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Autore: FCq    20/06/2012    1 recensioni
In un modo spietato e celato egregiamente ai miopi occhi umani, qualcosa cambierà nel momento in cui un giovane incontrerà due occhi fieri e innocenti e comprenderà che non tutte le cose iniziano per finire... non quelle che contano davvero.
≪La legge? Nel nostro mondo non è altro che una parola senza senso né fine≫...
≪La mia legge non ha i volti e i nomi degli anziani, ma il mio viso e la mia coscienza. Parlo di legge morale. Dovresti riflettere sulle conseguenze che questo complotto arrecherà al mondo degli immortali e a quello degli umani≫.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio a tutti! Questa è la prima storia originale che scrivo e ho pensato di postarla su efp. Ho quasi concluso una FF nel fandom di Twilight e mi sono "lanciata" in una nuova avventura. Fin ora ho sempre scritto in prima persona e questo è il mio primo esperimento con la terza persona, spero di non aver combinato un disastroXD Il prologo è abbastanza introduttivo nella storia. Se questa dovesse piacere continuerò a scrivere e postare ogni volta che il cap sarà pronto, in caso contrario la cancellerò. Ditemi cosa ne pensate, sono qui per imparare. Grazie in anticipo a tuttiXD
 
La ragazza sorrise – un sorriso di circostanza – all’uomo basso e sudaticcio dal volto paffuto e le grandi mani che le stava porgendo il resto. Ivanna afferrò le sterline, indugiando qualche secondo di più di quanti le sarebbero stati effettivamente necessari per contare il denaro restituitole dall’uomo, troppo felice nel vendere souvenir  a quell’ora del mattino, perché non le facesse pensare di avere qualcosa di losco e non la stesse perciò imbrogliando, approfittando del suo accento orientale e della sua poca dimestichezza con la lingua, che facevano di lei una straniera. Dopo qualche istante, più per irritazione che per reale certezza, decise che l’uomo al banco non era altro che ciò che sembrava, un onesto scozzese, e ripose le monete nel piccolo zaino a spalla. Talmente abituata al freddo della sua Mosca da non farci più neanche caso, il raggio di sole che colpì la sua pelle chiara e i suoi capelli color biondo platino la sorprese e destabilizzò più di quanto avrebbe fatto una corrente di aria gelida.
 ≪Ivanna... Ivanna, tesoro fa presto: dobbiamo entrare≫, si sentì chiamare la giovane dalla voce roca e profonda del padre. Dorian Petrov, i capelli biondi come quelli della figlia e uno smisurato amore per il mondo, era un uomo di poche ed essenziali parole. Nonostante Ivanna fosse costantemente invidiata dalle sue amiche a Mosca per la libertà e la fiducia concessale dal padre, entrambe eredità dei suoi trascorsi in occidente e dell’amore conseguito per quella cultura, la ragazza a volte tendeva a sentirsi ancora un po’ bambina, come fosse rimasta congelata nel tempo all’età di sei anni, quando la madre morì in un incidente stradale. Neanche a dirlo, il proprietario dell’auto che l’aveva investita non era mai più stato ritrovato, dopo esser fuggito dal luogo dell’incidente...
Da allora erano trascorsi sei anni, un tempo durante il quale alla giovane era sembrato di vivere  la vita con solo la metà di se stessa. Una parte non sarebbe mai più ritornata e ciò le causava un opprimente ed egoistico senso di solitudine.
Il ricordo che aveva di sua madre era quello di una bellissima donna di origini americane, con occhi verde smeraldo, capelli castani e la pelle dorata, sulla quale sembrava splendere costantemente il riflesso del sole della Florida. E certo, ricordando l’amore tra i suoi genitori, Ivanna non avrebbe mai immaginato che suo padre si sarebbe potuto risposare, quattro anni dopo la morte della madre, con la sua attuale matrigna. Karina non era scortese, poco intelligente o di aspetto sgradevole, ma a Ivanna semplicemente non piaceva. E proprio quella sua cortesia e quei suoi modi gentili non le avevano mai dato un motivo razionale per avercela con lei e per ciò Ivanna la soffriva ancor di meno.
Qualche mese dopo il matrimonio del padre e di Karina era nato Ivan, un adorabile bimbo con le fossette e i capelli castani, al quale Ivanna si era da subito affezionata -contrariamente a quanto era successo con la donna - e che ora sonnecchiava tra le braccia di Dorian. Quella mattina, il padre li aveva svegliati all’alba perché fossero tra i primi a visitare il castello di Eilean Donan.
Nei pochi mesi di vacanze estive, avevano viaggiato per l’intera Gran Bretagna, sfiorando anche le coste dell’Irlanda. Ivanna non amava viaggiare, era troppo affezionata alla sua città, esattamente come lo era stata sua madre, per poterla lasciare, ma, forse l’idea dell’imminente ritorno a scuola l’aveva spinta ad apprezzare quell’ultima sosta più delle altre. O forse, semplicemente, avrebbe adorato la Scozia in ogni caso. Chiunque provenisse dalla civiltà selvaggia e frenetica rimaneva spaesato di fronte agli immensi spazi verdi e alla semplicità del popolo, cresciuto tra miti e leggende, che proprio là in Caledonia non si poteva certo dire mancassero. E le enormi distese verdi e rosa d’erica, l’amore degli abitanti per il manzo ed il salmone, le scogliere a picco sul mare, la grande quantità di castelli, arte, storia e cultura costituivano una forte attrattiva per lei...
Persa nei suoi pensieri, non si accorse immediatamente che la lunga fila di fronte alle porte del castello si era diradata, permettendo così l’accesso. Corse all’interno del maestoso edificio per non rimanere indietro, ritrovandosi in quello che doveva essere il cortile interno del palazzo. Riconobbe immediatamente i capelli biondi del padre e il piccolo Ivan che si dimenava tra le sue braccia neanche avesse appena visto un fantasma.
≪… Nel 1719 il castello andò distrutto per mano dei Giacobiti e solo nei primi decenni del secolo scorso iniziarono i lavori di restauro durati un ventennio. Alla mia destra... ≫
La guida descriveva il castello inserendo qua e là eventi storici che lo riguardavano.
Nel momento in cui la giovane alzò gli occhi al soffitto per ammirarne pienamente la bellezza, una strana sensazione la scosse. Un allarme rosso che non sapeva di avere iniziò a lampeggiare peggio di un insegna al neon in strada in una notte buia. Non credeva nel paranormale, spiriti, anime perdute eccetera, ma per la prima volta nella sua vita, la sensazione di aver fin’ora errato nell’affidarsi alla razionalità la costrinse ad abbassare lo sguardo. Il cuore batteva con un ritmo frenetico. L’amore del padre per i viaggi e il suo spirito avventuriero avevano dato ad Ivanna la possibilità di visitare luoghi ben più suggestivi del castello di Eilean Donan, ma benché fosse innegabile la sua esperienza in materia, quel luogo la intimoriva. Ivanna si era sempre considerata una persona coraggiosa, in fondo, pensava, cosa c’è di più difficile e terrificante al mondo della morte della persona più importante della propria vita, in quel caso sua madre. Nonostante tentasse mentalmente di rassicurare se stessa, Ivanna, che si riteneva oltre che coraggiosa sufficientemente intelligente perché qualche mattone ricoperto da ragnatele non potesse in alcun modo spaventarla, iniziò a pensare che la sua paura non poteva essere puramente psichica.
Sentendosi per un momento sciocca, si guardò attorno, nel tentativo di scorgere qualche segno del suo stesso timore nei volti delle altre persone presenti in sala. I suoi occhi si posarono sulle figure di due anziani che scattavano foto in ogni dove, commentando con parole forbite la costruzione dell’edificio, su una giovane coppia, tutt’altro che interessata al palazzo e alle parole della guida, o semplicemente a chiunque altro al di fuori della loro piccola bolla privata, e su un paio di bambini, i cui timbri alti delle voci echeggiavano provocando un rumoroso ronzio. Nessun volto in quella stanza sembrava minimamente sfiorato dalle sue stesse sensazioni. Dopotutto, come avrebbe mai potuto aspettarsi che le stesse persone con macchine fotografiche usa e getta e vestite di cappelli con i più svariati loghi pubblicitari di quelle multinazionali che riuscivano a far propaganda senza che neanche loro se ne accorgessero, così tranquilli nel vivere la propria vita, riuscissero a cogliere i messaggi subliminali dei loro istinti di autoconservazione. Ivanna decise perciò di lanciare uno sguardo a suo padre, impegnato ad indicare qualcosa al piccolo tra le sue braccia, che aveva spalancato gli occhi e la piccola bocca, intuendo che neanche lui avesse percepito alcunché. E benché ciò non le facesse affatto piacere, permise ai suoi occhi di osservare anche l’espressione sempre dolce di Karina. Non si sorprese di notare in lei un certo disagio: sapeva da sempre quanto fosse acuta ed intelligente. La donna si guardava intorno, sciabolando gli occhi da una parte all’altra della stanza. Fu un attimo, ma le due incrociarono gli sguardi, condividendo la medesima paura. Quella soggezione fu l’unico tratto che Ivanna, consolata dall’idea di non essere definitivamente impazzita, accettò di avere in comune con lei.
La guida li condusse al piano superiore. Ivanna sapeva che alcune zone del castello erano chiuse alle visite turistiche e, approfittando per la prima volta della libertà concessale, si allontanò dal gruppo procedendo lungo un corridoio laterale. Avrebbe dovuto essere terrorizzata, o quando meno attaccarsi al braccio del padre, cercando la protezione nella sua figura imponente e rassicurante, ma la sua curiosità vinse su tutto.  E cosa meglio del mistero che sembrava celarsi dentro quelle mura avrebbe potuto stimolarla? Ivanna non sapeva ancora che Karina l’avesse vista e si apprestava a seguirla, anche lei curiosa come la bambina di scoprire se realmente nel palazzo di Eilean Conan si celasse qualcosa di inumano, che la sua fervida fantasia aveva già figurato nella sua mente.
Karina si apprestava alle spalle di Ivanna, sempre più confusa man mano che avanzava. Una sensazione di disagio l’aveva incupita, appena entrata nell’edificio. Non sapeva bene di cosa si trattasse, né il perché, ma qualcosa l’aveva fermata dall’impedire alla bimba di allontanarsi e saziare la sua curiosità.
Aveva amato Ivanna fin dall’inizio. Era rimasta colpita da quella bimba dagli occhi chiari, così maturi e curiosi per la sua giovane età. Ivanna non aveva mai detto nulla, ma a Karina le parole non servivano. Era a conoscenza del risentimento della giovane, benché non avesse mai usato con lei parole scortesi o atteggiamenti poco consoni ad un ospite, seppur sgradito. Karina non si sentiva in diritto di biasimarla perché la considerasse un’intrusa nella vita sua e di suo padre.
Entrambe le donne si immobilizzarono al suono stridulo di un pugno sferrato violentemente contro una superficie di legno. Ivanna non aveva preso in considerazione che quel luogo così macabro potesse essere abitato da qualcuno e quel rumore così fuori luogo l’aveva stupita, bloccandole il respiro in gola.
Dal lungo corridoio opposto a quello percorso dalle due giovani donne, un ragazzo camminava con passo svelto e silenzioso. Il giovane si passò una mano nella massa dei suoi capelli scuri come l’ebano, eredità del padre, chiedendosi il perché dell’urgenza con la quale quest’ultimo lo aveva convocato. Si immobilizzò d’improvviso, percependo la presenza di qualcuno dietro l’angolo. Gli occhi di Darren si posarono sulle figure minute delle due donne. La prima era poco più che una bambina, con lunghi capelli biondi e occhi chiari, la seconda, anch’ella immobile, seguiva la giovane a qualche metro di distanza. La sua figura era per metà nascosta dall’angolo nel quale sembrava essersi rifugiata. Il suo stesso passato di spia gli fece intuire che la ragazza bionda non avesse idea della presenza della seconda, che l’aveva evidentemente, e per un motivo a lui sconosciuto, seguita. Tanto velocemente che gli occhi umani delle due non avrebbero potuto percepire il suo passaggio, Darren si mosse arrestandosi alle spalle della donna.
≪Posso esserle d’aiuto?≫, chiese, palesando così la sua presenza.
Karina sobbalzò, udendo la giovane voce di un uomo alle sue spalle. Un brivido le percorse la schiene e qualcosa le suggerì che il gelo di quella voce era il motivo per il quale si trovasse in quel corridoio deserto, non fosse stato per loro, o, ancor peggio, la spiegazione alla sua iniziale sensazione di soggezione.
Si voltò lentamente e il suo sguardo si scontrò con quello blu e intenso del giovane uomo che aveva parlato.
Darren ghignò, avanzando di un passo nella direzione della donna, che deglutì rumorosamente. Nel frattempo, la bimba bionda si era voltata e fissava la scena con occhi sgranati, sorpresa per entrambe le presenza di fronte a lei.
Il primo istinto di Karina fu quello di afferrare Ivanna e fuggire a gamba levate, ma un’intraprendenza sopita dentro di lei, probabilmente inspirata dal carattere socievole e avventuriero del marito, la convinsero a sollevare il capo e incrociare lo sguardo del ragazzo.
Darren fu quasi tentato di alzare gli occhi al cielo, se la sua esperienza non gli avesse insegnato a non distogliere mai lo sguardo da chiunque si trovasse di fronte, a prescindere da chi si trattasse. La donna, benché naturalmente spaventata dalla soggezione che esercitava su di lei con la sua presenza, si ostinò stupidamente a non abbassare lo sguardo dal suo volto. Eppure lui, nonostante questa tentasse in tutti i modi di non far trasparire all’esterno il suo naturale timore, ne riconosceva i segnali involontari nel suo corpo minuto: il tremore delle sue mani, lo scatto della pupilla, la contrazione dei tendini del collo e il respiro leggermente affannato. Probabilmente chiunque altro non fosse stato un mercenario non avrebbe notato nulla e intuito nella donna una capacità di razionalizzazione fuori dal comune.
≪Questa zona del castello è proprietà privata e sono più che certo che la guida turistica non comprenda l’avventurarsi in queste zone dell’edificio...≫, proseguì il ragazzo, avanzando ancora di un passo.
Karina arretrò istintivamente, tentando di convincere se stessa che il giovane non fosse altro che un normale ragazzo e le sue parole non suonassero come una costante minaccia.
Ivanna percepì un’emozione nuova, quando vide il giovane avanzare in direzione di Karina: terrore.
 Temeva per Karina.
Per la prima volta nella sua vita ebbe paura che qualcuno potesse ferirla, anziché desiderare di essere lei stessa a farle del male. Ivanna aveva ben chiaro il dolore causato dalla perdita di una persona amata e desiderava con tutta se stessa che il piccolo Ivan non fosse mai costretto ad impararlo. Non voleva che il padre perdesse Karina e di conseguenza la nuova felicità che quest’ultima aveva saputo donargli, come solo la madre era stata in grado di fare, un tempo. E, soprattutto, non voleva perdere Karina.
Mossa al coraggio da questo nuovo, fugace pensiero, iniziò ad avanzare lentamente nella direzione dei due. Impose alle gambe di non tremare e ai piedi - che sembravano aver dimenticato come si facesse a camminare - a disporsi l’uno avanti all’altro per raggiungere Karina.
≪Non credo troveremo dei bagni da questa parte, mamma. Sarà meglio tornare indietro≫, proruppe la ragazza, spezzando il silenzio assordante di quel momento spinoso e afferrando la mano della donna, in un gesto che non compiva da più di sei anni. 
Darren spostò immediatamente gli occhi dal volto della donna a quello più pallido della bambina. I loro sguardi s’incrociarono e Darren pensò all’ultima volta in cui qualcuno avesse sostenuto così a lungo e con tanta sicurezza il suo sguardo, stupendosi nel ricordare che quella fosse in assoluto la prima volta.
Ivanna iniziò ad allontanarsi dal giovane dagli occhi blu, nei quali sembrava essersi dissolto il sottile confine tra mare e cielo, tanto erano chiari e profondi, tirando a se Karina.
Nessuna delle due si voltò fin quando non raggiunsero un luogo abbastanza lontano dal giovane. Ivanna si sentì improvvisamente stringere da un paio di calde e amorevoli braccia, che la stritolavano senza farle male, in un abbraccio materno.
Karina affondò il volto nei capelli biondi e lucenti della piccola Ivanna, che aveva salvato entrambe da quella che non riusciva a smettere di credere fosse una situazione terribilmente pericolosa. Il dolce suono della voce della bambina mentre la chiamava mamma e la sua mano che si stringeva alla sua, nel contatto più intimo che si fossero permesse in quattro anni, riecheggiava ancora nella sua mente. Le braccia di Ivanna si strinsero a sorpresa intorno alle sue spalle. Abbracciarla e stringerla al suo petto erano stati gesti istintivi, non si aspettava che lei ricambiasse.
≪Scusa≫, sussurrò Ivanna e non ci fu bisogno di aggiungere altro.   
 
Al secondo piano del castello di Eilean Donan, nella grande sala dei banchetti, Isobel fissava ormai da tempo i preziosi stemmi araldici con i quali era decorato il camino, lungo cui poggiava le braccia, nel tentativo di evadere con la mente dai continui sproloqui dalle altre persone presenti in quella stanza. Il suono provocato dallo scontro del palmo di suo marito con il lungo tavolo in legno, finemente intagliato da artigiani Italiani, per i quali Isobel aveva scoperto una profonda adorazione, riecheggiò tra le mura e annullò le voci stridule dei due litiganti. Gli occhi di Isobel si posarono sulla figura alta e imponente di suo marito. Alex aveva lucenti capelli neri e occhi scuri come la notte, il suo volto maturo era incorniciato da un velo pungente di barba. Un ghigno le tagliò il volto, al suono del silenzio calato nella stanza. Suo marito incuteva soggezione. Era più unico che raro trovare qualcuno tanto pazzo – o coraggioso – da contraddirlo, ed evidentemente anche lui era stanco del ciarlare dei due anziani, incerti sulla strada da intraprendere. Isobel scostò gli occhi chiari dalla figura del marito e sfiorò quasi in una carezza con lo sguardo la collezione di armi appese alla parete. Centinai di pensieri le invasero la mente: ricordi di morti, sangue e stragi. Nella maggior parte dei quali, o almeno quelli degli ultimi vent’anni, si vedeva affiancata dall’uomo ora seduto a capotavola. Quelle immagini scivolavano addosso al suo corpo e la abbandonavano, con il passare degli anni. Il numero di uomini che aveva ucciso e i loro volti erano sempre meno nitidi nella sua mente infallibile, come quella di un qualsivoglia mercenario: nato ed educato all’arte della guerra e ad ogni sua sfaccettatura. I ricordi erano il fardello più difficile da eliminare. Naturalmente Isobel ed Alex non erano una normale coppia di coniugi, nessuno dei due aveva scelto l’altro e di certo nessuno dei due provava qualcosa per l’altro. A Isobel era sempre sfuggito il concetto di sentimento, o il significato dell’unione umana. La forte attrazione che sentiva verso il marito e il suo corpo forte e muscoloso era la cosa più vicina a un sentimento che avesse mai provato per lui. A volte, però, capitava che un sensazione profondamente radicata in lei si traducesse in un sorriso alla vista di Alex, con gli anni aveva capito si trattasse di semplice orgoglio nei suoi confronti per il suo carattere dominante  
Alex incrociò le mani sotto al mento e parlò con tono basso e ragionevole all’uomo piccolo e pallido che lo fissava con timore: ≪Non capisco quale sia il problema, signor Ledward. Mi era parso, che la sua risposta al nostro invito significasse che è pronto a collaborare con noi. Cosa la turba tanto?≫.
La sera precedente, nella stessa sala dei banchetti, i quattro anziani ora presenti nella stanza erano stati invitati ad una semplice cena, un modo informale per anticipare la successiva riunione, e nessuno aveva reclinato l’invito. Naturalmente Alex sceglieva bene le persone su cui fare affidamento. La notte era diventata alba, la luce del sole filtrava dalle imposte in alto, e ancora non erano giunti a un accordo che soddisfacesse pianamente ognuno dei presenti. Era nella natura dei mercenari, evitare di fare qualsiasi cosa di cui non si avesse un risultato certo e inoppugnabile.  
Iam Ledward si sollevò dal suo posto, senza guardare nessuno, ormai certo di essere l’unico sano di mente.
≪Ciò che mi preoccupa, Alexander, sono le conseguenze delle nostre scelte. Selene regna da un secolo oramai sul mondo dei vampiri, sperare di spodestarla o addirittura ucciderla è una pazzia. Inoltre è protetta dagli Assassini, il ché la rende un obbiettivo ancor più difficile da raggiungere. I cinque verrebbero subito informati dell’accaduto, e sai meglio di me che sono uomini molto influenti nel mondo degli umani, e se questi sapessero della nostra esistenza sarebbe una guerra dei mondi. Una catastrofe di dimensioni epocali. E se in fine scoppiasse una guerra tra Assassini e Mercenari, cosa ci garantisce che i gemelli schiereranno i loro vampiri dalla nostra parte, anziché fare il doppio gioco, la parola data?≫, terminò bruscamente.
≪Dovremo prima uccidere i cinque, a quel punto non ci sarebbe più alcun rischio di venire scoperti e potremmo agire indisturbati≫, controbatté Robert.
≪La vecchiaia ha per caso danneggiato la tua capacità di giudizio, Peterson? Arrivare ai cinque è impossibile. Sono protetti dall’ala di Selene e da quegli schifosi Assassini di Edvard. Che altro scopo nella vita non hanno, se non crogiolarsi nel loro risentimento per se stessi≫.
Robert scosse la testa, incerto se rischiare o meno tutto ciò che il loro piano avrebbe comportato.
Mackenna Walton, seduta alla destra di Alexander, alzò gli occhi al cielo. Discutevano da tutta una notte sulle varie possibilità ed era decisamente stufa del codardia del vecchio Iam. L’unica cosa che l’aveva spinto ad accettare l’invito di Alexander ed Isobel era l’odio profondo e il disprezzo viscerale che provava nei confronti degli Assassini. Le sue mani lunghe e ossute gesticolavano nell’aria mentre esponeva le sue ragioni.
Mackenna lanciò uno sguardo a Waren, al suo fianco, prima di schiarirsi la voce e attirare così su di se l’attenzione.
Alexander lanciò uno sguardo curioso alla donna, anch’ella facente parte della cerchia di anziani del loro mondo. Il compito principale degli anziani era far si che ogni mercenario rispettasse la legge, l’unica, in un mondo in cui il regolamento scritto e morale non aveva alcun significato: non uccidere innocenti. Quest’ultimo aggettivo aveva un significato ristretto nel loro mondo. Gli innocenti erano tutti coloro di cui non fosse stata richiesta l’uccisione, da un mandante qualsiasi. Ai mercenari non era dato sapere di quale crimine si fossero macchiati le loro vittime e a loro non importava. Gli Assassini avevano un concetto diverso sull’innocenza di un condannato. Uccidevano soltanto coloro che avevano precedentemente minacciato la pace e la serenità generale. Delle idee così divergenti non avrebbero mai potuto coesistere, la scissione era perciò inevitabile, una volta che il “morbo” della morale aveva colpito un numero considerevole di mercenari. S. Robert Peterson,  Iam Ledwer, Waren Holland e Meckenna Walton, avevano consapevolmente deciso di andare contro l’istituzione che loro stessi simboleggiavano, per riuscire a distruggere gli Assassini, divenuti ormai nemici mortali della loro specie. Alexander era stato enormemente lieto di sapere Meckenna dalla loro parte. Era famosa per la sua insensibilità e freddezza, doti vitali nel loro mestiere, non di meno era un anziano.
≪Cosa proponi, Meckenna?≫, le disse Alexander.
≪Io e il signor Holland, conveniamo che sia il caso di procedere come stabilito. Naturalmente, Iam, dimentica che siamo mercenari, più furbi per natura di qualsiasi altra specie. Nulla ci vieta, in caso i gemelli decidessero di non rispettare il patto, di prendere in custodia uno qualsiasi dei due fratelli, come merce di scambio?≫, concluse, accennando le ultime parole come fossero una domanda.
Alexander ghignò, all’espressione compiaciuta della donna.
I suoi occhi cercarono quelli della moglie.
Isobel aveva corti capelli castani e occhi chiari e il suo corpo era fasciato da un lungo abito rosso, eredità della cena tenutasi la sera precedente. Una luce lampeggiava nei suoi occhi. I giovani non amavano il matrimonio. A nessuno piaceva lavorare in coppia, si considerava il partner un peso, in gioventù. Una volta divenuti adulti si capiva l’importanza di un aiuto e di qualcuno pronto a guardarti le spalle, quando le cose si facevano più complicate.
≪Se qualcuno a qualcosa da dire, parli ora≫, disse Alex.
Il silenzio che seguì alle sue parole fu più che esplicito.
≪Bene, allora è deciso. I miei figli si occuperanno dei cinque. Entrambi sono venuti su molto bene≫, proseguì Alexander, incrociando ancora una volta lo sguardo della moglie.
≪Darren sarà qui a momenti e lo metteremo al corrente di ogni cosa...≫.
Nel momento stesso in cui terminò la frase, un lieve tocco alla porta preannunciò l’entrata del ragazzo. Negli occhi blu del giovane splendeva una luce nuova, viva e ardente come fiamma. Nessuno sapeva, nemmeno lo stesso Darren, che qualcosa stava per cambiare. La voce del padre scivolava via come acqua sulle rocce, ma una sensazione persisteva. Il ricordo di un paio di occhi chiari e di un volto innocente, che avevano sostenuto il suo sguardo con audacia: Ivanna. 

  
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