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Autore: Human_    18/06/2012    4 recensioni
Con un sospirò, tirò fuori dalla borsa un foglio bianco e la sua penna nera e, con estrema naturalezza, iniziò a scrivere.
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Goodbye, my lover.


Ma chi aspetta davvero è vivo, aspetta sempre con amore.

Un eccessivo, sprecato, indicibile, ridicolo amore.
Aspetterà sempre e gli sembrerà di non aver fatto altro, giorno dopo giorno.
(Stefano Benni)




Sorrise appena, giusto l'angolo destro della bocca leggermente in su, e sedendosi su uno scoglio asciutto spostò i capelli che il vento le portava davanti agli occhi, celandole quella distesa di gocce d'acqua salata che infinite s'abbracciavano da lì all'orizzonte.
Con un sospirò, tirò fuori dalla borsa un foglio bianco e la sua penna nera e, con estrema naturalezza, iniziò a scrivere.

Ciao amore,
ti scrivo direttamente qui sulla spiaggia perché spero che il profumo del mare resti impresso nella carta, così che tu possa respirarlo di nuovo, anche se sinceramente preferirei che tu venissi qui subito e lo sentissi accanto a me, mentre io inspiro profondamente l'aria che accarezza i tuoi capelli.
Sono passati millenovantasei giorni da quando te ne sei andato ed io ancora ricordo la strana piega che sorgeva sulla tua fronte quando, con il sorriso, mi fissavi sconcertato per qualcosa che avevo fatto o detto – la maggior parte delle volte era quando sostenevo che tu fossi migliore di me e che, comunque, non ci volesse poi molto – e credo sia la cosa di te che più mi è rimasta impressa, questa continua volontà di inculcare in me il pensiero che io valevo qualcosa, ma neppure la pubblicità dello shampoo ce l'ha fatta, figuriamoci se potevi riuscirci tu che, non te la prendere, non potevi proprio catturare la mia totale attenzione quando facevi questi discorsi, non se mi parlavi con quegli occhi seri, muovendo in modo tanto austero la bocca, guardandomi come se io fossi uno squarcio di cielo, senza riuscire a togliermi dalla testa il fatto che l'unica cosa buona di me fossi tu.
Amore – non hai idea di quanto mi manchi poterti chiamare così – tu davvero non sai quanto tutto qui stia andando oltre ogni aspettativa, catastrofico susseguirsi di eventi che mettono continuamente alla prova la mia resistenza e le mie capacità adattive che, sul serio, da quando non ci sei tu a portare un po' di silenzio – mi basterebbe questo – stanno pericolosamente scemando, arriveranno a scomparire, ed io quel giorno non potrò far altro che crollare come i castelli di carta che facevamo nel soggiorno di casa tua e che il tuo cane puntualmente faceva cadere giù, con la sola differenza che non ci saremo noi due a ridere ed iniziare tutto daccapo, perché non ci sei più tu e neanche ci sarai, ed io con i castelli di carta, diciamocelo, faccio pena.
Sarebbe tutto estremamente più semplice se tu potessi stringere per qualche istante le mie mani nelle tue e sussurrare che ci sei, anche se non proprio assiduamente, anche se non proprio davvero, ecco, ma ci sei, e non è come sembra, ché qui non c'è niente e niente è tutto quel che ho, è tutto quel che resta di te, ed io, e tu, e noi, e loro, e nessuno può farci niente, il dado è tratto – ricordi i nostri discorsi su Cesare? – e il nostro tempo è finito. Ed io con lui. E noi con te.
Dovrei davvero rassegnarmi all'idea che non ci sei, non è così? Eppure non credo di poterlo fare, di poter smettere di aspettarti, anche se so benissimo che la tua vita non è più qui – allora dov'è? – e che devo sul serio abituarmi all'idea che tutti, prima o poi, scivolano via dalla vita degli altri, perché è così che funziona, specialmente se gli altri sono io, succede sempre così, e sarebbe meglio ch'io ci facessi l'abitudine, ma continuo a pensare che sia solo il luogo a non essere adatto a me, pertanto spero ogni giorno di potermene andare da qui, magari di potermene andare dove sei tu, anche se per inciso non ho la più pallida idea di dove sia, tu, ma non importa.
Amore, la mia testa è piena di grida esasperate e credo che se io mi strappassi la pelle dal petto tutto ciò che otterrei sarebbe uno stormo di pettirossi che volano lontano godendosi finalmente la libertà, dopo tutti questi mesi passati rinchiusi in un cuore che pompa sangue un po' come gli pare, ché possono pure continuare a chiamarlo muscolo involontario, ma non credo d'esser l'unica che ogni tanto deve concentrarsi per regolarizzarne il battito, ma non è questo il punto, il nocciolo è che dentro ho un sacco di grida disperate e corrosive mentre da fuori non arrivano altro che sussurri, ed io non sento niente, capisci? Vivo in un mondo con cui non riesco a comunicare perché assordata dai miei stessi organi interni e perché son persa, adesso, proprio come te, ci siamo persi chissà dove e mai ritroveremo la strada, temo, e la prospettiva non sarebbe sconfortante se solo fossimo insieme di nuovo e magari per sempre, o quantomeno per un lasso di tempo abbastanza lungo da soddisfare appieno questo mio desiderio di te che non si affievolisce mai, ed anzi divampa ogni istante di più come una fiamma alimentata da quantità industriali di benzene.
Ti chiedo scusa se questa lettera ti pare, per contenuti, praticamente identica a tutte le altre che ti ho mandato, ma non farmene una colpa se non riesco a scacciare il pensiero di te quando puntuale mi assale, e per dovere di cronaca devi sapere che mi assale sempre, in ogni istante, e francamente neanche ci provo a non pensarti, perché – è questo che tento di dirti – i miei ricordi più belli sono quelli in cui compari tu, in cui ci siete tu ed il tuo sorriso ma anche la tua espressione imbronciata, arrabbiata, delusa, ché era bello dirti e sentirmi dire che si sarebbe sistemato tutto, e sarebbe stato bellissimo, amore, se l'ultima notte che hai passato qui, la tua ultima notte in assoluto, l'avessimo passata insieme, ma non è stato così ed il rimorso mi logora, anche se poi non è quello il fulcro della questione, piuttosto lo è il fatto che io non ti dimentico e ti sarei infinitamente grata se anche tu continuassi a ricordarmi, e sarebbe il massimo se poi tu mi ricordassi con un accenno di sorriso, perché se tu mi dimenticassi credo che lo sentirei, proprio qui, nella parte anteriore sinistra della cavità toracica, lo immagino come uno strappo secco, tipo infarto, ma la morte non sarebbe immediata, e la cosa mi spaventa. Continua a pensarmi, amore.
Ricordi quella volta che, sdraiati sul tappeto persiano di tua mamma, abbiamo giocato a Scarabeo e continuavamo a formare parole inesistenti, giustificandoci dicendo che alla fine nessuna parola potrà mai essere più brutta di 'partenza'? Ecco, ora, tu pensa, se è brutta la parola stessa, come può essere una partenza vera, specialmente se a partire non sei tu, ma un altro, un altro che tra parentesi è pure la persona che ami, e sempre tra parentesi neanche vuole partire ma si trova costretta.
Comunque io a Scarabeo non ho più giocato, e se è per questo non sono ancora neppure tornata in tanti posti che ti appartengono fin troppo, al punto che mi spaventa persino pensarci. Che poi il problema è che tutto ti appartiene, persino i posti che mai hai visto, le parole che mai hai detto, la musica che mai hai ascoltato, e tutto mi si appiccica addosso e neanche il mare riesce a portare via tutto questo schifo, neanche il mare riesce a riportarti qui.
Mi manchi molto, ti amo.

Asciugò una lacrima con il dorso della mano sinistra ed estrasse dalla borsa una busta bianca su cui scrisse, con un lieve tremolio, Al mio piccolo miracolo, e dentro cui depositò il foglio bianco sporco della sua calligrafia disordinata. Si mise la penna in tasca e con passo incerto iniziò a percorrere gli scogli fino alla fine, dove il mare è più profondo.
Le venne un po' da ridere, al pensiero che da piccola aveva terribilmente paura che arrivasse un'onda troppo alta e la portasse via, mentre adesso addirittura un po' ci sperava, ma si trattenne, così come trattenne un fiotto di lacrime che premevano per sgorgare finalmente dai suoi grandi occhi chiari dopo mesi di vani tentativi.
Inspirò profondamente ed allungò il braccio destro fino a portare la mano perpendicolare all'acqua, e più precisamente per portare la lettera sul pelago, poi, con gli occhi chiusi, per non vedere niente, o forse nel tentativo di vedere di più, lasciò la presa.
Il mare inghiottì le sue parole, e per estensione inghiottì lei, così come doveva aver inghiottito lui secondo quella sua strana filosofia secondo cui, quando si muore, si diventa salmastro o gocce d'acqua, ancora non ne era certa, e decise che forse qualche lacrima poteva pure concedersela, così, tra i singhiozzi, s'inginocchiò, e non gliene importò assolutamente nulla se la pietra le stava graffiando le gambe quando vide l'acqua scontrarsi con irruenza contro gli scogli e sentì le gocce avvolgerla come l'abbraccio di un amante disperato e lontano.
Tirò indietro i capelli. «Arrivederci, amore».








Scusate, è uno schifo, ma mi andava di pubblicarla proprio stasera che è la vigilia di un giorno importante – che non è Natale ma è brutto comunque – e tra l'altro non ho avuto neanche la decenza di trovare un titolo come si deve, spero mi perdonerete.

Un abbraccio,
Human_ (che è stata fin troppo breve nelle note ma vi ama tutti, uno per uno)
   
 
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