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Autore: KatherineGrey    21/06/2012    0 recensioni
Per chi, come me, ha molto amato il film Piramide di paura e vorrebbe nuovamente incontrare i collegiali Sherlock Holmes e John Watson, ecco una mia modesta idea su un sequel del film
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Muoio ma quando la tomba opprimerà
Il cuore che a lungo ti è stato caro
Quando le cure terrene non mi daranno angoscia
Né le gioie terrene avranno peso per me
 
Non piangere, pensa che prima di te
Ho attraversato un mare di tenebre
Ho gettato l’ancora e che ora riposo
Dove né lacrime né pianto possono giungere
 
Io dovrei piangere, io che ti lascio
A navigare su questo oceano fosco
Tra l’infuriare delle tempeste e la paura
E non una luce a mostrarti la riva
 
Ma sia lunga o breve la vita
Può forse paragonarsi all’eternità?
Ci separiamo quaggiù per incontrarci in alto
Dove secoli di gioia non muoiono mai.
                                   (Emily Brontë)
 
 
 
Un cielo nero intingeva delle sue fosche velature i monumenti in pietra del cimitero londinese, risaltando per contrasto i riverberi ferrigni degli alberi e le bianche stradine che li circondavano. Le inferriate delle tombe brillavano di umidità  mentre i lumini sui gradini delle cappelle e i lanternini saldati ai muri dei loculi irradiavano piccole macchie di luce, contorte pericolosamente dalle fredde folate di vento. Molte foglie chiazzate di ocra erano grondate sui brulli dossi delle sepolture, intrappolandosi tra i fusti delle eriche e delle ginestre o nascondendo piccoli vasi rinsecchiti dall’abbandono. Non era però il caso dei due giacigli di terra davanti ai quali Holmes e Watson si erano fermati a pregare, completamente ripuliti da foglie ed erbacce. Il custode, Francis Richmond, dietro il compenso di tre scellini mensili che Holmes gli faceva recapitare puntualmente da che era stato via, provvedeva a tenerle in perfetto stato, come se fossero state appena occupate. Anche la giovane pianta di rose bianche, che cresceva a un lato di una delle due croci, era stata ben seguita: le pallide ed eleganti corolle avevano un velluto perfettamente sano, i germogli rossi si stavano aprendo vigorosi e il disegno dei rami era stato tenuto ordinato da passate ed esperte potature che avevano reciso i fusti interni laddove lo sviluppo li avrebbe intrecciati. Il custode aveva provveduto anche a lustrare le incisioni di ottone, liberandole dalle incrostazioni di fango e terriccio, consentendo così ai nomi di Rupert Nigel Waxflatter ed Elizabeth Sophie Hardy di scintillare impeccabilmente contro il marmo annerito dalle piogge. Non che poi quelle tombe fossero state considerate più di tanto, a parte le visite mensili e sbrigative di Watson e quelle più rade del signor Cragwitch: nessun collega che sentisse nostalgia del professor Waxflatter e nessuna amica londinese che potesse ricordarsi di Elizabeth.
Il custode, comunque, aveva svolto bene il compito che gli era stato affidato.
Era un uomo basso e dalla postura sghemba, per colpa di una tenace artrite al ginocchio. Nonostante ciò, si spostava velocemente di qua e di là, soprattutto quando c’erano dei visitatori a cui dare una mano o un’indicazione. Sapeva esattamente le locazioni di tutti i defunti e imparava subito le facce dei loro famigliari superstiti. Era, quindi, molto stimato per la sua efficienza da tutti i Londinesi, che ancora di più, però, lo apprezzavano per quel suo modo coinvolto e sincero di far parte dei loro lutti. Il signor Richmond, infatti, era uno che ascoltava: ascoltava il pianto, silenzioso e antico quanto le vedove dalle quali scaturiva, quello segretamente folle, pieno di insani intenti, dei genitori che avevano perso un figlio, quello feroce e capriccioso, il più straziante, dei bambini, nel giusto sdegno di aver perso la propria madre o un affettuosissimo nonno, quello desolato e tenero, il più poetico, di un vecchio o giovane uomo abbandonato dalla propria metà.

- Era proprio una bella ragazza! Che aspetto dolce!- aveva sentenziato il signor Richmond guardando la foto di Elizabeth, il giorno che il ragazzo lo aveva portato sulla sua tomba.
- Lo era!- aveva annuito Holmes, anche lui guardando con la stessa attenzione quell’immagine amata. 
- Mi dispiace davvero tanto, ragazzo, anche per te. – aveva continuato l’uomo risistemandosi sui ricci arruffati e sottili il berretto che si era rovesciato in mano in segno di rispetto.
Holmes era in preda ad una strana agitazione. Stava lasciando Londra e il suo baratro di ricordi e prevedeva che non sarebbe più tornato indietro. Eppure, non si sentiva triste: nella sua mente rivivevano possenti le parole che il sacerdote aveva utilizzato nell’omelia per Elizabeth:
‘La morte è sì uno strappo, in questo mondo fatto di pura materia. Eppure, il giro di vite è breve e solchiamo veloci questa terra verso la stessa meta. Se non vediamo solo con gli occhi, intorno a noi, tutto- ogni luogo, ogni situazione- porta in sé dei punti di sutura tra la nostra vita terrena e la superficie radiosa di quella che presto vivremo, di nuovo tutti uniti.’
Holmes aveva sollevato lo sguardo verso il custode, rispondendo:
- Non deve. Infondo, ci separa un punto sottilissimo, che può essere cancellato con estrema facilità. E quando ciò avverrà, sarà come se questa separazione non ci fosse mai stata.
- E’ triste sentirti parlare così, alla tua età! Non vuoi sistemarti?
- Ora non più!
- Un domani sono sicuro che ne avrai voglia, invece!
- Non varrà la pena con nessun’altra. Rimarrò legato a lei.
I seri occhi del ragazzo, che sembravano piegati oltre il profilo della realtà, avevano colpito l’uomo.
- Ci si trova male a convivere con i fantasmi, credimi. Non fare il mio stesso errore!
Aveva poi aggiunto, mentre Holmes aveva ricomposto sui suoi occhi un’espressione attenta:
- Qui vicino, ho seppellito uno dei miei figli: aveva 7 anni quando morì di consunzione. Non ho voluto lasciarlo andare, pensando che prima o poi sarei guarito da quella follia e che quel vuoto sarebbe sparito da sé, ma non c’è stato verso! E’ sempre rimasto piantonato qui- così dicendo si era posato una mano sul bavero del giaccone, vicino al cuore.- Nulla è riuscito a scollare via dalla mia vita questo dolore. E’ come uno spazio invisibile, dentro la propria esistenza, che continua a crescere, ad acquisire un peso, fino a confinare con tutto ciò che rimane della vita. Per metà sono qui, a parlare con te, e per l’altra metà sono rimasto indietro, all’ultimo giorno di mio figlio su questa terra. E pensi che questa sia la felicità? No, la felicità è ciò che c’è ancora, ciò a cui possiamo essere ancora utili. I miei nipotini, loro sì rischiarano questo rudere!- si era battuto ancora sullo stesso punto.
- In breve, ragazzo, perdonami se insisto, lo so che è troppo presto perché tu mi creda, ma vorrei solo farti scivolare nelle orecchie le mie parole, sperando che più in là possano acquisire un valore per te. Quello che vorrei dirti, semplicemente, è che non dobbiamo certo dimenticarci di coloro che abbiamo perso, ma dobbiamo anche lasciarli chiusi nei loro feretri. Perché altrimenti si cade nel mio delirio e si rischia di vivere solo in parte.
Holmes aveva seguito quelle parole con estremo interesse, ma non come avrebbe voluto il custode.
 
Nei primi due giorni dopo la morte di Elizabeth, prima che si svolgessero le esequie, Holmes non mostrò nessun segno di shock: il suo dolore era lucido e sconsolato, insopportabile.
Rivisse continuamente il suo addio a Elizabeth, le ultime carezze che aveva tributato alla sua salma, nel dimesso obitorio del SB Hospital; sentiva, in quei momenti, come se il tatto della sua mano si rincollasse a quel gelido e liscio substrato di guance, fronte e mani;  un vorace freddo iniziava a diramarsi nelle sue vene, rodendo dall’interno il naturale calore delle sue carni, e penetrava denso nel suo cuore, seccandolo all’istante. Tutto di lui, allora, diveniva un attrito di dolore e meraviglia, come se delle ragnatele pesanti gli avvolgessero le membra, soffocandogli la voce e incapsulandogli le lacrime, che faticavano a scendere, e arrestando i suoi pensieri appena sull’abisso di un’inutile disperazione.
Rimaneva con la sensazione di un’illusione smascherata, individuando  il suo destino nella matrice incompiuta di quei freschi sentimenti, che erano stati intense sfumature, estese nel dinamismo della vita, ed ora erano rigide e rimpiante scene che non potevano più divenire, appese unicamente agli occhi nella penombra dei ricordi.
Tuttavia, l’incontro con il sacerdote e con il custode aveva messo in moto un ingranaggio nascosto nella mente di Holmes, che lui stesso non aveva mai sospettato di possedere. Era sempre stato un ragazzo pratico e razionale, troppo interessato a osservare per immaginare. Ma ad un certo punto, la sofferenza gli aveva sortito quello che gli pareva essere un grande dono. Sapeva che era una mistificazione, e anche patetica, ma l’avrebbe saputa dosare nel modo giusto, quel tanto che gli bastava per rendere i giorni futuri meno detestabili.
 
Il suo primo istinto era stato quello di fuggire e trovare un luogo vergine dei passati ricordi, dove poter scompaginare la sagoma della sua amata dagli sfondi menzogneri di Victoria Queen Institute; si era convinto così di poterla scrostare da quei rigagnoli di sangue, che sembravano essere stati segretamente disposti sulle sue vesti il giorno stesso che lei aveva messo piede in quell’odiato posto.
Come aveva detto il sacerdote, in qualche modo era percepibile l’aldilà, insieme alla presenza di coloro che vi erano già approdati. I due mondi, secondo l’unica radice intima e debole della mente di Holmes, potevano intersecarsi, se lui avesse fatto spazio alla sua amata nel suo vivere quotidiano. Infondo, cosa poteva impedirgli di renderla ancora viva, per lo meno in quello spazio segreto e immaginario, come aveva fatto il custode con il suo bambino? Le conseguenze pericolose di cui l’aveva avvertito l’uomo non lo intimorivano, giacché lui era sicuro di poter fare a meno di quel tipo di calore, tanto desiderato dalle altre persone. Lui aveva bisogno solo della sua dolce Elizabeth.
Nella Saint Andrew School di Nottingham, tutto era molto diverso dalla sua precedente scuola, dall’architettura all’arredo, dall’ambiento umano al tepore dorato che annebbiava le stanze esposte all’esterno. Gli era sembrato il luogo più adatto per intraprendere quella nuova e strana convivenza con Elizabeth.
Voleva udirla ridere, anche di lui, voleva vederla passeggiare per i corridoi delle aule e infilarsi tra i banchi per seguire le sue stesse lezioni e voleva ricostruire sulle labbra il palpito leggero del suo bacio.
Ma non fu affatto così: Elizabeth era sì dappertutto, ma era anche lontana, estranea a quel posto, e le sue visioni si fecero più rarefatte, come un’ombra che si assottiglia quando il corpo che l’ha evocata nella luce modifica il suo percorso.
Eppure, Holmes non la stava assolutamente dimenticando, anzi: il pensiero di lei sfarfallava breve e profondo come un fremito nella sua mente, quando il ragazzo si rilassava un momento nell’anonima festa di conversazioni e risa che gli si creava attorno; o diventava quasi una partitura melanconica, che chissà un giorno lui forse sarebbe stato in grado di comporre, nei momenti in cui era avvolto dal silenzio. Eppure, il suo viso gli appariva sempre più imprecisato. Questo perché lei era sempre stata una ragazza solare- aveva sorriso anche durante il suo commiato dal mondo- eppure lui aveva continuato a immaginarsela dolente, imprigionata, angosciante. Non era la sua Elizabeth, non era quella del passato.
Quando Lady Cumbernould gli aveva chiesto perché fosse tornato, aveva risposto quello che si era preparato a rispondere razionalmente: sapeva che in una scuola di buone maniere era riprovevole mancare di tatto in cose del genere e che non ci sarebbero state altre domande inquisitorie. Ma la sua risposta non era forse stata la più sincera? Perché aveva deciso di tornare a Londra? Davvero solo per assicurare alla giustizia il freddo mandante di un assassinio? Non voleva rispondersi, eppure fin da subito, varcando il cortile della vecchia scuola e adocchiando la finestra su cui lei in un giorno triste aveva osato dichiarargli il suo amore attraverso una umida scritta, aveva provato come una fitta piacevole al cuore. Non era lui un tipo da evocare ricordi particolareggiati, ma lì l’ingrediente di luci, suoni, odori, che erano stati tanto famigliari a entrambi, pareva ancora una volta riunirli.
Elizabeth non era più un fantasma, tormentato e pigro, e consapevole della sua fine brutale, ma l’essenza stessa di quel posto, qualcosa di tangibile, rintracciabile attraverso una fitta mappa di ricordi; questi, poi, non si risolvevano semplicemente in statiche immagini passate, ma erano vive esperienze di sensi, che sortivano le stesse emozioni di quelle sulle quali erano calcate.
Ecco che, a differenza di quanto aveva inizialmente temuto Holmes, in quella buia scuola lei era rimasta la amata e serena Elizabeth. E nonostante ogni ricordo lo rendeva malinconico, il suo cuore si sentiva nuovamente riempito, saggiamente consapevole che gli rimaneva qualcosa di Elizabeth che poteva ancora fargli compagnia- e non sapeva immaginare nulla di così prezioso.
Quelle meravigliose esperienze proustiane, così, vivevano gelosamente custodite nelle intercapedini temporali nelle quali scaturivano.
La sua Elizabeth non era lì, calata in quel tenebroso tumulo, che rappresentava per Holmes una parentesi distruttiva da tenere il più possibile compressa nella sua mente.
Dedicò un’occhiata superflua al decoroso insieme delle due tombe e si immerse nella rispettosa liturgia di preghiere, priva di pensieri e di emozioni, come spesso gli succedeva nella cappella della scuola.
  
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