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Autore: Claire Coen    20/06/2012    2 recensioni
Claire Coen è una ragazza semplice. Ha quindici anni appena compiuti e vive a Bradford, con il padre. Ma improvvisamente l'equilibrio della sua vita pacata e monotona viene spezzato e il destino decide per lei una vita movimentata e piena di difficoltà. Ma sopratutto decide di renderla diversa da chi si aspettava che fosse, tutto questo quando Zayn Malik, un componente di una boyband appena lanciata nel mondo musicale,entra a far parte della sua vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno come tanti. Ecco cosa penso ogni volta che è il mio compleanno. Ogni 3 Maggio di ogni anno, è sempre la stessa storia. Ma il 3 Maggio del mio quattordicesimo compleanno, la mia vita fu completamente travolta e schiacciata come un chewingum sotto la suola delle scarpe. Il ragazzo che amavo di piu’ al mondo, se ne ando’ come tutti quelli che ho conosciuto hanno fatto finora. Chris mi ha lasciata da sola, quando aveva promesso di non farlo mai per nessun motivo al mondo, mi ha mandato uno schifosissimo sms, nemmeno il coraggio di dirmelo in faccia, nemmeno il coraggio di una chiamata. Mi ha mollata per una quarta di reggiseno e un culo ben piazzato. Lorel, quella ragazza era un incrocio tra una gallina e un Tyrannosaurus Rex, travestita da essere umano. Davvero insopportabile, la sua voce si riconosceva a miglia di distanza, per il semplice motivo che faceva acuti misti a striduli agonizzanti quando salutava la gente. Odiavo lei, odiavo Chris . . . fino ad odiare me stessa. Tutto questo successe precisamente un anno fa, ma mi brucia ancora come se fosse ieri.



Sono Claire Coen ho quindici anni e vivo a Bradford ormai da tanto tempo. Finchè mia madre non si risposo’ con un vecchio panzone di Londra, per il semplice motivo che era pieno di soldi. Così sono costretta a viaggiare da un posto all’altro ogni settimana di ogni mese, il che mi stressa tanto di piu’ di quanto io sia già stressata. I miei genitori divorziarono appena venni al mondo, è strano lo so, ma non ci faccio molto caso. Mio padre è la persona piu’ buona e tranquilla di questo mondo, gli voglio un bene immenso. Ma molte volte, in presenza di mia madre, cambia e finisce per diventare insopportabile. Forse anche peggio di quel vecchio imbottito di soldi, che vive a Londra con mia madre. Insomma, per tutta la vita ho dovuto badare a me stessa senza troppe attenzioni dei miei genitori, anzi proprio nessuna. Ma non mi lamento per niente di questa cosa, mi so gestire benissimo da sola e mi trovo bene con me stessa. Sono una persona molto riservata, non mi piace raccontare al primo che passa i fatti miei, mi piace scoprire in una persona quello che ha dentro o quello che prova. Lo trovo interessante e stimolante. Fortunatamente non vivo nel buio della mia camera, ho due amiche fantastiche a Bradford, Hayley Jackson e Sunday Hogan, tutte e due sedicenni. Hayley la bella bionda, i suoi capelli lunghi e dorati fanno concorrenza con gli occhi color cielo che brillano ogni volta che la vedi sorridere. I suoi occhi dicono davvero tutto. Abbastanza alta, due gambe alte e slanciate, due guancie da mozzichi, labbra leggermente rosse e qualche accenno di fossette ai lati. Sunday è la felicità fatta persona, capelli ricci color carbone, soffici, quasi come una nuvola nera e sotto ai riccioli pendenti dalla fronte, due occhi verdi smeraldo, che risaltano su quel viso minuto ma perfetto in ogni delineamento. Una bocca piccola, ma che sotto da vita a un sorriso che nasce dagli angoli della bocca che si allargano ogni volta che mi vede. Quello è il momento in cui ti travolge la sua gioia, qualunque situazione stai passando. E’ sempre lei a farti cambiare la giornata. Alta, ma non troppo snella e slanciata. Erano bellissime, ogni giorno mi domandavo come io, potevo essere loro amica e paragonarmi a loro. Potevo considerarmi l’aiutante ecco, non di piu’. Loro le protagoniste io la donna delle pulizie di retroscena.
 
Quella mattina aprii gli occhi tranquillamente. Fissai il mio poster di Ed Sheeran, pensando a quanto potesse essere irraggiungibile, perfino vedere i particolari del suo corpo ad un suo concerto. Non me lo potevo proprio permettere e i miei genitori non avrebbero mai approvato. E’ straziante. Anche solamente 5 secondi della mia vita per andare a un suo concerto, mi sarebbero bastati per il resto dei miei giorni. Era lui che mi convinceva ad andare in quello schifo di scuola tutti i santi giorni, ad alzarmi tutte le mattine e sorridere. Quando cantava sognavo, chiudevo in un cassetto la realtà e mi sentivo bene. Guardai fuori la finestra, puntai su quella vecchia quercia ormai alta quanto la casa del vicino, Smith. Fui sopraffatta da una serie di flashback, ricordi, dove io e Chris stavamo insieme: mi pizzicava i fianchi, lo sapeva quanto mi dava fastidio quando lo faceva e ridevamo. Ritornai in me sentendo qualcosa di umido che mi scendeva giu’ per la guancia. Mi girai dall’altra parte del letto infastidita, rotolando con goffaggine sulle lenzuola sgualcite e disfatte, come al solito mi impigliai in una coperta aggrovigliata e finii per terra. Il mio sguardo si poso’sul mio riflesso. Lo specchio che avevo davanti rifletteva una ragazza sorridente, ma con le lacrime agli occhi. Gli occhi color cioccolato erano gonfi e umidi, i capelli castani mossi, scompigliati, coprivano le spalle nude, le guance si colorirono di rosso e le labbra fine e rosee, si socchiudevano ogni volta che usciva un gemito di rabbia e dolore. Non era pazza. Sorrideva rivedendo i momenti felici passati con la persona che l’ha ferita nel profondo. Era distrutta . . . SONO distrutta. Ritornai in me con una sgrullata di capelli a destra e a sinistra. Mi guardai allo specchio, mi asciugai le lacrime con due dita e tornai quella di sempre: un lungo “Diomio Claire, eleganza proprio zero, eh !”, seguito da un: “Guarda questi capelli in che condizione stanno!”. Detto cio’, sfoderai il piu’ grande sorriso che potessi fare, grugnii un: “Sembro un’idiota” e andai in bagno con il mio immancabile beauty-case azzurro. Adoravo casa di mio padre, la mia camera stava al piano di sopra, la sua di sotto, sia il bagno che il terrazzo stavano a mia totale disposizione: il terrazzo comunicava con la mia stanza, non era né troppo grande (per una sola persona, come me), né troppo piccolo, era giusto e questo mi piaceva da matti, il bagno era l’unica stanza dove non avevo mai visto entrare mio padre. Lui sa benissimo che io non sopporto chi si fa i fatti miei e non mi lascia la mia giusta privacy. Questa è una delle tante cose che amavo di lui, si fa i fatti suoi e non disturba mai nessuno. Molto probabilmente se c’era urgenza andava nella riserva, dove c’era anche lì un bagno. Quello era il suo mondo: le macchine. Teneva tutti i suoi attrezzi e ricambi. Una volta ci entrai da bambina, appena entrata inciampai su tutto quanto, mi cadde un attrezzo sul piede e mi fratturai un dito. Da quel giorno, anche se volessi, mio padre non mi ci fa piu’ entrare, goffa come sono. Sono una calamita di guai! I piu’ bei momenti passati con lui sono racchiusi in cucina o in sala da pranzo, perché erano le uniche stanze che condividevamo. Parlavamo, scherzavamo a volte litigavamo pure, ma sono sempre stati i luoghi migliori per avere un rapporto con lui.
Con il vapore caldo che dava sollievo alla mia pelle, pensai sempre alla stessa cosa: oggi sarà un disastro! Pensai e ripensai piu’ volte a come evitare Chris e tutti i miei compagni opprimenti che ti tartassano sulla festa di compleanno, che ti urlano “AUGURI!” nelle orecchie, che ti tirano le orecchie . . . Che ti mettono semplicemente in soggezione anche solo con i complimenti e io sistematicamente divento un pomodoro ambulante. Niente ! Non riuscivo a trovare una soluzione. In quel momento potevo contare solo su due persone, solo due . . .

Pronta per la battaglia, munita di zaino, I-Pod, cellulare e chiavi di casa, uscii speranzosa. Sulla soglia di casa una mano sulla spalla mi fece girare di scatto provocando una reazione di autodifesa e Tai-chi, fermata subito dal maestro con una mano: era solo mio padre.
“Mi hai fatto prendere un colpo!”- dissi affannosamente, quasi furiosa.
“Ricordati che ti ho insegnato io queste tecniche di autodifesa, non potrai mai …”-mio padre cerco’ di continuare.
“Ma l’allievo supera il maestro, attento”- dissi soddisfatta con un sorrisetto malizioso. Rimase per qualche istante con gli occhi abbassati, forse per trovare una risposta al mio contrattacco, poi i suoi occhi si spostarono verso la cucina, sul ripiano c’era il mio pranzo. Mi indico’ il sacchetto con un dito, la fronte corrugata mi fece capire che voleva sentire un “Grazie pà. Sono sempre la solita scema.” Ma io mi limitai a un: “Oh sì. La stavo per prendere, se tu non mi avessi bloccato con la mano, starei già sull’autobus”- sorrisi ancora, sperando in una sua sconfitta. Lui mi rispose con un altro sorriso piu’ dolce e mi fece capire che in quel round ero vincitrice, ancora. Gli diedi un leggero bacio sulla guancia, sapevo che non si era fatto un’altra volta la barba. Quando mi voltai per uscire da quella situazione, vidi con mio grande piacere, ma non stupore Hayley e Sunday che invece di abbracciarmi e augurarmi buon compleanno, urlarono in coro: “Daiii che è tardi Clè!”. Le amavo proprio per questo, erano imprevedibili. Uscii con il sorriso sulle labbra. “Per essere una giornata orribile, iniziamo bene.”- pensai.
 Corsi verso di loro con le cuffiette dell’I-Pod penzolanti, le abbracciai fortissimo, sussurrando: “Vi voglio bene ragazze.”
  
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