Dinner in Resembool
E’ questo
che gli umani chiamano Amore
Solitudine.
Era questa la sensazione
che Winry aveva provato negli ultimi tempi, quando
era tornata nella sua casa, a Resembool, dopo aver
salutato per l’ennesima volta quei due fratelli che spesso l’avevano fatta
arrabbiare e che, altrettante volte, aveva stretto forte fra le sue braccia,
sperando nel loro più prossimo ritorno.
Ed era avvenuto. Almeno in
parte, quel vuoto che a lungo aveva sentito, si stava lentamente riempiendo in
quella sera di luna piena, in cui Edward era apparso magicamente nella sua
stanza come un’ombra all’accendersi di un lume.
Si era arrabbiata, non
tanto per il fatto di aver profanato la sua camera da letto, quanto per il lungo
lasso di tempo trascorso lontano da lì, da quelle mura, sempre così vuote e
silenziose.
“Ora che i fratelli Elric se
ne andranno, qui tutto tornerà calmo e tranquillo”. Erano queste le parole che nonna Pinako
diceva sempre, quando da lontano vedeva le sagome dei due ragazzi sparire
all’orizzonte come uccelli migratori.
Ma non aveva importanza.
Perché adesso, quella piccola casa dove Winry era
cresciuta insieme ai fratelli Elric era di nuovo
piena di voci. Voci estranee, è vero. Ma pur sempre voci.
Erano tutti seduti a
tavola per la cena: lei, nonna Pinako, i due uomini
di Briggs e quegli strani individui che Ed si era
portato appresso. Due di loro erano grossi e muscolosi, così possenti come
figure da non sembrare interamente umani. L’altro, invece, era sicura di
conoscerlo. I lineamenti orientali del suo volto, insieme con il ciuffo di
capelli sfilzati che gli graffiavano il viso erano identici a quelli di Ling Yao, un principe buffo e
gentile, che in passato le aveva fatto tanti complimenti da farla arrossire.
Ma quello che aveva
davanti, l’individuo che portava i suoi stessi connotati, non era lui. Non poteva essere lui. Per quanto gli
somigliasse e per quanto il suo appetito fosse vorace come quello del principe,
il suo atteggiamento e il modo di parlare erano completamente diversi.
Ling Yao aveva un modo di
esprimersi gentile e garbato; i suoi occhi sottili trasmettevano una dolcezza tanto
intensa da rimanerle nel cuore.
Al contrario, quello lì che aveva davanti, non
presentava nessuna di queste caratteristiche. Aveva un tono di voce profondo e
un linguaggio così grossolano da fare invidia al più volgare degli uomini. Si
fiondava da una pietanza all’altra, neanche fosse il più caro amico di famiglia
che, dopo anni di confidenza, non si pone più alcuno scrupolo nel divorare
tutto senza troppi complimenti.
Tuttavia, c’era qualcosa
nel suo sguardo rude che, malgrado tutto, non lo rendeva quella figura negativa
che a primo impatto poteva sembrare.
Nei suoi occhi, Winry vedeva qualcosa di
più, come un sentimento o un forte senso di vuoto a lei familiare; nei suoi
occhi, Winry vedeva la solitudine.
Mentre la sua mente era tempestata
da pensieri sempre più profondi, la ragazza non si rese minimamente conto di
come il suo sguardo fosse completamente immobile sull’immagine di lui, che
rumorosamente addentava la sua coscia di pollo come un animale che azzanna la
sua vittima.
Poi, all’improvviso,
l’incrociarsi dei loro sguardi rese entrambi seri e silenziosi.
Con ancora l’osso della
sua preda in mano, lui la guardò intensamente, facendo caso solo in
quell’istante all’infinità di tempo che era trascorso dall’ultima volta che una
donna lo aveva puntato in quel modo. Gli occhi di lei, simili a gemme celesti
nel buio più pesto, fissavano i suoi comunicando senza il bisogno di parlare.
Diversamente da tutte le altre donne che aveva avuto di fronte, quella sembrava scavare nella sua mente,
e raggiungere il suo petto provocando un brivido estraneo, del tutto privo di
banalità.
Non era eccitazione, o
mera attrazione sessuale a tenerlo immobilizzato di fronte alla sua immagine,
no. Era qualcosa di più serio, e profondo; qualcosa che lo faceva sentire capito e, in un certo senso, più umano di quanto non fosse.
“Ecco la tua insalata, Winry.”
Repentino, Edward Elric pose con freddezza il recipiente circolare sotto gli
occhi della ragazza, che però, vittima di un interesse più forte, ignorò il suo
gesto.
“Winry!”
Al secondo richiamo, la fanciulla
si destò. Si girò alla sua destra e incontrò gli occhi del giovane alchimista
che tanto aveva atteso e che, negli ultimi secondi, aveva completamente
eclissato dalla sua mente.
“Volevi l’insalata, no?
Eccola.”
Il tono con cui il biondo
le si rivolgeva era evidentemente nervoso, come se avesse appena assistito a
una scena spiacevole.
Ma per quanto potesse
sembrare il contrario, le intenzioni di Winry erano completamente
prive di ogni malizia. Mai si sarebbe sognata di pensare a un altro come suo
possibile fidanzato e, eventualmente, come futuro marito.
Ecco, ora che la sua mente
aveva cominciato a fantasticare, nulla poté evitare il lieve rossore che si
accese sulle sue guance, che fu erroneamente interpretato dal giovane
alchimista, convinto che l’origine di una simile reazione fosse dovuta alla
presenza di quell’altro individuo,
che nel frattempo sghignazzava, divertito da quella patetica scena di gelosia.
“Cos’è quella faccia? Non
è mica la tua ragazza.” lo provocò l’origine dei guai, aizzando ulteriormente
la collera del biondo che, con grande fatica, riuscì a calmarsi, zittendolo con
due semplici parole.
“Taci, Greed.”
Greed.
E’ vero, era quello il nome con cui il sosia del principe si era presentato a Winry. Non appena lo aveva visto, la ragazza lo aveva
subito chiamato col nome che ricordava, venendo immediatamente corretta da lui
medesimo.
Per un po’, i loro sguardi
non si incontrarono più. Edward inforchettava il suo
pasto con rabbia, mentre lei, con un velo d’imbarazzo, guardava in basso, evitando
gli occhi di Greed, che continuavano a cercarla,
desiderosi di provare ancora quella sensazione che gli aveva scosso il cuore.
Quando arrivò il momento
del dolce, nonna Pinako portò in tavola la torta di
mele preparata da Winry, offrendone una porzione a
tutti gli ospiti.
La ragazza era
particolarmente emozionata all’idea di far assaggiare il suo dolce a tutte
quelle persone: di solito, l’unica opinione che aveva era quella della nonna.
Non appena tutti
cominciarono a mangiare la propria fetta di torta, Winry
si guardò intorno cercando d’interpretare gli sguardi dei presenti, alla
ricerca di un’espressione soddisfatta e compiaciuta. Tuttavia, i volti di
quegli energumeni che la circondavano, non sembravano badare affatto ai
complimenti o alle buone maniere: semplicemente, mangiavano perché avevano
fame; semplicemente, erano uomini.
La ragazza sospirò, delusa
dalla non-reazione dei suoi assaggiatori, che nel frattempo continuavano a
ruminare come capre annoiate il frutto dei suoi sforzi.
Ma, proprio quando le sue speranze
furono sull’orlo del precipizio, una voce le risollevò subito il morale, sorprendendola
con una gentilezza del tutto inaspettata.
“Deliziosa. Ce n’è
ancora?”
Winry alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Greed, che nel frattempo si ripuliva barberescamente la
bocca con la manica della giacca, aspettando una sua risposta.
L’espressione di lei si
riempì subito di gioia: se il suo ospite ne voleva ancora, significava che gli
era piaciuta. Purtroppo però, malgrado l’entusiasmo, la risposta che dovette
dargli non fu positiva.
“Sono felice che ti sia
piaciuta, ma… non ce n’è più.” disse, con sincero
dispiacere.
Di fronte alle sue parole,
Greed, che già stava assaporando col pensiero la sua
seconda porzione di dolce, rimase visibilmente deluso.
“Non puoi farne un’altra?”
domandò sfacciato.
Non appena udì quella richiesta
così irriverente e fuori luogo, Edward digrignò i denti senza dire una parola.
Doveva trattenersi: in fondo, non c’era motivo di scaldarsi tanto. Greed non era certamente abituato a trovarsi in mezzo a
tutte quelle persone, così gentili e diverse da lui…
così umane.
“Ma certo, volentieri.”
Fu ciò che Winry disse sorridendo, felice, nonostante la stanchezza,
di mettersi all’opera ancora una volta.
Di fronte a lei, gli occhi
del suo interlocutore avevano assunto un’espressione completamente diversa: se
prima il suo sguardo era rude e sgraziato, ora nelle sue iridi rosso sangue si
poteva intravedere una luce più intensa, che emanava serenità, e dolcezza.
Probabilmente, Greed non si era neanche accorto di quanto, in quel
momento, le sue vere emozioni - che lui riteneva una debolezza -, fossero chiaramente
visibili attraverso la semplice espressione dei suoi occhi.
Quando tutti finirono di
cenare, Edward e parte del suo gruppo si radunarono nel piccolo soggiorno,
discutendo sulla loro missione e su come muoversi da lì in avanti.
Nel frattempo, Winry finì d’impastare il suo nuovo dolce, asciugandosi la
fronte soddisfatta nel vedere come, per il momento, sembrava essere uno di
migliori che avesse mai fatto. Mentre la torta era in fase di cottura, la
ragazza decise di prendere una boccata d’aria, allontanandosi dal calore della
cucina.
Uscì di casa e s’andò a
sedere sui gradini di legno appena fuori dalla porta d’ingresso, seguita
prontamente dal suo cane, Den. Emise un profondo
sospiro, e si godette il silenzio malinconico della sera. Non aveva intenzione
di rimanere lì a lungo. In fondo, era passato molto tempo dall’ultima volta che
aveva visto Edward. Tuttavia, sentiva che il suo cuore aveva bisogno di
riprendersi da quell’improvvisa emozione che le aveva bloccato il respiro nelle
ultime ore. Era felice ma, allo stesso tempo, sentiva un’enorme tristezza
invaderle il cuore, come se fosse consapevole della fugacità di quel momento.
Presto, lo sapeva, quelle
mura sarebbero piombate nuovamente nel silenzio, e nella solitudine.
“Woof! Woof! Grrrr… Woof! Woof!”
Improvvisamente, nel bel
mezzo di quell’atmosfera serena e tranquilla, il forte abbaiare di Den destò Winry dai suoi
pensieri, spingendola a voltarsi nella direzione verso cui il cane era rivolto.
All’istante, le sue iridi
azzurre s’incontrarono ancora con quelle rosso sangue di colui che se ne stava
in piedi sullo stipite della porta, a guardarla in silenzio, proprio come pochi
minuti prima.
Inizialmente, l’unico
rumore percepibile sulla scena fu l’insistente ringhiare dell’animale che,
trattenuto dalla ragazza, continuava ad abbaiare contro il nuovo arrivato, riconoscendolo
ormai come un intruso nel suo territorio.
“Buono, Den. A cuccia.”
Nonostante l’ordine della
padrona, il cane continuò a inveire contro Greed che,
nel frattempo, gli si avvicinò in silenzio, accucciandosi alla sua altezza.
Confusa e un po’
intimorita dalla situazione, Winry tentò di
allontanare la bestia, ma allentò subito la presa sul suo collare, quando vide
la mano dell’altro massaggiargli la testa con una certa naturalezza.
I suoi occhi azzurri si
spalancarono, colmi di grande stupore.
“Ssshh…
Buono, cagnetto. Sei arrabbiato perché prima ti ho sollevato per il collare?
Scusa, ma non avevo altra scelta. Non si mordono le chiappe dei miei
subordinati, sai?”
Quando Greed
parlò così al suo cane, Winry, prima d’allora
completamente ignara di ciò che aveva appena sentito, assunse dapprima
un’espressione goffa e interdetta, poi, senza saperne con esattezza il motivo,
scoppiò in una fragorosa risata, che cercò di contenere con il gesto repentino
di una mano, che mise davanti alla bocca a mo di copertura.
Dal canto suo, Greed non ebbe alcuna particolare reazione, se non quella
di sedersi accanto a lei, provocando l’immediato interrompersi della sua
risata.
Winry si fece seria, e il suo sguardo puntò dritto verso il
basso.
Si sentiva a disagio. Una
profonda insicurezza cominciò ad invaderle il cuore, mista alla consapevolezza
che l’altro la stava ancora guardando e, probabilmente, aspettava da lei una
qualche razione.
Trascorsero pochi secondi,
dopodiché, proprio mentre lei si fece coraggio e stette per dire qualcosa, la
voce di lui la precedette, senza darle la possibilità di esprimersi.
“No, non è mio.” affermò
semplicemente, aumentando il caos nella sua testa.
“Eh?” rispose lei, non
sicura di dove l’altro volesse andare a parare.
“Questo corpo.” disse
ancora Greed, spiegandosi meglio “L’ho sottratto a
quel principe idiota, Ling, o come si chiama.”
Ancora in preda a una
grande confusione, Winry non proferì parola, e
continuò ad ascoltarlo senza aggiungere nulla.
“Ah, ma non preoccuparti:
è vivissimo.” proseguì lui “Ogni tanto tenta di prevalere sul mio controllo e
spiffera in giro segreti che non dovrebbe rivelare, è una vera seccatura!”
In quel momento, i suoi
occhi rossi, prima rivolti verso il cielo, incontrarono nuovamente quelli di
lei, che arrossì vistosamente, imbarazzata di fronte a quello sguardo che la
fissava senza indugio.
“Per questo voglio che
tutto sia mio. E’ scomodo dover condividere qualcosa con qualcuno, perché non
ti senti completamente padrone delle tue azioni, e fai sempre una gran fatica
ogni volta che vuoi raggiungere un obiettivo.”
Al termine di quel
discorso, Winry tornò a guardare verso il basso e,
questa volta, parlò.
“Perché mi dici questo?”
domandò, con un certo sconforto negli occhi.
Nel rispondere, lui fu
semplice e diretto:
“Beh, è ciò che volevi
sapere: era per questo che prima mi fissavi, no?”
Dopo quelle parole, gli
occhi di lei si sgranarono colmi di stupore.
Non aveva capito. Durante la cena, il loro scambio di sguardi così intenso e ricco di
sensazioni le aveva comunicato qualcosa che a lui non era arrivato, o che
forse, nella più probabile delle ipotesi, stava solo fingendo di non capire.
Probabile. Perché, basandosi
sulla sua personale esperienza, Winry sapeva meglio
di ogni altro quanto ci si vergogni di ammettere la propria solitudine. Non è
facile e, soprattutto, non è dignitoso abbassare la testa e annuire quando si
viene smascherati da qualcuno che, attraverso un semplice sguardo, riesce a
mettere a nudo tutte le debolezze che hai sempre custodito dentro. E Greed, in quel momento, stava palesemente cercando di
evitare l’argomento.
“Sono felice che almeno Ling stia bene.”
Dal nulla, le parole della
ragazza raggiunsero le orecchie di lui, che subito si domandò che cosa la
portasse a preoccuparsi tanto di qualcuno che conosceva appena.
“In che rapporti siete te
e lui?” domandò, più che curioso, estremamente interessato.
Winry alzò gli occhi verso il cielo, e rispose senza
pensarci troppo.
“Beh, in realtà non ci
conosciamo così bene, però…” s’interruppe per un
momento, tornando a guardare il suo interlocutore senza provare più alcun
disagio “E’ brutto sapere che qualcuno con cui hai parlato, con cui hai riso e
scherzato, si trova in pericolo, sta male, oppure non c’è più.”
Come una saetta che di
scatto trafigge il cielo, una fitta di dolore si scagliò all’improvviso nel
cuore di Greed, che percepì le parole di lei come
qualcosa che sapeva già di conoscere e che già aveva vissuto, ma che, per un
qualche motivo, non aveva mai voluto accettare.
Provare dolore per qualcun altro… che cosa da umani.
Mentre lo sguardo di lui
era perso nel vuoto, Winry capì di aver colpito un
suo punto debole e, intenzionata a fare tutto fuorché ferirlo, cambiò
radicalmente discorso, ritrovando il tono allegro di sempre.
“Sembra che tu piaccia a Den!”
Esclamò, notando come il
cane fosse ora entrato più in sintonia con quello sconosciuto.
Nell’incontrare i suoi
occhi con quelli della bestiola, Greed riprese ad
accarezzargli la testa, mentre un leggero sorriso si allargava sulle sue
labbra.
Winry osservò la scena in silenzio, e poi, curiosa di
capire più cose di lui, gli fece ancora una domanda.
“Per caso hai avuto cani
in passato? Perché dai l’idea di avere una certa esperienza nell’interagire con
loro.”
A quelle parole, Greed annuì quasi senza pensarci.
“Sì, ne avevo uno.”
Winry sorrise, proseguendo quella tranquilla chiacchierata.
“Ed era un cane di razza
oppure un incrocio?”
Greed ci pensò su. Alzò gli occhi al cielo, con
un’espressione goffissima in volto.
Nella sua mente, si
materializzò l’immagine della chimera Dolcetto, uno dei suoi vecchi amici che
si erano sacrificati per lui quando ancora non si trovava nel suo corpo
attuale.
Rifletté a lungo, finché
non trovò una risposta che fosse allo stesso tempo non troppo specifica, ma
sincera: odiava mentire. In tutta la sua vita, se c’era una cosa che Greed non aveva mai fatto era imbrogliare qualcuno con
false affermazioni. Trovava stupido, e inutile prendere in giro le persone; perché
tanto, che si cerchi o no di evitarlo, la verità viene a galla. Sempre.
“Un incrocio.”
Anche in quell’occasione,
la semplicità della sua risposta si rivelò la cosa più efficace.
Era inutile perdere tempo
in sciocchi discorsi e giri di parole, perché più sono le parole che escono
dalla bocca di un individuo, più quello si dimostra debole e insicuro.
E bisogna essere forti. Serve essere forti; perché se non si è
forti si è vulnerabili, e se si è vulnerabili si è facili da interpretare.
E se uno dei massimi
valori che hai è quello di dire sempre la verità, allora non puoi che difendere
i tuoi segreti più profondi con un solido scudo; uno Scudo Perfetto.
“Ti riesce molto bene.”
Quando Greed
udì quelle parole, sentì un groppo alla gola.
“C…
Cosa?”
Per un istante, ebbe come
l’impressione che quel mondo che era convinto di possedere riuscisse a vedere
ogni sua sensazione, penetrando attraverso la sua pelle che, nonostante
l’abilità di divenire dura come un diamante, si dimostrava un’arma di difesa
inutile di fronte a quella capacità di
cui Winry era dotata.
Premura, dolcezza, Amore. Qualunque fosse il nome di quel
sentimento, Greed era convinto che quello, e soltanto
quello, fosse in realtà ciò che lo
spaventava di più.
Perché era in grado di vedergli dentro, e non solo; Era l’unica cosa da cui scappava e, allo
stesso tempo, era inevitabilmente attratto.
“Intendo…
il tuo feeling con gli animali.”
In un istante, tutta
quella paura e quel senso di sconfitta si dissiparono in un profondo, lungo
sospiro di liberazione.
“Beh, come ti ho detto,
avevo un cane.”
Riprese il filo del
discorso, spinto da una forte voglia di raccontare.
“… e non solo.”
Winry inclinò la testa da una parte, ascoltando con
interesse il suo discorso.
“Avevo anche un serpente… e un bue!” proseguì lui, sorridendo orgoglioso.
Lei batté le palpebre
incredula.
“Un bue?” disse sbalordita
“Ma dove vivevi, in una stalla?”
“No.” rispose lui “Nel magazzino di un bar.” Rivelò poi con
naturalezza.
Di fronte alla sua ultima
affermazione, Winry rimase ancor più shockata.
“Tenevi un bue e un
serpente dentro a un magazzino?!” ripeté, con in volto un’espressione
buffissima “Ma non stavate stretti? Soprattutto il bue…”
Greed scosse la testa, mettendosi a braccia conserte.
“Affatto.” Negò, convinto
delle sue affermazioni “Stavamo benissimo tutti insieme…”
Poi, all’improvviso,
l’ombra calò di nuovo sul suo volto, e i suoi occhi puntarono ancora verso il
suolo.
“Inoltre…
avevo anche una lucertola.” Disse, con voce più flebile “Ma è morta anche lei.”
Nel sentire quelle ultime
parole, Winry venne assalita da una profonda
tristezza. Pian piano, cominciava a capire il motivo di quella solitudine che
aveva intravisto negli occhi di lui poc’anzi.
E le dispiaceva. Sì, le
dispiaceva moltissimo, perché sentiva di capirlo, e percepiva il forte bisogno
di condividere il suo dolore, avvicinandosi al suo cuore attraverso le parole.
“Mi dispiace…”
La sua voce fluttuava come
un vento leggero nelle orecchie di Greed, carezzando
la sua pelle come un delicato soffio di calore.
“Non ho idea di come
reagirò quando Den non ci sarà più, però…”
Winry continuava a parlare. Il suo sguardo era rivolto
verso il basso e le sue pupille tremavano, vittime di un profondo senso di
vuoto e di nostalgia.
“Quando ero bambina, ho
perso qualcuno di molto caro. Quindi, ti prego di perdonarmi se ho la
presunzione di dire che credo di capire come ti senti.”
In quel momento, una nuova
scarica di emozioni, questa volta più intensa e dolorosa, attraversò il petto
di Greed, andando a colpire prima il cuore, poi la
sua gola, che non fu più in grado di emettere alcun suono, tanto era secca, e
prosciugata di ogni parola.
Ci fu silenzio, ancora per
diversi, incalcolabili minuti.
Greed pensava. Non era umano, eppure, una parte di lui era
certamente rimasta segnata da quella conversazione, che aveva cercato di
evitare in tutti i modi, ma che, alla fine, gli si era rivoltata contro come se
lo avesse voluto.
E forse, sotto sotto, ciò che voleva era esattamente quello.
La sua avidità era la
scusa ideale per pretendere ogni cosa senza il bisogno di giustificarsi:
“Voglio soldi, donne, fama, gloria…
voglio tutto ciò che questo mondo ha da offrire, perché sono avido, e tutto dev’essere mio!”
Anche la tristezza, la sofferenza… e la solitudine.
Ogni cosa. Non c’era
avidità che fosse buona o cattiva nella mente di Greed.
L’avidità era un concetto
neutro, che si basava sull’unica legge del desiderio.
Perché volere è potere. E solo chi ha potere ottiene ciò
che vuole.
Tuttavia, a volte ci sono cose
che si pensa di volere, ma che in realtà non si desidera affatto.
Come l’immortalità.
Gli uomini sognano di
essere immortali, perché la vita è l’unica cosa che gli garantisce certezza.
Certezza di esistere, per ottenere tutto ciò che la
loro mente brama.
Ma quando si è gli unici a
godere di un simile privilegio, quando si è i soli a possedere un dono del
genere, cosa rimane da conquistare? Quali sfide attendono un uomo che è solo, inerme di fronte a quello che
diventa il suo unico, vero nemico: la
vita eterna.
Greed desiderava l’immortalità, ma non la voleva. Il solo
fatto di essere un uomo artificiale, in grado di rigenerarsi tanti milioni di
volte quante le anime presenti nel suo corpo, era in realtà l’unica cosa di cui
si volesse liberare;
se c’era una cosa che
realmente voleva, era non volere.
Non voler essere quello
che era, ossia un Homunculus, incarnazione dell’Avidità, che lo vedeva legato a
un destino dal quale, pur volendo, non sarebbe mai riuscito a fuggire.
Perché era la sua natura,
e non si può rinnegare ciò da cui si è nati, perché fa parte di un codice
genetico specifico, che rende un umano diverso da un animale, e un animale
diverso da una chimera, e una chimera diversa da un Homunculus.
Per questo, la verità che Greed portava dentro era quanto di più segreto avesse mai
avuto fin dalla nascita. Senza accorgersene, proprio lui, l’essere che più di
tutti professa la verità, viveva in una costante menzogna.
La menzogna di desiderare tutto,
fuorché essere libero di scegliere. Scegliere cosa desiderare e, soprattutto, quali emozioni provare, e per chi.
“Edward…”
A un certo punto, la voce
di Greed ruppe il silenzio della scena, portando
l’attenzione di Winry nuovamente su di lui.
La ragazza lo guardava con
le sopracciglia aggrottate in un’espressione interrogativa.
Senza incrociare nemmeno
il suo sguardo, l’Homunculus andò avanti a parlare, determinato a capire meglio
il vero significato di ciò che aveva visto nei suoi occhi durante la loro
conversazione.
“Come si chiama quella
volontà che ti spinge a desiderare che sia tuo? E quelle persone che dici di
aver perso; il vuoto che senti per la loro mancanza, è lo stesso che proveresti
se perdessi Edward? Che differenza c’è tra desiderare Edward e desiderare
loro?”
Winry rifletté in silenzio su quelle domande. Adesso, tutto
nella sua mente era più chiaro.
I suoi dubbi e le sue
perplessità sulla natura di chi aveva davanti si unirono come pezzi di un unico
puzzle, rendendo perfettamente leggibile ogni cosa.
Greed provava sentimenti, ma non riusciva a distinguerne le
varie sfumature. Conosceva l’amore, ma non sapeva di provarlo perché lo
chiamava con un altro nome: desiderio.
Per un po’, i suoi occhi e
quelli di lui si fissarono attenti, finché lei non schiuse le labbra,
preparandosi a rispondere.
“Si chiama…-”
Ma proprio in quel
momento, il rumore di un suono simile a un campanello la interruppe, prima che
potesse dire ogni cosa.
Winry emise un lieve sospiro, e si scusò.
“E’ la torta.” affermò,
cominciando ad alzarsi.
Mentre si levava in piedi,
Greed la seguì con lo sguardo, rimanendo seduto al
suo posto.
Winry lo guardò, con un sorriso rammaricato sulle labbra.
“Devo tirarla fuori, sennò
ti mangi il carbone.”
E un istante dopo, rientrò
in casa, lasciandolo in compagnia di Den.
Finché non la vide sparire
dietro la porta della cucina, Greed rimase immobile a
guardarla, pensando ancora alle sue parole.
Nel frattempo, all’interno
della dimora, Edward raggiunse Winry in cucina.
“Winry.”
Al richiamo di lui, la
ragazza si girò, ricordandosi di ciò che gli aveva promesso.
“Ah, certo! Il tuo automail. Aspettami su, arrivo subito.”
Poco dopo, nella stanza al
piano di sopra della casa, Winry riparava a dovere l’automail di Edward.
L’alchimista notò subito
il suo sguardo preoccupato, e quando lei incontrò i suoi occhi, si sentì in
dovere di dire qualcosa.
“Senti Ed…”
La sua voce era triste e
abbattuta, a dimostrazione del suo stato d’animo altrettanto afflitto.
“Mi dispiace per prima a
tavola, e per averti fatto aspettare tanto per sistemare il tuo braccio…”
Contrariamente a ciò che
si sarebbe immaginata, Edward fu più che comprensivo.
“Non importa, Winry, non devi scusarti.”
La ragazza, ancora
profondamente scossa e un po’ stupita dalla sua reazione, rimase in silenzio e
continuò ad ascoltarlo.
“So che sei molto
sensibile, e che sai leggere negli occhi delle persone senza il bisogno di dire
niente. Hai fatto bene a parlare con lui…”
Per un attimo,
l’alchimista s’interruppe, dopodiché, disse ancora qualcosa.
“Non ha passato dei bei
momenti. Lui non ne parla mai, ma io lo so che se ci segue è perché non sa dove
andare. Per quanto possa negarlo e per quanto cerchi di dimostrare che non sia
così, quello di cui Greed ha veramente bisogno non è
ciò che dice di volere…”
Di fronte alle sue parole,
Winry non poté che dargli ragione.
“E’ vero.” disse, felice
di ritrovare i suoi stessi pensieri anche in Edward “E’ vero, l’ho percepito
anch’io.”
Ci fu un po’ di silenzio, dopodiché,
Edward, guardando verso il soffitto, aggiunse dell’altro.
“Dopotutto, anch’io so
bene che non è facile accettare la morte di qualcuno che ti è stato caro.
Affezionarsi ad altre persone, dopo che si è perso tutte quelle che si amava… dev’essere una delle
scelte più coraggiose che si possano fare.”
Winry aggrottò le sopracciglia. Doveva esserci qualcosa che
Greed non le aveva detto.
“Anche lui ha perso delle
persone care?” domandò, volendo chiarezza.
Edward annuì,
rispolverando alcuni vecchi ricordi.
“Sì. I suoi amici. Erano
delle chimere che anni fa scapparono da un laboratorio, frutto di un
esperimento che vedeva intrecciati un essere umano e un animale. Non appena
l’esercito seppe dove si trovavano, furono tutti sterminati davanti ai suoi occhi.
O almeno, così mi ha detto Al.”
E poi, si sentì un rumore.
Ed volse nuovamente lo
sguardo verso Winry, e i suoi occhi si sgranarono di
fronte a ciò che vide.
La ragazza aveva lasciato
cadere a terra la chiave inglese con cui stava sistemando il suo braccio, ed
era in preda a un forte tremore, che si fece ancora più vivo nelle lacrime che
grondarono lungo le sue guance, accese di rosso per il rapido battito del suo
cuore.
“Winry…”
Edward chiamò il suo nome,
preoccupato per quella sua reazione.
La ragazza si portò le
mani al volto, e disse qualcosa.
“Scusami…
Scusami Ed…”
Non ne aveva idea. Se prima era convinta che Greed potesse
provare dolore per la perdita di qualcuno che amava, ora ne aveva l’assoluta
certezza.
Perché era successo. Era successo, e lui glielo aveva anche raccontato, rimanendo però su
quel margine di vaghezza che forse aveva adottato anche per il resto della
conversazione.
Ora Winry
non aveva più dubbi; Greed provava sentimenti, perché
nella sua vita c’erano state delle persone che aveva amato. Le aveva amate, e
probabilmente continuava ad amarle anche dopo la loro scomparsa.
Proprio come un umano.
Quando si calmò e finì di
sistemare il braccio di Edward, Winry scese di nuovo
al piano inferiore, dove cominciò ad impacchettare il suo dolce, così da
tenerlo al sicuro durante il viaggio.
Ancora pochi minuti
infatti, e Edward avrebbe varcato di nuovo quella soglia, lasciandola ancora
una volta in attesa del suo ritorno.
Sarebbe tornato sano e
salvo, ne era certa, perché lo sentiva nel suo cuore. Era inutile piangere o
preoccuparsi di perderlo quando ancora non era avvenuto.
Lei, proprio lei che aveva
ancora la possibilità di toccare e abbracciare chi amava, non doveva buttarsi
giù, né sentirsi sola. Perché, anche se lontano, Edward era vivo, e poteva
ancora tornare da lei altre dieci e cento volte, stringendola fra le sue
braccia come il più prezioso dei tesori.
Una volta che la torta fu
incartata a dovere, Winry si girò, incontrando gli
occhi di chi pazientemente aveva atteso quel dono.
“Ecco, ho finito.”
La ragazza porse il dolce
fra le mani di Greed, senza ancora lasciarlo.
C’era qualcosa che doveva
dire prima di salutarlo, qualcosa d’importante, che sentiva dal profondo del
cuore.
“Si chiama amore.”
Greed rimase immobile a fissarla, prestando attenzione alle
sue parole.
“Ciò che mi spinge verso
determinate persone, non è il desiderio che siano mie, ma è l’amore che provo
per loro.”
Winry continuò a parlare, senza mai distogliere gli occhi
da quelli di lui.
“Questa torta, è fatta con
amore. Quando fai qualcosa per qualcun altro, speri che ciò lo renda felice, e
impieghi tutto te stesso per fare in modo che sia così.”
Aggiustare il braccio di
Edward tutte le volte che questo, puntualmente, lo rompeva, non era un peso.
Perché era qualcosa che lei faceva per una persona che amava.
“Non importa quanto sia
faticoso, o quanto tempo ci voglia per rendere felice qualcuno. Se è per amore
che ci s’impegna, allora si può arrivare ovunque si voglia.”
A quel punto, le sue mani
scivolarono lentamente dal pacchetto che Greed teneva
rigido fra le mani.
I suoi occhi sorrisero,
colmi di sincera speranza.
“Spero che tu riesca a
trovare di nuovo quello che cerchi.”
E con quelle parole,
scatenò l’ultimo, intenso brivido di calore nel petto di lui, che spontaneo
disse qualcosa, senza il bisogno di riflettere troppo a lungo.
“Grazie…”
Fu un addio, lento e silenzioso,
ma pieno di significato.
Lui le voltò le spalle e
lei lo vide andar via nel buio della notte. Sentiva che avrebbe ottenuto ciò
che realmente desiderava, e questo le bastava per far sorgere sulle sue labbra ancora
un ultimo, malinconico sorriso di speranza.
***
Angolo
dell’autrice
Comincio col dire che, come al solito, non mi aspettavo che questa
storia prendesse una piega simile. O meglio: conoscevo già il suo inizio e la
sua fine, ma la parte interna è stata soggetta a idee e ripensamenti che ho
avuto durante la scrittura.
Desideravo parlare un po’ di Winry, perché mi
sembra un personaggio profondo e non da sottovalutare per quanto riguarda la
sua capacità di poter interagire con qualunque altro personaggio del manga. Winry è una persona buona, in tutto e per tutto. E, come
ogni buono, non conosce l’odio, neanche nel momento in cui ha l’opportunità di
vendicarsi contro chi le ha portato via i genitori, provocando un vuoto
incolmabile nella sua vita.
Allo stesso tempo, anche se in modo profondamente diverso, credo che
anche Greed sia dotato di una profonda bontà; una
bontà di cui però non si rende conto, e che comprende solo nel momento in cui
deciderà di mentire per la sua prima e unica volta, allo scopo di trarre in
salvo qualcun altro; allo scopo di fare
qualcosa per qualcun altro. E, alla fine, è proprio questa la chiave della
mia storia: l’altruismo a cui l’amore può portarti, ricambiando le persone che
ami per la loro compagnia, per il loro non
lasciarti solo.
Spero che il mio racconto vi sia piaciuto, alla prossima!
Strato.