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Autore: Talucc    18/06/2012    1 recensioni
Sembrava tutto così tranquillo. Tutto come di solito.
Sembrava.
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Una storia che vede come protagonisti me stesso e i miei amici con cui mi diletto a questo fantastico gioco di ruolo!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nera e tetra, la sua figura si muoveva sinuosamente nella stanza. Sfilava accanto ad una gran quantità di cianfrusaglie abbandonate ad ogni dove, sopra gli scaffali, sui tavoli, in alcune vetrinette da esposizione. Il buio della notte lo favoriva appieno, offrendogli riparo e possibilità di nascondersi.
Dov’è? L’avevo visto oggi!
Ma alla fin fine era tranquillo, sapeva di potercela fare, a meno che non avesse compiuto un errore nel momento cruciale. Il suo abito calzava alla perfezione, era attillato in modo da favorire ogni movimento senza creare troppo intralcio e, ovviamente, era nero. Cercò tra alcuni tessuti, rovistò sopra un tavolino, ma niente. Si avvicinò senza esitazione alla finestra aperta, da dove entrava un brezzolina non molto piacevole, un po’ troppo fredda per i suoi gusti, ma non c’era alcun problema, al massimo si sarebbe beccato un raffreddore nella peggiore delle ipotesi. Sporgendosi, si fece riconoscere dal suo alleato che sostava lì affianco. La sua voce era poco più di un sibilo:
  «Non lo trovo!» disse.
Il compagno, che si aspettava una notizia migliore, rispose esasperato:
  «Controlla meglio!»
La sua voce era stizzita, ma era comprensibile, infatti non aveva affatto controllato bene. La figura oscura tornò dentro senza muovere un solo passo rumoroso e si avvicinò nuovamente al centro di quel disordine.
Non è mai facile …
Non sapeva a cosa pensare, decise di riprovare, stavolta avrebbe fatto più attenzione.
Dunque, su questo tavolino ci ho già dato un’occhiata. Proverò da questa parte... Ehi! Uno scrittoio!
Un barlume di speranza si riaccese in lui, che subito si accinse a raggiungerlo. Per fortuna era agevolato poiché riusciva a vedere al buio senza utilizzare altri mezzi. Mille e mille volte nella sua vita ringraziò di essere un mezzelfo.
Dieci cassetti! Più difficile non si poteva! Oh beh, tanto ho tutto il tempo che mi serve …
A caso, provò ad aprirli tutti, uno dopo l’altro, dando una rapida controllata al loro interno.
Pennino, pergamene, pergamene, pergamene, lettere, uno strano congegno, ci sarà da qualche parte!
D’un tratto trovò un cassetto chiuso. Un segno inequivocabile, è qui dentro. L’esperienza insegna che per la maggior parte dei casi è così. In questo mondo, intendiamoci. Con un gesto deciso, si adoperò per sfilare da un piccolo borsello legato alla sua cintola due piccoli chiavistelli, di pregevole fattura, di un giallo tipico della cromatura. Velocemente li portò avanti a sé e li infilò nella piccola fessura dove di norma si sarebbe dovuta infilare la chiave. Il tempo in cui si era allenato in passato finalmente dava i suoi frutti, in meno di quindici secondi riuscì ad aprire il piccolo vano. Al suo interno, finalmente, trovò l’oggetto che tanto desiderava, avvolto da un piccolo pezzo di stoffa violacea, accanto a tante altre inutili cianfrusaglie.
Accidenti se lo ha nascosto bene!
Il piccolo diamante riluceva in silenzio al poco chiarore di luna filtrato dalle finestre del locale. La sua pregevolezza era la conferma che, trovati adeguati ricettatori, sarebbe valso tanti, tanti soldi. Soddisfatto del proprio lavoro, il ladro fece un gran sorriso e, continuando ad osservare la piccola pietruzza, commise l’idiozia della nottata, ma che dico, l’idiozia dell’intera missione. C’erano le ben minime probabilità di urtare quel vaso al di sopra della mensola, un insignificante pezzo di porcellana del valore di niente rispetto al gioiellino che aveva in mano.
Troppa avidità, troppa avidità.
L’avidità che Hadder Benelux portava in sé era forse troppo forte. La sua espressione volse da un sorriso beato a quella che si può vedere in un uomo che cade da una torre. Non ci fu un grido, questo perlomeno riuscì a trattenerlo, ma nel suo cervello c’era eccome. È questo il modo in cui una stupida azione riesce a compromettere un lavoro durato un pomeriggio intero.
Una stupida azione a causa di uno stupido vaso.
Il rumore fu insopportabile, fu un tuffo al cuore, poiché le orecchie si erano abituate al mare di tranquillità e silenzio che vigeva nella stanza. Hadder cominciò a temere, temere l’arrivo della vittima di tale furto dalle scale che conducevano al piano di sopra.
Ti prego, fa che non ha sentito … Ti prego …
Il tempo successivo all’incidente si poteva misurare in istanti velocissimi e silenziosi, nemmeno il respiro osava interrompere questa magia. Occhi spalancati, mani aperte, come fossero volte ad afferrare qualcosa che potesse arrivare all’improvviso, ma soprattutto attenzione al massimo.
La finestra dell’uscita era troppo lontana, rischiava di fare altro rumore. Decise di attendere. Si sarebbe basato sulla fortuna, anche se non ci credeva granché. Alla finestra fece capolino la testa del suo compagno, Hadder riuscì a notare la sua espressione come a dire “Che diavolo è successo qui?”, ma non si mosse. La sorte decise di non perdonare il suo incidente, purtroppo. Si udì il chiaro suono di una porta al piano di sopra che si aprì di colpo e il tonfo di due o tre passi veloci.
«Chi è là?»
La voce roca che proveniva da quella parte apparteneva al gestore del locale, il gioielliere che si era trasferito da poco in quella cittadina, reputata da tutti come tranquilla e calma.
«Chi è là?»
Stavolta si poteva intuire l’ira di ogni singola parola. Dopo alcuni passi la sua figura si manifestò sulle scale, un uomo alto e robusto, due baffi che gli incorniciavano un viso già corrugato da rughe di rabbia. Un umano che poteva avere al massimo sessanta anni, ma il suo fisico sembrava molto più giovane. In mano, una lanterna ad olio accesa.
«So che c’è qualcuno, fatti vedere!»
Era un gioielliere, era ovvio che avesse intuito la rapina in corso. Probabilmente ne avrà subite altre in vita sua.
Hadder, cercando di evitare il flebile fascio di luce prodotto dalla lampada, si abbassò molto lentamente, fino a nascondersi dietro allo scrittoio appena scassinato. Da questo momento in poi decise di affidarsi al suo udito per cercare di percepire dove il gestore del negozio si stesse dirigendo. I passi erano grevi, e si spostavano da una parte all’altra del locale.
«So che ci sei, fatti vedere!»
Continuava a girare tra i tavoli e le cianfrusaglie, per fortuna Hadder era quasi all’angolo opposto della stanza.
È inutile pensare, posso cavarmela solo in un modo.
Deciso, il ladro sfoderò un pugnale d’acciaio facendo attenzione a non provocare troppo chiasso. Ora lo teneva ritto di fronte al suo volto e osservando fisso in avanti attendeva il momento più adatto per uscire allo scoperto e colpirlo alle spalle. Il suo cuore accelerò il battito e il suo respiro divenne impercettibilmente più frequente, ma le sue orecchie a punta erano comunque attente al massimo. Strano, si disse, pensavo di avere più autocontrollo. Ma in effetti non era temprato affatto da queste situazioni. Prima di questa bravata si era imbattuto solamente in un’avventura, piuttosto facile da sbrigare.
Avanti, dopotutto devo farci l’abitudine con queste cose …
«Forza! Fatti sotto, farabutto!»
Il gestore era divenuto irrequieto, si muoveva più velocemente e la sua ira era aumentata, lo si capiva facilmente. La luce della lanternina guizzava ovunque nel locale, illuminando quadri a cui Hadder non aveva prestato alcuna attenzione prima, illuminò una libreria composta da tomi di varia voluminosità ed, infine, lo scrittoio. L’espressione sul volto del mezzelfo divenne dura, ora era pronto. Si sporse dal mobile per osservare che cosa stesse facendo e per sua fortuna lo fece al momento giusto. L’uomo era girato di spalle, intento ad osservare un’altra zona del locale.
È il momento!
Hadder scattò in avanti con il pugnale dritto davanti a sé e in un solo balzo raggiunse la sagoma dell’uomo. La destinazione della sua arma sarebbe dovuta essere il petto, ma a causa della difficoltà nel movimento dovuta allo spazio ristretto e alla gran quantità di contenitori pieni e vuoti posati a terra, il ladro ferì il malcapitato ad un braccio, quello che stava reggendo la lanterna ad olio. In tutta risposta il gioielliere levò un grido, sia per essere stato colto alla sprovvista sia per il dolore improvviso. La lanterna gli cadde di mano e con un forte frastuono si schiantò a terra rompendosi. Il combustibile si riversò a terra prendendo immediatamente fuoco in una piccola frazione di tempo. Hadder non aveva assolutamente previsto questa svolta negli eventi e sul suo volto si disegnò un’espressione di sgomento. L’uomo, continuando ad urlare ed essendosi accorto dell’incendio divampato, si diresse a gran velocità verso la finestra più vicina e senza pensarci due volte la infranse gettandosi all’esterno. Una volta fuori, iniziò a chiamare soccorsi per l’incendio e per il tentato assassinio. La prima risposta del ladro, invece, fu quella di portare le mani avanti a sé osservando il fuoco, come a dire “No! Ti prego!”, ma avendo capito che ormai c’era poco da fare, scattò verso la finestra dove lo attendeva il suo compagno, che nel frattempo stava osservando l’interno con una faccia incredula, esterrefatta. Ormai prossimo al davanzale, gli venne in mente un piccolo particolare che gli era sfuggito:
  «Il diamante! Il diamante!»
Il suo sguardo volse al rogo che stava prendendo largo spazio anche grazie alle tende delle finestre e allo stesso scrittoio.
  «No!» urlò quando si rese conto che ormai era caduto chissà dove.
  «Hadder! Ma si può sapere che diavolo è successo?» gli sbraitò il compagno affianco «Bah, me lo racconti dopo, adesso scappiamo!»
 
Parallelamente, Talucc si stava facendo una grassa risata.
  «Peggio non ti poteva andare!» gli facevano eco gli amici, riuniti attorno al tavolo.
  «Però che sfiga, sul serio!» diceva Talucc «Ho fatto 4 con i danni, e poi ci si è messo anche il master, non è forse così?» lo sguardo era rivolto ad Ale, a capotavola, che stava consultando un computer portatile ridacchiando.
  «Che vuoi da me? Così è più interessante, e poi sei abbastanza ricco, non ti pare?» rispose a tono
  «Avere 120 monete d’oro è essere ricchi? Ma per favore...» concluse la piccola disputa sarcasticamente, sapendo benissimo che per il gioco era una cifra spaventosa.
  «E poi mi stai allungando l’avventura con questi furtarelli, potrebbe essere tutto così semplice! Non potevate riposare in silenzio alla taverna e non rompere a nessuno? ‘Sti ladri...» concluse Ale, tornando a consultare un manuale in PDF.
  «È il mio personaggio e me lo voglio giocare per bene! Devo mantenere il mio comportamento caotico malvagio!»
  «Secondo me non sei caotico malvagio, uno di questi avrebbe sfondato le pareti del negozio e con una frase del tipo “Questo posto è mio!” si sarebbe messo a razziare a destra e a sinistra fregandosene altamente delle conseguenze, pessime che fossero.» si intromise Santoch, il cui personaggio, neutrale, si trovava nella taverna della città a godersi un buon sonno ristoratore «Ora probabilmente mi sveglierò, mi affaccerò alla finestra della locanda per vedere un manipolo di guardie che insegue due dei miei compagni di squadra. Fantastico, non c’è che dire.» concluse ironicamente
  «Ci potrebbe essere una svolta negli eventi...» disse Dario, che comandava il personaggio che assisteva il ladro facendo il palo all’esterno del negozio «Del tipo io che faccio il vago e faccio finta di non conoscere Hadder.»
  «Certo, il piano migliore!» rispose Talucc, piccato «Si potrebbe fare che semplicemente fuggiamo e ci nascondiamo nel primo posto che ci capita. Soluzione banale ma sempre efficace.»
  «E certo! Tu in Nascondersi hai 8, io invece ho ‘niente’. Facciamo che mi fingo un soccorritore improvvisato e tu ti nascondi come vuoi, va bene?» Dario sembrava soddisfatto di questa pensata
  «Può andare.» rispose Talucc dopo averci riflettuto su
  «Fermi tutti!» irruppe Ale nell’elaborazione del piano «Sfortuna volle che vedete due guardie che si stanno avvicinando al negozio in fiamme.»
  «Ci vedono?»
  «Un momento...» Ale tirò un dado dietro il computer, in modo che i giocatori non potessero vedere che cosa succedesse «No, non vi vedono, si concentrano sull’incendio e sul tizio che urla.»
  «Bene, allora continuiamo...»
 
Hadder restò fermo, trattenendo il respiro più che poté quando vide due guardie che si stavano dirigendo sul posto. Rivido, il suo alleato, dopo averlo aiutato ad uscire dal locale fece lo stesso. Entrambi fissavano i due soldati con gli occhi sgranati e con il cuore a mille, sia per la preoccupazione di venire scoperti, sia con la paura dell’incendio retrostante. Vuoi per il disordine, vuoi per il fatto che era notte fonda, le due guardie si diressero verso la fonte delle urla senza degnare di uno sguardo i due compagni. I rumori erano divenuti molti e grazie a questi la fuga di Hadder fu facilitata, senza dare nell’occhio. Le urla dell’uomo sovrastavano tutto quanto, il rumore del fuoco divampato faceva da sottofondo ed infine il clangore delle armature che stavano attraversando la zona miste ad alcune domande a squarciagola come “Che cosa è successo?!”. Rivido non attese più di tanto e mostrando la stessa espressione incredula delle guardie si diresse di corsa verso il gruppetto.
  «Che sta succedendo?» fu l’ipocrita domanda che gli saltò alla bocca «Ho sentito delle urla e mi sono precipitato!»
  «Chi siete voi, signore?» domandò una delle due guardie
  «Non mi sembra la domanda da fare in questo momento, cerchiamo di spegnere il fuoco, adesso!» fu la seccata risposta di Rivido
  Hadder, nel frattempo, sgattaiolò via silenziosamente verso una via secondaria. Nella cittadina si stavano svegliando tutti a causa del gran frastuono, i primi aprivano le finestre e davano una rapida occhiata verso il fulcro di quel disordine. Le guardie aumentavano pian piano e si facevano vedere i primi volenterosi con un secchio pieno d’acqua in mano e delle coperte, anche se tutto sommato c’era ben poco da fare. La confusione era l’ideale per scappare, chiunque avesse visto qualcuno allontanarsi dal luogo avrebbe pensato che lo facesse per panico, non per essere stato la causa del fuoco. Infatti Hadder non ebbe difficoltà nel portarsi nel vicolo e nascondendosi in un carretto coperto da un telo, fortunatamente vuoto. Una volta lì attese paziente il dissolversi del caos, accovacciato in una posizione senza dubbio scomoda. Rivido, nel frattempo si stava dando da fare per aiutare la popolazione locale accorsa sul luogo, dirigendo gruppetti di persone e talvolta intervenendo lui stesso.
Il negozio in questione, almeno, si trovava in un punto della città abbastanza isolato. Era circondato da quattro viottole, cosicché l’incendio non poté espandersi alle vicine abitazioni, potendo divenire un pericolo eccessivamente grave.
In un’oretta e mezzo il fuoco si mangiò completamente la gioielleria lasciando dietro di sé polvere, macerie e legno carbonizzato. Il proprietario, a cui era stato medicato il braccio, giaceva disperato di fronte ad esso, continuando a ripetere frasi come “Ho speso tutti i miei risparmi... Era il sogno di una vita...” e via dicendo, venendo talvolta consolato da alcune guardie cittadine e dai venditori vicini.
 
  «Eh, pessima notte per questo tizio...» concluse Ale
  «Ed è anche andata bene, dai.» disse Dario, per poi essere oggetto di osservazione allibita da parte degli altri. «Intendevo per noi!»
  «Ah, ecco.» fecero coro tutti
  «Ale, mi affaccio dal carretto, cosa vedo?» chiese Talucc
  «Un attimo...» lanciò alcuni dadi ben coperto, per non far vedere il risultato «Beh, la gente sta tornando a casa propria e comunque, visto che è quasi mattina, alcuni altri venditori approfittano della levataccia per aprire il negozio. E dicendo una preghiera in modo che non succeda anche a loro» e si concesse una risatina sardonica.
  «Perfetto, allora esco e torno da Rivido, che dovrebbe essere vicino al negozio»
  «D’accordo.» fece Ale, per poi cambiare totalmente discorso, incuriosito dal nuovo acquisto di uno dei suoi amici «Dario, hai comprato i dadi nuovi? Quel set di cui mi parlavi prima su Facebook.»
  «Sì sì! Oh, erano in omaggio, a solo 4,90€! Di solito arrivano a 10€, ma il tizio mi ha detto che nessuno li comprava da tempo... Eccoli qua!»
Dario infilò una mano della tasca interna della giacca appesa alla sedia e ne estrasse un contenitore di plastica, di piccole dimensioni. Dentro vi stavano i sette diversi dadi necessari per giocare a Dungeons & Dragons, ma erano dei tipi davvero spettacolari.
Avevano un colore rosso rubino, molto intenso e si potevano intravedere delle venature dorate solcarne la superficie. I numeri erano scritti in un giallo-oro e saltavano immediatamente all’occhio, senza esser prevaricati dagli altri colori. Gli spigoli di ognuno erano dritti e per niente smussati.
  «E questo spettacolo a così poco prezzo? Ti invidio!» disse Santoch, che li osservò più da vicino, dentro la loro scatoletta in plastica.
  «Belli, belli! Fammeli provare.» disse Talucc che, come gli altri, desiderava guardarli più da vicino.
Dario aprì il contenitore e rilasciò i sette dadi facendoli rotolare sul tavolo.
Qui accadde una cosa molto particolare, un buon matematico direbbe che c’era una probabilità su quattro milioni e mezzo che accadesse, ma forse fu merito di qualche forza sconosciuta...
Non appena si fermarono, ogni dado segnò il suo punteggio più alto possibile. Grande fu lo stupore generale, quel fatto era una cosa rarissima ma prima che si potessero sollevare esclamazioni a riguardo della fortuna di Dario, successe l’incredibile.
Ci fu una lievissima scossa di terremoto improvvisa, la casa di Ale, dove stavano giocando i ragazzi, sobbalzò, senza però avere potenziali conseguenze pericolose. Non si ribaltò nulla, ma i quattro giovani si misero all’erta.
  «Un terremoto!» esclamò Ale, leggermente spaventato dall’accaduto «Sarà meglio uscire, che dite?»
Ma prima che qualcun altro potesse commentare o rispondere, una luce bianca e sempre crescente penetrò dalla finestra della stanza, irradiando l’interno.
  «Che diavolo è?!» urlò qualcuno di loro
Ora il bagliore divenne insopportabile ai loro occhi, si dovettero coprire per il fastidio. Santoch si alzò, con il viso coperto e, urlando «Usciamo!», provò a proseguire a tentoni verso l’uscita della camera di Ale, per raggiungere il corridoio, ma la porta... Si infranse in mille pezzi. Santoch fu l’unico ad assistere a quella scena e, a bocca aperta, rimase immobile ad osservare lo spettacolo che si celava dietro di essa. Invece che il corridoio poté ammirare un miscuglio di mille colori immersi nel vuoto, in un’immagine quasi caleidoscopica. Vortici e spirali erano le forme geometriche prevalenti e l’accostamento dei colori rosso, blu e verde rendeva il tutto ipnotico, inteso nel senso d’incredulità. Nel frattempo gli alti tre si stavano alzando dalle loro postazioni per dirigersi fuori, ma la loro attenzione venne catturata, come per Santoch, dall’armadio e dalle pareti che, come la porta, si sgretolarono quasi a causa di un vento inesistente e lasciarono al loro posto uno spettacolo simile al precedente, formato di mille colori e vuoto. A terminare l’irreale scena furono gli oggetti nella camera, che si innalzarono in volo e, con sonori pop sparivano all’istante. Il computer, alcuni libri, un televisore e tutti gli altri. Ora erano rimasti da soli, nella camera, con solo il pavimento a sorreggerli, in quest’ambientazione così bizzarra. La luce era sparita, ma lasciò spazio ad un rumore come di vento forte, come essere in montagna sulla cima di un pendio. I ragazzi non seppero che dire, di fronte ad un accadimento tale nessuna parola fu pronunciata e nemmeno vi era la facoltà di farlo, poiché vigevano solo lo stupore e l’incredulità. Il vento forte sfociò in un boato di terremoto e il pavimento crollo, lasciando i ragazzi precipitare nel vuoto assieme a lui. Gridando e dibattendosi, i quattro andarono incontro al loro particolare destino.
  
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