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Autore: Mirae    18/06/2012    4 recensioni
Correre. Scappare. Ma poi ritornare. O no?
2° classificata al contest Picture Fiction di Carla Volturi.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto partecipa al contest “Picture Fiction: Fotografia, Emozioni, Scrittura!” indetto da Carla Volturi e Mathius92, con la fotografia n. 3
Nickname:Mirae
Titolo storia:  I sogni son desideri
Fotografia: 
numero 3
Genere: drammatico
Rating: arancione
Avvertimenti: one-shotinedita





 

Correre. L’unica cosa che lo faceva sbollire. Sin da bambino. Ora, però, non era più un bambino. No. Adesso era una persona adulta. Avrebbe dovuto affrontare le situazioni, invece di fuggirle.
Scappare, ma poi ritornare. Al momento, però, non aveva voglia di tornare a casa. No. Ora voleva solo correre. Correre incontro alla notte, così come si va a un appuntamento galante.
Solo che lui non stava andando a nessun appuntamento galante. No. Lui stava scappando. Dal sole. Dal giorno che svela chi siamo.
Correre. Scappare. Da se stessi.
Il mondo, però, non ha nascondigli. Non il lago. Non i suoi isolotti che si ergevano dalla sua superficie come canini pronti ad affondare in un collo virgineo.
Il collo di Lauren. Così sottile. Troppo sottile.
A quell’ora, il lungolago si riempiva sempre di coppiette. Quante volte anche lui e Lauren vi avevano passeggiato, mano nella mano?
Quella sera, invece, Salazar correva. Da solo.
Tra la folla, due poliziotti. La divisa nera come la notte.
Si fermò. Si piegò leggermente sulle ginocchia per riprendere fiato e riordinare i suoi pensieri.
Poteva voltarsi e tornare sui suoi passi? Tornare incontro al sole che moriva? Tornare in quella casa, dove Lauren lo stava aspettando, con gli occhi spalancati che lo chiamavano: “Sal, dove sei? È buio, qui, non ti vedo, dove sei? Raggiungimi, ti prego!”?
Ma anche se fosse tornato indietro,  la notte lo avrebbe presto raggiunto. Non si sfugge alla notte. Neanche il giorno ci riesce. Non si sfugge al proprio destino. Nessuno ci riesce.
“Il signor Diaz?” I due poliziotti lo avevano raggiunto.
“Come, scusate?” Come facevano a sapere che era esattamente lui?
Il suo vicino di casa. Senz’altro. Doveva essere stato lui a dire ai poliziotti che era uscito di casa in tenuta da jogging e che in genere andava a correre sul lungolago.
Possibile che avessero già trovato Lauren? Era sicuro di non aver fatto rumore e di avere chiuso la porta. A quanto pareva, invece, se ne era dimenticato. Ma chi poteva essere entrato così in casa sua?
“Ci favorisca i documenti, prego”.
“Io... non capisco...”, ma glieli porse. Inutile fare storie.
Dopo averli controllati, un poliziotto gli lesse i suoi diritti, mentre l’altro lo ammanettava. Insieme, lo condussero alla volante, che sfrecciò verso il commissariato, nella notte che avanzava.
Infine, la notte lo aveva raggiunto.
Gli era sempre piaciuto correre al tramonto. Gli era sempre sembrato che la notte lo accogliesse come in un abbraccio. Questa volta, la notte lo aveva inghiottito.
Si svegliò d’improvviso, con un sussulto. La sveglia indicava le 04.30. Notte fonda.
Accanto a lui, Lauren dormiva placidamente. Un sorriso stampato sulle labbra. Il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente. Sotto le palpebre, gli occhi si muovevano velocemente.
Almeno lei stava sognando qualcosa di piacevole.
Spense la luce.
Gli era sempre piaciuto correre al tramonto. Domani, però, sarebbe andato a correre all’alba, con Lauren, sul lungolago.
Avrebbero corso incontro al nuovo giorno. Insieme.                
Riaccese la luce. Si voltò nuovamente a guardare la donna addormentata a fianco a lui.
Sembrava un angelo. I capelli scuri sparsi sul cuscino, la camicia da notte leggermente aperta sul petto, che lasciava vedere l’incavo dei seni e poi quel collo, quel collo eburneo e sottile. Troppo sottile.
Non resistette. Scostò le coperte e si mise cavalcioni sopra il corpo di Lauren.
Le accarezzò leggermente il volto, soffermandosi sulle labbra corallo e poi scese lungo il collo, soffermandovisi forse un secondo di troppo. Con i pollici fece una leggera pressione. Oh, solo una leggera pressione. Fu una sua impressione, o la ragazza gemette di piacere e inarcò la schiena?
Ad ogni modo, Lauren si svegliò e lo guardò dapprima stupita e poi... vogliosa. Sì, non si era sbagliato. Nel sonno, o più probabilmente nel dormiveglia, Laury aveva gemuto di piacere.
Presto, però, quello sguardo si tramutò in terrore, man mano che Salazar premeva con i pollici quel suo collo sottile, troppo sottile.
Non riusciva a fermarsi. Una strana forza si era impossessata di lui e lui non riusciva a smettere di premere con i propri pollici sulla sua trachea: poteva solo continuare.
Scalciò, la ragazza, dibattè le braccia, forse riuscì anche a graffiarlo, ma fu tutto inutile.
Alla fine, una mano gelida si pose sul suo cuore, caldo, e lo gelò.
Il corpo giacque inerte sul letto, i capelli neri sparsi sul cuscino, la bocca non più sorridente e gli occhi... gli occhi spalancati, come a cercare una luce, seppur fioca, nel buio che ora la circondava.
L’uomo prese una pausa per contemplarla e riprendere fiato. Il collo eburneo di Lauren ora era arrossato nel punto in cui lui l’aveva stretta nella sua morsa. Presto si sarebbe formato un livido che l’avrebbe deturpato per sempre.
Incapace di continuare a guardare ciò che aveva appena commesso, si alzò e si diresse verso l’armadio. Tirò fuori la sua tenuta da jogging e la indossò.
Uscì di casa, assicurandosi di chiudere perfettamente la porta.
Si diresse verso il lungolago.
Correre. Scappare. Nella notte, per fuggire al giorno che presto sarebbe giunto, illuminando il nuovo mondo. Rivelando a noi stessi chi siamo in realtà.
Non si può fuggire al giorno. Neanche la notte ci riesce. Non si può fuggire al proprio destino. Nessuno ci riesce...

   
 
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