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Autore: Harisontour    21/06/2012    7 recensioni
Un dialogo sulla morte fra una bambina ed un uomo perduto, che porterà alla fine della sua crisi.
La morte di George Harrison è quanto di peggio il nuovo millennio potesse portarci: un piccolo tributo a lui e al suo pensiero.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Harrison, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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all things must pass All Things Must Pass

Ti sei svegliato ed è già mattina, anche se ti sembra di essere rimasto in dormiveglia solo per qualche istante, disturbato da un' idea di incubo e dall'ormai incessante cefalea che ti attanaglia.
Bella cosa, gli analgesici, quando funzionano. E pensare che ti sei opposto tanto a lungo alla terapia del dolore, quando poteva ancora avere un effetto. Sei stato un meglaomane, riconosci, a pensare di poter sopportare tutto da solo, uno sciocco, a restistere strenuamente per tutto quel tempo, con tutta quella energia, nella tua ansia di percezioni.
Ricordi con un mezzo sorriso, amaro, quando assumevate tutte quelle sostanze per aumentarle, e di come, fino a poco tempo fa, utilizzassi la meditazione allo stesso scopo.
Sebrano passati secoli. Ed ecco lo stato in cui ti ritrovi. Sofferente, allo stadio in cui vorresti annullare ogni sensazione, pur di non provare più tutto questo dolore. Vorresti tornare quello di prima, spiritualmente, se non fisicamente. Ma non hai più speranza.
La luce ti abbaglia. Te li ricordavi verdognoli, gli ospedali, e deprimenti, ma in questo, tutto è di un bianco abbagliante, stancante, che ti costringe a chiudere nuovamente gli occhi per qualche secondo, subito dopo averli aperti. Il bianco, pensi. Il colore della purezza. O del lutto, a seconda di dove sei nato, ironizzi sforzandoti di ritrovare un' ombra di te stesso nel concepire un pensiero del genere.
Ti alzi, non senza qualche difficoltà causata dal consueto, lieve senso di vertigine che accopagna ormai ogni movimento brusco, e decidi di uscire, di cercare un terrazzo, qualcosa del genere, un posto da cui si possa vedere il cielo. Indossi una confortevole camicia azzurra, pesante, adatta a proteggerti dal fresco delle prime ore del giorno, sopra la maglietta più chiara. Apri la porta silenziosamente, e silenziosamente sali le scale, per poi attraversare il corridoio deserto. Dev' essere davvero presto, dal momento che nessuno si è fatto vivo. Ricordi vagamente di aver visto un tetto calpestabile dall'esterno, il giorno in cui sei arrivato qui, e lo raggiungi salendo con calma un' altra rampa di scale.
La bellezza dell'aria aperta ti toglie il fiato per un lungo momento, anche se il vento freddo ti taglia la faccia. D' un tratto, i tuoi sensi si risvegliano del tutto, solo la vista rimane appannata, ma riesci a farti bastare i colori vividi del mattino, i raggi di sole che s' infilano in ogni angolo con la loro grazia perfetta.
Ti siedi a terra, lo sguardo perso nell' azzurro del cielo limpido, la schiena appoggiata ad un' alta ringhiera, di sicuro edificata per la sicurezza dei dei pazienti, o forse per evitare che uno di essi, uno dei detenuti venga quassù di nascosto alle prime luci dell' alba, deciso a farla finita, rifletti dando il benvenuto ad un ritrovato sarcasmo. Macabro, però.
-Ciao- ti saluta in italiano una bambina minuscola, forse sui nove anni, facendoti trasalire -Mi chiamo Margherita-.
Ti chiedi chi mai l'abbia lasciata venire sola fin quassù, poi pensi che in fin dei conti siete nella stessa condizione e ti decidi a rispondere, tentando di sorridere, ti sei abituato a capire qualcosa di italiano in questi giorni.
-Ciao, Margherita. My name is George.
Lei ti guarda bene, intensamente, per qualche secondo lungo, dilatato, mentre anche tu sprofondi nell'oceano dei suoi grandi occhi azzurri spalancati, resi ancor più grandi dal contrasto con il volto scavato, più vividi sulla pelle pallida.
-George?- chiede. Tu annuisci e lei s' illumina, come ricordandosi di qualcosa.
-George Harrison? Non sei quello che canta All Things Must Pass?-.
Annuisci di nuovo, colpito, la gola secca, pur non avendo compreso ogni parola della frase, ma avendone compreso il senso: persino lì, in una piccola clinica della Svizzera italiana, una bambina così piccola ha riconosciuto te. Il tuo relitto.
-Do you know me?- chiedi incredulo -Do you speak English?-.
-Yes, yes, I do- esclama lei emozionata, un po' titubante nella scelta delle parole, ma con pronuncia perfetta -My daddy... My father used to teach me, he lives in London, I used to live there, and he used to sing me your songs... Before... Before my mum took me away-.
La guardi attentamente, curioso. Vorresti sapere di più, ma non osi spiccicare parola, deve avere una storia difficile, e oltretutto si trova in un ospedale. Ti chiedi perché debba soffrire, qualcuno di così  giovane, più giovane di te, e più vivo.
Tranquilla, è lei, poco dopo, a rompere il silenzio che tra voi si erge come un muro:-Io ho la leucemia- dice -I medici dicono che non possono curarmi- continua poi con quello che, accidenti, è quasi un sorriso, -Tu perché sei qui?-. (1)
La tua vista si fa ancora più annebbiata, la testa prende a girarti e ti fa un male terribile, al sentir pronunciare quelle parole.
Ma non è la domanda, così diretta, a sconvolgerti.
Non è il conoscere la sua sorte terribile, immeritata.
E' la sua serenità davanti alla morte a soffocerti.
Tenti di riemerge, vorresti abbracciarla, Margherita, vorresti proteggerla, ma non ne hai la forza e ti limiti ad accoglierla sotto un lembo della tua camicia slacciata, svolazzante, mentre si protegge dal vento che sembra sul punto di portarla via. Un essere perfetto, così saggio eppure in cerca di un rifugio.
Finalmente, mentre il dolore minaccia di assalirti di nuovo, violento, intenso, rispondi:-Io ho un cancro al cervello, in stadio avanzato. Inoperabile. E...-.
Non lasci che la tua voce s' incrini, come può un uomo piangere sè stesso, davanti al più crudele destino di una ragazzina?
-E a differenza tua, ho paura- riprendi.
-Paura di cosa?-.
-Ho paura di congedermi da tutti, dal mondo, eppure lo desidero. Non posso più sopportare...- il tuo tono si alza involontariamente, sebbene tu cerchi di contenerti -...Di essere rinchiuso in questa prigione. Tu...-.
-Io no. Io non ho paura, George, non ho paura di morire. Ed è grazie a te. Tu mi hai insegnato che tutte le cose passano, devono passare, e anche mio papà diceva che poi si rinasce... Siamo sempre esistiti-.
-Nulla si crea e nulla si distrugge...- mormori di nuovo in tono sommesso, rammentando cò in cui credi, o credevi.
E' di nuovo lei a parlare:-Io sarò una farfalla, e volerò da lui. Anche tu ci credi, vero? Lo sai che non te ne andrai mai?-.
-Ci credo, Margherita- sussurri quasi inudibilmente.
Una lacrima solitaria ti riga la guancia, fermata dalle rughe precoci.
Pensi alla sua fede immacolata, e a come queste pareti anch' esse candide siano riuscite in così poco tempo a cancellare la tua.
-Solo...- dice lei a bassa voce, per la prima volta vacillando.
-Dimmi-.
-Solo che vorrei sentirla un' altra volta, quella canzone, ma papà non verrà più-.
-Ma io posso cantarla per te-.


Disteso nel tuo letto, dormi, finalmente un sonno tranquillo, ininterrotto, sebbene non profondo.
E' stata una brutta giornata per te, fra la radioterapia e le notizie sempre peggiori, ma hai ritrovato te stesso, l'uomo invincibile. Piano piano riaffiora un ricordo, una poesia, l'unica che tu ti sia mai degnato di imparare ai tempi della scuola.
(2)

Dalla notte che mi avvolge
nera come la fossa dell'inferno
rendo grazie a qualunque Dio ci sia
per la mia anima invincibile;

la morsa feroce degli eventi
non m'ha tratto smorfia o grido,
sferzata a sangue dalla sorte
non s'è piegata la mia testa.

Di là da questo luogo d' ira e di lacrime
si staglia solo l'orrore della mia fine
ma in faccia agli anni che minacciano
sono e sarò sempre imperturbato.

Non importa quanto angusta sia la porta,
quanto impietosa la sentenza:
sono il padrone del mio destino,
il capitano della mia anima.

Sei di nuovo sopraffatto dall'emozione ricordando quei versi, che così bene ti rappresentano, e non riesci a scinderli dal sogno, poi ti svegli di soprassalto.
-Signor Harrison- ti ha detto ore prima, nel pomeriggio, un infermiere giovane, senza volto e senza nome -La ragazzina della centoventisette ha chiesto di vederla, poco fa, ha detto qualcosa su una certa canzone che sostiene che lei abbia promesso di farle sentire... Naturalmente le ho detto che lei non è assolutamente in condizione di...-.
-Mi faccia andare- hai detto con tono risoluto, per quanto le tue forze te lo abbiano permesso, interrompendolo -Mi lasci andare, è una promessa-.
-Non posso, signor Harrison- ha replicato lui, o forse il suo stesso camice, accecante e vuoto, senz' anima, quando tu hai perso i sensi di nuovo, costretto alla resa dal tuo stesso corpo. L'ultima immagine che hai visto, sempre più oscurata, è quella del tuo carceriere.
Improvvisamente lucido, ripensi alla scena. Trambusto dalla stessa stanza, passi, il telefono che suona, la centoventisette.
Confidi in Olivia, rimasta per la notte all' aggravarsi improvviso delle tue condizioni. Lei sa. Ti sarà complice.
-Olivia- bisbigli -Olivia!-. Lei si sveglia e ti si avvicina preoccupata.
-La... chitarra- indichi facendo un cenno con il mento -E' il momento-. Non il tuo. Non ancora. Ma lei non può che pensarlo ed esita prima di prendere lo strumento, percependo l'urgenza del tuo tono. Ti sorregge, nel percorrere i pochi passi che ti separano dalla stanza accanto. C'è un solo uomo nella stanza, ed è in camice. La madre di lei non è arrivata.
Guardi il medico che non commenta, leggi la rassegnazione nei suoi occhi, non ti rimprovera mentre te ne stai lì a guardare la bambina, che ha gli occhi chiusi ma, ti assicura lui, è cosciente, e sta smettendo di soffrire. Ora non c'è più niente da fare.
Trovi unso sgabello e ti siedi accanto al letto di ferro ghiacciato, lentamente metti a fuoco le corde e attacchi le prime note dell'introduzione, alle quali si aggiunge poi la tua voce, molto debole e spezzata, ma ancora bellissima.

Sunrise doesn't last all morning,
a cloudburst doesn't last all day,
seems my love is up and has left you with no warning,
it's not always gonna be this grey:
all things must pass,
all things must pass away.

Sunset doesn't last all evening,
a mind can blow all those clouds away,
after all this my love is up and must be leaving,
it's not always gonna be this grey:
all things must pass,
all things must pass away.

All things must pass
none of life strings could last
so I must be on my way
and face another day.

Now the darkness only stays in the night-time:
in the morning it will fade away,
daylight is good at arriving at the right time,
it's not always gonna be this grey:
all things must pass,
all things must pass away.

Buonanotte, piccola Margherita, ti auguro di rinascere farfalla.





Occhei, ho delle attenuanti. Innanzitutto non era mia intenzione scrivere nulla del genere, volevo scrivere sul compleanno di Paul, visto che era il "suo giorno" e si trovava così fisicamente vicino a me, che sono umbra. Poi, sebbene io sia agnostica, mi interesso di religioni e ho fatto in modo che la bambina desse per scontata la reincarnazione, che credo sia fra le più affascinanti idee che l'uomo ha sulla morte. E' uscito fuori questo, insomma, anche se ho davvero paura a pubblicarlo, dal momento che ci tengo, contiene la mia poesia e la mia canzone preferita.
Veniamo alle noticine.
1) Il dialogo si svolge interamente in inglese, ma ho pensato di tradurlo, per evitare le complicazioni che una pubblicazione bilingue avrebbe portato.
2) Invictus, di V. E. Henley. Ho utilizzato la traduzione che preferisco, sebbene non sia letterale, che è quella reperibile nello splendido, omonimo film su Nelson Mandela uscito, mi sembra, lo scorso anno.


Mi piacerebbe molto ricevere recensioni per questo scritto, detta sinceramente.




 


   
 
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