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Autore: Ryoucchi    19/06/2012    2 recensioni
Rin si sveglia una mattina d'aprile e tutto le sembra normale: è una bella giornata, la sua migliore amica, Miku, è in ritardo come al solito e la sua vita non poteva scorrere più naturalmente. Entrata in classe, nota un ragazzo, che non aveva mai visto prima, e che le ruberà il cuore ...
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gumi, Luka Megurine, Nuovo personaggio | Coppie: Kaito/Miku, Len/Rin
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Happiness and tears


E così, a distanza di un anno esatto, iniziò un nuovo anno scolastico. Quante cose erano successe! Dal mio primo incontro con Len a quando mi aveva dato la sua mail; da quando mi aveva abbracciata, seduti sull’erba, a guardare il tramonto, al mio primo bacio; dalle sfuriate con mio padre alle prime piccole conquiste della mia libertà; dal più bel compleanno della mia vita alle cavolate con gli amici; fino ad oggi, dove qualche giorno prima avevamo scoperto che ognuno era finito in classi diverse: io non ero né con Miku né con Len, ma con Kaito. Non ero mai stata abituata a “vivere da sola”: fin dai primi anni di scuola ero sempre stata con la mia migliore amica, e anche alle medie era successo. Ma adesso, per la prima volta, dovevo affrontare un anno scolastico in una classe di sconosciuti. Ora non voglio svalutare Kaito, mi è anche molto simpatico, ma …
C’era sempre quel “ma”, in mezzo, che mi faceva fare un passo indietro. Cercai di prendere la cosa con positività e ottimismo: “Posso sempre vederli alla ricreazione e al cambio dell’ora! E dopo la scuola!”. Già, ma con chi sarei stata in banco? Con chi avrei riso delle stupidaggini dei miei compagni? A chi avrei rivolto il mio sguardo impaurito davanti a un’interrogazione, per ricevere un “supporto morale”? Erano queste le mie vere preoccupazioni, e ancora non avevo trovato una risposta valida.
Scesi dal letto, ancora assonnata, e con le gambe pesanti mi avviai in cucina. Tutto era già in movimento: mamma dava un’ultima ricontrollata alla borsetta, sicura di aver dimenticato qualcosa (infatti, non aveva messo dentro il portafogli), mentre papà passava dal giornale al TG con nonchalance, borbottando di entrambi. Per loro non era cambiato nulla: sembrava una mattina come tante. Io invece ero tesissima! Mi sedetti e cominciai a spalmare di marmellata un toast appena sfornato, ancora caldo.
«Amore, mi sembri nervosa» domandò mamma «Tutto a posto?»
«Sì, sì» dissi con aria indifferente. Ne avevamo già parlato e non volevo darle a vedere che ci pensavo ancora. Non alla mamma. Avrebbe cercato di rincuorarmi per tutta la mattina, e io non volevo.
«Rin» fece papà, continuando a leggere il giornale «Oggi puoi fermarti a fare la spesa?»
«Uhm, sì. Non dovrei avere problemi. Se la mamma ha già fatto una lista basta che me la dia e …»
«Se la trovassi, te la darei» sbuffò, mentre la cercava «Al limite te la do dopo»
«Dopo quando?» chiesi, allarmata. Avevo un terribile sospetto.
«A scuola. Insegno lì adesso»
Panico. Dovevo assolutamente scoprire in che classe insegnava.
«E, prima che tu me lo chieda» disse, anticipandomi «Sono nelle prime, quindi seconde e terze non sono affar mio. No, aspetta, forse una seconda ce l’ho» rifletté un po’, poi aggiunse: «Va bhe, controllerò meglio dopo. Fatto sta che ho trovato la lista: era sotto il divano»
Uscii di casa un po’ più rincuorata, alla notizia che mia mamma non avrebbe insegnato nella mia classe. E non perché era mia madre, ma per la sua sbadataggine. Arrivata alla stazione, Miku era già lì. “Che strano” pensai. Appena mi vide mi salutò e mi corse incontro.
«Sono venuta prima perché avevo voglia di chiacchierare con te» disse. Così, aspettando il treno, sedute su una panchina, iniziammo a parlare del più e del meno.
«Sai che Gumi-chan è nella nostra stessa scuola?»
«Ma dai! Che bello! Quindi … è in prima!!!»
«Perché l’hai detto con quel tono? Ha due anni in meno di noi, non è di certo una novità»
«E’ perché le toccherà avere mia madre come insegnante»
«Ah, ah, ah, ah!» Miku iniziò a ridere, e continuò per un bel po’. Essendo amiche da una vita, avevamo imparato a conoscere anche le rispettive madri, quindi la sua reazione era più che scontata. Salimmo sul treno e non sprecammo nemmeno un minuto: avremmo passato cinque ore distanti l’una dall’altra, dovevamo assaporare ogni secondo come prezioso. Forse ora capisco perché alle medie ci chiamavano “gemelle siamesi”: non ci mollavamo un attimo, sembravamo davvero gemelle. Chissà che questa situazione non si fosse presentata come una cosa “positiva” …
Davanti all’entrata del nostro Istituto riconobbi in lontananza Len e Kaito che si avvicinavano agli armadietti dove cambiarsi le scarpe*. Miku li salutò (più che altro urlò), e ci aspettarono.
Salimmo le scale, e ci preparammo ad entrare ognuno nella propria sezione. Feci “ciao ciao” con la mano a Miku e a Len, poi aprii la porta ed entrai. Mi sedetti al mio posto, in seconda fila, mentre Kaito era in penultima, vicino alla parete. Suonò la campanella e le lezioni cominciarono. Mi sembrava passato un secolo dall’anno scorso, quando il primo giorno di scuola incontrai Len. Ma ora dovevo solo pensare ad impegnarmi e a studiare per gli esami.
Anche quest’anno ero capoclasse, assieme a un ragazzo, di nome Takumi, se non vado errato. Il resto della giornata, d’altra parte, scorse piuttosto noioso, anche perché in terza non è che si perdesse più tanto tempo a chiacchierare delle vacanze: oltre agli esami di fine trimestre, c’erano quelli per l’ammissione all’università, ed era un bel pacco di studio. Così, all’intervallo, uscii assieme a Kaito nel corridoio per raggiungere gli altri.
«Com’è andata?» chiese Kaito.
«Io sono capoclasse» disse Len.
«Anch’io!» esclamai «Mentre Miku …»
«No, quest’anno mi hanno soffiato il posto» brontolò «Una ragazza è stata più veloce di me»
«Che ne dite se andiamo a salutare Gumi?» proposi. In fondo era amica di tutti.
«Bell’idea» commentò Kaito. Così scendemmo al primo piano, dove c’erano le prime. La vedemmo subito: aveva già fatto amicizia (come c’era da immaginarsi) e stava allegramente chiacchierando con due ragazze. Appena ci vide ci venne incontro salutandoci.
«RIN-SENPAI! MIKU-SENPAI» e ci saltò addosso. Gumi non si smentiva mai.
«Ora che siamo nella stessa scuola ci chiami senpai*. E prima?» scherzai.
«Se vuoi ti chiamo Rin-chan, ma a scuola sarebbe strano …»
«Stavo scherzando! Se una mia kōhai* vuole chiamarmi senpai* per me va bene» sorrisi.
«Perché non ci presenti le tue amiche?» chiese Miku.
Ci stavamo divertendo, poi però, purtroppo, suonò la campanella.
«Dobbiamo andare» disse Len «Oggi pomeriggio riesci a venire? Tua sorella ha detto che ha finito di correggere il brano nuovo …»
«Sì, sì, non ci sono problemi. A che ora?» chiese Gumi.
«Uhm, a un quarto alle cinque va bene?»
«Perfetto! Così anche Luka è libera. Tu Kaito puoi venire, vero?»
«Sì, sì. Potete venire anche voi due» disse, indicando me e Miku.
«Che bello» disse Miku.
«Ah! Io ho delle compere da fare, ma se vado presto e mi sbrigo posso farcela» aggiunsi.
«Perfetto! A dopo allora» fece Gumi, allontanandosi.
Tornammo in classe, e io attesi trepidante la fine delle lezioni. Dovevo sbrigarmi, se volevo sia andare a fare la spesa, sia a vedere le prove della band di Len.
DIN DON! In certe occasioni quel suono sapeva salvarmi la vita. Corsi alla stazione, poi a casa. Mangiai di fretta, feci i compiti e guardai l’orologio: le tre e mezza. Scrissi l’ultima parte del tema di giapponese a velocità super-sonica, salutai e uscii per andare a fare la spesa. Mentre pedalavo al konbini* più vicino, pensai: “In fondo non è stato poi così orribile questa giornata, la credevo peggiore”.
Afferrai le cose dagli scaffali senza badarci troppo e le misi nel cestino. Pagai e tornai a casa per metterle via. “Ventiquattro ore sono poche!” questo pensai. Ora erano le quattro, e sapevo che per arrivare fino allo stabile ci voleva un quarto d’ora, senza traffico. Per fortuna era lunedì pomeriggio e di automobili non se ne trovano molte. Entrai dalla porta nera, anch’essa sporca di scritte fatte con la bomboletta, salutai Fukuda e mi diressi al secondo piano, dove c’era la sala prove. Aprii la porta: non c’era nessuno. Così mi sedetti sul divanetto e aspettai l’arrivo di qualcuno. Non mancò molto che la porta si aprì ed era …
«Luka!» esclamai.
«Rin-chan! Sei in anticipo»
«Anche tu, del resto» commentai sorridendo.
Luka era davvero una ragazza simpatica. Matura e saggia, sapeva comportarsi da brava senpai* e con Gumi era anche come una seconda mamma. La rispettavo molto. E la stimavo.
«Allora» attaccò «Come vanno le cose? Tra te e Len, dico»
«Tutto bene. Ci amiamo e siamo felici di poter stare insieme, è questo che conta»
«E tuo padre?»
«Mah, all’inizio, come ben sai, era proprio contrario. Poi è passato allo stadio “fa’ come ti pare ma io non approverò mai”. Insomma, ormai è quasi un anno che siamo fidanzati, e sembra aver perlomeno “accettato” la cosa. Non fa i salti di gioia, ma quando mi vede felice per qualcosa che ci riguarda, anche lui sorride» arrossii. Non mi era mai capitato di parlare di queste cose “importanti” così apertamente con qualcuno. Forse lo feci perché lei era Luka.
«Bene» sorrise «Mi fa davvero piacere»
«E tu? Ce l’hai il ragazzo? Non ti sento mai parlare di queste cose …»
Luka sgranò gli occhi e notai che era arrossita. Questo lato di lei ancora non l’avevo scoperto.
«Bhe, ecco … più o meno»
«Che significa “più o meno”?»
«Che lui a me piace, e probabilmente anch’io a lui, andiamo molto d’accordo, e ci divertiamo …»
«Hai paura di fare il primo passo?» intuii.
Luka annuì. Si guardò un po’ intorno, poi si alzò e disse: «Sarà meglio che vada a vedere se mia sorella è arrivata, altrimenti mi toccherà andare a prenderla» e uscì dalla stanza.
Conoscere le persone ti fa scoprire lati del loro carattere che non t’immagineresti” pensai. Aveva cercato di fare l’indifferente, ma si notava che questo ragazzo doveva piacerle molto.
Dopo pochi minuti arrivarono anche gli altri, e iniziarono a provare. Dovetti tener ferma Miku sul divanetto per impedirle di saltare e urlare per la stanza, come quella volta al concerto. Provarono tutto il loro repertorio: da canzoni tristi, strappalacrime, a quelle allegre, gioiose; da quelle romantiche a quelle della serie “mi hai spezzato il cuore”. Li avrei ascoltati per ore, senza mai stancarmi.
«Migliorate sempre di più» dissi infatti, quand’ebbero finito.
«Grazie, Rin-sensei» fece Gumi, scherzando «Ho sbagliato qualcosa?» chiese poi.
«Uhm … Mah, forse fai ancora un po’ di fatica nei punti veloci, e non riesci a tenere perfettamente il tempo assieme a tua sorella» commentai «Ma non è nulla di così grave, solo un orecchio esperto se ne accorgerebbe: quelli che vengono a sentirvi di certo non se ne preoccupano»
«Ah beh» commentò Kaito «Mi è capitato, una volta, di prendere una nota sbagliata, un errore tremendo (ricordo ancora la faccia di Len e quella di Luka). Però poi fuori mi hanno pure fatto i complimenti per come avevo cantato bene» disse, e ridemmo tutti insieme. Erano le sei e venticinque quando decidemmo di tornare a casa. Miku, Gumi e Luka si allontanarono insieme, e Kaito le seguì, visto che doveva parlare con Miku. “Mi farete venire il diabete, uno di questi giorni: siete troppo sdolcinati” dissi una volta alla mia migliore amica.
Rimanevamo solo io e Len.
«Vuoi che ti accompagni a casa?» chiese.
«Molto volentieri»
Ci avviammo, con le bici sottomano, a piedi, lungo la riva dello stesso canale di quando lui mi aveva abbracciata. E anche oggi c’era il tramonto. Vidi il suo sguardo posarsi sull’acqua, che rifletteva gli ultimi raggi del sole. Il vento gli scompigliava i capelli, e io non potevo fare a meno di trovarlo bellissimo.
«Ti ricordi, quella volta? Come oggi ti stavo riaccompagnando a casa …»
«Già … Se non sbaglio, era … il nostro primo appuntamento, vero?»
«Bhe, se vuoi definirlo così, allora sì»
«E come vorresti chiamarlo, altrimenti?!»
«Hai ragione» disse, e ci scherzammo su. Poi si voltò e aggiunse: «Sai, da allora sei diventata ancora più bella. Non che non lo fossi anche prima, certo, quello che volevo dire, ehm …»
Lo presi per il colletto della camicia e lo baciai.
«Ti amo tanto, lo sai?» dissi.
«Sì, anch’io. Eppure, non riesco ancora a credere di essere così fortunato di aver incontrato una persona fantastica come te, Rin»
 
Quella sera ero più allegra del solito. Mi proposi addirittura di lavare i piatti, nonostante avessimo una lavastoviglie.
«Rin, stai bene?» chiese mia mamma scherzando. Ero così felice che avrei potuto fare le pulizie anche se questo significava star sveglia fino a mezzanotte (e io sono una gran dormigliona).
«Mamma» dissi con tono solenne, avvolgendole un braccio attorno al collo «non sono mai stata meglio di così!»
«Eppure stamattina pareva tutto il contrario …»
«Stamattina era stamattina!» dissi, facendo schizzare in aria la schiuma dai guanti e dalla spugna che reggevo «Questa giornata ha portato solo cose belle!»
«Mi fa piacere. Io invece ho avuto una giornata …»
«A proposito!» esclamai, illuminandomi «Hai per caso avuto l’onore di conoscere una certa Megurine Gumi, stamattina? Se non sbaglio è nella sezione 2 …»
«Infatti» disse, sospirando «E’ proprio a lei che mi riferivo con “ho avuto una giornata”»
«Perché, che ha combinato? E’ una così brava ragazza …»
«Non lo metto in dubbio! Ma quanto parla …»
Mi misi a ridere, e fu difficile smettere. Dovevo immaginarlo, quale fosse il problema: Gumi era così solare, vivace, allegra, energica e … loquace. Difficilmente riuscivamo a farla stare zitta, solo le occhiatacce di sua sorella riusciva ad avere un “effetto calmante” su di lei. La intimorivano parecchio …
 
Passarono le settimane, e io mi ero ormai abituata alla mia “nuova situazione”. Avevo anche fatto amicizia con delle ragazze nella mia classe. Questo mi permise di allargare i miei orizzonti. Scoprii anche che due di loro, in particolare, erano fan sfegatate dei “Vocaloid”, la band di Kaito, Len, Luka e Gumi. Quando infatti scoprirono che il cantante, il batterista e la bassista del loro gruppo preferito erano nella loro stessa scuola, erano al settimo cielo. Stavamo parlando di loro, un giorno, quando una di loro disse, con aria sognante, che secondo lei Len aveva un carattere ombroso, da “tipo misterioso” (in fondo non era uno a cui piaceva mettersi in mostra). L’altra, invece, sosteneva che lui fosse un ragazzo simpatico, solo un po’ riservato. E quando io commentai con un “Già, ha ragione lei”, mi fissarono con sguardo interrogativo. A quel punto fui “costretta” a dire loro che era il mio ragazzo e che ero grande amica di tutti gli altri componenti. Da lì scattarono un mucchio di domande, da vere fan appassionate.
Non è che io avessi voluto tenere nascosto il mio rapporto con lui, solo non era quel tipo di persona che andava a sbandierarlo in giro.
 
Un pomeriggio, era maggio, stavo andando a lezione di violoncello. Come sempre, ascoltavo col mio lettore mp3 il brano che avrei dovuto suonare per esercitarmi. Mentre guardavo a destra, in direzione dello stabile, mi accorsi di due persone, in lontananza, che parlavano. Ci feci caso perché una di questa assomigliava in modo impressionante a Len. Stavo per proseguire lungo la mia strada, ma ero troppo curiosa di sapere se era veramente lui oppure no. Così, restai lì ad attendere che i due si avvicinassero. Quando furono abbastanza vicini, conobbi la verità: quello era proprio Len, e accanto a lui c’era una ragazza che non avevo mai visto. Era davvero carina: alta quanto lui, i capelli a caschetto con la frangetta marroni e indossava la nostra uniforme. “Sarà una sua nuova compagna di classe” ipotizzai. Stavo per raggiungerlo e salutarlo quando vidi che si stavano abbracciando*.
Lasciai cadere la borsa per terra, assieme al lettore mp3 che reggevo in mano. Sgranai gli occhi e non sapevo che fare: volevo correre via, scappare, ma i miei muscoli non volevano saperne di muoversi. Poi vidi Len prenderle la mano* e continuare a camminare. Stavano per raggiungermi e io ero lì, in mezzo alla strada, con le lacrime che mi scendevano copiose, e le mie cose cadute per terra. Le afferrai, stavo per tornare indietro quando sentii la sua voce chiamarmi: «Rin?»
A quel punto non ce la feci più e scappai, scappai via. Io mi fidavo di lui, ciecamente. Avrei messo la mano sul fuoco sulla sua fiducia, e invece …
Una parte di me continuava a dirmi: «Mica l’hai colto sul fatto! Poteva benissimo essere una sua amica»
L’altra invece confermava i miei sospetti: «Andiamo! Prima si abbracciano, poi lui le prende la mano. Cosa vuoi di più? Una confessione scritta?!»
Mi fermai, per riprendere fiato. Annaspavo, e il caldo soffocante di quel girono non aiutava di certo.
“Perché sono venuta proprio qui?!” mi chiedevo, scoprendo che ero finita lungo il canale, vicino al ponte, dove erano successe tutte quelle cose che fino a pochi minuti fa mi avrebbero fatto gioire. Mi sedetti, sull’erba, e mi misi ad osservare l’acqua. Pensai e riflettei a lungo, fino a che non presi la mia decisione. Ma tu eri già qui. Rimasi impassibile, e continuai a fissare il canale. Avresti cercato di convincermi che non era niente, che per te ero importante solo io, che lei non significava nulla, eccetera eccetera. Io ti avrei lasciato parlare e ti avrei risposto dicendo che la fiducia, una volta persa, non si riguadagna più, o comunque è un cammino troppo difficile da affrontare.
Come sempre, tu hai saputo sorprendermi, anche questa volta …
«Sai» attaccasti «Ultimamente abbiamo riscosso un discreto successo, come band, dico» facesti una pausa, poi ripartisti «Non sapevo di essere così popolare! In fondo è il cantante quello al centro dell’attenzione, o il chitarrista. Chi è alla batteria, o al basso, spesso ha poca considerazione. Invece devo ammettere che io sono uno strappo alla regola» prendesti poi un lungo respiro «Non te ne ho mai parlato, ma dopo i concerti mi ritrovo con un pacco così di lettere. A volte persine con dei dolci»
Io continuavo a stare in silenzio, con lo sguardo che seguiva la superficie dell’acqua.
«Oggi una di queste, che oltretutto è in classe mia, mi ha mandato un bigliettino chiedendomi di incontrarci perché doveva parlarmi di una cosa. Così le ho dato appuntamento davanti allo stabile, e ci siamo messi a camminare. Si è dichiarata, sai?»
Odiavo il tono con cui mi parlavi. Era così “spensierato”, per nulla preoccupato.
«E io le ho detto: “Miho, sei una ragazza davvero carina, sai? Di sicuro non ti sarà difficile trovare un ragazzo che ti sappia apprezzare nel modo che meriti; perché, vedi, io ho già trovato la ragazza che dei miei sogni, che voglio rendere felice, e non potevo chiedere di meglio”. Così l’ho abbracciata, per consolarla, e lei ha ricambiato con un sorriso. Le ho preso la mano e lei mi ha detto “Non scusarti, va bene così. Lo vedo dagli occhi che sei profondamente innamorato di questa persona. E’ davvero una ragazza fortunata”. Ma, Rin? Come mai ora piangi?» aggiungesti sorridendo.
Già a metà discorso sentii le lacrime scendermi sulle guance, ma adesso erano proprio fiotti. E io che avevo subito pensato male! “Ho avuto troppa paura di perderlo, prima, ecco perché sono scappata e non sapevo che fare” pensavo mentre mi parlava. Piangevo perché ero felice di aver scoperto la verità; piangevo perché ero arrabbiata con me stessa e per la mia poca fiducia; piangevo per le parole che aveva detto; piangevo … piangevo perché non riuscivo a fare altro.
«Scusami» riuscii a dire mentre singhiozzavo.
«E di cosa?» sorridesti.
Mi prendesti il volto fra le tue mani, mi accarezzasti la testa e mi abbracciasti, stringendomi a te, al tuo petto. Sentivo il tuo cuore battere, e scoprii che, nonostante ti presentassi calmo, anche il tuo batteva all’impazzata, proprio come il mio.
«Perché tu sei così perfetto, mentre io sono piena di difetti?!» mi domandai.
Len mi allontanò un attimo da sé per guardarmi in faccia. Con sguardo incredulo disse: «Davvero?! Sai che non me n’ero nemmeno accorto?»
Io risi e poi lo baciai. Quel ragazzo, come disse Miku, fu la mia benedizione. Non solo: diventò la mia vita.
 
 
Spazidell’autrice: Settimo capitolo |*w*| spero di non avervi annoiato, e invece di avervi fatto emozionare, un pochino, o almeno divertire. Gli shōjo sono un mondo apparentemente facile, e invece … beh, che dire?! Io sono piuttosto soddisfatta di com’è venuta e sette mi sembra un buon numero. La nostra storia potrebbe benissimo finire qui, e invece sento il “bisogno” di aggiungerci un piccolo “special”, un bonus, sottoforma di ottavo capitolo. Data la mia indecisione tra i numeri 7 e 8, ho deciso di optare per entrambi ^^ : la storia in sé finisce qui, ma se qualcuno è ancora curioso e vuole sapere come andrà in futuro, allora c’è il capitolo 8. ma ora basta parlare dei miei pensieri, piuttosto, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION, perché, sapete, conoscere il vostro pensiero, la vostra opinione, mi farebbe no piacere, di più \^^/ ancora un grazie grande grande per i complimenti ricevuti *inchino di ringraziamento* e, se questa storia vi è piaciuta, date un’occhiata anche agli altri miei “lavori” ^^ ancora grazie e a presto ;D
 
*Note
Gli armadietti dove cambiarsi le scarpe = in Giappone non si entra a scuola con le stesse scarpe con cui si va in giro, se avete visto/letto qualche anime/manga ve ne sarete di certo accorti. Appena davanti all’entrata, ci sono gli appositi armadietti dove riporre le proprio e scarpe e prendere quelle che si usano per stare a scuola.
 
Senpai e kōhai = “Senpai” si usa per i compagni più grandi, anziani, mentre “kōhai” per quelli più giovani. Oltre che a scuola, sono usati tra colleghi di lavoro o comunque con persone più grandi/più piccole.
 
Konbini = minimarket
 
Vidi che si stavano abbracciando; Vidi Len prenderle la mano = c’è da sapere che in Giappone, il contatto fisico, è una cosa piuttosto … rara. Noi italiani siamo abituati ad abbracciarci, salutarci calorosamente, insomma, anche in pubblico, perché no. In Giappone invece non è una cosa così naturale, nemmeno tra parenti stretti, come genitori e figli. Per questo quando Rin li vede abbracciarsi e poi vede Len prendere la mano della ragazza pensa subito al peggio.
   
 
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