
Era incredibile la quantità di modi in cui Dario riuscisse a dire quella semplice parola e Julian aveva ormai imparato a capire lo stato d'animo dell'amico solo da come la pronunciava.
In quel momento la cosa migliore era senza dubbio starsene zitti e lasciarlo in pace: il ritardo nella consegna del pacchetto lo aveva fatto infuriare.
 
Scorgendo i due che arrivavano, Enrico scese dalla Renault Clio scura ed andò loro incontro con la sua camminata sciatta.
Dario si fermò davanti al ragazzo:
-Hai visto qualcuno, hai notato qualcosa di sospetto?- il suo tono era piuttosto aggressivo.
Enrico con una lieve mossa della testa si spostò dal volto i capelli lisci e piatti, lunghi circa fino alle spalle, quindi tranquillamente rispose:
-No, è tutto a posto… è una bella serata- il sorriso tranquillo e candido, che nell’infanzia un apparecchio aveva reso perfetto, fu la goccia che fece traboccare il vaso,
Dario scagliò a terra l'accendino che teneva ancora in mano con un gesto minimo, ma secco.
 
-Bella serata! Che cazzo vuol dire "bella serata"? Ti avevo detto di controllare il parcheggio e tu stai qui a guardar per aria?-
-Ma io, veramente…- intervenne debolmente Enrico.
-Taci- lo azzittì Dario, lasciandolo lì incerto ed avvicinandosi alla macchina con Julian. Enrico sprofondò le mani nelle tasche dei larghi pantaloni verde militare e diede un calcio all’accendino abbandonato lì da Dario, poi si voltò per raggiungerli.
 
Francesca sentendo le voci dei colleghi provenire dal marciapiede sottostante sollevò la testa barcollante e pesante come un macigno: -Aspettatemi!- esclamò debolmente con un filo di voce. Poi, aggrappandosi nuovamente alla ringhiera, si rimise faticosamente in piedi e tornò a sporgersi:
-Aspettatemi!- ribadì nuovamente alzando un poco la voce, mentre vedeva le ombre confuse di Julian e Dario allontanarsi.
Lasciò cadere il sandalo che teneva ancora in mano ed il suono dell'impatto di questi contro il marciapiede richiamò l'attenzione dei due.
–Finalmente… volevate lasciarmi qui?- gracchiò Francesca con voce stridula, scavalcando a fatica la ringhiera del balcone.
 
-Fra, fermati!- le gridò spaventato Julian, correndo verso di lei, seguito da Dario.
Anche l’attenzione di Enrico, che si trovava ancora a pochi passi dal marciapiede, era stata attirata dalla strana ragazza sul davanzale e quando vide Dario e Julian tornare correndo nella sua direzione, senza pensarci corse sotto di lei e la prese in tempo, mentre ormai Francesca si era lasciata cadere giù dal balcone.
 
Presala la volo Enrico cadde a terra sotto il peso della ragazza, ma senza farsi nulla, anzi Francesca era inebriata dal suo piccolo volo e dall’atterraggio morbido e ancora seduta sopra la pancia del giovane si mise a ridere a crepa pelle, ma iniziando a singhiozzare.
Stupiti Dario e Julian si avvicinarono a Enrico, ancora più scioccato di loro.
La ragazza aveva smesso di ridere e, mentre si rialzava insieme a Enrico, nascose terrorizzata il volto nella sua camicia.
 
Julian si avvicinò preoccupato alla ragazza che non si staccava da Enrico; Dario la guardò con un misto di rimprovero e disgusto.
-Buttala in macchina e andiamo, ci ha fatto perdere già abbastanza tempo- ordinò l'uomo rivolto a Enrico, mentre già stava salendo in auto.
 
Julian prese posto al volante e storse il naso quando vide l’uomo accanto a lui accendersi la sigaretta con l’accendino della vettura. Julian non gradiva che si fumasse sulla sua inodore e pulitissima auto, ma farlo presente a Dario in quel momento significava sfidare la sua collera e per quella volta Julian lasciò correre.
Enrico intanto a fatica riuscì a far salire Francesca, che confusa piagnucolava: -Dove mi volete portare? Portatemi a casa…-
-Muoviti!- lo incalzò Dario.
-Non è colpa mia, non si sposta, non posso salire!- rispose timidamente il ragazzo.
-Sali dall'altra parte, idiota!- sbuffò Dario insofferente.
 
Enrico seguì il consiglio dell’uomo senza ribattere e finalmente l’auto poté partire.
Da qualche tempo i rapporti tra lui e Dario, già piuttosto difficili, si erano del tutto incrinati e non accennavano a migliorare. Il ragazzo era stufo delle continue umiliazioni che subiva da parte sua, soprattutto in pubblico, ma come poteva ribellarsi? Dario aveva la capacità di metterlo in soggezione a tal punto che gli toglieva ogni minima forza di reagire.
 
La Clio scivolava a velocità sostenuta, ma non eccessiva, lungo le strade semideserte sotto le luci dei lampioni, attraversando il viale più battuto dalle prostitute per poi fare il suo ingresso in un'altra città all’apparenza pulita e che dormiva sonni profondi e tranquilli.
 
Arrivati a destinazione in un quartiere residenziale dagli edifici tutti uguali, Julian parcheggiò e, spenta la macchina, Dario diede gli ordini:
-Tu stai qui e tienila d’occhio,- Disse rivolto a Enrico notando che la ragazza si era addormentata, -tu invece vieni su con me.-
Quindi scese insieme a Julian e si avviò verso l'entrata di una delle palazzine, presso cui erano giunti.
 
Guido Sarenti, braccio destro dell’Avvocato e sua guardia del corpo, era fermo vicino alla porta dell’appartamento, la sua mole gli dava un che di minaccioso. I due uomini entrarono sotto il suo sguardo vigile che li seguiva mentre l’uomo stesso entrava dopo di loro chiudendosi la porta alle spalle.
Julian restò con Sarenti nella sala accanto allo studio, mentre Dario andò direttamente a parlare con il padrone di casa.
 
Julian si accomodò sul un divano e guardando il vaso di cristallo sul tavolino di vetro si chiese chi fosse a non far mai mancare i fiori freschi al suo interno.
Sarenti si servì dalla vetrina dei liquori e poi rimase in piedi immobile ad osservare il suo ospite bevendo. Julian imbarazzato faceva vagare lo sguardo per la stanza, dalla libreria allo stereo e dallo stereo al lampadario; il ragazzo ringraziò il cielo che ci fosse il condizionatore acceso e cercando di ignorare definitivamente il gorilla reclinò il capo sullo schienale e fissando il soffitto cercò di captare, ma con poco successo, alcune parole che giungevano dallo studio accanto.
 
-Perché ci avete messo tanto? Iniziavo a preoccuparmi…- esclamò l’Avvocato, senza interesse, sprofondato nella sua poltrona.
L’Avvocato era un uomo alto circa un metro e settanta, grasso e flaccido, sulla sessantina e con i capelli tinti di castano chiaro che gli davano un’aria ridicola, sempre seduto dietro alla sua scrivania di legno lucido marrone scuro, sulla quale erano disposti disordinatamente un portapenne, un portacellulare con cellulare di ultima generazione, un posacenere, un accendino da tavolo  di ceramica sferico dipinto con motivi orientali e alcuni quotidiani.
 
-Non dipende da me e Della Valle, il contatto è arrivato tardi e non era neppure la persona che ci aspettavamo. Era Eris, dopo due anni infine è tornata- rispose Dario, appoggiando il pacchetto sulla scrivania.
-Già- rispose l’uomo, concentrando la sua attenzione su quell’oggetto e iniziando come suo solito a dondolarsi sulla comoda e grossa poltrona da ufficio in pelle nera.
-In più Vezzi era di nuovo ubriaca fradicia, è stata solo un peso, sta di nuovo provando a farsi buttare fuori dal gruppo- aggiunse Dario.
-Mi dispiace, una ragazza tanto graziosa che si rovina così a soli 23 anni, vediamo se le passerà… è un elemento valido quando si impegna. Un quarantenne come te dovrebbe preoccuparsi per lei: i giovani sono sempre più richiesti di questi tempi, magari un giorno potrebbe prendere il tuo posto.- L'uomo parlava in tono ironico, ma Dario aveva capito il messaggio implicito e, avvicinandosi alla porta per uscire, concluse:
-Non credo che accadrà molto presto, io sono il migliore e poi ho solo 38 anni.-
 
 
Enrico era rimasto in macchina in silenzio ad osservare la ragazza che dormiva accanto a lui: era la prima volta che la vedeva, anche se l'aveva già sentita nominare. Del resto erano solo pochi mesi che aveva intrapreso quell’attività. Ma anche in quel breve lasso di tempo il diciottenne si era reso conto che il suo carattere insicuro e schivo non lo rendeva certo adatto a fare il delinquente. Eppure Dario insisteva nel sostenere che gli avrebbe giovato, che si sarebbe formato il carattere.
Francesca si era mossa nel sonno, Enrico sentì la testa di lei appoggiarsi sulla sua coscia destra e irrigidendo dall’imbarazzo i suoi pensieri cambiarono completamente direzione.
 
Il sole rovente di mezzogiorno era penetrato nella stanza, impedendo a Francesca di riposare ancora. Faticosamente la ragazza riuscì a sollevarsi e mettersi seduta sul letto, una tremenda emicrania non le dava tregua. Si guardò intorno: si trovava in una camera spaziosa, arredata sobriamente, senza fronzoli, foto o soprammobili inutili, non c’era dubbio che fosse la stanza di un uomo.
Ma di quale uomo?
 
"Dove sono finita?" pensò, afferrando il suo unico sandalo, che aveva trovato ai piedi del letto, e dirigendosi verso la porta. Il corridoio che le si aprì innanzi non le suggerì nulla, ma una volta giunta sulla scala, che conduceva al piano di sotto, iniziò ad intuire dove potesse trovarsi. Scongiurava di sbagliarsi quando infine, giunta sulla soglia della sala da pranzo, dovette fare i conti con la realtà.
 
-Cazzo, finalmente ti sei svegliata! Stavo per venire a buttarti giù dal letto- le disse Dario, sbucato fuori dalla cucina.
-Ma tu cosa…?- cercò di dire Francesca, ancora frastornata, seguendo Dario che, senza curarsi di lei, si era seduto a tavola, riprendendo a leggere il suo quotidiano.
Enrico, vedendola entrare, si era alzato di scatto ed aveva subito messo in tavola un altro piatto di pasta: -Ciao, accomodati pure- disse timidamente.
Francesca si sentiva smarrita, ringraziò il ragazzo e si sedette a tavola, anche se non aveva per nulla appetito: -Dario, cosa ci faccio qui?- chiese impaziente.
-Se non lo sai tu. Così impari ad ubriacarti- le rispose l'uomo, continuando a leggere.
-Non farmi la predica proprio tu!- disse Francesca offesa, alzando la voce.
-Se posso… ieri sera non stavi molto bene… e ti abbiamo portata qui- intervenne cauto Enrico.
-Perdona la mia scortesia, non ci conosciamo, tu chi sei?- chiese garbatamente Francesca.
 
A Dario sfuggì una risata maligna, ma divertita: -E' incredibile!- disse, –Una volta tanto che mio figlio fa qualcosa di buono, l'interessata se lo dimentica.-
-Tu hai un figlio?- esclamò sorpresa Francesca, conosceva Dario da più di due anni e non l'aveva mai saputo. Ma soprattutto: Dario, era padre?
Come se il mondo quel giorno non stesse già girando in modo decisamente bizzarro!
 
-Già, ma neanch'io sono del tutto convinto che lui sia mio figlio- le rispose Dario e, afferrata la giacca che aveva lasciato sulla sedia accanto, si alzò: -Io vado all'antiquario.-
-No, aspetta un attimo io…- Francesca aveva tentato di richiamare indietro l’uomo, il quale non l’aveva minimamente ascoltata.
Rimasto solo, seduto davanti a Francesca, Enrico ebbe l'impressione che la temperatura si fosse alzata improvvisamente e si sentì le guance andare a fuoco.
-Beh… non so che impressione io possa averti fatto ieri, comunque io sono Francesca- si presentò la ragazza, tendendogli la mano.
Il ragazzo di scatto gliela strinse facendo traballare tutto il tavolo, poi accennando un timido sorriso:
-Enrico, piacere.
-Ma cos'è successo esattamente ieri sera?- chiese Francesca- Io ricordo solo di aver svolto un paio di commissioni per tuo padre nel pomeriggio e di essere andata al Memoria dopo cena.-
 
-Io sono arrivato al pub con mio padre e Della Valle, ma li ho aspettati in macchina…- spiegò Enrico -quando sono tornati, tu eri sul terrazzino del primo piano e…
-Il balcone!- scattò la ragazza in una terribile illuminazione, Enrico proseguì la narrazione.
-Sì, hai scavalcato la ringhiera e sei scivolata, io ti ho presa al volo-.
-Già la ringhiera… ora ricordo qualcosa… ti ringrazio tanto, devo essermi… ma lasciamo stare!.- Francesca cercò di mostrarsi più lucida e, dopo aver ringraziato di nuovo il ragazzo, se ne tornò a casa cercando di non pensare alla terribile figuraccia che aveva fatto. Sicuramente Julian si sarebbe fatto vivo presto per farle un’altra memorabile ramanzina.
 
Julian schiacciò il servizio, che fu respinto dal rovescio di Luca, scattò verso la parte opposta del campo, colpendo la pallina con gran forza: il tiro era molto lungo, ma ben piazzato e l'avversario non riuscì a prenderlo. Julian scambiò qualche parola con l'amico negli spogliatoi, ma era troppo pensieroso per trattenersi più a lungo: non era ancora riuscito a parlare con Francesca dalla sera prima, era preoccupato per lei, non sapeva come aiutarla. Il ragazzo varcò i cancelli del circolo sportivo, mentre la ragazza di media statura dalla folta chioma ramata della sera prima stava lì ad attenderlo. Julian si accorse di lei, ma non si fermò e così la giovane si mise a camminare al suo fianco.
-L'ho riconosciuta: lei è il contatto di ieri sera, cosa vuole?- chiese serio Julian.
Eris sorrise disinvoltamente: -Volevo conoscere il mio nuovo collega, visto che anche stanotte dovremo lavorare insieme.-
-Non credo proprio che accadrà, Dario non ha bisogno di nessun altro. Mi dispiace dirglielo, ma lei non ci serve- tagliò corto il ragazzo.
Eris si fermò di colpo e Julian percorse qualche altro passo prima di accorgersene.
-Bene, bene… Ha sempre tutto sotto controllo il nostro galante fumatore,- esordì ironica la ragazza, poi, avvicinandosi a Julian divenne minacciosa:
–Avvertilo! Se non mi prenderà con sé sarò costretta ad organizzarmi diversamente.-
Quindi tornò improvvisamente serena e salutando il giovane con un cenno della mano si allontanò sotto lo sguardo pensieroso di lui.
 
Per la seconda volta quella ragazza gli si era presentata innanzi senza preavviso, comportandosi come se sapesse ben più cose di lui; la prima volta non le aveva parlato ed ora era stato decisamente scortese, ma del resto non riusciva a comportarsi diversamente: lo sguardo scaltro e irridente degli occhi verdi di lei lo infastidiva.

 
Fine capitolo 1

   
 
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