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Autore: Daphne_Descends    18/06/2012    0 recensioni
Edoardo si è sempre ritenuto un ragazzo normale, con una vita normale e dei desideri normali. Ma purtroppo per lui, chi gli sta accanto di normale non ha proprio niente.
Così si ritrova scaraventato giù dal letto un sabato mattina, arruolato per mandare a monte il matrimonio della migliore amica della sua ragazza, nonché fidanzata (o ex?) del suo migliore amico e desideroso più che mai di far finta che quella mattinata non sia mai esistita.
[Torre dei cliché: #33, Parli ora o taccia per sempre]
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Scritta per la community clicheclash
 
Titolo: Giusto perché ti amo
Cliché: #33. Parli ora o taccia per sempre (Casual cliché)
Fandom: Originali
Rating: G
Note: Questa storia può essere considerata il seguito di Era il suo amore per lui. Nonostante questo non è necessario aver letto prima quella, dato che l’unica cosa che hanno in comune sono i personaggi.
 
 
 
 
Edoardo continuava a chiedersi come accidenti facesse Clorinda a coinvolgerlo sempre nelle sue pazzie. Era quasi sicuro che, se avesse frequentato un altro istituto, probabilmente non l’avrebbe mai incontrata e si sarebbe dimenticato di aver passato tutte le elementari nella sua stessa classe. Ma purtroppo così non era accaduto e, oltre ad aver vissuto a stretto contatto con quella fuori di testa per altri cinque terribili anni, si era pure andato ad impelagare in un’assurda relazione con il Flagello. A volte si chiedeva chi gliel’avesse fatto fare, considerato che Clorinda era il genere di ragazza che si fingeva di non conoscere anche mentre le si passava accanto per strada, ma bastava che lei lo fissasse con i suoi banali occhi marroni e arricciasse le labbra in una smorfia e sarebbe riuscita a convincerlo a fare qualsiasi cosa. Anche la più assurda e potenzialmente disastrosa, come l’ultima che aveva ideato.
 
Era tutto iniziato una domenica di Aprile, verso le otto del mattino. Edoardo – come qualsiasi persona sana di mente – stava riposando le membra dalle fatiche settimanali, con la testa affondata nel cuscino e le coperte tirate su fin sopra il naso. Le domeniche mattina erano i momenti che più preferiva: nessuno che travolgesse il comodino per arrivare alla sveglia, nessuno che saltasse sul letto cercando di districarsi dalle lenzuola, nessuno che si tirasse dietro la coperta senza preoccuparsi minimamente di chi ci fosse sotto, nessuno che imprecasse cadendo col sedere sul pavimento, nessuno che rivoltasse la casa preparandosi per uscire. Sì, le domeniche mattina erano i momenti che più preferiva e spesso, se era fortunato, riusciva a godersi un risveglio decisamente appagante.
Il vero problema era che quella domenica mattina non faceva parte di quei magnifici momenti, proprio per niente. Non si svegliò da solo, né con le labbra di qualcuno che gli sfioravano la pelle, si svegliò per colpa di strilli, singulti e gemiti, tanto che per un momento – il tempo di balzare seduto sul materasso, con gli occhi spalancati e il cuore che batteva a mille – fu sicuro che nel suo salotto stesse avvenendo una carneficina. Salvo poi calmarsi e rilasciare un lamento sofferente, quando riconobbe la voce disperata. Cosa diavolo ci faceva Violante in lacrime a casa sua la domenica mattina?
Quando entrò nel salotto non si stupì di trovare la suddetta ragazza che gemeva tra le braccia della sua ragazza. La stessa maledetta che gli faceva rimpiangere ogni giorno di averla conosciuta.
Le ignorò entrambe, fingendo per un glorioso istante di essere da solo nel suo appartamento, ed entrò in cucina per fare colazione. Purtroppo, Violante continuava a rilasciare versi da gallina agonizzante ed Edoardo non riusciva più a concentrarsi sulla sua tazza di cappuccino, tanto che si decise ad alzarsi dal tavolo ed unirsi alla festa.
«Che diavolo succede?» chiese con voce ancora roca per il sonno, appoggiandosi allo stipite della porta.
Violante gemette più forte e sprofondò tra le braccia della ragazza che la stava consolando, che alzò lo sguardo su di lui con disapprovazione.
«Sei il solito insensibile».
Edoardo sgranò gli occhi «Cos’ho fatto adesso?»
In risposta, Clorinda piegò le labbra in una smorfia e scosse la testa, facendogli alzare gli occhi al cielo. Certo, era ovvio che se la prendesse con lui, perché se Violante stava piangendo disperata – svegliando tutto il quartiere con i suoi strilli abominevoli – era sicuramente per colpa di un uomo e lui, come rappresentante della specie, era da odiare con tutto il cuore.
«Ok» si arrese esasperato, alzando in aria le mani «Cos’ha combinato Paolo?»
I lamenti di Violante aumentarono di decibel, se possibile, e Clorinda lo fulminò con i suoi banalissimi occhi marroni.
«Grazie tesoro, davvero» sibilò sarcastica, rimandando a più tardi la resa dei conti. Ma, nonostante avesse sfiorato la minaccia del “ti mando in bianco per…”, era almeno riuscito a tirar fuori qualche parola dalla bocca di Violante.
Certo, “coglione”, “ti odio”, “bastardo” e “puttana” non erano le più rassicuranti, soprattutto da una come lei, però lo aiutavano almeno a ricostruire la vicenda.
Come poi gli spiegò Clorinda, una volta che Violante si fu calmata e se ne fu andata a casa, Paolo era uscito a cena con dei colleghi dell’ufficio ed era tornato a casa alle sette del mattino, con del rossetto sul colletto della camicia.
«Paolo non lo farebbe mai» aveva commentato Edoardo, stravaccato sul divano con le braccia incrociate e un sopracciglio inarcato «La ama troppo».
«Però è vero e sembra l’abbia ammesso anche lui» aveva borbottato Clorinda, con il mento appoggiato sulle ginocchia, accucciata al suo fianco.
«Ci sarà una spiegazione».
 
E la spiegazione era arrivata nel pomeriggio, sottoforma di un disperato Paolo attaccato al citofono del loro appartamento.
«Mi sono solo ubriacato e Giorgio mi ha fatto dormire a casa sua. C’erano anche Claudio e Annalisa e, davvero, non è successo niente! Anche perché quei due hanno fregato la camera a Giorgio e io sono crollato sul tappeto, non so perché c’era il rossetto di Annalisa sulla mia camicia!»
Clorinda scosse la testa con una smorfia disgustata, Edoardo si chiese per un istante se Paolo non avesse inconsapevolmente partecipato ad un’orgia.
«Davvero, non è successo niente! Viola è saltata subito alle conclusioni! E’ stato orribile! Adesso se n’è tornata dai suoi e io non so cosa fare! Non vuole più vedermi!»
Era talmente disperato da avere le lacrime agli occhi e, in quello stato, fece addolcire persino Clorinda, che si sporse verso di lui per dargli qualche colpetto sulla mano.
«Vedrai che tutto si sistemerà, lascia fare a me».
Paolo forzò un sorriso, Edoardo si lasciò scappare un gemito frustrato, ricevendo all’istante una gomitata da Clorinda.
L’unica cosa da fare in quel momento era dare il tempo a Violante di calmarsi, dopodiché Paolo avrebbe potuto sommergerla di scuse e regali.
Almeno, quello era il piano con cui Clorinda rassicurò Paolo, mentre lo buttava fuori a calci dal loro appartamento, alle dieci di sera.
Peccato che per tutta la settimana seguente Violante non ne volle sapere di calmarsi, nonostante la parlantina irritante della sua migliore amica, e testardamente si rifiutò di avere anche il minimo contatto con quel “maledetto traditore” di Paolo.
 
La svolta arrivò il fine settimana successivo a quello della “grande disfatta”, così affettuosamente soprannominato da amici e conoscenti, nell’appartamento che Edoardo condivideva con il Flagello, alle otto e cinquantasette del mattino.
Paolo si era presentato un’ora prima alla loro porta, con la barba sfatta e i vestiti stropicciati, chiedendo asilo.
Edoardo aveva aperto la porta in mutande, mandandolo al diavolo con un grugnito, a cui era seguita una lunga filippica su ultime volontà e nodi scorsoi a cui non aveva prestato molta attenzione, troppo intento a farsi il primo caffè di quella lunga mattinata.
Clorinda era sbucata dieci minuti dopo, con una vestaglia dai colori sgargianti e i capelli scompigliati.
Un’ora dopo erano seduti tutti e tre al tavolo della cucina, davanti a stoviglie sporche, pacchi di biscotti mezzi vuoti e fondi di caffè.
Paolo aveva abbandonato i suoi propositi suicidi, Edoardo stava avendo un collasso nervoso e Clorinda sorseggiava tè con l’aria di una veggente new age.
Quando ecco che all’improvviso arrivò la tragedia.
«Adesso basta!» esclamò Clorinda, appoggiando la tazza sul piano del tavolo e arricciando le labbra «Tu e Violante vi chiarirete oggi. Sono stanca» si alzò e marciò verso il telefono in sala, con Paolo che le gridava dietro, disperato.
«Non farlo! Mi manderà al diavolo come le altre trentadue volte! Ormai è finita, non vuole più vedermi!»
Edoardo fece una smorfia disgustata, guardando il suo migliore amico lamentarsi accasciato sul tavolo. Ecco, l’amore rendeva deficienti, l’aveva sempre saputo. Per sua fortuna lui non era innamorato, si limitava a sopportare le fisse del Flagello senza fare una piega, si tenevano compagnia, andavano a letto insieme e coesistevano nella stessa parte di universo, niente di più. Certo, era una situazione che continuava da almeno sette anni, quasi otto, ma quello non significava nulla. E proprio non riusciva a capire Paolo, fosse capitato a lui avrebbe festeggiato una settimana intera per essersi liberato di Clorinda. Poi se la sarebbe andato a riprendere con la forza, perché tutto sommato sapeva cucinare bene e l’appartamento sarebbe stato troppo silenzioso.
Però Paolo era troppo disperato e Edoardo iniziava a desiderare di poterlo legare, imbavagliare e chiudere nello sgabuzzino, dimenticandosi per sempre della sua esistenza.
La voce di Clorinda lo risvegliò dai suoi sogni, che iniziavano a farsi sempre più vividi «Violante, mi senti?… Dove sei? Non ti sento bene!»
Nonostante stesse quasi urlando, i lamenti di Paolo coprivano le sue parole, così Edoardo si decise ad alzarsi ed uscire dalla cucina, pentendosi di aver deciso di non mettere una porta tra le due stanze.
Clorinda marciava a passi pesanti per la stanza, con il cordless in una mano e l’altra impegnata a gesticolare «Non ci sei? Parla più forte! Dove sei?»
Edoardo si buttò seduto sul divano, senza staccare gli occhi da Clorinda, che si fermò di botto e spalancò la bocca.
«Cosa?! Stai scherzando?! Non puoi! Violante, come diavo- Violante! Mi senti?!… Ehi!… Non farlo! Violante!» si staccò il telefono dall’orecchio e lo fissò stupefatta, per una volta senza parole.
«Che succede?» le chiese Edoardo, aggrottando le sopracciglia preoccupato, nello stesso momento in cui Paolo sbucava dalla cucina pallido come un cadavere e finalmente in quei novanta metri quadrati calò il silenzio.
Clorinda guardò prima uno e poi l’altro e sussurrò «Violante si sposa».
Paolo cadde a terra svenuto.
 
Ci vollero almeno dieci minuti prima che riuscisse a rinvenire e rialzarsi sulle sue gambe, dieci infiniti minuti in cui solo Edoardo sembrava essere padrone della situazione e si alternava tra costringere Paolo a restare fermo sul divano e risvegliare Clorinda dallo stato catatonico in cui era piombata.
Per fortuna – o sfortuna – il Flagello era una fonte inesauribile di idee sconclusionate, così quando Clorinda balzò in piedi Edoardo poté tirare un sospiro di sollievo, certo che le cose si sarebbero sistemate, in qualche modo.
«Fermiamola!»
Era ancora in tempo per fingere che quell’ora non fosse mai accaduta?
 
Edoardo non aveva mai sabotato un matrimonio e se fosse stato per lui non l’avrebbe neanche mai fatto, ma lo sguardo che gli aveva lanciato Clorinda era stato terribilmente convincente e Paolo ormai pendeva dalle sue labbra; così, ridotto in minoranza, fu costretto a prepararsi il più velocemente possibile, uscire di casa, rientrare di corsa per far vomitare Clorinda, colta da un’imprevista crisi di panico, uscire di nuovo e infilarsi in macchina, accorgendosi solo un istante troppo tardi che al volante si trovava il Flagello.
«Sai dove dobbiamo andare?» le chiese, trattenendo a stento un gemito di disperazione quando la macchina scattò in avanti di colpo, dopo essere stata messa in moto con un rumore da brividi.
«Ho chiamato i genitori di Violante» rispose facendo una curva troppo allegra.
Paolo si ritrovò schiacciato contro il finestrino sinistro, ma tornò ad affacciarsi tra i sedili come una molla.
Il suo sguardo spiritato fece inarcare le sopracciglia ad Edoardo «Ma solo a me sembra strano?» chiese incrociando le braccia «Voglio dire, avete litigato una settimana fa e lei già si sposa con un altro? Sei sicura di aver capito bene?»
«Certo che sì! L’ho sentito chiaramente!» esclamò con le guance gonfie d’aria e gli occhi lucidi «Appena arriviamo ci precipitiamo dentro, fermiamo tutto e le chiedi scusa dicendole ancora quanto la ami, eccetera eccetera».
Paolo annuì con foga, la determinazione che gli brillava negli occhi, e Edoardo si mise una mano tra i capelli, rimpiangendo ogni istante la sua presenza in quella macchina.
 
Il viaggio verso la chiesa non fu molto lungo – grazie al cielo – ma sembrò non finire mai e appena l’auto sgommò sul sagrato Edoardo si lanciò fuori per evitare di sentire altre stupidaggini uscire dalla bocca della sua ragazza.
Clorinda non si degnò nemmeno di spostarla e uscì fuori di scatto, seguita da un Paolo dal pallore cadaverico. Edoardo fu costretto ad andare con loro, nonostante avesse deciso di fingersi solo un casuale passante.
La chiesa era piccola e gremita di gente dai vestiti eleganti, complicate acconciature e migliaia di colori che Edoardo non avrebbe mai creduto potessero esistere; il prete stava parlando, ma non sapeva a che punto della cerimonia fossero arrivati, perché appena Clorinda mise piede sul pavimento lucido, fece quello che si era prefissata di fare.
«Fermi tutti!» urlò senza la minima vergogna, come se fosse abituata ad interrompere matrimoni tutti i giorni, facendo voltare tutti nella sua direzione «Violante non puoi sposare quello là!» esclamò indicando lo sposo spaventato, sotto gli sguardi increduli dell’intera assemblea.
Ma ovviamente lei non se ne curò – Edoardo poteva scommettere qualsiasi cosa che quella deficiente non vedeva l’ora di fare una cosa simile – e continuò imperterrita, ignorando i tentativi di Paolo di attirare la sua attenzione. Perché Violante li fissava a bocca spalancata con il bouquet di roselline tra le mani, tra una ragazza che nascondeva le risate dietro le mani ed un’altra che iniziava a stringere le labbra irritata.
Peccato che Clorinda non si degnò di guardare il resto di ciò che le si presentava davanti e Edoardo si passò una mano sugli occhi, esasperato da tutta quell’assurda situazione.
«Paolo ti ama da impazzire! Avete litigato, certo, ma questo non significa che in una settimana puoi andarti a sposare con uno sconosciuto! Lascia perdere questo matrimonio, tanto lo sappiamo che ami ancora Paolo, non quello là!»
La madre di Violante aveva una mano davanti alla bocca, non si capiva bene se per mascherare lo stupore o le risate, il padre teneva gli occhi ben spalancati, rifiutandosi di credere che fosse tutto vero. Il resto della chiesa non sembrava essersi ben deciso su cosa fare e continuava a spostare lo sguardo dalle porte all’altare, così come il parroco, che si sistemò gli occhiali in attesa degli sviluppi.
Perché Violante aveva un bellissimo abito lillà ed era alla sinistra della ragazza irritata vestita di bianco e, no, Clorinda non se n’era ancora accorta, a differenza di Edoardo, che tentava di mimetizzarsi con il resto degli invitati, e Paolo, che non aveva ancora distolto lo sguardo da Violante.
«Non fare un errore simile! Non sposarti con quello! E poi non ci hai nemmeno invitato, mi hai nascosto tutto e io dovrei essere la tua migliore amica! Non pensi al dolore che sta provando il povero Paolo, guardandoti sposare quel- quel-…» tacque di colpo, con gli occhi fissi sulla coppia all’altare e finalmente la consapevolezza di aver commesso un errore – microscopico a suo parere – si fece largo dentro di lei «Ho-ho sbagliato matrimonio, vero?» mormorò a voce più bassa, con un sorriso nervoso sulle labbra e l’aria leggermente spaesata «Scusate, continuate pure. Siete una coppia fantastica, congratulazioni» senza aspettare una reazione, si voltò di scatto e marciò fuori dalla chiesa, seguita a ruota da Edoardo e Paolo. Non si fermò finché non raggiunse la macchina e tirò un calcio a una ruota.
«Diamine! Che figura!» esclamò passandosi le mani tra i capelli spettinati «Che deficiente! Perché non mi avete fermato?! Oh, ho fatto un disastro!»
Paolo aveva lo sguardo fisso nel vuoto, perso in chissà che pensieri, Edoardo sospirò e infilò le mani in tasca «Io l’avevo detto che c’era qualcosa di strano» commentò senza il minimo tatto «Come hai fatto a non accorgertene? Ma ovvio, tu sei perfetta, non sbagli mai».
Clorinda non commentò e si limitò a passargli le braccia intorno al collo e affondare il volto nella sua spalla. Sentendola tremare, sicuramente in procinto di una crisi di pianto, non poté non abbracciarla e iniziare a carezzarle i capelli, piccolo trucchetto che aveva imparato per calmarla.
In quel momento qualcuno si schiarì la gola e Edoardo alzò lo sguardo per posarlo su Violante, che li aveva raggiunti lì fuori e li fissava imbarazzata.
«Scusa, avevamo capito che oggi ti sposavi e sono impazziti» si scusò Edoardo per tutti e tre, mentre Violante scrollava la testa.
«Clo, va tutto bene?» chiese dolcemente, torturandosi le dita.
Clorinda scosse la testa «Scusami» mugolò con voce tremante «Avevo capito che era il tuo matrimonio e i tuoi mi hanno detto di sì e… scusa! Ho rovinato il matrimonio di chissà chi per niente!»
Violante le sorrise, nonostante lei non potesse vederla «E’ mia cugina, ma sta’ tranquilla non se la prenderà troppo. Credo».
Clorinda ricominciò a singhiozzare e Edoardo alzò gli occhi al cielo – chiedendosi perché mai quel giorno fosse più lagnosa e incomprensibile del solito – prima di riportarli sull’amica, che nel frattempo si era voltata verso Paolo, che la fissava mezzo disperato.
«Scusa Paolo» mormorò Violante, imbarazzata «Sono stata una stupida a prendermela in quel modo e avrei dovuto chiamarti giorni fa, ma sono stata invischiata negli ultimi preparativi ed ero ancora arrabbiata e amareggiata» sospirò e si morse un labbro «Anch’io ti amo».
Quando Paolo si avventò su Violante e cominciarono a baciarsi come se il mondo stesse per finire, Edoardo decise che era arrivato il momento di levare le tende, così spinse Clorinda in macchina e si affrettò a partire, prima che i due piccioni decidessero di lasciare un ricordino sulla sua auto.
Clorinda smise di piangere e deprimersi cinquecento metri più in là e dopo dieci minuti blaterava di come era riuscita a far rappacificare Paolo e Violante, accomodata senza pensieri sul sedile del passeggero.
Edoardo non riusciva ancora a capirla totalmente, ma ormai era abituato a starle accanto ed era certo che non si sarebbe più stupito di niente, perché dopo più di vent’anni ormai la conosceva come le sue tasche.
Certezza che crollò il minuto successivo, quando, con la solita mancanza di tatto, Clorinda disse all’improvviso «Ah, sai che sono incinta?»
 

   
 
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