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Autore: Hello Frank    18/06/2012    3 recensioni
Talmente grande era lo sgomento che non riuscii neanche a trovare la forza di lanciare un urlo di sorpresa (oppure terrore, vedete un po' voi) alla vista dei volti delle tre persone chine su di me. Tre volti che mi erano fin troppo familiari.
4 mani: Hey_Ashes & Grim. (AU! Killjoys. Più o meno.)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qua! Questo account è la fusione di due menti perverse (e alquanto contorte) identificabili come Hey_Ashes e Grim.
Beh, c'è da dire che abbiamo passato una giornata D'INFERNO per concepire tutto questo, e nonostante tutto, possiamo dirci pseudo-soddisfatte di ciò che è uscito fuori. E che ne uscirà.
I capitoli saranno scritti o in comune o più facilmente alternatamente (segnareleremo all'inizio). Questo l'abbiamo scritto insieme :3 ed è stato molto complicato perchè Frank continuava a disturbarci senza ritegno.
Approfittiamo comunque per ringraziarlo e per dedicargli tuuuutto questo lavoro, poiché con il suo essere vergognosamente basso ed allegro (?) migliora le nostre giornate non poco.
Vogliamo anche scusarci per le prese di culo mirabolanti che gli lanciamo dietro ogni venti secondi. Ma sono comunque piene d'affetto e ti vogliamo bene, piccolo Frank. Grazie di tutto.
Per quanto riguarda la fic non vi anticipiamo niente di niente, così magari vi viene la curiosità.

Enjoy!
 

Disclaimer: I personaggi non ci appartengono (apparte Frank perchè ha ammesso di essere totalmente e perdutamente nostro giusto oggi pomeriggio) e scriviamo perchè siamo due decelebrate molto, molto, molto annoiate.
Non ci guadagniamo una cippa (MA PROPRIO NULLA)... e niente.
 

-Make a wish when your childhood dies

Era un'altra giornata di merda, in questa cittadina del cazzo, in questa fottuta scuola che contava poco più di 600 maledettissimi studenti, che in quel momento affollavano il cortile per la pausa pranzo, apparentemente tutti dotati di una vita sociale che parevano determinati a portare avanti con impegno e dedizione.
L'unico essere umano non dedito alla conversazione, o a qualunque attività che comprendesse interazioni fisiche e sociali, se ne stava rintanato su uno dei gradini delle scale di pietra che conducevano all'entrata della sopracitata fottuta scuola, per giunta pateticamente nascosto dietro una colonna.
Vi starete domandando chi mai avrebbe potuto essere questo aborto della natura, rifiuto di qualsiasi società esistente, con il quale mai nessuno avrebbe voluto avere a che fare.
Ebbene, ero io.
E si, se un giorno camminando per strada mi fossi incontrato avrei come tutti finto di non vedermi.
Mi chiamavo Gerard (mi ci chiamo tutt'oggi), e adoravo sguazzare nell'autocommiserazione.
O meglio, vi ero costretto.
Il mio quasi nullo desiderio di socializzare con gli altri unito al loro inesistente interesse nei miei confronti, mi avevano portato a passare quell'ultimo anno di liceo in completa solitudine. E così anche quelli precedenti, se vogliamo essere sinceri.
Quella giornata poteva essere considerata leggermente migliore poiché si trattava di un sabato, e ciò significava che il giorno seguente non sarei stato costretto a passare quasi otto ore in mezzo a quelle facce da schiaffi. Purtroppo, quel giorno sarebbe stato rovinato da una ricorrenza annuale: il mio compleanno, come lo chiamava mia madre, oppure “il dannato giorno in cui il mio io ancora ingenuo ed in fasce aveva deciso di venire al mondo” come lo chiamavo io. Questo disgusto verso il mio compleanno – e non verso quello degli altri, poiché una candelina in più sulle loro torte significava un anno in meno nelle loro vite -, era legato ad un trauma infantile che riportai alla veneranda età di sette anni: ero un allegro bambino cicciottello che credeva ancora ci fosse del buono nel mondo e nelle persone e che non sospettava minimamente che quel giorno il suo status di asociale sarebbe stato definito una volta per tutte, senza future possibilità di ripresa; quel giorno, infatti, mia madre aveva organizzato per me una festa a sorpresa, ma l'unica sorpresa fu che non venne nessuno, nemmeno mia nonna, che a quanto pareva aveva un impegno improrogabile con le signore del bingo.
Tutto ciò può acquistare una vena tragicomica, se non vissuto.
E fatico a credere che qualcuno tra di voi abbia avuto un'infanzia così squallida, quindi fidatevi di me quando dico che la mia vita era molto, molto triste.


Tornando a casa, camminavo strascicando i piedi lungo il bordo del marciapiede, tentando di mantenermi in equilibrio, anche se cadere e venire travolto da un camion non sarebbe stato così tragico, al momento: nella mia mente, già figuravo la triste scena di mia madre che mi attendeva a casa, in cucina, con una torta grande quanto una crostatina, perché “tanto l'avrei mangiata da solo”, come adorava sottolineare ogni anno.
Sbuffai e mi feci forza, varcando la soglia di casa. Mi sfilai lo zaino dalle spalle e lo scaraventai per terra con eccessiva veemenza, volendo trasmettere in un gesto teatrale quanto fossi schifato e frustrato dall'idea della scuola. Attesi qualche istante nell'ingresso, aspettando di udire mia madre chiamarmi, ma quando ciò non avvenne decisi di avviarmi circospetto verso la cucina. Per un istante temetti una seconda – e mal riuscita – festa a sorpresa, ma neanche mia madre sarebbe stata così sadica.
Dopo un rapido giro della casa realizzai di essere solo. Se da una parte mi sentii quasi ferito dall'assenza di mia madre – che comunque immaginai essere stata trattenuta a lavoro -, da una parte fui sollevato di essermi risparmiato la triste commedia del “buon compleanno, tesorino”.
Raggiunto il salotto mi lasciai cadere con poca grazia sul divano, e fu quando mi sporsi per recuperare il telecomando dal tavolino che notai il biglietto con su scritto il mio nome. La calligrafia era quella di mamma, ovviamente, ed una volta aperto potei ammirare il suo frettoloso – ma sicuramente pieno d'affetto – disegno di una torta stilizzata prima del messaggio, che riportava le seguenti parole: “Auguri. Festeggiamo stasera. Togli le mutande dal tuo letto, per cortesia”. Il tutto concluso da un fantastico smile sorridente, poco adatto ad una donna di cinquant'anni.
Con rinnovato male di vivere ed un nuovo, grande sforzo fisico, mi trascinai su per le scale, emettendo gemiti di sofferenza ad ogni gradino. Tre ore e una sinfonia di dolore dopo, arrivai a spalancare la porta di camera mia, ed al mio povero, stanco e provato cervello impiegò svariati secondi a realizzare che non c'era nessun paio di mutante fuori posto, sul mio letto. Al posto della fantomatica biancheria, c'era un nuovo blocco da disegno ed un set di colori. Emisi un'esclamazione di sorpresa più simile ad un orgasmo mancato, incredulo del fatto che mia madre, per una volta, avesse scelto di regalarmi qualcosa che potevo realmente apprezzare.
Di fatti, il disegno era l'unica cosa che mi riuscisse davvero bene in quella mia vita coronata da insuccessi – tanto per capirci, era un miracolo se la mattina riuscivo a vestirmi senza nessun tipo di aiuto.
Afferrai blocco e pastelli e mi scaraventai alla scrivania, già ingombra di foglio, pronto a mettermi subito al lavoro. Con quei materiali avevo l'opportunità di creare nuovi schizzi di miglior qualità per il fumetto a cui stavo lavorando già da tempo; a dire la verità, ad oggi l'unico di cui ero realmente soddisfatto.
La storia ruotava attorno alle vite di tre fuorilegge, Fun Ghoul, Kobra Kid e Jet-Star, la cui missione era quella di annientare la Better Living, ovvero l'associazione che controllava la loro città, Battery City.
Lo scopo di tale associazione era fornire una vita perfetta agli abitanti della città, privandoli però dei colori, della musica e di tutto ciò che potesse costituire una distrazione. Un po' come facevano gli insegnanti della mia scuola.
Il nome che avevo scelto per il fumetto era “Le avventure dei favolosi Killjoys”.
Sapevo che una volta cominciato a disegnare non mi sarei fermato per intere ore, come sempre mi succedeva: passavo interi pomeriggi e notti a creare nuove situazioni per i miei personaggi, ed in loro compagnia mi sentivo meno solo.

Riuscii a distogliere la mia attenzione da quel stavo facendo solo quando mia madre, dopo essere entrata nella mia stanza come una furia, mi scosse con discreta violenza afferrandomi per le spalle e “richiamandomi per l'ennesima volta” - almeno a quanto diceva lei, io sono convinto ancora oggi che mentisse - e lamentandosi del fatto che mi credeva caduto in uno stato di catalessi poiché non avevo risposo ai suoi precedenti tentativi di attirare la mia attenzione.
Alzai lo sguardo verso la finestra e mi accorsi che - effettivamente - si era fatto buio. Non era cosa nuova. Sotto le insistenze della mia genitrice mi recai con malcelata sofferenza al piano disotto, pensando tra me e me che il mondo fosse davvero, ma davvero ingiusto. Infondo, ero consapevole del fatto che non avrei potuto rimandare il “momento torta” per sempre.
Come previsto, la torta non superava le dimensioni di una tartaruga di mare; mi aspettavo che prima o poi mia madre mi avrebbe regalato un muffin con sopra una sola candelina, o direttamente soltanto la candela.
Mi finsi vagamente felice, increspando le labbra in un sorriso forzato mentre lei mi posava davanti la crostatina incriminata.
- Esprimi un desiderio! - Disse mia madre con un sorriso incoraggiante quanto quello di uno squalo tigre.
Cosa mai avrei potuto desiderare, se non un'iniezione letale oppure una vita totalmente diversa?
Fui colto da un'intuizione degna del miglior Sherlock, e dopo aver preso un respiro profondo soffiai sulle candeline distendendo il volto in un'espressione soddisfatta.

La luce filtrava dalle tapparelle della mia finestra che mi ero scordato di chiudere la sera precedente, e mentre mugolavo infastidito per il sole che mi colpiva senza pietà agli occhi, mi domandavo se avessi anche lasciato il televisore acceso. Infatti sentivo un mormorio insistente che mi ronzava nelle orecchie da alcuni minuti. Ma subito dopo spalancai gli occhi, realizzando che hey, io non avevo una televisione in camera.
Talmente grande era lo sgomento che non riuscii neanche a trovare la forza di lanciare un urlo di sorpresa (oppure terrore, vedete un po' voi) alla vista dei volti delle tre persone chine su di me.

Tre volti che mi erano fin troppo familiari.



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Writer's corner:
bene, questo è il delirio di un pomeriggio di mezza estate. Una recensione non vi uccide e rende felici noi, ricordatelo :3
xoxo
Ash & Grim.

  
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