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Autore: Blue Okami    19/06/2012    4 recensioni
Dormiva. Una bambina di poco più di sette anni dormiva accanto a me, avvolta nel suo kimono arancione a fiori. Allegro, proprio come lei. I capelli corvini le incorniciavano il viso. Così bella...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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Dormiva. Una bambina di poco più di sette anni dormiva accanto a me avvolta nel suo kimono arancione a fiori. Allegro, proprio come lei. I capelli corvini le incorniciavano il viso. Così bella... Ricordavo ancora la notte in cui l'avevo salvata. Un branco di lupi l'aveva attaccata, uccisa. Ma, grazie a Tenseiga l'avevo riportata in vita. Io, che avevo sempre odiato gli esseri umani e che avevo sempre odiato quella maledetta spada.

Quella bambina mi seguì, e io la trovai seccante, l'ennesima scocciatura che mi si parava d'innanzi. Ma poi, giorno per giorno, mi sono sempre più affezionato a lei, le ho voluto sempre più bene eppure non ho mai pensato che potessi amarla. In fondo lei è solo una bambina e io un demone.... Ma io e lei non invecchiamo alla stessa maniera. Lei è un essere umano, invecchierà molto più velocemente di quanto non possa fare io. Io la amo ed è per questo che l'aspetterò. Aspetterò quegli anni che per me sono come ore, fin quando non potrò confessarle tutto il mio amore, fin quando le mie parole non saranno più coltelli che trafiggeranno la fiducia che lei prova per me.

Tra questi pensieri, mi addormentai.

Quando aprii gli occhi, Rin era già sveglia. Raccoglieva fiori di qua e di là come era solita fare nelle mattinate soleggiate. Sorrisi. Si avvicinò correndo e mi porse un mazzetto di margherite “Per voi, signor Sesshomaru.” Le toccai appena i capelli. Poi, voltandomi, mi allontanai. “Su, andiamo Jaken.”

Salimmo su Ah-Un, il demone drago che usavamo come mezzo di trasporto. Ah-Un, quel nome buffo era stato Rin ad affibbiarlo a quel demone.... Un altro sorriso mi spuntò sul volto ma fu presto soffocato dalla tristezza di andare da un posto all'altro, senza una meta, cercando chissà che cosa.

E i giorni passarono con il nostro vagare. Lentamente, come non avevano mai fatto.

Scese il buio anche quel giorno e tutti si misero a dormire. Tutti tranne me, che da numerose notti ormai, mi struggevo a guardare quella fragile bambina. Mentre la fissavo, cominciò a tremare di freddo. Mi alzai silenziosamente e presi una pesante coperta che le misi addosso. Smise di tremare e il suo viso tornò sereno. Anche io mi calmai e, sdraiatomi, cominciai a dormire.

Un fruscìo improvviso, che il vento mi portò alle orecchie, mi svegliò di soprassalto. Strinsi forte a me l'elsa della spada. Vedevo delle ombre ma non riuscivo a capire a chi appartenessero fin quando una voce familiare non smascherò l'ombra che ci girava attorno. “Ci rincontriamo, Sommo Sesshomaru...” La voce, che suonava sarcastica, era quella di una donna, un demone che conoscevo molto bene. “Kagura! Che sei venuta a fare?” Una risata colma di cattiveria uscì dalle sue labbra “Mio caro Sesshomaru, non ricordi? Tu hai un debito con me.” Ricordavo perfettamente. La notte in cui l'avevo salvata, la piccola Rin stava molto male. Tenseiga l'aveva riportata in vita ma non aveva guarito le sue ferite. Quella notte, Kagura si fece vedere. Portava, legati al collo, due frammenti della Sfera. “Sesshomaru che si strugge tanto per una semplice, sciocca, bambina umana? Non è proprio da te, mio caro.” “Gira al largo Kagura!” Invece di indietreggiare si avvicinò ancora di più a me, con fare provocante “Oh, ma io so cosa potrebbe salvare la piccola umana...” E portandosi una mano al seno mi mostrò i due frammenti della sfera. Non era certo da lei mostrarsi così caritatevole. “Che cosa vuoi, Kagura?” Si morse le labbra “Nulla che tu non possa darmi con estrema facilità...” E, detto questo, mi baciò. Un bacio passionale, ardente. Kagura era avvenente e, come aveva detto, non fu difficile dargli ciò che lei desiderava. La spogliai con foga e la buttai a terra. Ogni centrimetro di pelle scoperto era un gemito in più che fuoriusciva dalla bocca turgida e rossa di quel demone tentatore. Cominciai a baciarla, sul collo, sentendo il contatto della sua pelle incandescente, scendendo poi sui seni, lisci, tondi e pallidi come la luna che ci sovrastava, accompagnato dai suoi sospiri. Fu una notte passionale ma non amavo quella donna, Kagura. Così, ben presto, fui preso da altri pensieri.

Quell'avvenente donna demoniaca mi stava sdraiata di fianco, ben poco coperta dal suo kimono, con i capelli neri, prima legati saldamente, che le scendevano ora sulle spalle nude. Mi guardò maliziosamente e mi consegnò i frammenti della Sfera che portava al collo. “Spero di poterti essere di nuovo d'aiuto, uno di questi giorni” e mentre sorrideva, scomparve sotto i miei occhi. Con quei frammenti riuscii a salvare Rin quella notte.

Il padrone di Kagura, Naraku, non fu contento del fatto che la sua serva avesse “perduto” quei preziosi frammenti della sfera. Venne punita in maniera atroce, marchiata a fuoco con il simbolo che lo stesso Naraku portava sulla schiena: un ragno nero. Tra il dolore e il sangue, Kagura si ripromise che ben presto avrebbe riportato quei frammenti al suo padrone.

Quel momento era arrivato. Kagura voleva indietro le schegge della Sfera. “Sesshomaru, consegnami la bambina!” Prese il suo ventaglio e scatenò la tempesta. Rin cominciò a invocare il mio nome, tremante, spaventata “Signor... Sesshomaru...” Mi piazzai tra lei e Kagura, sguainando la spada “Non permetterò che tu faccia del male a Rin!” I miei occhi divennero rossi e mi scagliai sul demone che mi schivò agilmente “I turbamenti sentimentali non giovano alla battaglia, Sesshomaru. Sei sempre stato il migliore. Freddo. Distaccato. Ma se ora ti lasci prendere dalla furia per proteggere una misera umana, che ne sarà di te?” Sentivo il sangue ribollire nelle vene. Stavo ripetendo l'errore di mio fratello e del mio stesso padre, stavo proteggendo un'umana. Kagura aveva ragione, non potevo farmi prendere dalla foga, ma il pensiero della piccola Rin in pericolo non mi dava pace. Mi voltai verso di lei per controllare che stesse bene. Approfittando della mia distrazione, Kagura, veloce come il vento, mi colpì alle spalle con un piccolo pugnale che rifletteva la luce della luna. Strinsi i denti per il dolore ma, usando le ultime forze che mi restavano in corpo, mi voltai e la trapassai con la mia spada. Kagura spalancò gli occhi, rossi, come il sangue che le colava dalla bocca. “Se...sshomaru...” Riuscì a dire. Lacrime di sangue le rigarono il volto. Poi, cadde a terra. “Sommo Sesshomaru!” Jaken si avvicinò a me urlando. “Jaken, prendi Tenseiga, non voglio che quella donna mi rimanga sulla coscienza.” Lo dissi nel modo più calmo e freddo possibile. Quando ebbi Tenseiga nelle mani, uccisi gli spiriti della morte che incatenavano Kagura al suolo e la riportai in vita. Mi allontanai dal corpo svenuto del demone e presi in braccio Rin che, spaventata, si strinse a me. “Andiamo, Jaken.”

Riuscimmo a percorrere due o tre chilometri. Poi, stremato, caddi al suolo. Riuscii solo a sentire le voci agitate di Rin e Jaken, poi, il buio.

Quando riaprii gli occhi mi accorsi di essere dentro una grotta. Nell'ombra, vidi qualcuno che trafficava con una strana roba il cui olezzo era insopportabile. “Che diavolo è quella cosa Jaken?” “Erbe curative, Sommo Sesshomaru. La ferita che avete sulla schiena è molto profonda e...” “RIN! Dov'è Rin?” gemetti per il dolore causato dal movimento improvviso che io stesso avevo fatto. “State calmo Signore, Rin sta raccogliendo altre erbe mediche.” “Non farla uscire da sola Jaken!”

Quando scese la notte, nella grotta si accese un piccolo fuoco su cui arrostiva una lepre, di certo catturata da Ah-Un. Quando fu cotta, Jaken me la passò “A voi, Signore” Tagliai la lepre con gli artigli e la divisi con i miei compagni. Rin non le diede neanche un morso. “C'è qualcosa che non va Rin?” Guardava il fuoco, sembrava che si stesse trattenendo dal dire qualcosa. Poi, parlò in fretta “Signor Sesshomaru voi state male, ne avete più bisogno di me!” e nascondendo il volto mi ritornò il pezzo di lepre. Sorrisi. “Mangia, o domani non ti reggerai in piedi...” Vidi che nei suoi occhi si erano raggruppate gocce che la piccola, per orgoglio, non fece rotolare lungo il visetto arrossato. Finita la cena, Jaken mi ordinò di sdraiarmi, in modo da poter cambiare le bende. Il demone guardò Rin negli occhi e le disse “Presta attenzione a ciò che sto per fare perché domani toccherà a te. Il padrone non vuole che te ne vai in giro da sola...” Lo disse in tono acido. Sfilai il kimono sotto gli occhi attenti della piccola Rin. Non riuscii a non arrossire di quella situazione. Jaken tolse in fretta le bende e le cambiò con delle nuove che puzzavano di quella strana erba curativa. “Ho finito” mi disse, e andò a dormire. Rin arrotolò le bende rimaste. “Buonanotte Signor Sesshomaru” “Buonanotte, Rin”

Quando mi sveglia, Jaken era fuori da un pezzo e nella grotta c'era solo la piccola Rin che cercava di riordinare come meglio poteva. Accanto a me c'era un girasole. Quando si accorse che stavo fissando il fiore, Rin, a mo' di scusa, mi disse “L'ho raccolto per voi, per farvi avere accanto un piccolo sole. L'oscurità è brutta.” Risi. Il mio piccolo sole ce l'avevo già accanto. Era lei. “Ho detto qualcosa che non va?” Mi disse. “No Rin, sei stata davvero gentile, ti ringrazio.” “Signor Sesshomaru, io... dovrei cambiarvi le bende...” anche nell'oscurità della grotta riuscii a vedere che era arrossita. “Non fa nulla, per oggi posso anche tenerle così” La sua espressione cambiò totalmente e mostrò tutta la forza che aveva dentro “No Signor Sesshomaru! Siete ferito per colpa mia, devo fare tutto quello che posso per voi!” E, con decisione si avvicinò a me. Ma al momento di sfilare il mio kimono la sua decisione era scomparsa. “Lascia, faccio io...” Con delle foglie pulì la ferita. Strinsi i denti. “Vi ho fatto male, Signor Sesshomaru?” Disse allarmata. “No” Mentii io per non renderle il compito ancora più arduo. Mi strinse la benda attorno al corpo e non potei fare a meno di arrossire. Girai il volto per fare in modo che non se ne accorgesse ma, fortunatamente, era troppo presa dal suo compito. “Ho finito, signore”. Rimisi velocemente il kimono. Poi, le accarezzai il viso. Ancora una volta, la piccola arrossì.

Jaken entrò nella grotta con fare nervoso. In mano aveva due lepri...

Finita la cena andammo velocemente a dormire. Mi strinsi nella mia pelliccia e mi addormentai.

Ombre scure. Ero circondato da ombre scure. Io stesso ero una di quelle entità maligne. I miei occhi erano rossi e bramavo sangue. Cercavo una vittima per potermi dissetare. Poi lei. Lei davanti ai miei occhi, Rin. Nella testa continuava a risuonare la mia voce demoniaca che mi ordinava di uccidere la piccola umana. “Gli esseri umani non meritano di vivere su questa terra” mi diceva. “No, non è vero! Rin è l'unica persona che io abbia mai amato ed è umana, lei merita di vivere!” “Tuo fratello ama un'umana, persino tuo padre commise questo terribile e disgustoso errore! Ma noi non possiamo amare questi insulsi esseri! Uccidila! Uccidila!” Mi portai le mani alla testa “No, lasciami, io sono cambiato grazie a lei, non voglio più essere controllato da te, Animo Demoniaco!” Ma esso si impossessò comunque del mio corpo. I miei occhi divennero rossi come il sangue . Il demone controllava totalmente il mio corpo. Mi avvicinai a Rin, la vedevo con gli occhi ma non potevo fare nulla per proteggerla da me stesso. Mi guardò spaventata “Signor... Sesshomaru...?” Indietreggiava mentre avanzavo verso di lei. Le afferrai il collo, la strattonai per avvicinare il suo corpo al mio. Rin. Rin. Rin. Il tuo sangue mi chiama a gran voce...

Mi svegliai urlando, disgustato. “Signor Sesshomaru!” a parlare era stata lei, Rin, ma con un tono diverso da quello del sogno. “Non è niente, torna a dormire.” “Ma signore, voi...” “TORNA A DORMIRE TI HO DETTO!” Ferita, era ferita. Uscii correndo dalla grotta., in preda alla pazzia. L'avevo trattata bruscamente e l'avevo ferita ma non era questo il problema, no. Era il sogno la cosa che mi angosciava maggiormente. Più passava il tempo, più l'odore del sangue mi tornava alla mente. Cominciai a graffiare con rabbia, violentemente, gli alberi che mi stavano attorno. Non potevo fare del male a Rin, lei aveva solo me, io avevo solo lei, dovevo proteggerla.

Mi addormentai là, nel fitto del bosco.

All'alba venni svegliato dalla voce petulante di Jaken. “Sommo Sesshomaru, cosa è successo? Perché siete qui? Rin vi ha per caso disturbato durante la notte? Quella bimbetta insolente è raggomitolata su se stessa da ore, non vuole parlare...” “Deve andarsene...” Jaken rimase sorpreso. “Davvero, signore? Era ora che si liberasse di quella cuccioletta umana, stava solo rallentando la nostra marcia...” Afferrai Jaken bruscamente e lo guardai ferocemente negli occhi. “Non ti permetto di parlare di lei in questo modo. Deve andarsene, il motivo non ti riguarda!”

Entrai rabbuiato nella grotta e la vidi lì, nascosta nell'ombra. Avrei voluto prenderla con me, abbracciarla, accarezzarle i capelli, dirle che era tutto a posto... Invece fui freddo come mai lo ero stato con lei “Alzati, Rin!” La dolcezza dei giorni passati era svanita dallo sguardo di entrambi ma la mia restava nel cuore. “Rin!” Si alzò svogliatamente, guardando fisso per terra. “Andiamo.”

Ciò che volevo era trovare un villaggio umano, uno qualunque, dove poterla lasciare. L'avrei ferita con il mio abbandono ma almeno sarebbe stata salva da cose ben più atroci. Sì, era la scelta giusta, ne ero certo.

Non ci volle molto, due o tre giorni di cammino silenzioso, per trovare un villaggio umano.

Non appena Rin vide i tetti delle capanne il suo volto mostrò inquietudine. “Signor Sesshomaru” mi disse con voce tremante “Perché siamo vicini agli umani? Voi.. Voi non vi avvicinate mai ai villaggi...” Mi guardò con sospetto, come se avesse capito. Non dissi nulla. “P-Perché... siamo qui?” Insieme alla voce, anche il corpo cominciò a tremare e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Non riuscivo a vederla in quello stato. “Rin...” Staccai lo sguardo da terra e lo rivolsi verso di lei “Rin, devi rimanere qui. Vagare con un demone non è il destino migliore che tu possa desiderare...” Rin mi riversò uno sguardo colmo di rabbia. Mi urlò contro “In passato avete già tentato di abbandonarmi in un villaggio umano, perché volete rifarlo? La mia compagnia vi è così sgradita?” Distolsi nuovamente lo sguardo da lei, per la vergogna. “Signor Sesshomaru, farò di tutto per non essere un peso per voi!” “Il problema non sei tu...” Pensai. Ma mi trattenni dal dirlo. “Rin, non puoi capire...” “Perché? Perché non avete fiducia in me?” Le lacrime rabbiose di Rin scendevano ormai copiose dai suoi occhi color mandorla. Non potevo continuare a portarla con me. Cercai di convincermi che tutto questo lo stavo facendo per lei, per farla vivere al sicuro da me stesso. “Rin, guardami!” cercò di spostare lo sguardo ma con una mano le girai il volto e ben presto i suoi occhi si puntarono sui miei. “Rin, ti prometto che tornerò, un giorno, e ti spiegherò tutto.” “No, non lo farete...” “Te lo prometto, Rin.” Ancora una volta, cercò di distogliere lo sguardo ma la bloccai. La guardai un'ultima volta, con gli occhi colmi d'amore, poi, la feci addormentare con un semplice incantesimo. Il suo corpo leggero cadde tra le mie braccia. Una sola, unica lacrima mi rigò il volto. “Perdonami, Rin” Le baciai la fronte, poi, entrato nel villaggio umano, la poggiai delicatamente su una panca di legno, di fronte una capanna e, lì, la lasciai.

Le voltai le spalle sentendomi un traditore. Non guardai indietro, sapevo che sarebbe stato peggio, e con il cuore colmo di tristezza sparii nell'ombra.

 

Una violenta lama di luce mi trapassò le palpebre, svegliandomi. Mi guardai intorno, spaesata. D'un tratto capii di essere in un villaggio umano, capii che tutto ciò che era avvenuto quella notte non era stato solo un brutto sogno. Ero stata abbandonata! Abbandonata dall'unico che si era preoccupato della mia vita, da colui che guardavo con tanta ammirazione. Sentivo il mio cuore stretto in una morsa. Non sapevo cosa fare, dove andare... Ero sola. E Sentivo di essere inutile. Il dolore cominciò a sgorgare dai miei occhi, senza permesso. Cominciai a piangere.

“Che ti è successo piccolina?” A dirlo fu una donna che era appena uscita da una capanna. La sua, era una voce calma e rassicurante. Girai lo sguardo e la vidi. Anche il suo viso trasmetteva tranquillità. Nonostante questo, indietreggiai. Il solo fatto che quella donna fosse umana mi causava ansia. “ Sta' tranquilla, non voglio farti del male...” mi disse, sorridendo. Sentivo che di lei potevo fidarmi ma non volevo. La fiducia che avevo riposto in Sesshomaru mi aveva pagato con l'abbandono e così, corsi via. “Aspetta...” mi urlò la donna ma, io, ero già fuggita via. Mentre correvo follemente ricominciai a piangere “Perché, perché mi avete abbandonata?” Mi fermai improvvisamente. Davanti a me c'erano Jaken e Ah-Un. E lui. Lui, con lo sguardo fisso in un punto lontano. Ricominciai a correre, verso di loro “Signor Sesshomaru, siete tornato a prendermi!” Le lacrime che prima erano di disperazione ora erano di felicità. Ma il fruscio delle foglie mi riportò alla realtà e quell'immagine scomparve nel vento. Mi trovavo nel fitto del bosco. Guardai fisso nel punto in cui prima si trovava la Luna blu che, Lui, portava in fronte. Poi, mi sedetti sotto le fronde di un grande albero, e ricominciai a piangere, disperatamente.

Quando smisi, le ombre erano già scese su tutta la foresta e mi sorpresi a scoprire che stavo provando paura. Gli ultimi anni della mia vita erano trascorsi nel fitto degli alberi e non ne avevo mai avuto paura. Perché? Ma, non avevo finito di pormi la domanda che, ben presto, da me stessa, sopraggiunse la risposta, accompagnata da ricordi. I boschi erano sicuri solo se lui era al davanti a me, a guidarmi, solo se i suoi capelli argentei ondeggiavano al vento. Ma ero sola. Terrorizzata e sola. Dentro quelle tenebre, della foresta circostante e del mio cuore, mi addormentai.

 

 

Abbandonata. Come avevo potuto farle davvero questo? Non facevo altro che chiedermelo, guardando un punto fisso all'orizzonte. “Qualcosa non va Signor Sesshomaru?” Non risposi a Jaken, non ne avevo voglia, non avrebbe capito. Rin. Cosa stava facendo, in quel momento, la mia piccola Rin? Il mio piccolo Sole... Sembrava tutto così buio adesso. Non avevo mai sentito la mancanza di nessuno nella mia vita ma ero certo che quel vuoto, che solo lei avrebbe potuto riempire, fosse proprio mancanza. Una bambina umana era riuscita a farmi provare sentimenti altrettanto umani. Ma io stesso ero la causa del mio dolore e, quel che era peggio, del dolore di Rin. Non avrei mai voluto abbandonarla ma l'avevo fatto, per proteggerla. Ma, lei, questo non lo sapeva e, un giorno, avrei dovuto spiegarglielo.

Un'idea mi sobbalzò in mente nel momento in cui guardai la linea dell'orizzonte al tramonto, dietro cui si nascondeva il sole “Jaken!” “Signore...?” Sembrava sorpreso di sentire la mia voce dopo un silenzio infinito. “Dobbiamo cambiare strada!” “Ma padrone, noi...” “Taci Jaken!” Tagliai corto bruscamente. Non volevo dargli spiegazioni e, del resto, neanche gliene dovevo.

“Rin, questo lo faccio per te.” Mi venne istintivo pensarlo. E fu così che ci avviammo verso l'orizzonte.

 

Quando mi svegliai il sole era già alto nel cielo e il vento aveva calmato la mia tristezza.

Mi accorsi di avere una tremenda fame e dal villaggio proveniva l'odore di cibo cotto sul fuoco. Non sapevo se andare o no. La foresta ora era luminosa, non mi minacciava più, mentre un villaggio umano sarebbe potuto essere molto più pericoloso... Fu quando mi tornò in mente il sorriso rassicurante della donna che presi la mia decisione e mi avviai verso il villaggio.

I tetti delle capanne comparvero ben presto ai miei occhi, sostituendo le fronde degli alberi. Come i miei sensi avevano intuito per me, c'era davvero del cibo che cuoceva sul fuoco, custodito da alcune donne. Tra esse vidi un viso che definii familiare, anche se in realtà l'avevo visto solo di sfuggita.

Mi avvicinai, cauta. Dapprima le donne non fecero caso a me, tanto erano prese a ravvivare il fuoco con dei grandi ventagli di carta, poi, alzarono gli occhi e mi videro. “Piccolina! Sapevo che saresti tornata!” Il sorriso era rassicurante come lo ricordavo e, così, decisi di dare fiducia alla donna. “Stiamo per pranzare. Devi essere affamata...” La donna portò dentro una capanna, di certo la sua, la carne che poco prima cuoceva sul fuoco. L'appoggiò sul tavolo. In un angolo di quell'ambiente piccolo e semplice, notai un futon sul quale era distesa una bimba della mia stessa età. La donna dal sorriso rassicurante, che mi aveva accolta nella sua dimora, parve accorgersi dello sguardo che avevo rivolto alla bambina. “Quella è Kureha, mia figlia. Sta molto male, sai?” il suo sguardo si fece triste, gli occhi spenti. Cercò di contenere quella tristezza e cambiò argomento. “Oh, quasi dimenticavo che devo chiamare Shin...” Uscì dalla capanna per riapparire poco tempo dopo seguita da un ragazzino. Anche i suoi occhi erano spenti, come quelli della donna poco prima. Solo che, quelli, erano perennemente senza luce. Mi rammaricai della tristezza che aleggiava su quella famiglia, su quella donna che mi aveva ospitato. Mi presentò ai suoi figli, che però non reagirono in nessun modo particolare.

“Come ti chiami piccolina?” mi chiese la donna. Io non risposi, non me la sentivo ancora di condividere il mio nome, di sentirlo pronunciare da una bocca che non fosse quella di Sesshomaru. La donna parve intuirlo “Beh, non fa nulla. Il mio nome è Rei. E questi sono Shin e Kureha, come ti ho già detto. Puoi rimanere a dormire qui, se vuoi. A dire la verità, puoi rimanere fin quando ne avrai bisogno.” Feci un cenno con la testa, per ringraziarla. In effetti, non avevo pronunciato una singola parola diretta a quella donna tanto gentile.

Mi sistemò un futon tra il suo e quello del ragazzino, di Shin. “D'ora in poi dormirai qui, d'accordo?” mi sorrise, ancora una volta. Il silenzio che era venuto dopo quelle poche parole fu nuovamente interrotto, da una terribile tosse che proveniva dal corpo di quell'altra bambina. Tosse. Una volta l'avevo avuta anche io molto forte. E in quell'istante mi ricordai che Jaken, con fare seccato, mi aveva curata con una strana erba che aveva raccolto tra i fiori. Corsi fuori dalla capanna per cercare quell'erba curativa.

Cominciai a correre nei campi per ritrovare il luogo in cui sapevo di trovare l'erba curativa. Mentre correvo, mi imbattei in un immenso campo di girasoli. Mi fermai, affascinata da quei fiori talmente innamorati del Sole da imitarlo e da seguirlo ovunque lui si girasse. Ripensai a quello stupido gesto di raccoglierne uno e di portalo accanto al Signor Sesshomaru, per mitigare l'oscurità a cui era relegato nella grotta. Mi sentii una stupida a ripensare a quell'avvenimento, come se un fiore avesse potuto davvero fare tutto quello. “In quel momento, il signor Sesshomaru deve aver pensato che sono proprio una bambina ottusa. Sono stata solo un peso per voi, perdonatemi.” In mezzo a quei girasoli, silenziosi compagni, cominciai a piangere.

 

Giorni e giorni di cammino silenziosi per raggiungere ciò che mi avrebbe dato la possibilità di rincontrare Rin. All'orizzonte, una gialla distesa di fiori. “Come osano i fiori essere tanto contenti?” Pensai, con disprezzo. Ma poi, avvicinandomi mi accorsi che quei fiori erano girasoli. Un'infinita distesa di girasoli si espandeva sotto i miei occhi. I girasoli mi parlavano di Rin, e stetti ad ascoltarli, fin quando Jaken non irruppe e spezzò il legame con la sua voce petulante “Padron Sesshomaru, cosa vi prende?” “Nulla...”

Finalmente arrivai nel luogo che cercavo, l'ingresso di una grotta, che celava forse una speranza. Respirai profondamente, poi, entrai nella liquida oscurità.

 

Immersa nei girasoli, quasi dimenticai il motivo per cui ero corsa fuori dalla capanna. Me ne ricordai solo molto tempo dopo, quando il Sole salutò i girasoli per poi iniziare la sua discesa verso l'altro mondo, colmo di spiriti. Al suo posto, comparve la Luna. Allora cominciai a correre e, in fretta, raggiunsi un piccolo promontorio roccioso che nascondeva numerose erbe curative.

Quando ne ebbi raccolte parecchie, corsi verso il villaggio, accompagnata solo dal buio che si stava facendo strada.

All'entrata della capanna vi era una disordinata fila di persone, la maggior parte delle quali erano donne. Non riuscii a spiegarmi perché quella calca di gente, così chiassosa, stesse lì a bloccare l'entrata. Riuscì a farmi strada, non senza fatica, ed entrare nella capanna. La donna che mi aveva ospitata, con grande gentilezza, era inginocchiata a terra, con lo sguardo perso nel vuoto, chiusa in un silenzioso dolore. Reggeva la mano della bambina e continuava a ripetere “E' morta...” A incorniciarla, c'erano le donne che piangevano e strillavano. Le erbe che portavo nelle mani caddero a terra.

Mi risvegliai da quel torpore che causano le cose brutte, successe in modo avventato, solo quando un raggio di luce mi investì e potei notare che nella capanna, scostando una pesante tenda, era entrato Shin. Esso aveva lo sguardo impassibile, gelido, gli occhi spenti come poco prima l'avevo visto. Nel suo volto intravidi un guizzo di rabbia, poi tornò inespressivo. “Uscite di qui, tutte! Non abbiamo bisogno delle vostre lacrime!” Rimasi spiazzata ed evidentemente anche le donne che si trovavano nella capanna, perse in pianti disperati poco prima. Solo la madre della bambina senza vita era rimasta uguale. “Prenderti gioco del dolore. Come ti permetti ragazzino?” Ancora una volta, intravidi il guizzo rabbioso “Se qui c'è qualcuno che si sta prendendo gioco del dolore di una madre, quelle siete voi.” La donna che aveva rivolto il rimprovero a quello che era poco più che un bambino, lo guardò con astio. Poi, sussurrò qualcosa alle altre donne che immediatamente lasciarono la capanna che rimase gelida e silenziosa. “E' morta...” ancora una volta quelle parole disperate uscirono da una donna che non voleva accettare la morte della propria figlia.

Silenziosamente, come era apparso, Shin scomparve.

Andai nel bosco, presa dai sensi di colpa per essere arrivata troppo tardi solo per ammirare un campo di girasoli e pensare a Colui che mi aveva abbandonato, e vidi Shin correre tra i rovi. “Aspetta!” ma questo lo fece correre ancora più velocemente. Lo inseguii.

Quando lo raggiunsi, esso si era fermato sotto l'albero in cui io avevo passato la prima notte di abbandono e un brivido mi corse lungo la schiena. “Perché sei stato così duro con quelle donne, Shin?” chiesi con il fiatone. Lui non rispose e sembrò visibilmente irritato. “Rispondi!” urlai. Girò lo sguardo verso di me, trapassandomi con gli occhi gelidi. “Quelle donne stavano riempiendo un luogo pieno di dolore di urla teatrali e false. Stavano profanando l'affetto di una madre!” Shin aveva poco più di dieci anni ma parlava come se fosse stato un uomo adulto. “Erano solo addolorate...” ma Shin mi interruppe urlando “Che cosa ne sai tu dell'abbandono, eh? Cosa? Cosa vuoi saperne del dolore tu?” Trasalii. Poi, un sorriso triste attraversò le mie labbra “So molto più di quanto immagini...” rimase stupito di quella mia risposta vaga e malinconica ma girò il volto per non farsi vedere. Mi sedetti a terra e cominciai a piangere. “Shin, è stata tutta colpa mia! Volevo prendere delle erbe mediche ma mi sono attardata per guardare un campo di... Oh, non importa. E' tutta colpa mia, tutta colpa mia! Se solo fossi stata più veloce Kureha sarebbe ancora viva.” Inconsciamente mi aspettai di sentire parole dolci e di conforto ma ciò che mi arrivò fu tagliente come una lama. Un tono di rimprovero colmo di rabbia: “Credi davvero di essere così importante nel gioco del destino da farti una colpa per una cosa tanto stupida? Non sei nessuno, solo una bimbetta, e il tuo ritardo non c'entra nulla con la morte di Kureha. Ti dispiace solo per questo, perché credi che sia colpa tua. Siete tutti degli egoisti! Kureha non la conoscevi nemmeno!” E prima che le lacrime che si erano affacciate sul suo volto cominciassero a piovere sulle guance, corse via.

 

Entrando l'oscurità si fece sempre più densa e scura, tanto da stritolare ogni cosa, persino i pensieri che annegarono ben presto per la totale assenza di luce. La solitudine non era stata mai pesante come dentro quel buio.

Quell'istante infinito parve scomparire grazie alla fioca luce di una fiaccola. “Che cosa ci fai qui, Sesshomaru?” La voce anziana parlò ancor prima che io fossi visibile ai suoi occhi. Ma ciò era irrilevante poiché quell'essere non utilizzava gli occhi per vedere. Per la prima volta, io, uno dei demoni più potenti che vivesse in quel mondo, mi sentii inferiore di fronte a qualcuno. “Saggio, sono venuto per...” La voce, inasprita da un'età anziana, si alzo impercettibilmente “Non occorre che tu risponda, demone. So il motivo per cui sei qui. Ma tu sei certo di saperlo?” Quelle parole furono come un fulmine al petto. Egli continuò “Sei sicuro di sapere chi sei e chi vorresti essere?” Oltre al buio, nella mia mente si insinuò la nebbia. Avevo la risposta a quelle semplici ma terribili domande? Sapevo davvero chi ero e chi volevo essere? E questi aspetti davvero non combaciavano tra loro? “Sei combattuto, demone. Così come lo era tuo padre, ma indubbiamente in modo diverso.” Combattuto come mio padre ma in modo diverso? Cosa significava? Avevo passato la vita sicuro di me stesso, forte e freddo. Nessuno mi aveva mai spiazzato tanto, nessuno era stato superiore a me in tutta la mia vita. “Significa, Sesshomaru, che ognuno vive a modo suo i mutamenti dell'animo e che nessuno può realmente comprenderli ma solo sfiorarli e intuirli per breve tempo.” Dunque siamo davvero condannati a una solitudine eterna. “Tu sei combattuto tra due entità che convivono in te. Una non credevi di possederla poiché l'altra è molto più forte. Ma l'animo di qualcun'altro ha risvegliato quella tua parte che hai sempre considerato debole negli altri, la parte umana.” Rimasi spiazzato, semplicemente. Mi sentii svuotato, come se quelle parole pronunciate da un un vecchio saggio fossero state l'animo che abbandonava il mio corpo. Ma come faceva a comprendere cose che neppure io avevo mai compreso? “Avete detto che nessuno può comprenderci a fondo, eppure voi avete compreso tali cose!” “No, io non ti comprendo. Io sto solo cercando di osservare il tuo animo e ciò che riesco a vedere lo trasformo in parole. Tale analisi è parzialmente scorretta e le parole tendono a storpiarla ulteriormente. Quello che ti dico non è altro che il riflesso deformato di ciò che provi realmente. Riesci forse a comprendere un ciliegio in fiore? No, non lo comprendi poiché solo egli è capace di germogliare. Eppure riesci a scorgerlo e forse, se sussurrassi al ciliegio che è in fiore, egli ne rimarrebbe spiazzato poiché tu sai ciò che egli razionalmente ignorava.” Il buio e il vuoto erano ormai dentro di me. “E' per tale motivo che devi decidere da solo cosa fare e come farlo. Ora va', non hai motivo di rimanere qui.” “Vecchio saggio, io ho abbandonato una persona perché la mia vicinanza sarebbe stata per lei solo una minaccia. Ho bisogno di sapere che posso fidarmi di me stesso, che posso convivere con questa persona senza farle del male!” “Basterebbe diventare umano, ma è ciò che vuoi veramente?” Umano. Diventare un mortale come tanti, abbandonare la fulgida bellezza eterna, avere l'essenza di ciò che avevo sempre disprezzato. Era un prezzo troppo alto da pagare. Ma dovevo rinunciare a qualcosa. O a metà della mia essenza o a Rin. Cosa era davvero più importante per me? Per un attimo pensai che Rin era solo una bambina, che non era così importante per me ma mi maledissi per quel pensiero. Del resto, se avevo affrontato l'oscurità e le tenebre della mia vera essenza era stato solo per lei. No, solo per lei no di certo. Ma anche per lei. “Affiorano dentro di te cose a cui non avevi mai badato prima, demone. Devi comprendere come vuoi sfruttare la tua esistenza. Ora va'.” Feci la strada a ritroso, avvicinandomi alla luce esterna della caverna. Ma il buio ora lo portavo dentro.

 

Ero sola, ancora una volta sotto lo stesso albero. Le parole di Shin mi bruciavano ancora in petto. Forse era in parte vero quello che aveva detto, che il mio dispiacere si fermava al senso di colpa. In preda alla disperazione e al senso di solitudine che ancora una volta mi stringeva con una morsa nel medesimo luogo, cominciai a cantare.

 

“Luna. Oh, triste Luna

Il cielo vuoto lasciasti

le stelle tue compagne abbandonasti.

Incostante, pallida,

sempre un volto tu mostri.

Tutta l'eterna solitudine

all'oscuro lasci.”

 

Non sapevo dove avessi sentito quella canzone, non ricordavo di averla mai udita né cantata, eppure, in quel momento, mi risuonò dentro. E mentre la mia mente si riempiva di quella malinconica melodia, la sentii anche all'esterno, cantata da una voce che avevo udito poco prima.

Mi addentrai nella boscaglia, ormai del tutto buia, e la melodia parve avvicinarsi sempre di più finché non intravidi Shin accasciato al suolo, intento a cantare. Allora ricominciai a cantare e la mia voce si unì alla sua. Egli alzò lo sguardo. “Come fai a conoscere questa canzone?” Mi chiese. Era esattamente ciò che stavo per chiedere a lui. “Non lo so, ha cominciato a risuonarmi nella mente poco fa, pensando ad un abbandono... Poco dopo ho sentito te. Tu invece come la conosci?” Il suo sguardo finì a terra, le labbra si serrarono; non era difficile intuire che non volesse parlarne. “Se non vuoi parlarne non c'é ragione che tu me lo dica...” “La cantò mia madre la notte che mio padre ci abbandonò. Ci lasciò solo dei fiori di ciliegio, per mia madre, e un cavallo scolpito ne legno, per me. Fu triste, mia madre si svegliò nel cuore della notte, come se avesse un presentimento, e quando vide quelle cose sul tavolo capì. Non pianse, ma cominciò a cantare questa canzone in modo talmente malinconico che fu di certo peggio. A causa di quella melodia mi risvegliai in preda all'angoscia e vidi mia madre rivolgere lo sguardo verso la luna.” Le parole di Shin erano colme di tristezza, tristezza che fluì anche in me. “Cominciai a chiamarla, me lo ricordo ancora. Lei parve non sentire ma si avvicinò comunque a me, mi accarezzò il viso e mi disse solamente di non piangere. Poi uscì dalla capanna, come se non fosse più in lei. Quando si allontanò la capanna sembrò diventare sempre più oscura. Fu per questo che la seguii.” I suoi occhi si riempirono di lacrime “Non avrei mai dovuto farlo...” Strinse con i pugni una zolla di terra che si sbriciolò al suo contatto. “Mia madre si è diretta verso un lago... Era così bella, sai? Aveva il kimono bianco e i capelli neri sciolti sulla schiena. Lei... Lei si è lasciata annegare.” Mi sentii stringere il cuore in una morsa. “E' morta... annegata?” Non mi rispose.

Rimanemmo in silenzio per un tempo indefinibile, non c'erano parole che potessero essere utili. A un certo punto, quel silenzio pesante, ma necessario, fu rotto dalle mie parole “Allora Rei non è tua madre...” Alzò lo sguardo e mi sorrise in un modo talmente triste che mi fece rabbrividire. “No, certo che non lo è... Tuttavia, è l'unica persona che si è occupata di me. Tutte le donne del villaggio hanno pianto, si sono disperate, ma non hanno fatto nulla di più per me. Rei invece si è presa cura di me con rispettoso silenzio. Inoltre, quelle stesse donne che piangevano in modo tante volgare, le sentii una volta che infangavano la memoria di mia madre, la vita di mio padre e me. Dissero che la mia nascita non aveva fatto altro che allontanare i due innamorati che si erano alla fine abbandonati per colpa di un gesto egoistico di mio padre. Dicevano anche che, a causa di questo, mia madre era impazzita. E tutta la colpa ricadde su di me, che ai loro occhi ero un demone.” Mi sentii partecipe di quelle parole, in maniera egoistica, poiché anche io venni più volte allontanata perché considerata demoniaca. “Eppure non me l'hanno mai detto chiaramente che pensavano io fossi un bambino demoniaco. Sono sempre state piuttosto gentili con me e questo non ha fatto altro che alimentare la mia rabbia!” La sua testa ricadde in avanti “Io... Io... Ho sempre pensato di essere sbagliato.” Le sue lacrime cominciarono a bagnare la terra e ben presto anche altre gocce inumidirono il terreno. Cominciò a piovere, accanto alle lacrime di Shin. Gli cinsi le spalle con le braccia. Il momento di parlare della mia storia non era ancora giunto.

 

Pioggia.

 

La pioggia scendeva, incessantemente, facendo aumentare il senso di solitudine che si era incastrato in fondo al petto. Un moto di egoismo mi assalì e per un attimo dimenticai Rin e tutto quello che era accaduto poco prima. Ero solo, avevo bisogno di calore in quell'aria umida. Non l'avrei mai ammesso davanti a nessuno, fuori sembravo il demone spietato, freddo e distaccato di sempre, ma qualcosa dentro di me si era incrinato. La natura umana si mostrava in tutta la sua debolezza e chiamava a sé la forza demoniaca, per soddisfare le proprie innocenti voglie. In quel momento non era importante avere Rin accanto ma qualcuno che sapesse rischiarare il cammino allo stesso modo. Egoismo. Puro e semplice egoismo. Era questo l'unico amore che la parte umana riusciva a provare?

 

Quando la pioggia divenne meno triste e rabbiosa, percorsi il sentiero appena visibile che dalla foresta conduceva al piccolo villaggio dove vivevo da pochi giorni. Ancora una volta, le fronde degli alberi lasciarono spazio ai tetti di paglia. Ma questa volta non ero sola. Accanto a me un bambino di dieci anni camminava faticosamente lasciandosi sorreggere con una calma che poco prima non avrei mai creduto potesse possedere. Accanto a me, Shin.

Quando entrammo nella capanna, Rei era ancora immobile accanto al corpo senza vita di quella bambina che non avrebbe più rivisto l'alba. Shin inspirò profondamente, quasi volesse fare sua tutta l'energia che gli si stringeva intorno, e si diresse verso quella donna, distrutta dal dolore. Cercò di parlarle, di consolarla ma quella sembrava non reagire, impassibile a qualsiasi cosa. Fu allora che Shin prese il corpo senza vita di Kureha e lo trasportò fuori. “Dobbiamo seppellirla” disse, come se stesse parlando a se stesso. Mi sembrò un gesto azzardato, togliere dalla vista di una madre addolarata la propria bambina morta, ma Shin continuò a camminare, un passo dopo l'altro, fin quando Rei urlò disperatamente “Lascia mia figlia! La mia bambina! La mia bambina!” Si alzò di scatto, pronta ad aggredire Shin e il cadavere di Kureha, se non mi fossi messa in mezzo a loro. Abbracciai in vita quella donna, tanto materna nei miei confronti come nessun'altra donna lo era mai stata con me, ma lei parve non accorgersene e urlò contro Shin. “Sei un demone, un demone! Non fai altro che portare la morte!” una lama mi trafisse sentendo quelle parole e non potei fare a meno di notare che per Shin fu lo stesso. Cominciò a tremare, tratteneva a stento le lacrime e, sono certa, sarebbe fuggito veloce e scattante, se solo non avesse tenuto tra le braccia quel corpo freddo.

Strinsi il corpo della donna con più forza “Calmatevi Rei, calmatevi!” Rei rimase stupita di quella flebile voce che non aveva mai udito e per un attimo parve tornare in se'. “Qual è il tuo nome, piccolina?” mi chiese. La donna che prima urlava rabbiosa adesso mi rivolgeva un sorriso dolce, seppur triste, e parole calme. Quel cambiamento mi spaventò.

  
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