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Autore: Melchan    05/01/2007    9 recensioni
-Avere dipendenza da una persona e non riuscire a…a…non riuscirci. – Non mi viene, quella parola. Quella parola che non so nemmeno se esista davvero, perché quel qualcosa che Akito ed io siamo non ho mai capito come si possa chiamare. Perché certo, io amo Akito. E Akito ama me. Ma non termina qui, la cosa. Non è semplice “amore”. Sarebbe troppo facile. No, non si risolve con un “amo” e “ama”. POV SANA
Genere: Malinconico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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A LEI

A LEI

(POV Sana)

A lei che sa capirti

come sei

a lei che non tradì

a lei che dice si

quando vuoi

Ma chi me l’ha fatto fare di venire, oggi?

Il parco è pieno come non mai, e fa un caldo asfissiante.

Naozumi non è nemmeno in Giappone, quindi non può farmi compagnia come secondo single…così mi tocca fare la reggimoccolo a tutte le coppie presenti.

- Sana, lo vuoi il gelato? O preferisci una cioccolata?-

Tsuyoshi, come al solito, si incarica di tutti i compiti più gravosi, come fare la fila al bar, affollatissimo di domenica pomeriggio.

-Tsu, guarda che posso andare anche io, vedrai che ce la farò!-

Dico, per convicerlo a sedersi accanto alla tra poco sposa Aya e non agitarsi correndo qua e là, timoroso di farci aspettare troppo.

Vinco la battaglia e vado a prendere i dolci per tutti al bancone.

Quando torno, lei si è già sistemata accanto ad Akito, e gli friziona la maglietta sporca di coca cola.

Akito fa finta di trovarle seccanti, lei e le sue premure guarnite di rimproveri bonari, ma in realtà lo sappiamo tutti che adora quando lo sistema in questo modo.

- Non ho tre anni, sai Matsui?-

- Dacci un taglio, Akito, lo sappiamo tutti che senza Fuka non ti allacceresti nemmeno le scarpe al mattino, ormai. –

Dice Tsuyoshi ridendo, e la risata si espande a tutto il tavolo, Fuka compresa.

Rido a bocca aperta, conscia che quando lo fai le risate sembrano meno artefatte.

Akito le dà una bottarella sulla spalla.

- Lo trovi così divertente?-

- Sì, senza dubbio.-

Gli risponde subito, senza esitazione, rubando la sua lattina di coca e poggiando le labbra sulla cannuccia, riposizionandola, appena finito di bere, tra le sue.

Dio, perché è così più semplice non odiarla quando non li vedo insieme?

Quando penso a tutto il bene che può fargli senza dover scoprire che ho ragione?

Senza avere la prova dei suoi sorrisi divertiti, proprio di Akito il musone, quelli che nasconde ma so che sente nella gola e vedo ingoia con la coca-cola.

Senza vedere come il viso di Fuka è disteso e privo di preoccupazioni, beato del solo sapere che Akito è seduto finto annoiato accanto a lei, il cuore contento che le esce dagli occhi luminosi, che l’unico corpo nudo che hanno visto è il suo, lei che non ha mai vibrato di piacere sotto nessuno a parte lui e un vero incidente di percorso chiamato “scappatella” non sa nemmeno cosa sia.

Senza vedere come accetta sempre e comunque tutti i tocchi, voluti o meno, con cui Akito la sfiora.

Senza avere la consapevolezza dell’amore fatto poco prima che arrivassimo sotto casa loro, colpevoli le sue guance ancora rosse e l’aria post orgasmo di Akito, vista innumerevoli volte, rilassata e quasi assonnata. Perché sicuramente lei non ha problemi a concedersi, quando lui ha voglia.

Non ha mal di testa, sensi di colpa, né è in agitazione per il nuovo copione che non entra in testa e troppo furiosa per fare alcunché perché Rei che ha accettato un nuovo incarico

Non ha nulla, a ben vedere, a parte lui.

Ma evidentemente lui le basta e le potrebbe bastare per tutta una vita.

a lei che spazza via

la tua malinconia

per me

facendoti l'amore

togliendoti il bicchiere. Lo so.

All’improvviso ho tanta, troppa voglia di andarmene.

Forse c’entra la mano che Fuka fa scivolare ingenuamente nella sua, quasi incoscieamente.

A me davano noia, tutte quelle smancerie.

Mi piaceva sentire le sue dita poggiarsi piano sulle mie sotto al tavolo, questo sì, ma gli strizzamenti di mano da coppiete felici no, quelli non ce li concedevamo.

E a lui non sembrava importare, anzi.

Era solo un tacito mormorarsi, lento e vissuto, che ci saremmo stretti forte dopo, a casa.

E tanto bastava.

Almeno per un po’, per un frammento di vita, è bastato.

E avrebbe continuato a farlo, se non fosse stato per i casi, le situazioni, le seccature del mondo che si ostinava a cambiare e correre lasciandoci indietro.

Le semifinali per il mondiale vendute all’avversario, il marito di Natsumi che dà un bacio sulla guancia alla ragazza all’improvviso col pancione e dice: - Ci vediamo tra una settimana. -, una settimana durata mesi e, ormai, anni. Anni senza un padre per Yuu.

Io che una sera litighiamo non ricordo neanche bene per cosa, così vado a sbollire al bar dei vip, bevo fino a star male e la mattina mi sveglio nel letto di un Nao in stato più post sbornia del mio, le foto dei baci con cui mi divora la bocca sotto casa sua su tutti i giornali; giornali che Akito legge, stanco e morto di sonno per la nottata passata a tentare di rintracciarmi (peccato che Nao ed io, entrando, avevamo inciampato nell'innocente telefono rinvenuto distrutto la mattina dopo).

E l’alcool che sa di buono, in mezzo a quei rifiuti di una vita che doveva dare l’impressione di sapere sempre più di marcio e infranto.

L’alcool di cui sospettavo poco o nulla, perché un bicchierino di troppo ogni tanto non è niente, no?

Ma il niente diventa qualcosa quando lui comincia a dormire fino alle sei del pomeriggio, ha sempre mal di testa ed io ho già il lavoro e i nuovi film a preoccuparmi.

E poi arriva Fuka.

E Fuka non è mai troppo stanca, Fuka è buona, Fuka butta le bottiglie meglio di come posso fare io, Fuka trova anche quelle nascoste e non urla più forte quando lui grida di farti i cazzi tuoi ché la vita è sua.

Fuka non risponde piangendo senza accorgersene che la vita sua è anche propria perché se muore lui muore anche lei, non spegne le urla in un bacio a bocca aperta, non plasma i pugni al muro in carezze morbide e non trasforma l’odore di alcool in profumo di sudato amore appena consumato e pronto a ripetersi, più bello e dannato che mai.

Fuka tira uno schiaffo, dice di non abbattersi e tornare in carreggiata; Fuka s’incazza e grida di rabbia e decisione se sente l’odore di alcool nel respiro.

Fuka fa l’amore da sobria, te lo fa a modo, l’amore, te lo fa sano; Fuka svuota il bicchiere dal sakè e riempie gli occhi di sorrisi pazienti e colmi di disperato amore che aspetta da anni uno sbocco simildignitoso.

A lei che da

lei che viene lei che non va

lei che vive lei che c'e'

tutte le volte che cercavi me.

Fuka che sbuffa quando ti lamenti perché ti senti il mondo addosso, assurdo vittimista, ma poi se hai una crisi arriva anche alle tre di notte, pronta a dirti che non è vero, non sei poi solo un egocentrico casinista, anche se tante volte ci vai vicino…

Fuka che resta e che, Akito lo sa bene, non avrà mai troppo da fare se il suo grande amore è triste o ha voglia di sesso.

Fuka che se non hai voglia si toglierà dai piedi con uno schiocco di dita e poi tornerà dopo a raccattare i tuoi cocci d’uomo arrabbiato col mondo, restando finché non avrai di nuovo voglia di restare solo.

Solo che a noi la solitudine non calza a pennello, e quindi Fuka, alla fine, non viene più cacciata.

E nemmeno Naozumi in veste di amico del cuore, se è per questo

Quei due angeli tanto buoni e generosi da diventare odiosi, alla lunga.

Ma qualcuno che viene e non va, a meno che non lo richieda tu, fa sempre comodo.

Come qualcuno che non sa tenerti il muso quando lo cerchi dopo una lite quasi da innamorati e non ti ignora anche se gliene hai combinata una delle tue più grossa del solito.

a lei che aggiusta il cuore

a lei che ti fa dire

quel che vuoi

a lei che mi sorride

per strada se mi vede. Ma si!

E questa ragazza che ora, nella passeggiata che continuiamo, da bravi amici del cuore, ti tiene per mano e finge di non vedere le nostre occhiate sfuggenti, quelle occhiate che fanno preoccupare e confondere Tsu e Aya, che hanno l’animo dalla nostra parte, perché Sana e Akito per loro sono e sempre saranno Sana e Akito, e la razionalità che invece ricorda quei penosi mesi fatti di pianti, ricongiungimenti dettati solo e unicamente da quel sentimento che ci impedisce di non stare vicini, urla e litigi, e Fuka che pena dietro ad Akito, Naozumi che mi strappa sorrisi quando sento di stare troppo male.

Fuka che lo coccola di attenzioni e parole buone, gli riscalda il cuore e gli da una faccia contro la quale inveire ed alla quale il suo orgoglio può chiedere scusa, perché tanto lei non conta.

Fuka che si sente dire di tutto quando lui è furioso, insulti freddi e taglienti come cocci di vetro, ma “così si sfoga”.

La stessa Fuka che mi sorride quando ci incrociamo e scambia qualche chiacchera con me, come nulla fosse, Fuka che non avrà il mio viso da pubblicità, il mio corpo, il mio io, Fuka che non sarà mai me.

- Ma almeno lei non ti fa dannare, vero Akito? -

Gli chiedo, tanto piano che solo lui può sentire, se ne ha voglia.

E glielo chiedo nel momento peggiore, mentre siamo da soli.

Da soli dopo che gli altri se ne sono scappati dietro ad una Fuka furiosa.

Soli nella macchina di Akito, parcheggiata vicino all' entrata di un bar a qualche metro dal parco, soli a fingere di non sapere che cosa sta per succedere.

***

A lei, la tua, la sola

grande idea

- Lei è l’idea migliore che tu abbia mai avuto, testone. -

- Già. -

Sono questi i discorsi che mi fanno dubitare della nostra sanità mentale.

Mentre Fuka parla con Aya, seduta sul divanetto di casa Oki, Tsuyoshi a versare i drink in cucina.

Mentre Akito ed io ci fissiamo negli occhi in giardino, le mani saldamente allacciate dietro la schiena per non farle finire a toccare, abbracciare, stringere e scopare.

- Come vanno… sì dai, insomma, le cose? Tutto bene? -

- Sei pessima a chiacchierare del più e del meno. -

Sbuffo.

- Senti chi parla. -

Fa spallucce.

- Comunque ce la caviamo. E pure tu, credo. -

- Sì. -

Lei che sogna lei che da

lei che viene lei che non va

lei che vive lei che c'e'

tutte le volte che cercavi me.

Alla fine esplodiamo.

Non ci riesce mai, di continuare così per tutta una serata.

- Quei problemi non… non li avete avuti più? -

Chiedo piano, con penosa finta nonchalance.

- Se ti riferisci a problemi sessuali, non credo siano più fatti tuoi, Kurata. -

Quel "più" mi fa una rabbia tremenda, una rabbia frustrata e polemica.

E lui lo sa.

- Beh, scusa tanto se dopo essere stata accusata di certe cose in una tranquilla domenica pomeriggio, in un grazioso parco per famiglie, voglio essere certa di non aver involontariamente causato altri danni. -

-…-

-…-

- No. Dopo… quella volta, in macchina, nulla. -

- Mh. Bene. -

Quella volta.

In macchina.

Già.

A lei che a luci spente

confondi nella mente, con me.

Una serata tranquilla.

Si ride, si scherza, è tutto normale.

Di quelle serate che ti fanno sentire bene, felice e amato, circondato da amici.

Di quelle serate che il cuore lo scaldano a chiunque.

Tutti vanno in salotto ad accendere la tv, facendo battute e ridendo fino a star male, piangendo via con le risate il disagio e il nervoso dei mesi passati.

Rimaniamo io ed Aya a lavare i piatti, la lavastoviglie le arriverà tra poco.

- Sei proprio una sposina perfetta, Aya! Io in confronto con le faccende sono un disastro. –

Le dico, sincera e divertita dalla gaiezza con cui assolve i compiti da piccola massaia venticinquenne, palesemente felice della sua nuova situazione, che la vede come signora Oki.

- Non è affatto vero, Sana! -

Risponde ridendo e scuotendo la testa.

- Sai, sono davvero felice. -

Dice poi, lentamente, socchiudendo gli occhi tenacemente piantati sul piatto che sta lavando e non nei miei.

- Davvero? -

- Sì sì. Tutti stiamo bene, ora. Siamo… tipo sereni, ecco. E’ una bella serata e ridiamo, ci divertiamo tutti insieme. E’ un peccato che Kamura sia fuori a girare quel film con Spielberg, la prossima volta lo voglio assolutamente a cena! -

Annuisco.

Aspetto.

- E poi… sì, ecco… insomma… cioè, Fuka ha detto che da qualche tempo Akito non ha più quei problemi, quelli di cui aveva urlato… parlato al parco quel giorno, quando si è arrabbiata.

Akito, voglio dire, ora non dice… non dice più quelle cose. Non le dice più. -

- Intendi dire che non urla più il mio nome quando ha un orgasmo? -

Ad Aya sfugge il piatto, che cozza con un tonfo sordo sul fondo d’acciaio dell’acquaio.

A tinte opache resisto poco, mi dispiace.

Se voleva dirlo, ora è come se lo avesse fatto.

Fine.

- Sì, insomma, ecco, è così. -

E la domanda mi punge la lingua.

Aya se ne accorge, ha pietà di me e finisce il discorso.

- Non… non dice nemmeno il suo, però almeno non dice più il tuo.

Non dice nessun nome.

Io… non doveva essere bello, Sana.-

- No, sono certa che non lo era. -

- Non è… -

Cerca le parole, poi continua:

- … facile. Nemmeno per Tsu e me. Noi siamo amici di tutti voi. Però… insomma, voglio dire, meglio ora che prima, no? E’ un po’ più tranquilla, la cosa. -

Mi guarda, ha gli occhi lucidi.

E’ un’amica come poche, Aya.

Aya col pancione pieno della piccola Ran e il suo amore imperituro per Tsu.

Se qualcuno si merita serenità e degli amici che gliela diano, è lei.

- Sì, meglio ora. -

Le esce una lacrimuccia così, senza apparente motivo.

- Lo penso anch’io. Davvero. -

E lascia che le rispunti un sorriso.

Continuiamo a lavare i piatti, fischiettando il motivetto di una mia pubblicità all’unisono.

Dietro lei cammini tu

senza lei non vivi più

Tsuyoshi si regge a malapena in piedi, ormai.

Non è fatto per l’alcool, ma quando è molto contento se ne dimentica; così Akito se lo carica in spalla e lo porta in camera.

- Mio dio. -

Sospira Aya seguendolo; Fuka ed io restiamo sole.

Dura poco, qualche secondo, e non ci rivolgiamo né sguardi né parole.

Un’eternità di giustificatissimo imbarazzo, poi si volta ed esce, raggiungendo gli altri.

Poco dopo la seguo.

Aya sta frizionando la fronte di Tsuyoshi con un panno bagnato, rimboccandogli le coperte.

- Akito… direi che è meglio se stasera resto qui. Tsuyoshi sarà certamente fuori uso fino a domani, ed Aya potrebbe avere la bimba da un momento all’altro. -

Akito annuisce.

- Sì, però va’ tu. Resto io qua, non ci sono abbastanza letti per tutti e due. -

Lei scuote la testa, lo spinge delicatamente verso il salotto:

- No no, domani hai l’allenamento alle sei e non puoi fare nottate. -

- Accidenti ragazzi, mi dispiace di causare tutto questo disturbo… ma effettivamente sarebbe un bel problema se Ran decidesse di nascere proprio quando sono sola con Tsuyoshi in queste condizioni… -

- Sta’ tranquilla, non è un problema! E poi ho deciso, resterò io. Non preoccuparti, Fuka. -

Sorrido a lei ed Aya, ma la prima non è d’accordo.

-Non ci provare, Sana. Domani hai le prove di California’s Dreams, ce lo hai detto prima! Non puoi mica presentarti stanca alle riprese! -

Ha ragione, come sempre.

Quindi accetto, do un bacio sulla guancia ad Aya, l’abbraccio forte promettendole che ci sentiremo l’indomani e prendo il giubbotto.

Akito le stringe velocemente una spalla, poi circonda inaspettatamente Fuka con un braccio e se la preme contro per un istante, un istante un po’ più lungo di quanto sarebbe normale per lui; dopodiché esce di scena.

Dalla loro, almeno.

Io resto un momento ferma a guardare Fuka.

Le chiedo scusa con gli occhi per ciò che ho fatto e, lo sappiamo entrambe, farò ancora e ancora.

E penso che, più in là, riusciremo a tornare amiche come un tempo.

Accadrà sicuramente.

Accadrà non appena una delle due avrà il cuore o l’anima pieno di qualcuno che non è Akito.

E’ solo questione di tempo, e ricominceremo a volerci bene, senza terrorizzarci e facendoci venire i sensi di colpa l’un l’altra.

Presto.

Un giorno.

Poi.

Sì, insomma, accadrà.

Un ultimo saluto a tutti i presenti.

Esco, ed eccolo là.

Appoggiato ad un muro, fuma distrattamente una sigaretta, il capo basso e gli occhi invisibili.

Lo raggiungo.

- Non è giusto, Akito. -

- Cosa? -

- Moriresti senza di lei e la sua presenza, ma non riesci a … non le dai… non è giusto. -

- Lo so. -

- Io le voglio bene, accidenti! Le voglio bene, era mia amica! E non sopporto che sia tutto così…così… -

- Schifoso? -

- Esatto. Avere dipendenza da una persona e non riuscire a… a… non riuscirci. -

Non mi viene, quella parola.

Quella parola che non so nemmeno se esiste, perché quel qualcosa che Akito ed io siamo non ho m ai capito come si possa chiamare.

Perché certo, io amo Akito.

E Akito ama me.

Ma non è semplice “amore”.

Non termina qui, la cosa.

Sarebbe troppo facile.

No, non si risolve con un “amo” e “ama”.

…dillo a lei a lei che non sa

com'eri prima di incontrare lei.

Non era amore quando a undici anni ci rifugiavamo insieme in un posto tutto nostro, intangibile e vero quanto lo sono stati i nostri baci e le nostre scopate.

Non era nemmeno amicizia.

Era qualcosa di diverso, sempre un gradino sopra.

Qualcosa che Fuka non ha visto, proprio come non ha visto l’Akito gelido e stronzo, quasi senz’anima, di un tempo.

E se anche ne ha visto dei bagliori, nei momenti peggiori di questi anni, momenti anche tremendi ma blanditi dall’amicizia ormai eterna con Tsuyoshi, la compagnia di Aya e una famiglia con la porta sempre aperta, non ha voluto approfondirne la conoscenza.

Si potrebbe dire, con una cattiveria non proprio velata, che Fuka non ha visto un cazzo, dei tempi andati almeno, di Akito.

Ma sarebbe davvero troppo, perché non è colpa sua se è arrivata dopo.

E non è colpa sua se per non urlare il nome dell’altro durante il sesso finiamo così, a causa della mancanza strappa interiora che finiamo per sentire l’uno dell’altro dopo poco tempo che non si sta insieme, a guardarci, cazzeggiare, fare gli scemi, scopare stando semplicemente Sana&Akito e Akito&Sana.

Non è colpa sua, se vedendo l’ennesima occhiata sporca di malinconia non rassegnata che ci lanciamo finisce a urlare che no, non è possibile che il suo, SUO ragazzo urli il nome di un’altra, il mio, della sua amica, quando le viene dentro, e non è possibile che ogni volta che si esce tutti insieme finisca così, non è possibile che noi due finiamo così.

Non è colpa sua, se poi le viene da piangere e scappa rincorsa da Aya e Tsuyoshi, ed io mi sento da cani a pensare a tutto questo casino.

Non è colpa sua, se non ha vissuto Akito come l’ho vissuto io e se questo disgraziato con cui faccio l’amore in un angolo, alle due di notte, in uno sgabuzzino perché a casa non ci si può andare, è troppo brutto, se Akito non le ha raccontato né vuole raccontare niente di ciò che è stato, è e sempre sarà.

Non è colpa sua se non possiamo stare lontani ma nemmeno troppo vicini, almeno per ora, e se non riusciamo a cacciare e liberare i nostri odiosi angeli odiosi, quegli angeli che ci danno dipendenza ma che, ormai, farebbero meglio a mandarci a quel paese.

Tu con lei vola più su

vola in alto come sai tu

vecchie cose dentro di me

l'ombra di un uomo che assomiglia a te.

- Che facciamo ora? -

- Ora andiamo via di qui. -

Risponde stancamente, sistemandosi i pantaloni.

Annuisco.

- Tra qualche ora Fuka tornerà a casa; sarà meglio fare in fretta. -

- Sì. -

Posa una mano sulla maniglia

- Akito? -

La voce mi esce troppo tremula.

Che sciocchezza, sembra che stia per mettermi a piangere, così.

Che sciocchezza.

- Dovremmo imparare ad amarli. -

- Lo so. -

- Pensi che ci riusciremo? -

- Ci sono già riuscito, io. Amo Fuka. Solo… -

- Solo cosa? -

- Solo che non la amo quanto… quanto sento quel che sento per te. -

Beh, un po’ è cambiato, Akito.

Poco, ma è cambiato.

Qualcosa di lui lo conosce anche Fuka… però non credo che sia ciò che aveva voglia di conoscere.

- Muoviti, Rana. (*) -

… tutte le volte che cercavi me.

Mi sento improvvisamente stanca.

Tanto stanca.

- Akito… mi dispiace. Di tutto. -

- Anche a me, Rana. Anche a me. -

Apre la porta ed esce.

Io resto qui ferma, inginocchiata a terra, a pensare a lui, Fuka, me, Nao, le mie ginocchia esili contro il mento.

Mi sembra passino ore, ma l’orologio mi regala solo pochi minuti di panico da pensieri troppo veri: esco anche io.

Esco, e guardo Akito che mi aspetta appoggiato alla sua macchina, i riflessi del sole che lo rendono biondo platino.

Mi nasce un sorriso vero.

Perché in fondo, per continuare questa parentesi sbagliata abbiamo ancora un po’ di tempo.

- Allora, vieni o no?! Tra un po’ devo essere a casa, l’hai detto pure te! -

- Sì, sì, stai calmo! Arrivo. -

E mentre salgo in macchina e lo guardo borbottare al volante, diretto verso un qualche bar aperto a quest’ora, penso che per un tempo al momento illimitato Akito non starà con me.

Ma, per un tempo che invece illimitato lo sarà sempre, Akito sarà con me.

Perché Fuka lo salva, proprio come Naozumi salva me… ma Akito ed io, semplicemente, siamo troppo ciò che siamo per stare lontani.

E giusto o sbagliato che sia, così sempre sarà.

Non sempre le cose vanno come si vorrebbe.

Raramente ci vanno, per essere pignoli.

Ma poco importa, perché tanto se qualcosa deve proprio accadere, accadrà.

E per la giustizia non ci sarà posto, per quanto ci si impegni.

Due persone possono non riuscire a stare insieme ufficialmente e stabilmente, ma allo stesso tempo possono non riuscire a non far collidere per più di poco tempo le proprie anime o qualunque cosa sia ciò che ci smuove dentro.

Questo è ciò che qui accade ad Akito e Sana.

Altre persone sono le anime gemelle di chi amano, ma non saranno mai il Tutto per esse.

Questo è ciò che qui accade a Fuka e Naozumi.

Altre persone si amano candidamente e, semplicemente, è giusto così.

Questo è ciò che qui accade a Tsuyoshi ed Aya.

E qui così sarà sempre.

……….THE END……….

*Rana è un nomignolo che, nel manga, Akito dà a Sana, facendo un gioco di parole con i kanji del suo nome.

Nota: questa è una song-fiction, e tutti i diritti della canzone in rosa sono di Anna Oxa.

  
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