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Autore: Clio_96    19/06/2012    4 recensioni
Alcune storie possono lasciare perplessi. Sono non soltanto spunti di riflessione, ma vere e proprie sfide per un autore. Una storia in cui i due protagonisti si scambiano, e i confini tra due dimensioni spazio/temporali simili ma non uguali sono davvero irrisorii, può essere o ammirata o odiata. Come per molte altre cose, non è soggetta a mezze misure. Se volete scoprire come i vari segmenti delle storie, e quindi delle vite, si danno la mano e diventano consecutivi, vi consiglio di proseguire. Buona lettura.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                  Un tuffo nell’acqua
Premessa
Questo lavoro nasce da un esercizio di scrittura creativa. In un racconto spesso capita che l’autore volutamente scambi velocemente i personaggi agenti per coinvolgere e catturare maggiormente i lettori. Ma cosa avviene se la linea che divide diversi personaggi è talmente sottile da essere connessa ad un odore, un colore, un’atmosfera particolare, una sensazione? Prestate molta attenzione alle azioni, è facile seguire il filo se si inquadrano fin da subito le cornici e le persone. E con questo monito sibillino vi auguro una buona lettura. ;)
                                                                                                    Clio, l’autrice
 
 
 
 
In una calda mattina primaverile, Massimo non trovava al mondo alcuna ragione plausibile che potesse convincerlo dell’utilità di una mattinata a scuola piuttosto che di una passeggiata in centro o di una visita alla sala giochi. Tuttavia c’era un piccolo e innocente pensiero fisso che lo spingeva ad alzarsi, vestirsi e poi correre verso la fermata dell’autobus: Sabrina.
Da qualche mese a questa parte, lui viveva per vederla quotidianamente a scuola, e osservarla senza che lei si accorgesse di nulla. Si alzò a sedere sul letto e poi scese coi piedi per terra, cominciando a frugare nel cassetto in cerca di qualcosa da mettere. Dopo nemmeno dieci minuti era in strada, fermo in attesa dell’autobus, mentre la giornata procedeva serena per tutti, dopotutto era una fresca mattina in cui i vicini innaffiavano i fiori ed irrigavano l’erba del giardino. –“ Fffshhh Fffshhh”. Il getto dell’acqua del citofono doccia scosse Massimo dal sonno, e lo costrinse a strofinarsi la faccia per cacciar via le lacrime. Sentiva al tatto la barba ispida e non curata, che non radeva ormai da settimane. Uscendo dal bagno, con addosso l’accappatoio, lo squallore della visuale gli smorzò quasi il respiro: il letto disfatto, la specchiera a terra in mille frantumi, l’armadio a due ante spalancato senza più alcun vestito sulla parte sinistra, dove prima dominavano gli indumenti variopinti della sua donna, e a terra, appallottolata, una lettera di licenziamento che lui aveva tentato inutilmente di nasconderle. Si vestì con quella camicia e quei jeans che ormai teneva su da giorni, e si gettò giù correndo per le scale, fino a raggiungere il garage. Aprì la portiera della macchina e si abbandonò sul sedile anteriore, chiudendo gli occhi e inspirando a fondo l’odore della pelle immacolata. Era intriso di fumo di sigaretta, sudore e deodorante per ambienti …. logico, cosa ci si doveva aspettare da uno scalcagnato mezzo pubblico? Massimo odiava prendere sonno prima di arrivare a scuola, ma a 17 anni alzarsi alle 6 e 10 non era mai piacevole; e poi doveva sopportare tutta la mattina di avere la bocca impastata dal sonno e i crampi allo stomaco per la mancata colazione. Vivere da soli non era facile, ma se tuo padre era sparito quando avevi due anni, e tua madre si era voluta liberare del suo ultimo ricordo di quel matrimonio accettando un lavoro in un altro continente e lasciandoti a vivere da solo, dichiarandoti, per così dire, “minorenne emancipato” , quando ancora non sapevi nemmeno far bollire l’acqua in una pentola, c’era poco altro da fare. Tumf, tumf, tumf….. chissà quante altre buche avrebbero fatto saltellare l’autobus prima della destinazione. E chissà quanto ancora il notaio dell’ufficio espropri avrebbe martellato in giardino sul cartello “VENDESI”, perché Massimo non aveva più i soldi per pagare le tasse. A 35 anni suonati, l’emicrania lo colpiva rapida e crudele, come mille aghi conficcati in testa. Massimo girò la chiave, diede gas al motore e si avviò verso l’uscita a retromarcia, mentre la saracinesca del garage si alzava automaticamente. Finì quasi per investire il notaio, fermo a fissarlo sul vialetto, ma poi sterzò e voltò a sinistra, diretto al lungomare. Abbassò un finestrino e cominciò a inspirare la vicina aria salmastra. Dopo 500 metri, avvicinandosi al porto, percepì il pungente odore di pesce. Un’altra cosa che Massimo non sopportava era che il pescivendolo scegliesse sempre il sedile dell’autobus dietro il suo, così che in nessun modo il ragazzo poteva sfuggire a quel tanfo immondo, che dava la nausea di prima mattina. Ma ormai erano quasi arrivati al ponte di quercia, oltre il quale stava la sua scuola. Il manto verde degli alberi abbelliva quello scenario da libro di racconti. Verde. Si, appena scattò il verde del semaforo, Massimo oltrepassò l’incrocio e accostò sulla destra, parcheggiando a fianco del marciapiede. Davanti a lui, il ponte di quercia, desolato alle cinque del mattino di un caldo aprile del 1996. L’acqua scura gorgogliava calma e profonda, accennando toni tra il blu e il nero pece, dove il sole non illuminava ancora entrambe le sponde della riva. Massimo prese allora una decisione, sporgendosi malinconico da quel parapetto di ferro sul ponte di quercia: non avrebbe rivisto quell’acqua mai più se non per un sordo, veloce, indolore e liberatorio ultimo tuffo. Uguale a quelli di quando era ragazzo e scherzava con gli amici, facendo lo sbruffone per conquistare le attenzioni di Elisa, quella donna che aveva lasciato il vuoto nell’armadio di casa, e nel suo cuore. Solo che quello era l’ultimo. Una porta senza serratura che si apriva una sola volta. Dentro o fuori. A galla o a fondo. Come nella vita. Via. Quello era il senso delle parole di Sabrina, come le aveva sentite Massimo mentre lei parlava con la sua migliore amica del futuro dopo il liceo. Andarsene via per sempre. Suo padre, il suo omonimo, Massimo Leonardi, aveva di sicuro pensato qualcosa del genere, quando nel 1996 aveva preso la decisione di sparire senza lasciare tracce, alle 5 di una mattina di aprile. L’autobus solcò il ponte di quercia, e a metà percorso un boato fragoroso scosse tutto il mezzo, che si inclinò bruscamente e precipitò nella voragine che si era aperta al centro del vecchio ponte. Per entrambi, per i due Massimo Leonardi, una calda mattina di aprile, era stata solo un ultimo tuffo nell’acqua.
 
 
Writer Place
Ringrazio tutti i lettori per essere arrivati fino alla fine di questo racconto. Il genere prettamente drammatico non è nelle mie corde solitamente, diciamo che questa è un’eccezione il cui risultato mi ha soddisfatta. Spero vivamente che vogliate farmi avere il vostro parere su questo “esercizio narrativo” e soprattutto sono aperta agli elogi ed in particolare alle critiche, poiché in particolare in questa occasione riconosco la difficoltà della piena comprensione della tecnica utilizzata per esporre una storia dall’intreccio fondamentalmente banale, quasi inverosimile e paradossale, resa però degna di attenzione dal continuo scambio di scene, tempo, luogo e personaggio. Dedico il mio lavoro al mio amatissimo F., che per me c’è e ci sarà sempre; ringrazio del loro affetto costante Blackrose_96, Kristen Williams, Vittorio Blackrose, Non sono una scrittrice e la nuova amica Aven90 per le loro gentili recensioni e la loro scrittura ispiratrice.
Con immenso affetto,
Clio
  
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