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Autore: AndreaMesso45    20/06/2012    4 recensioni
Siamo nel futuro, un futuro apocalittico.
Dopo il colpo di stato del Regime, è stata proibita ogni tipo di arte e incarcerati tutti i musicisti che non hanno voluto aderire al programma di "riabilitazione artistica".
Però qualcosa si muove nel profondo della terra, è l'ora della Rivoluzione!
Genere: Avventura, Science-fiction, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E chi la ferma più questa rivoluzione?

Parte I

Epilogo


12 / 01 / 2030
Kemerovo, Siberia
5° C


District general
Regime of the north
      Distretto federale del regime nord

 
Credo di avere aspettato abbastanza...
 
Il freddo era devastante, l’odore della cella sempre uguale negli ultimi dieci lunghi anni.
Anche il colore era sempre lo stesso, grigio scuro, con macchie nere qua e là.
Le sbarre d’acciaio … i vetri color alluminio … il pavimento di marmo antico …  le pareti impregnate di vomito mai pulito e ormai essiccato che avevano preso un colore verdognolo spento che dava la nausea … questa era la prigione, questa era la vita qui a Kemerovo.
Quando ci fu il colpo di stato del Regime, la prigione di Kemerovo fu la prima ad essere utilizzata per gli scopi del governo, per la “riabilitazione” e la “rieducazione” della gente.
Ma non fu costruita in quell’anno, il carcere c’era già dagli anni ‘60 almeno, fu utilizzato come campo di prigionia in diverse occasioni ma non rilevanti.
Era uno stabile piuttosto grosso, una parte era andata distrutta nel primo attacco della Resistenza con conseguenti danni alla struttura irreparabili che adesso non garantivano alla prigione una ventilazione a tutta la piattaforma, molti prigionieri morivano di stenti e per mancanza di ossigeno … molti soprattutto per il freddo abominevole della Siberia, principalmente nei mesi invernali.
I carcerati erano più di mille e la maggior parte si trovava a Kemerovo come prigionieri politici, inoltre, qui nella prigione siberiana non erano mancati negli anni anche galeotti illustri come attori, musicisti e politici.
Tutta gente famosa prima dell’arrivo del Regime, era molta di più però la povera gente che si era ribellata, specialmente le persone senza soldi e senza casa che erano state le prime ad essere deportate … nella sistemazione “temporanea” che si trasformava in tomba per tutti.
I carcerati che ci lasciavano la pelle venivano tutti rimossi e occultati da qualche parte, non si sa ancora di preciso dove, tutto sotto gli occhi del Regime e dello Stato che commissionava tutto da lontano.
Una regola regnava a Kemerovo, chi entra nella prigione non ne esce se non in una cassa, fin’ora era sempre stato così.
La prigione era famosa perché, oltre ad essere stata la prima, era la più affollata e la più “ambita” per i  criminali, era la Auschwitz del terzo millennio.
Governata da persone senza morale o pietà, era un carcere molto molto rigido sotto tutti i punti di vista, era una casa del grande fratello di morte e putrefazione.
Tutto il mondo era a conoscenza della prigione, ma una cosa sfuggiva a tutti, il reparto H …
La galera era divisa in molti reparti che servivano ad assegnare le celle ai detenuti e potevi trovare bene in fila tutti i settori, dalla A alla Z, poi c’erano celle speciali di isolamento che avevano lettere straniere come la W e la Y.
Ma guardando per i corridoi, potevi benissimo notare che dopo il reparto G veniva subito il reparto I, questo perché il settore H era stato nascosto e sistemato sotto la prigione, nelle sotterranee del carcere, dove venivano sistemati i carcerati più pericolosi che non facevano mai più ritorno alla superficie.
Nessuno sa bene cosa facessero là sotto, nessuno è mai riuscito ad entrarci fin’ora … liberamente.
Qualcosa respirava lì in fondo, là nelle tenebre, lontano dai raggi solari e illuminato solo da gialli fasci di luce da dei neon.

 
 
Una vecchia foto, solo quello.
Una vecchia foto sbiadita, scolorita e tutta rovinata.
Si poteva ancora distinguere, però, in quella foto un viso … dei capelli biondi, non molto lunghi … un sorriso dipinto sulle labbra … un raggio di luce specchiarsi nell’obbiettivo … gli occhi dolci e vispi …
 
Lui stava a fissare la foto per ore, anche per una giornata intera, di solito faceva intervalli di mezz’ora per coricarsi nella branda che aveva nella sua cella H02.
Era l’unica cosa che aveva … una foto sbiadita, scolorita e tutta rovinata.
Lui si ricordava ancora, si sforzava di ricordarsi le cose che prima avevano importanza; ogni giorno ripeteva i colori per tenersi a mente che esistevano, si sforzava di ricordarsi il mare, la spiaggia, le montagne, la pioggia, il calore sulla pelle, il rumore del vento … ricordarsi di lei.


 
… amore … è ora si svegliarsi …


Si svegliò di soprassalto, con respiri molto veloci e profondi, con gocce di sudore sulla fronte e gli occhi stralunati.
“Colori … giallo, arancio, rosso, violetto, blu … ehm … verde, grigio, marrone, bianco … Nero!” disse subito molto velocemente, chiudendo le palpebre.
Cercò la foto, la trovò, la osservò con costanza immancabile, voleva essere sicuro di ricordarsi.
Gli occhi, come dei laser, controllavano ogni millimetro della foto ruotando con frenesia ma senza fretta.
Toccò con le mani la foto, la volle sentire al tatto, il sapore della carta e della pellicola; poi tirò un sospiro e si rimise sdraiato sulla branda.
La cella era chiusa da tutti i lati con muri di cemento armato, tranne per la parte frontale che era fatta solo di inferiate di acciaio e da una porta in ferro.
Da lì provenivano i rumori in lontananza di tutto il reparto H, soprattutto lamenti e bestemmie.
Ehi, forestiero … forestiero … mi senti? Tutto bene là? Forestiero?
La voce proveniva dal vicino di cella, la stanza era di fianco, non si potevano vedere in faccia i due carcerati.
Forestiero?” continuò a chiamare “Che diavolo! Non parli mai? Che succede?” .
Non ci fu ancora risposta, il carcerato insistette Diavolo! Ma sei vivo o no?”.
Forse … arrivò la risposta, con un fil di voce Non mi chiamare forestiero”.
Il vicino di cella smise di parlare, anzi, per la precisione bestemmiò e poi sembrò mettersi a dormire.
 

 
Passò qualche ora, forse, il tempo lì non contava più niente, ormai nessuno ci faceva più caso, non si sapeva se era giorno o notte o che data fosse … persino l’anno corrente.
Si sentì aprire una porta … e poi dei passi … passi lenti e controllati.
Si avvicinavano alla cella H02 … si fermarono … ci fu uno schiarimento di voce.
Ehi, mister! Sei ancora vivo? Sorprendente! Ti volevo informare che oggi non ci sarà la cena per te”.
A parlare era il capoufficio del reparto H;  gestiva tutto lui, i condannati lo chiamavano il Custode.
Il carcerato non fece alcun cenno, non si degnò nemmeno di girarsi a guardare il capoufficio.
Vedo che siamo di buon umore oggi, allora forse anche domani non ci sarà la cena per te”.
Il Custodenon ottenne nessun cambiamento da parte del galeotto H02, così tornò sui suoi passi pensando ad una eventuale punizione per un tale atteggiamento.
Tornerò da te presto e a quel punto forse sarai più felice di conversare, Mister Grohl concluse il Custode.
Il prigioniero non fece nessun cenno, non cambiò espressione, non disse niente.
Il prigioniero era Dave Grohl, un tempo era stato una delle più grandi rockstar del mondo, oltre che un formidabile musicista, ora era solo una presenza solitaria, senza presente o futuro, con un passato ormai dimenticato alle spalle.
I capelli erano lunghi, non più neri come una volta, erano brizzolati, per metà grigi; la barba era lunghissima, bianca, una barba da sopravissuto.
Le rughe ricoprivano il viso, un viso sconfitto, un viso senza più espressione e gli occhi … gli occhi erano tristi.
Dave era magro, scavato in volto, con la mano destra leggermente tremante, vestito con pezzi di abiti grigi e neri, puzzolenti e poco resistenti al freddo che toccava i 5 gradi.
Aveva problemi a stare in piedi perché alla gamba sinistra aveva perso sensibilità quasi del tutto e aveva una enorme cicatrice sulla schiena, un regalo del Custode nei primi anni della sua residenza a Kemerovo.
Dave fu subito portato nel reparto H dopo aver sputato in faccia ad una guardia nel primo anno della sua prigionia che avvenne nel febbraio del 2020, ormai era passato un decennio, in questo posto una vita intera.
Dave mostrava i chiari segni della stanchezza, causa le condizioni in cui era obbligato a vivere, ma il suo cuore batteva sempre, sempre e sempre … sempre più forte.
I suoi pensieri erano sterili e incessanti, a lui bastava ricordarsi di alcune cose fondamentali per riuscire a rimanere vivo e “lucido” di mente.
Ogni volta che si svegliava ripeteva in sincronia la scala dei colori e si immaginava un arcobaleno, o almeno, cercava; ultimamente aveva difficoltà ad immaginarsi le cose.
Pensò spesso al suicidio, continuamente, ogni volta che apriva gli occhi ci pensava, qualche volta tentò anche di provarci, però riusciva a fermarsi sempre in tempo.
Negli ultimi mesi cominciò a pensarci sul serio, stava pianificando una uscita di scena, la Sua uscita di scena, ormai dimenticato da tutti e abbandonato dal mondo, senza più amici, aveva preso la decisione di alzare bandiera bianca, il suo spirito guerriero aveva ormai cessato di esistere.
Aveva smesso anche di pregare, aveva cominciato a farlo assiduamente dall’arrivo nella prigione di Kemerovo, gli dava la sensazione di poter farcela, che tutto si sarebbe risolto per il meglio.
Sentiva che era arrivato il momento, il momento di andare, la partenza, continuava a ripetersi che aveva aspettato abbastanza, che voleva ricominciare ad imparare a camminare, con lo spirito in un altro posto.
Si era convinto, si sarebbe addormentato e avrebbe concluso così, senza più risvegliarsi.
Dave chiuse gli occhi ed emise un sospiro lunghissimo, aveva tra le mani la sua foto … la strinse a se e cominciò ad andarsene, pian piano …

Tornò a camminare.
 


 
L’esplosione fu violentissima, sembrò scatenarsi l’inferno, ci fu un terremoto durissimo, il pavimento sembrò alzarsi di un metro per poi tornare al suo posto.
Ci furono urla, colpi di arma da fuoco seguiti da un’altra esplosione, poi il rumore di pareti che cadono, di macerie, di fiamme.
Dave aprì violentemente gli occhi, stravolto  e sbalordito di essere ancora vivo, ma soprattutto sorpreso di tanto rumore dopo anni e anni di silenzio incontrastato, di silenzio assordante.
Si alzò dalla branda di colpo, ripose subito la foto in una tasca dei pantaloni e si avvicinò alla porta della sua cella.
Si sentivano voci in lontananza, alcune familiari come quella del Custode che urlava di tutto e di più e alcune invece sconosciute.
Iniziò a sentire odore di bruciato, un odore piccante e acido; il corridoio si riempì di fumo grigio spesso come un banco di nebbia.
Ci furono altri colpi di pistola e una piccola detonazione, poi il rumore di pezzi di acciaio che cadono per terra, successivamente il suono dei passi di una persona che corre.
Dave non riusciva a vedere niente al di fuori della sua cella, c’era troppo fumo ad impedirgli la visuale.
Sentì però bene una voce che diceva “Questa è la cella H zero tre! Questa è la H zero quattro! Deve essere qui da qualche parte! Cerchiamo! Forza!”, una voce sconosciuta con un accento austriaco.
Percepì i passi avvicinarsi alla sua di cella “Cella H zero due!” , vide un ragazzo sui 30 anni avvicinarsi e scrutare nei suoi occhi.
Dave rimase fermo immobile, aspettando che il ragazzo dicesse qualcosa.
Il ragazzo guardò bene Dave senza dire niente, fece una faccia dubbiosa, aguzzò gli occhi e poi esplose in un sorriso smagliante e fece un salto, si girò all’indietro e urlò “Si!! È qua! Lo abbiamo trovato! Vieni!.
Dave si sentì strano, stava parlando di lui?
Si chiese se forse non era davvero morto come voleva e se questi erano angeli venuti per portarlo via, poi però accantonò subito l’idea.
Il ragazzo fece cenno a qualcuno di avvicinarsi, sempre con un sorriso incredibilmente spensierato sulla faccia.
Dave smise di guardare il ragazzo e osservò nel fumo un’ombra che si stava avvicinando, un uomo con un passo lento e sicuro, guardò l’ombra trasformarsi in carne e d’ossa e presentarsi davanti a lui.

No … no …” disse sorpreso Dave.
Ciao. Finalmente ti ho trovato.



to be continued...

   
 
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