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Autore: Tenar80    19/06/2012    2 recensioni
Io ragiono lentamente, niente intuizioni come esplosioni di dinamite, per me. Questo è il racconto di come ho conosciuto Sherlock Holmes e del perché mi sia fidato di lui. POV di Lestrade
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Che ansia, la mia prima FF in assoluto.
Dunque, i personaggi non sono miei, ma è stato tanto divertente prenderli in prestito. La storia non è stata scritta a fine di lucro.
Sono una donna senza malizia, dunque non troverete nulla di più verde di questo. E’ il racconto di Lestrade, su come ha incontrato Sherlock. Lestrade scrive al termine della seconda stagione, dunque vi sono alcuni accenni agli eventi.
Ogni recensione è, ovviamente, benvenuta.
COL SENNO DI POI
 Forse questo segnerà la fine definitiva della mia carriera. Forse darà solo origine a qualche risata in più durante la pausa caffè. Tanto, dubito ormai di rientrare dalla sospensione.
 Forse sono solo stufo di sentirmi domandare: “Con il senno di poi, come ha potuto fidarsi così tante volte di quell’impostore di Sherlock Holmes?” Per poi vedere il mio interlocutore andarsene mentre io sto ancora cercando di radunare i pensieri. L’ispettore Lestrade non sa rispondere alla domanda, scrivono poi. 
 Ma io ragiono lentamente, niente intuizioni come esplosioni di dinamite, per me. Ho bisogno di tempo e di silenzio.
 E’ passata una settimana dalla sua morte e adesso sono pronto a rispondere.
 Col senno di poi, non credo che Sherlock Holmes fosse un impostore o un criminale. 
 Questo è il racconto di come l’ho conosciuto e del perché mi sono fidato di lui.
*
 Ho incontrato per la prima volta il nome di Sherlock Holmes una mattina di febbraio, quasi sette anni fa, tra i documenti che stavo leggendo mentre mi recavo sulla scena di un probabile omicidio.
 Il morto era Oskar Harrison, professore emerito di paleopatologia - disciplina di cui non conoscevo neppure l’esistenza, figuriamoci cosa trattasse - anni sessantacinque, vedovo, senza figli. Trovato dalla donna delle pulizie alle ore 8.30 riverso nel salotto di casa sua. L’uomo soffriva di varie patologie e forse nessuno ci avrebbe chiamato, se il corpo non fosse stato trovato con un biro vicino alla mano e la lettera “M”, tremante, ma riconoscibile, scritta sul parquet. 
 In macchina avevo letto quello che avevo trovato su di lui. A quanto pareva si occupava delle malattie della gente morta. Morta da molto tempo. Il suo lavoro era cercare di stabilire causa di morte e patologie di mummie e scheletri antichi a favore della ricerca storica. Un’occupazione che mi parve di rara inutilità e profonda noia. Era tecnicamente un medico e insegnava nella facoltà di medicina al St Thomas’ - dove teneva un corso il cui numero di allievi oscillava tra uno e otto a seconda degli anni - ma collaborava con i dipartimenti di storia e archeologia delle principali università inglesi. Anche se avesse sbagliato una diagnosi, pensai, difficilmente il paziente gli avrebbe fatto causa e questo lo aveva aiutato nel condurre una vita priva di nemici. Fino al giorno prima.
 A quanto pareva, il pomeriggio precedente era stato convocato dal rettore per una riunione ristretta che aveva lo scopo di decidere se espellere dall’università un tale Sherlock Holmes, uno studente fuori corso e dai risultati non troppo brillanti. A quanto pareva, questo Sherlock Holmes aveva affrontato il rettore nel cortile dell’Università accusandolo di aver fatto pressioni per favorire nell’esame finale di specializzazione in patologia una candidata, tale Elizabeth Conner, su un’altra, Molly Hooper. Secondo lo studente, in base a tutta una serie di particolari da lui osservati, era deducibile che la Conner fosse l’amante del rettore.
 Nulla di strano, dunque, che questo Holmes, che immaginavo avventato, sciocco e innamorato dell’altra candidata, si fosse fatto espellere. La cosa strana era che Harrison l’aveva difeso. Negli atti della riunione era riportata la frase con cui era uscito sbattendo la porta.
 - Sherlock Holmes è un genio e l’università dovrebbe farsi un vanto ad averlo tra i suoi studenti.
 Col senno di poi posso affermare che ritenere Sherlock Holmes un genio non porta affatto fortuna.
La scena del crimine era come mi era stata descritta: una casa ordinata, nei caldi toni del legno di ciliegio, tanti libri, un caminetto, due poltrone di cui una palesemente più usata, un violino appoggiato ad una mensola. La casa di un nonno, che nessuno si sognerebbe di uccidere.
 Ero a capo di quella squadra solo da qualche mese, ma tutti si stavano comportando bene. Non che ci fosse molto da fare. Harrison era morto soffocato nel suo stesso vomito durante un attacco convulsivo e prima dei risultati dell’esame tossicologico non avremmo potuto stabilire se fosse o no omicidio. C’era quella biro, certo. Una Bic da pochi cent finita a qualche centimetro dalla sua mano, e la M e qualche altro scarabocchio sul pavimento di legno chiaro. A parte questo e la sedia fatta cadere, la stanza era in ordine. C’erano impronte ovunque, ovviamente, come ci si può aspettare che ce ne siano in una qualsiasi casa abitata prima dell’arrivo della donna delle pulizie. Osservai il morto. Da vivo Harrison aveva avuto probabilmente un aspetto placido e simpatico: un po’ di pancetta, folti baffi grigi, occhiali tondi, non troppo alto e una passione per i cadaveri ben spolpati o debitamente rinsecchiti. 
 - Le ho detto che non può entrare! E’ la scena di un crimine!
 Le parole, gridate, venivano da fuori e la voce era quella di Sally Donovan, la più dotata della squadra, malgrado il suo fare da prima della classe. Il problema doveva essere serio.
 Fu così che lo vidi per la prima volta.
 Col suo immancabile cappotto nero sbottonato, pallido e dritto. 
 Col senno di poi, posso dire di essere stato fortunato, come un appassionato di ornitologia che colga per caso un falco pellegrino posato sul balcone di casa sua, perché aveva in viso un’espressione che mi sarebbe ricapitato di vedere solo due volte. La prima, per pochi secondi soltanto, quando l’anziana con cui stava parlando al telefono era stata fatta saltare in aria. La seconda per un tempo più lungo, quello da me impiegato per togliermi di torno, una mattina in una B&B vicino alla base di Baskerville, quando si accorse che John Watson ce l’aveva ancora con lui per qualcosa capitata la sera prima.
 Questo con senno di poi, però. Quello che vidi allora era un giovane tra i venticinque e i trent’anni che annaspava come se il terreno gli fosse mancato sotto i piedi e mi fece tenerezza. Il più grande errore della mia vita.
 - Voglio vedere il corpo. Subito. - disse.
 - Chi è? - chiesi.
 - Sherlock Holmes.
 - Ah. Quello che ieri Harrison ha difeso.
 - Si. Posso entrare?
 - Mi spiace. No. Era molto legato al professore?
 - Questo è ininfluente. Quello che voglio fare... Lasci stare. Mi arrangio da qui.
 Superò il cordone rosso e bianco, non si diresse verso l’ingresso, ma costeggiò l’edificio, lanciando qualche breve occhiata alle finestre.
 Era strano. Voglio dire, era già strano quel comportamento, ma pensai che fosse sotto shock, l’unica persona che l’aveva difeso era morta. Ho una certa esperienza, purtroppo, nel parlare con persone che scoprono che un proprio caro è appena morto. A volte è meglio assecondarle e stare loro vicine per evitare che facciano qualcosa di stupido.
 - Mi corregga se sbaglio. - disse un attimo dopo.
 - Cosa?
 - Harrison è morto in salotto, è lì che per lo più stanno lavorando i suoi uomini. Trovato al mattino, non troppo presto... Ah, la donna delle pulizie. Dunque niente colpo di pistola o collutazione, in caso contrario i vicini avrebbero sentito e del resto non ci sono segni di effrazione. Un assassino molto silenzioso e dotato di chiavi di casa? Improbabile, Harrison era un uomo prudente, abitando al piano terra aveva porte e finestre blindate e ieri sera, con la pioggia che c’era, aveva chiuso tutto. Solo lui e la donna delle pulizie avevano le chiavi di casa. Altro allora. Veleno? Ma spesso avvelenare un uomo anziano è affare sicuro, nessuno ci pensa, invece siete qui in forze... Ah... Tiene.. Teneva sempre una biro nel taschino, dunque ha scritto qualcosa, per far capire che era stato avvelenato. Come “Murder”.
 Io ero immobile, completamente incapace di parlare, con gli occhi spalancati come quelli di un rospo.
 Dietro di noi Sally Donovan mi faceva dei segni come “bloccalo, bloccalo, è lui!”
 - C’è altro? - chiesi infine, articolando a fatica.
 - Si. - disse lui, dopo averci pensato un attimo - Non è stato un medico.
 - Come?
 - E’ ovvio.
 - Davvero?
 - Ma si, certo. Harrison soffriva di cuore. Tutti lo sapevano in università. Chiunque, persino lei, potrebbe trovare un farmaco o un veleno che causi una crisi cardiaca. Il quel caso Harrison non avrebbe saputo di essere stato avvelenato. Avrebbe cercato di chiamare i soccorsi. Invece no, ha usato i suoi ultimi istanti di lucidità per dirci che si trattava di omicidio. Dunque i sintomi che stava provando non avevano nulla a che fare con le sue patologie. Un medico non commetterebbe mai un errore simile, dunque non è stato un medico. E’ ovvio.
 - Ovvio. - boccheggiai.
 Sally si stava per slogare un braccio a furia di farmi cenni, così le annuii.
 - Adesso l’agente Donovan l’accompagnerà dentro, potrà vedere la scena del crimine, ma non tocchi niente. Poi però dovrà venire con noi in centrale per rispondere a qualche altra domanda.
 Io avevo bisogno di prendere fiato. Sherlock Holmes aveva descritto la scena del crimine senza vederla. O era davvero un genio o era l’assassino più sprovveduto che avessi mai incontrato.
   
 
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