EVERYTHING IS FULL OF YOU
- ALIHOLMES -
Non
puoi
immaginare quanto sia difficile, quanto sia maledettamente complicato
ritrovarmi a pensare a te ogni dannato istante. Ma tu sei un detective,
lo
capisco. Comprendo che tu sia impegnato, che tu metta il tuo lavoro
davanti a
qualunque cosa, ma non avrei mai immaginato che io venissi addirittura
dopo
cadaveri e criminali. Che alta considerazione che hai di me, Shinichi!
Sarà meglio
che esca a fare due passi, per rinfrescarmi le idee. Chiudo la porta
dell’agenzia di papà e inizio a camminare, anche
se non sto dove sto andando.
Il vento fresco mi scuote i capelli e mi fa bene. Mi impedisce di
pensare a te.
A come te ne sei andato, senza una spiegazione. Non te l’ho
mai detto, ma alla
scusa del “caso complicatissimo in cui sono impicciato da
un’eternità” non ci
credo neanche un po’. Mi fa male capire che mi reputi tanto
stupida. Ma se
menti un motivo ci deve essere: forse mi sentirei meglio se lo sapessi.
O forse
è per questo che mi nascondi così la
verità senza neanche degnarti di inventare
una scusa decente, un movente
perlomeno credibile?
Una volta ci
dicevamo tutto. Adesso sembriamo così distanti
l’uno dall’altra… E non parlo
solo del fatto che probabilmente siamo a chilometri di distanza. Non mi
racconti più niente di te. In questo momento darei tutto per
sentire la tua
voce. Ascolterei persino una delle tue noiose storie su Sherlock
Holmes, e sai
che non le sopporto.
Vorrei non
doverti pensare ogni singolo istante. Voglio dimenticarti, Shinichi.
Voglio
togliermi dalla testa i tuoi morbidi capelli color cioccolato, i tuoi
lineamenti perfetti, il tuo naso piccolo e dritto, le tue labbra
regolari e
rosa come i fiori di ciliegio in primavera, la tua pelle chiara e
delicata, il
tuo fisico asciutto, da perfetto calciatore quale sei, anche se hai
smesso di
giocare. E i tuoi occhi… Non voglio pensare ai tuoi occhi,
così azzurri e magnetici…
Scuoto la
testa, cercando di liberarmi del pensiero di te, ma appena mi guardo
intorno mi
accorgo che è impossibile. Non c’è
luogo a Tokyo che tu non abbia contaminato
con un gesto o con una parola, non c’è centimetro
che tu non abbia ricoperto
con la tua essenza.
In quel
palazzo ci siamo andati insieme perché io ti avevo detto che
c’era un fantasma
e tu, da bravo detective quale eri, anche se eravamo ancora alle
elementari, mi
avevi detto che non era assolutamente possibile; quella rastrelliera
era quella
a cui legavi la bicicletta quando venivi a giocare da me; quella casa
sull’albero era quella in cui ero rimasta intrappolata e tu
eri venuto a
salvarmi, essendo stato l’unico ad intuire dove potessi
essere; quello era il
negozio dove andavi per comprare il tuo gelato preferito.
Sai cos’è
buffo? Innanzi tutto, che sto parlando di te come se fossi morto. E,
secondo,
che il mio subconscio mi ha trascinata fino a casa tua. Entro, senza
pensare.
Tolgo le scarpe, anche se non posso fare a meno di notare quanto sia
inutile:
casa tua è davvero un porcile. La polvere è alta,
ma non ci faccio caso e mi
dirigo verso la tua stanza preferita della grande villa: la biblioteca,
il tuo
quartier generale.
Quando entro,
rimango a bocca aperta: la stanza è pulita, libera dalla
polvere e dalle
ragnatele, come se ogni tanto tu tornassi qui e la curassi. Ma mi rendo
conto
che è impossibile: ti avrei notato, no? O comunque, saresti
venuto a salutarmi,
ho ragione?
Mi siedo alla
tua scrivania, guardandomi intorno. Qui dentro ti sento forte e chiaro,
come
un’impronta fresca sul fango dopo un acquazzone. Ti vedo
ovunque poso lo
sguardo. Le lacrime mi bruciano gli occhi. Non voglio più
piangere, Shinichi,
non voglio soffrire più. A volte ti sento così
vicino che immagino che tu sia
lì, sotto il mio tetto, che mi sorvegli e mi proteggi. Ma
quando mi sveglio, tu
non ci sei mai.
Le lacrime
lottano furiosamente per uscire. Non riesco più a
trattenerle, non ne ho le
forze.
La mamma mi
aveva avvertito. Non innamorarti mai di
un detective, mi aveva detto. Ti
creeranno solo problemi. E, ancora una volta, aveva ragione.
E allora
perché non riesco a dimenticarti? Perché ti amo.
Sembra facile a dirsi, ma non
è affatto così. Sono stanca di essere la Penelope
della situazione: i Proci mi
assillano, mi dicono di dimenticarti, di buttare al vento i ricordi di
una
vita. Ma io li scaccio, perché sono sicura che prima o poi
tornerai da me. E
io, nell’attesa cucirò e disfarò quante
tele sarà necessario cucire e disfare.
Perché ti amo, Shinichi.
Sto ancora
ripensando alla scenata che mi hai fatto ieri sera al telefono.
“Ran…”
“E non venirmi a raccontare del solito caso
irrisolvibile! Quante volte mi hai detto che il delitto perfetto non
esiste? Be’,
devi aver trovato pane per i tuoi denti, mio caro Holmes!”
Quella
maledetta uscita al Tropical Land, quel maledetto omicidio…
Ma cosa vado a
pensare, qui l’unico a cui dare la colpa sono io. Io, che ho
seguito quell’uomo,
lasciandoti lì da sola; io, che non ho controllato che non
avesse complici nei
paraggi; io, che continuo a farti soffrire e che, come uno stupido
egoista non
riesco a lasciarti andare. Potresti dimenticarmi, trovarti un ragazzo
più
sincero e affidabile di me, e vivere felice per il resto della tua
vita. Ma so
che non lo farai, e non so se esserne dispiaciuto o immensamente felice.
Sono qui
nella tua camera. Ci vengo spesso, quando non ci sei. Mi sdraio sul tuo
letto e
mi metto a fissare il soffitto. Ancora una volta mi troveresti
ridicolo, qui,
sulle tue lenzuola rosa. Sento il tuo profumo forte e chiaro, la tua
stanza ne
è impregnata a tal punto che immagino che tu sia alla
scrivania a fare i compiti
di algebra o trigonometria. Due materie che odi. Quei compiti li
abbiamo sempre
fatti insieme, perché io me la cavavo abbastanza. Tu mi
aiutavi nelle materie
artistiche, dove io sono una frana. Eravamo - anzi, siamo - una squadra
impeccabile. Mi mancano quei momenti. Adesso non riesco a fare altro, a
pensare
a quanto mi manchi la mia vecchia vita, a quanto mi manchi tu.
Mi alzo ed
esploro quello che è il tuo mondo. Sono stato in camera tua
milioni di volte
quando ero Shinichi, ma mai l’ho osservata attentamente
quanto con gli occhi di
Conan. La tua scrivania è ordinata. Sei sempre stata
estremamente precisa, a
differenza di me. In un angolo i libri di scuola, impilati
l’uno sull’altro, e
un portapenne. Al centro una foto incorniciata: noi due, quel maledetto
giorno
al Tropical Land, sorridenti.
Ti prometto,
Ran, che torneremo a sorridere insieme. Sconfiggerò quella
dannata
Organizzazione, metterò a ferro e fuoco il Giappone se
sarà necessario. Ma
tornerò da te, in un modo o nell’altro.