Mad Beauty
[…
The ugly things I do for beauty
If you could see what’s real in me
Then beauty maybe wouldn’t be so cruel…]
Quando
l’aveva incontrata per strada quasi non
l’aveva riconosciuta, era stata lei a fermalo.
L’ultima
volta che l’aveva vista era stato quando l’aveva accompagnata fuori dall’ospedale,
quando per l’ennesima volta si era raccomandato di cercare il signor Gold e lei aveva continuato a fissarlo con quei grandi occhi azzurri pieni di
confusione.
Quando
l’aveva rivista non c’era più nulla di quella confusione nel suo sguardo, era
stata sostituita da qualcos’altro.
Paura
Lui
sapeva riconoscere la paura, l’aveva vista riflessa in troppi occhi per non
percepirla a prima vista, l’aveva vista negli occhi di Regina quando sembrava
che il piccolo principe Henry non si dovesse più svegliare, l’aveva vista negli
occhi di Sua Maestà la Salvatrice del Mondo Emma Swan
quando sfruttava la sua magia per costruire il capello, in quelli di Snow White la sfascia famiglie.
Nessuno
di quelli sguardi però lo aveva colpito come quello di Belle.
Aveva
i lunghi capelli castano rossicci in ordine, pettinati in onde morbide che
ricadevano sul leggero vestitino bianco, il volto privo di trucco, fresco, la
pelle di un colore più sano rispetto a quando l’aveva liberata dalla camera in
cui Regina l’aveva fatta rinchiudere, sarebbe stata bellissima se non fosse
stato per quegli occhi, così seri e terribili che sembravano gridare aiuto ad
ogni battito di ciglia.
“Je-Jefferson.. giusto?” la sua voce era uscita bassa, si
era guardata intorno per un secondo, per poi tornare ad osservarlo.
“Tu
mi hai liberata..” aveva continuato sempre senza smettere di guardarlo fisso
negli occhi.
Si liberata, portata via, ma dove ti ho
portata? Dove sei finita?
“Non
era giusto quello che Regina ti stava facendo..” si era fermato per un attimo
grattandosi il sopracciglio “Sono tante le cose ingiuste che Regina ha fatto..
sono contento di essere riuscito a rimediare ad almeno una di esse..”
Belle
si era mordicchiata il labbro e aveva corrugato le sopracciglia, fece per parlare, ma qualcosa
la trattenne.
“Come
stai?” le aveva chiesto Jefferson.
Lei
aveva tirato fuori da qualche parte un sorriso, finto, che non arrivava agli
occhi “Tutto benissimo…” non aveva aggiunto altro, si
era fermata, mordicchiandosi nuovamente il labbro, come se qualcosa di troppo
importante potesse sfuggirle di bocca.
“Tu
come stai?”
Una
grandiosa domanda fatta a un uomo solo, che non poteva vedere la figlia, che aveva
lottato tanto per trovarsi in mano un pugno di mosche.
“Benissimo..”
Si
erano guardati in silenzio per un po’, Belle aveva continuato a mordicchiarsi
il labbro, gli occhi che continuavano a implorare aiuto fino a quando Jefferson
non le aveva chiesto se voleva andare a prendere un tè da lui.
La
risposta di lei era stata talmente immediata che lo aveva sorpreso e quasi gli
aveva fatto fare un balzo indietro, subito aveva detto di si, con un tono di
voce più alto e lo sguardo per un attimo pieno di speranza.
Jefferson
le aveva fatto segno di seguirlo e dal centro della città, in poco meno di
dieci minuti di passeggiata nei boschi, trascorsa in religioso silenzio da
parte di entrambi, erano arrivati.
Belle
aveva guardato casa sua con enorme meraviglia, facendogli i complimenti, lui
aveva fatto un cenno con la mano e mentre andava in cucina per preparare il tè
aveva chiuso la sala dei capelli a chiave.
Lei non doveva sapere, non doveva vedere
nulla che potesse portarlo a raccontare, aveva già fatto quell’errore e l’aveva
pagato a caro prezzo.
Si
era seduta sul divano, circondata da un bianco abbacinante che contrastava con
il calore dei suoi capelli in modo armonico, sembrava che quello fosse sempre
stato il suo posto, a casa sua, sul suo divano.
Belle
bevve un sorso di tè e probabilmente perché erano da soli cominciò a parlare.
Lo
ringraziò, era l’unica persona che conosceva a Storybrooke
che non avesse il cuore corrotto dalla magia, che magari poteva capire quello
che lei stava passando.
Gli
raccontò di Tremotino, di come da quando aveva
nuovamente riacquistato i suoi poteri fosse diventato oscuro, freddo, solo
concentrato sul riacquisire la supremazia che aveva sul mondo delle fiabe.
Gli
raccontò del fatto che non le permetteva di vedere suo padre, che lo aveva
picchiato a sangue quando aveva provato ad avvicinarsi a lei, che non voleva
che parlasse con nessuno, che poteva uscire solo quando doveva andare in
biblioteca a prendere dei libri da leggere con la promessa di non rivolgere la
parola ad anima viva.
Aveva
iniziato a piangere, forte, si era portata le mani davanti agli occhi e il suo
corpicino che sembrava fatto di cristallo tremava.
Jefferson
le aveva appoggiato una mano sulla spalla e si era limitato a dirle che sapeva
cosa provava, anche lui non poteva vedere una persona che amava e che questo
ogni giorno lo uccideva.
Quando
Belle aveva fatto per chiedergli qualcosa lui l’aveva fermata e le aveva
chiesto se Tremotino avesse mai alzato le mani su di
lei.
Belle
aveva scosso la testa, dice di amarmi, gli aveva risposto, ma come puoi amare
quando il tuo cuore è pieno di sete di
potere e di odio?
Jefferson
non aveva saputo rispondere a quella domanda, si era limitato a rafforzare la
stretta sulla spalla.
Erano
rimasti in silenzio finché Belle non si era accorta che era tardi e doveva
ritornare indietro, lui le aveva detto che poteva tornare quando voleva e lei l’aveva
preso in parola.
Tornava
tutti i giorni da lui, alle cinque, giusto in tempo per il tè e parlavano,
parlavano di tutto, in un giorno in cui Jefferson era particolarmente
malinconico le aveva raccontato tutto, chi era, cosa aveva fatto e chi aveva
perso.
Era
stato a quel punto che Belle lo aveva baciato, le loro labbra al sapore di tè
ai frutti rossi si erano incontrate e sembrava che la mano di Jefferson fosse
stata fatta per posarsi sul suo fianco, mentre l’altra aveva trovato rifugio
naturale nei lunghi capelli di lei.
In
un secondo però lei si era allontanata da lui, guardandolo sbigottita, si era
agitata, tanto, aveva cominciato a camminare avanti e indietro fino a quando
non aveva trovato il coraggio di uscire da casa sua e tornare da Tremotino.
Jefferson
aveva pensato che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe rivista ma
il giorno dopo lei tornò e questa volta fu lui a baciare lei.
Lei
quella volta non era scappata, si era stretta a lui come se da quello
dipendesse la sua vita e aveva continuato a baciarlo, togliendogli il respiro
dalle labbra.
I
baci erano continuati per tanto tempo fino a quando non furono più abbastanza le
mani erano corse ad accarezzare zone che prima Jefferson aveva potuto solo
immaginare, le labbra avevano assaporato la sua pelle, la pelle di Belle sapeva
di rose.
Aveva
trovato il suo posto dentro di lei, immerso nella sua carne tanto da non capire
più dove finisse il corpo della ragazza e iniziasse il suo.
La
teneva stretta a sé dopo, con una forza e una rabbia che le lasciavano segni
rossi sulla pelle chiara.
Odiava
vederla andare via, guardarla rivestirsi per tornare nella sua nuova prigione.
A
volte si chiedeva se un giorno sarebbe riuscito a salvarla anche dalla gabbia
in cui Tremotino l’aveva rinchiusa, a sapeva che no,
non poteva.
Si
doveva accontentare di averla così, un paio d’ore al giorno, sapeva fin troppo
bene che se solo avesse provato ad affrontare Tremotino
avrebbe messo la parola fine sia alla sua vita sia a quella di Belle.
Un
giorno Belle gli aveva detto di raggiungerla al parco giochi, quello nuovo
creato da Regina in mezzo al bosco ed erano rimasti seduti in disparte a guardare
Grace giocare.
Lui
non poteva avere nulla di suo nella vita,
non poteva avere Grace, non poteva avere Belle, aveva tutto e niente fra
lei mani.
Un
giorno raccontò questi pensieri a Belle, erano stesi sul divano, nudi e senza
fiato.
“Io
vorrei essere tua”
Jefferson
l’osservò rivestirsi di fretta, inciampando come al solito mentre si infilava i
collant, l’aveva guardata andare via come sempre poco prima di cena e scoppiò.
Distrusse
tutto quello che gli capitava a tiro, lacerò la fodera del divano che profumava
della pelle di Belle, le tazzine da tè, maledicendo se stesso per averla
invitata a casa sua quel giorno.
Lo
aveva sempre saputo in che cosa si stava cacciando, dal primo momento in cui lei
lo aveva fermato per strada, non poteva negarlo.
Quando
le forze lo abbandonarono piombò nel caos che aveva creato e si lasciò andare
sul divano distrutto.
Sarebbe
stato solo, fino alle cinque del giorno dopo, quando per poche ore sarebbe
ritornata sua.
Lui aveva tutto e niente fra le mani.
Viveva di ricordi e di aspettative
Poteva amare solo nel buio
Quella
sera cenò con una tazza di tè, corretto.
Piccole precisazioni:
-
La canzone citata all’inizio della
storia è “Beauty of The Dark” di Mads
Langer.
-
Spiacente per i sostenitori di Tremotino e Belle ma io proprio non riesco a credere che
lui possa amare, anche nell’ultima puntata mi è sembrato chiaro.
-
Erano secoli che non scrivevo qualcosa e
sono abbastanza arrugginita quindi se avete qualcosa da dire, critiche e simili
sono bene accetti.
Spero che la storia vi sia
piaciuta. Alla prossima!