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Autore: Heresiae    06/01/2007    0 recensioni
Saeko affibbia un incarico a Ryo e fin qui nulla di strano, normale amministrazione. Qualcuno ha commissionato a un killer l'uccisione di Ryo Saeba. E qui si va sullo scontato. Ma le cose non sono mai semplici come appaiono e i segreti possono essere pericolosi, soprattutto se sono di Ryo Saeba.
E bisogna sempre ricordare che zio Murphy imperversa!
Genere: Drammatico, Azione, Avventura, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter, Umibozu/Falco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10

Il giorno dopo la parola più gettonata era: ‘scandalo’.
La scomparsa del presidente di una delle più grosse mayor mondiali e la sua possibile implicazione in atti criminali e terroristici lasciava incredulo e sorpreso la maggior parte del mondo economico e politico.
Uomini potenti e famosi rilasciarono interviste in cui le frasi più usate erano: “Sono davvero sorpreso, non riesco a crederci”, “Non è possibile, è sempre stata una così brava persona, di certo c’è un errore”, “Non è assolutamente possibile, c’è sicuramente un’altra spiegazione”, “Bisogna mantenere la calma, l’inchiesta è appena iniziata e sicuramente avremo risposte che spiegheranno tutto”.
Una settimana dopo l’Interpol divulgò i documenti trovati a bordo del peschereccio affondato e durante le perquisizioni in tutte le sedi delle Bruckmeyer Group. Il risultato fu sorprendentemente veloce e il responsabile dell’inchiesta venne lodato pubblicamente. Nessuno si sognò di rivelare che le informazioni le avevano trovate proprio davanti a loro, per la precisione sui loro computer di casa, dell’ufficio, nella casella di posta elettronica…
Tra la sorpresa generale di azionisti, manager e politici, Hans Bruckmeyer e la sua azienda erano stati smascherati e il mercato azionario Europeo ed Asiatico erano in evidente stato di shock tanto quanto i suoi azionisti. La Bruckmeyer S.n.c. era tra le cinque mayor che controllavano una numero infinito di settori, dalla distribuzione degli alimentari alla piccola drogheria di quartiere, alla produzione di media televisivi ed editoriali.
Anche le stesse persone intervistate si rivelarono sorprendentemente veloci quanto a reazione: “C’era sempre stato qualcosa di lui che non mi convinceva, non dovrebbe sorprendere questa notizia, in fondo sappiamo di chi stiamo parlando”, “Ricordo che una volta trattò malissimo una mia amica che gli avevo appena presentato, da uno che si comporta in un certo modo ci si può aspettare questo ed altro!”, “Se non altro ora sappiamo il perché di molte cose che non riuscivamo a spiegarci, lei ovviamente sa a cosa mi riferisco”, “Bisogna mantenere la calma, abbiamo subito un brutto colpo ma ci riprenderemo. L’economia non si basa su una sola persona”.
Una settimana più tardi, la notizia sparì dai media. Purtroppo non sparì dalla vita di molte persone, che si ritrovarono senza più un posto di lavoro o in completa bancarotta. L’affare Bruckmeyer si ripercuoté sulla vita di centinaia di operai e impiegati per molti mesi avvenire, per qualcuno anche per anni. La polizia internazionale avrebbe dovuto creare due settori di indagine appositi solo per indagare sui traffici della famiglia Bruckmeyer, di cui il più folto solo per il figlio, che avrebbe impegnato gli agenti nella ricerca approfondita di tutti i suoi legami e lavori per almeno cinque anni.
Kaori era sul divano e osservava il tramonto fuori dalla finestra. Il televisore era spento, l’accendeva solo ai notiziari; lo ascoltava tutto senza particolare interesse e poi spegneva. Accanto a lei c’era un giornale aperto sulle notizie di cronaca dall’estero: il caso Bruckmeyer era stato relegato in un trafiletto di venti righe in undicesima pagina; nonostante i danni all’economia e alle persone fossero sempre più gravi man mano che si indagava, si preferiva mantenere un riserbo assoluto che rasentava il silenzio. Comprensibile forse, dato che le persone che avevano avuto rapporti in pubblico con Bruckmeyer erano tutti esponenti politici ed economici di spicco delle maggiori nazioni occidentali. Non tutti però amavano rimanere in silenzio: le manifestazioni organizzate dagli operai di diverse ditte gestite dalla Bruckmeyer Group riuscivano ancora ad arrivare alla stampa internazionale, ricordando al mondo che i loro il sistema di controllo e le leggi non bastavano a mettere al riparo da pericoli simili.
Quando non guardava i notiziari o leggeva i giornali, Kaori rimaneva anche ore intere a fissare il cielo fuori dalla finestra ripensando a quella notte, a tutti gli avvenimenti successi, a tutto quel che aveva visto. A Ryo.
Quella sera l’avevano portata subito in ospedale per dei controlli in evidente crisi isterica. Le avevano dato dei calmanti e poi sottoposta a diversi esami di routine, constatando che il gesso era rotto e l’osso anche. La tennero in osservazione per la notte e la dimisero il giorno dopo prescrivendole dei calmanti nel caso avesse avuto un’altra crisi. Ma Kaori non ebbe altre crisi.
Con ulteriore preoccupazione dei suoi amici, Kaori si rinchiuse in uno stato di apatia da cui emerse solo per cacciarli di casa, stanca delle loro assillanti preoccupazioni.
“Due settimane.”
Erano solo quattordici giorni che Ryo era stato ucciso, Kaori cominciava a chiedersi quando il mondo criminale se ne sarebbe accorto. Nessuno di loro aveva divulgato la notizia, i trasferimenti di Kaori dall’ospedale verso casa erano stati fatti in segreto, stando ben attenti a non far vedere che Ryo non era con lei e per entrare al palazzo usavano l’ingresso sotterraneo dal seminterrato di Reika. Per tutta Shinjuku, né Ryo né Kaori erano ancora rientrati a casa e cominciava a serpeggiare la preoccupazione e il sospetto. Ma City Hunter era un nome che valeva, nessuno faceva congetture vere e proprie, semplicemente aspettava.
Naturalmente sapeva il perché di tutte quelle messe in scene da parte dei suoi amici, tutti loro pensavano che dovesse essere lei a dare la notizia. Ma lei non aveva nessuna intenzione di darla. Non solo non aveva detto a nessuno della morte di Ryo, non solo non aveva esposto il simbolo del lutto, proprio si rifiutava di ammettere la sua morte. Ancora peggio, si rifiutava di credere che fosse morto per un maledetto malinteso elucubrato dalla mente di un pazzo. Il suo istinto le diceva che Ryo non era morto, che non era possibile. “E allora perché ti rifiuti di entrare nella sua camera e al poligono?”

Era stata issata sul per il peschereccio con i loro soliti modi rudi e bruschi e trascinata in una delle stive di carico. Mentre sbatacchiava contro le paratie e inciampava sui gradini bui, Kaori aveva un solo pensiero fisso: farla pagare ad Hans Bruckmeyer. Fino a quel momento, chiunque volesse uccidere Ryo lo aveva sfidato a un duello faccia a faccia; certo, il più delle volte lei era stata il veicolo per far arrivare Ryo fin da loro, per sfinirlo, ricattarlo, distrarlo, ma alla fine si era sempre risolto con un faccia a faccia. Nessuno era mai stato così vigliacco da ucciderlo a distanza per paura di vederlo da vicino.
“Ti sbagli” la voce della coscienza è una voce che non si vorrebbe mai sentire in determinate circostanze “Quasi tutti hanno tentato di ucciderlo con delle trappole e sotterfugi, ma lui è sempre stato troppo bravo per cascarci”. Era una verità talmente palese che si infuriò ancora di più. Ricacciò la voce dentro di se, ma è difficile spegnere la mente quando è l’unica arma che si ha in pungo: “Tu sei arrabbiata perché sai che quei due erano amici.”
È vero. Kaori conosceva Ryo e sapeva che se una persona era amica di Ryo poteva contare sul suo sostegno per il resto della vita. Kaori non perdonava a Bruckmeyer di essere stato amico di Ryo e di averlo ucciso.
L’impatto violento contro il ponte della stiva la riportò alla realtà eliminando qualsiasi eco di voce interiore. Era lucida.
Si guardò intorno: l’avevano portata in una stiva di carico, poco iluminata e ingombra di casse ancorate al ponte e alle paratie da spesse reti di corda; davanti a lei, Bruckmeyer e la sua Melanie erano in piedi e la guardavano con una soddisfazione sadica. Era lei a impugnare la pistola, non per la prima volta Kaori pensò che lui probabilmente non era abbastanza bravo in quel campo da competere con Ryo, ma qualcosa le diceva comunque di stare molto attenta.
- Credo signorina Makimura che siamo arrivati alla fine del viaggio anche per lei. –
Kaori guardò Bruckmeyer e non si sorprese della freddezza che provò verso di lui.
- Allora perché sono in questa stiva? –
- Perché ci potrebbero essere alcuni suoi amici molto intenzionati a fermarci e lei ci serve come garanzia. Nei restanti sessanta minuti per essere precisi. –
Kaori divenne di nuovo conscia del suo braccio ingessato e della sua inferiorità numerica. Un’ora poteva essere sufficiente, ma lei era pur sempre ferita. Prima ancora di riuscire a imbastire un piano in base a tutte le informazioni che aveva, un’ombra passò attraverso un oblò rettangolare posto in cima all’ingresso della stiva. Istintivamente rotolò di lato, proprio mentre alcuni proiettili andavano a conficcarsi con precisione nel punto in cui Melanie e Bruckmeyer si trovavano.
Addossata a una cassa cercò con lo sguardo i due. Il tedesco si trovava al riparo dietro una pila di casse ancorate al ponte e apparentemente cercava la sua donna con lo sguardo, ma non fu il suo nome quello che gli uscì dalle labbra.
- Saeba. –
- Proprio io. –
Altri colpi di pistola in direzione di Bruckmeyer, ma lui li schivò agilmente. Kaori comprese finalmente che l’apparente difficoltà di quell’uomo di misurarsi faccia a faccia con Ryo, era davvero solo apparenza.
- Sei riuscito a sopravvivere al tutto, bravo, in effetti sei sempre stato bravo a nuotare. –
- Sai, è difficile rimanere su una barca quando ti spediscono un pacco imbottito di esplosivo per via aerea. –
Bruckmeyer ghignò. Era dietro a una scansia, si protese di pochi centimetri e sparò. Le scintille dei proiettili contro il metallo della nave illuminarono il fugace profilo di Ryo che si dileguava nella penombra. Kaori si mise a sedere e si trascinò al riparo dietro ad alcune casse. C’era ancora Melanie in giro, doveva stare attenta.
- Sai, non sei cambiato molto dall’ultima volta. Sei rimasto il solito fighetto sbarbato e senza virilità. –
- Anche tu sei sempre il solito muso giallo inespressivo. Mi chiedo come facciano le donne ad andare con uno con il grugno così brutto. –
Succedeva spesso. Ryo tendeva a sdrammatizzare e levare la tensione nell’aria con delle battute, soprattutto se conosceva il suo avversario. Lo faceva per prendere tempo, per studiare meglio il nemico e capire lo stato psicologico in cui si trovava e soprattutto per metterlo ulteriormente in agitazione, ma stavolta era diverso. Kaori avvertiva distintamente la crescita di tensione allo scambio di battute, questo perché l’avversario era davvero all’altezza di Ryo: non si faceva smascherare e rispondeva a tono, giocava al suo stesso gioco. Era davvero pericoloso anche faccia a faccia.
- Sai, non vedo l’ora di vedere un’espressione sul quel tuo muso giallo, una bella espressione di dolore e terrore. Sempre che tu sia in grado di provare emozioni si intende. –
Ryo si protese prudentemente al di fuori del suo riparo per vedere dove si trovava il suo avversario, ma fu costretto a ritirarsi subito. Due colpi d’arma da fuoco provenirono dal punto opposto in cui pensava si dovesse trovare Hans. Un attimo dopo si ricordò di Melanie.
- Se è solo me che vuoi, lascia andare Kaori. Lei non ti serve a niente adesso che hai me. –
Per un attimo pensò che non avesse sentito, i secondi passavano ma gli rispondeva solo il silenzio. Poi gli giunse una voce, alterata e bisbigliata, quasi stesse uscendo a forza dalla gola dell’uomo.
- Non dire stronzate dannato bastardo. È lei la mia vendetta contro di te. –
“Beh, ci ho provato almeno.”
Fece un balzo con rotazione in avanti sparando nel punto da cui arrivava la voce e rotolò verso altre casse. Doveva trovare Kaori e subito.
- Certo, che sei uno che prova rancore. –
Qualcuno era appostato dietro a delle casse poco avanti a lui, si ritirò velocemente nell’ombra mentre la figura si voltava in cerca dell’origine della sua voce.
- Non esiste perdono per quello che mi ha fatto. –
- Già beh, devo ancora capirlo quello che ti ho fatto. –
La figura avanzava guardinga con la pistola spianata, doveva solo fare pochi passi.
- Sai, non sono sicuro che tu abbia capito bene che cosa sia successo, forse è il caso che ne parliamo con calma. –
- Non c’è proprio più niente da dire. –
La voce proveniva da dietro di lui. Appena in tempo Ryo si abbassò. Con un calcio rotante all’indietro fece cadere Bruckmeyer a terra che però non mollò lo pistola. Fece un giro su se stesso e glie la levò di mano proprio mentre la stava puntando su di lui. Avvertì la presenza della donna dietro di se e stava per sparare quando un colpo attutito la fece uscire dal suo campo sensoriale. Quando si voltò, Kaori era sopra Melanie che ansimava tenendosi il braccio ingessato; Ryo guardò lei e poi il gesso: un grosso bozzo ovale deformava uno scarabocchio che le aveva fatto lui qualche giorno prima. Per forza che la donna era svenuta.
- Attento. –
Senza voltarsi, Ryo puntò la pistola alle sue spalle e fece fuoco, sfiorando soltanto Bruckmeyer alla tempia.
- Non muoverti. –
L’uomo serrò la mascella e lo guardò con odio mentre Ryo si alzava e lo guardava negli occhi per la prima volta da tanto tempo.
- Eccoci qua. –
- Bastardo. –
Kaori era in piedi che guardava i due indecisa su cosa fare. A dire il vero era indecisa anche su cosa pensare. Fino a pochi istanti prima era stata assolutamente certa della morte di Ryo e ora era lì, davanti a lei, vivo e vegeto e con la pistola puntata contro il suo rapitore. Sembrava che fosse finito tutto bene ma la tensione non la lasciava anzi, aumentava. Qualcosa le diceva che le cose erano ben lontane dal finire ora, in quel preciso istante.
- Kaori. –
- Si? –
Kaori si destò dai suoi pensieri e si avvicinò a Ryo.
- Stai bene? - Ryo non accennava a distogliere lo sguardo dall’uomo ai suoi piedi.
- Si, sto bene. –
- Ce la fai a prendere Melanie e a portarla di sopra? –
Che razza di richiesta era? Non le piaceva per niente.
- Si, ma perché vuoi che… -
- Allora portala su e falle la guardia. –
Kaori rimase interdetta qualche secondo, poi Ryo si voltò e la guardò.
- Per favore, ho bisogno che la tieni sotto controllo lontana da lui . –
Kaori lo guardò per qualche istante e annuì. Si issò la donna su una spalla puntellandola con il gesso che aveva cominciato a pulsare, fortunatamente non era troppo pesante. La trascinò su per le scale e la posò fuori, si voltò a guardare ancora una volta Ryo e Bruckmeyer, semi illuminati dalla luce soffusa della stiva e uscì. Tutto ciò non le piaceva neanche un po’, ma Ryo sembrava avere la situazione in pugno. Ci si poteva sempre fidare di Ryo.

Lo sweeper aspettò che Kaori uscisse del tutto e poi si rivolse di nuovo all’uomo di fronte a se che si stava sedendo lentamente in una posizione più comoda e lo guardava divertito.
- Che c’è Saeba, non vuoi che la tua donna sappia quanto sai essere senza cuore? –
Ryo lo fissò negli occhi, riconoscendo una luce che sperava di non rivedere così presto negli occhi di una persona a cui aveva voluto bene.
- Credo che tu non abbia mai capito niente Hans. Quella notte… -
- No io ho capito benissimo invece. Quella notte tu mi hai venduto. Mi hai venduto ai cinesi. Dannato…-
- No ti sbagli. –
- No che non mi sbaglio! Solo tu sapevi… solo tu oltre a me potevi sapere come sarebbero andate le cose. –
- Hans. –
- Perché te lo avevo detto io. - scoppiò in una risata amara e rauca, esausta. In quel momento Hans Bruckmeyer sembrava esausto. – Che stupido. –

Era una notte afosa. L’aria era satura di gas di scarico e dei rumori della folla. La notte era sempre giovane se sapevi dove andarla a cercare. Il nero pece arrivava solo a sfiorare le cime dei palazzi, quasi completamente illuminate da insegne al neon di colori vivaci, prevalentemente sul rosso. Le strade affollate e i muri si tingevano di quella tonalità violenta dando ai suoi passanti colori con i quali non erano usciti di casa, ma con cui si drappeggiavano con maestria. Era il quartiere cinese di New York e, per essere precisi, era il cuore di Chinatown. Diversamente da quel che si aspetterebbe da un quartiere del genere, non giravano solo occhi a mandorla e dolci lineamenti orientali, ma anche diversi visi spigolosi, capelli e occhi chiari. I completi giacca e pantalone scuri non contrastavano così tanto con quelli vivaci di raso lucido delle ragazze che andavano e venivano o delle giubbe dei ragazzi. Era uno spettacolo normale a Chinatown, dove l’unica regola che valeva era quella che ti faceva guadagnare di più con il minimo spreco. In poche parole, quando gli affari chiamavano non si guardava in faccia alla nazionalità di chi ti stava facendo guadagnare un sacco di soldi; ai cinesi bastava che si levassero in fretta dal loro territorio quando avevano concluso l’affare.
Ma gli onesti uomini di affari in nero non erano gli unici occidentali che si potevano trovare a Chinatown: qualche temerario – o semplicemente menefreghista – lo si poteva trovare ad abitare in uno dei palazzi dietro agli sgargianti esercizi che costeggiavano le strade. In particolare in uno di questi palazzi, posto proprio accanto a una casa del piacere molto famosa del quartiere, all’ultimo piano a sinistra, l’appartamento al buio. Al buio perché la luce che proveniva dalla strada era più che sufficiente a illuminare il piccolo bilocale come se fosse l’alba o il tramonto. Al suo inquilino bastava così. Era steso sul divano che fissava il lento girare del ventilatore, mentre il fumo della sigaretta saliva verso l’alto piegandosi appena per la spinta dell’elettrodomestico. I lineamenti in penombra indicano provenienza orientale, anche se diversa da quella dei proprietari del quartiere. Il termometro posto accanto alla finestra indicava i trentotto gradi Celsius, l’orologio le ventitre e quarantacinque. La calura proprio non accennava a diminuire. E nemmeno la noia.
Il ragazzo vestito in soli boxer e canotta portò una mano dietro alla testa e girò gli occhi verso la porta. Tre colpi sonori la scossero ponendo la classica domanda sott’intesa: c’è nessuno in casa?
- Chi è? –
- Il fattorino. –
Il ragazzo non si mosse dalla sua posizione ma strinse meglio la mano sulla pistola dietro di se. Gli sembrava di conoscere quella voce, anche se non ricordava di altre voci che gli provocavano un’istantanea voglia di ridere.
- Non ho ordinato niente? –
- Ne è sicuro signore? Eppure l’odore che emana la sua topaia è molto simile a quel che ho in mano. Sicuro di non volerlo? –
“Ma porc…”
Il ragazzo si alzò dal divano con uno scatto e spalancò la porta, ritrovandosi davanti a un ragazzo della sua età, biondo sorridente e vestito. Come un damerino forse, ma vestito.
- Hans, mezza cartuccia, se non hai portato del whisky o una donna non ti saluto nemmeno. –
Il ragazzo biondo fece un’espressione finta seriosa e con fare molto ossequioso tirò fuori da dietro la schiena una bottiglia di Jack Daniels.
- Ah ma noi ai nostri clienti diamo solo il meglio, sa? – Ryo si appoggiò alla stipite portandosi una mano sugli occhi, ma li aprì ben bene quando l’amico fece un gesto molto teatrale indicando la sua destra e spostandosi un po’ in direzione opposta. – E offriamo un servizio completo. – Una bella ragazza cinese venne avanti sorridendo e inclinando leggermente la testa. Il ragazzo sulla porta aveva levato completamente la mano dal viso e aveva cominciato a prendere nota delle – notevoli – misure della ragazza davanti a lui. Il viso sorridente di Hans si intromise nella sua osservazione.
- Allora Ryo, possiamo entrare? - Ryo guardò la faccia da schiaffi che gli si era appena parata davanti e fece un’espressione simile, levandogli la bottiglia dalle mani.
- Le parole d’ordine ci sono tutte. –
- Bene allora! Vieni tesoro. –
Ryo guardò per bene il movimento del fondoschiena della ragazza mentre lo oltrepassava e poi chiuse la porta.
- Tesoro? –
- Essì. – Hans si lasciò cadere sul divano mentre la ragazza assumeva una posa spavalda e osservava la discarica che Ryo chiamava ‘casa’ – Sai, c’è solo un piccolo particolare: Kyoko è la mia ragazza. –
Ryo assunse subito un muso lungo quanto un treno. – Che cooooosa?! –
Kyoko si voltò verso di lui mettendo ulteriormente in mostra il fisico che, per la cronaca, era fasciato da un miniabito cinese blu elettrico e gli fece l’occhiolino. – Piacere Ryo, io sono Kyoko, la ragazza di Hans. –
Ryo la guardò a bocca aperta per qualche secondo e poi guardò malissimo il suo amico, parandosi davanti a lui.
- Sai Hans, è molto scorretto ingannare gli amici con simili sotterfugi. –
Hans rise imbarazzato, ma non troppo e gli fece cenno di sedersi sul divano accanto a lui.
- Su dai non te la prendere, in fondo tu non hai specificato che la donna doveva essere libera. –
Ryo lo guardò un istante e poi scrollò la testa, - È vero. – e si lasciò cadere sul divano accanto all’amico. – Ma che non capiti più intesi? La prossima volta porta sua sorella! –
La ragazza si accigliò mentre i due si mettevano a ridere stappando la bottiglia, poi si arrese e andò a sedersi su una poltrona davanti a loro due, dopo aver spostato mezzo quintale di vestiti s’intende.
- Su dai amico, non te la prendere, dopo il lavoro che ti sto per offrire potrai pagare da bere a molte ragazze belle come la mia Kyoko. – Kyoko gli lanciò un’occhiataccia – Si insomma, non belle quanto lei, lei è unica. –
Ryo si versò da bere cambiando impercettibilmente espressione.
- Un lavoro? –
- Si, una cosa semplice che però ci renderà molto bene. –
- E a che ti servo io? Tu sai cavartela molto bene anche da solo. –
- Perché non posso stare davanti al Boss Tanaka e allo stesso tempo controllarmi le spalle, non ho il dono dell’ubiquità . –
“Tanaka!”
Improvvisamente Ryo non ebbe più voglia di bere.
- È tutto molto semplice, solo un affare di compravendita. Io gli consegno un po’ di casse con del materiale che lui agogna e lui sarà così gentile da darmi in cambio una valigetta con molta carta che io agogno. Tutto molto chiaro, no? –
Ryo guardò l’amico chiedendosi se stesse dicendo sul serio o scherzando, non poteva parlare in modo così leggero di un affare con Tanaka. Guardò la ragazza che aveva portato, guardava Hans molto tranquillamente, senza traccia di emozione. Se quella ragazza era anche soltanto per metà cinese come appariva, non poteva essere così tranquilla, assolutamente. Non era per niente chiaro.
- Tu dovrai solo fare, come si può dire, il servizio di sicurezza. Naturalmente, se pensi che servano uomini in più si può fare, in fondo non avremo più problemi di soldi ‘dopo’. –
“Appunto, dopo”
- Quindi… -
- No. –
- Cosa? –
- Ho detto no. –
- Ma dai Ryo, non ho ancora finito. –
- E non è il caso che continui. Tanaka è la persona più pericolosa in cui tu potessi imbatterti Hans. Non solo io non verrò, ma non ci dovrai andare nemmeno tu. –
Hans perse di colpo tutta la sua giovialità.
- Ma che stai dicendo Ryo? –
Ryo posò la bottiglia sul tavolo e lanciò un occhiata a Kyoko: la ragazza era apparentemente impassibile, ma lo sguardo era duro e la mascella serrata. – Sto dicendo Hans, che da come ne parli tu non hai la più pallida idea di chi sia Tanaka e nemmeno di cosa voglia dire fare affari con lui. Qualsiasi sia la merce, se è con Tanaka che tratti, devi andare là con tre vite di scorta e l’esercito per uscirne vivo, non illeso bada, ma vivo. –
- Smettila Ryo, spaventi Kyoko. –
Ryo fissò Hans negli occhi. Non poteva preoccuparsi sul serio della reazione della sua ragazza in quel momento! Si passò una mano tra i capelli e si inumidì le labbra.
- Io lo so che è pericoloso, capito? Altrimenti perché sarei venuto da te? - Ryo lo guardò. Apparentemente, Hans entrando non aveva notato niente. Non aveva notato la penombra, la pistola sotto ai cuscini del divano, tutti i cartoni di cibo a domicilio, niente. Quindi non sapeva e si stava ficcando in una trappola da solo e probabilmente non era nemmeno una sua idea. Conosceva Hans, sapeva che non era un trascinatore ma un trascinato. Si erano tenuti in contatto per un po’ fino a quando il padre non lo aveva messo in un collegio militare dove controllavano anche la provenienza della posta e la posta.
- Hans, chi ha preso in contatti con Tanaka? –
Kyoko fece un balzo come se si fosse scottata. Hans aveva lo sguardo duro.
- Che cosa vuoi dire Ryo? –
- Lo sai perfettamente. –
- No, non lo so. –
L’atmosfera era tesa, troppo tesa. In quel momento la luce del salotto era accesa e lui era un bersaglio facile nonostante avesse Hans davanti. Doveva alleggerirla o non avrebbe sentito altri eventuali pericoli. Prese la bottiglia e uno dei tanti bicchieri che c’erano sul tavolino, versandosi da bere.
- Che cosa sai della situazione di Chinatown in questo periodo, Hans? –
- E questo che centra adesso? –
- Rispondimi. –
Il tedesco si appoggiò allo schienale del divano con le braccia conserte fissando la parete davanti a se.
- Che c’è una delle tante battaglie per il controllo del quartiere. Il potere è in bilico, si combatte tutti contro tutti, tutti badano ai loro interessi, il solito insomma. –
- E invece no. – Ryo sbatté il bicchiere sul tavolo ottenendo così l’effetto desiderato: ora Hans lo ascoltava.
- Questa non è la solita lotta per la successione. Il Boss Shoun Lo è morto due settimane fa, lasciando un’organizzazione piena di piccoli gruppi in competizione e un testamento che non è stato accettato. Shoun Lo era un Boss potente di cui tutti avevano paura, ma era un pessimo leader. Non si è creato un successore a alla fine ha dovuto tirare a caso. La scelta non è piaciuta al resto del suo consiglio e ora sono tutti i lotta tra di loro. Hanno ucciso Fu Chao, il nuovo Boss designato, due ore dopo l’apertura del testamento. Li How e Chien Lei hanno ucciso Mow Tao e poi si sono uccisi a vicenda assoldando due killer che, guarda a caso, sono fedeli a Tanaka. Sono sopravvissuti solo altri due membri del consiglio altre a lui, Saimo Lo e Orochimatsu. Sono gli unici sopravvissuti perché sono gli unici che vantano un potere che si avvicina a quello di Tanaka, oltre che una crudeltà spietata. In due settimane i vertici del potere di Chinatown si sono completamente stravolti e non accennano a trovare un equilibrio. I potenti del resto della città fanno avanti e indietro ogni giorno per capire da che parte tira il vento, qualcuno di loro ci ha già rimesso la pelle. Il Padrino Renato ha un nipote all’ospedale e stasera spedirà a Orochimatsu le mani degli uomini che ce lo hanno mandato. Maratoswkij sta facendo il doppio gioco tra Lo e Tanaka, per domani è prevista da parte del primo una bella spedizione punitiva alla scuola di danza di una delle figlie. Devo continuare o ti basta, Hans? –
Hans lo ascoltava ma non sembrava impressionato, anzi, calmo e rilassato. Addirittura sorrise.
- Vedo che sei sempre ben informato come sempre. –
Ryo lo guardò, il sapore del whisky gli impastava ancora il palato, aveva bisogno di bere.
- Naturale che so queste cose è per questo, come ti dicevo, che sono venuto da te. – si alzò e andò alla finestra. – Puoi chiamarlo massacro o lotta senza quartiere, come ti pare, per me è sempre e solo una stupida baruffa per decidere chi comanda. –
Si voltò verso Ryo e sorrise. – Naturalmente non ho mai detto a nessuno di questo affare, i contatti con Tanaka li ho presi io e non stato difficile, sai quanto sia influente mio padre, no? È bastato frugare un po’ tra le sue cose, le agende dei genitori sono sempre una fonte immensa di sorprese e di guadagno per i figli, credimi. –
I due rimasero a fissarsi in silenzio per un po’.
- Ti stai cacciando un brutto guaio Hans. Non concludere questo affare. –
Il ragazzo scrollò le spalle con fare non curante.
- Non ho intenzione di rimanere in questa città una volta concluso l’affare Ryo. Il luogo dello scambio è vicino a un piccola pista di atterraggio in disuso da anni, non compare più nemmeno sulle indicazioni per gli atterraggi di emergenza. Un piccolo aereo da turismo porterà me e Kyoko lontani da qui per sempre. Porterà via anche te se lo desideri. –
Sembrava serio e anche deciso. La ragazza ora si era rilassata sulla poltrona. Ryo non si fidava di lei, aveva modi troppo ambigui e non si capiva di cosa aveva paura, se del suo rifiuto o che Hans decidesse di mollare. La osservò meglio, i capelli lunghi e lisci tagliati a regola d’arte con la frangetta, il corpo formoso e ben modellato dell’abito attillato che indossava, le gambe nude e le scarpe basse. Non era armata certo, ma le armi convenzionali non sono l’unica cosa che può ferire o uccidere. Ryo scosse la testa. Ad ogni modo, anche se la storia non gli fosse sembrata così sporca fin dalle prime parole, non avrebbe potuto accettare. Andare con lui significava portarsi dietro mezzo clan Lo.
- Non mi piace Hans, non mi piace per niente questa storia. –
- Quindi è proprio un no definitivo? –
- Definitivo. E credimi, ti faccio anche un favore. –
- Uhm… -
Hans sembro solo in quel momento notare la lieve protuberanza del cuscino del divano e le scatole di cibo cinese a domicilio dappertutto.
- Da quanto tempo sei qui dentro? –
- Abbastanza. –
“E non c’è nemmeno la tv… ma come gli arrivano le informazioni, via piccione?”
Il ragazzo biondo scrollò le spalle e si scostò dalla finestra. – Bene, allora noi andiamo. Vieni tesoro, dobbiamo andare a trovare un altro paio di persone per il nostro ‘servizio di sicurezza’ –
La ragazza si alzò, prima di raggiungere Hans alla porta lanciò un lungo sguardo penetrante a Ryo, che lui non riuscì a decifrare ma gli mise addosso una bruttissima sensazione. ‘Tesoro’ raggiunse Hans che le teneva la porta aperta e uscì, i due ragazzi rimasero a guardarsi ancora un istante prima di accomiatarsi.
- Ci si vede Ryo. –
- Buona fortuna Hans. – la porta si chiuse.
- Ne avrai bisogno. –
Due ore dopo Ryo veniva svegliato da Mary che gli mise in mano un biglietto di sola andata per il Giappone e una borsa doppiofondo per la sua Magnum. La bottiglia era ormai vuota e i giochi fatti. Hans Bruckmeyer aveva trovato gli uomini del suo servizio d’ordine, purtroppo per lui non furono così onesti da rifiutare nonostante fossero sotto il mirino degli Orochimatsu. Ryo partì all’alba, quella notte Hans Bruckmeyer andò a concludere il suo affare con il Boss Tanaka. Lui non sapeva però che all’incontro erano presenti anche gli esponenti degli altri due clan in lizza e che uno era al suo fianco. Così, i cosiddetti servizi d’ordine di tutti e tre i clan si scontrarono fuori dal piccolo magazzino alla periferia della città. L’affare andò a monte. Tanaka, su tutte le furie, attribuì la colpa di tutto ciò al giovane sprovveduto che lo aveva coinvolto in quell’affare. Lui e Kyoko furono portati via in uno dei tanti posti segreti addetti all’interrogazione dei ‘sospetti’. La ragazza fu la prima a essere torturata sotto gli occhi di Hans. Quando lei confessò il suo coinvolgimento con i Lo, segnò la condanna anche del suo uomo. Il piano era semplice: arrivare a Tanaka servendosi di Hans e delle sue armi, di cui si sarebbero poi impadroniti. Hans aveva organizzato un grosso affare, una partita di armi pesanti e leggere tale da armare due compagnie dell’esercito statunitense. Tanaka presenziava sempre agli affari di una tale portata, era su questo che il clan Lo faceva affidamento. Kyoko morì davanti angli occhi del suo innamorato, che venne rinchiuso in una cella in attesa che venissero prese decisioni sul suo destino. Fortunatamente per lui, Tanaka era un uomo d’affari. In cambio di un cospicuo risarcimento lo ridiede al padre che fu costretto a chiuderlo in una casa di cura a causa dello stato in cui era ridotto. Quando Hans ne uscì non era più lo stesso e anche i suoi obiettivi erano cambiati. Per lui la colpa di tutto quel che gli era successo era solo di Ryo Saeba. Glie l’avrebbe fatta pagare cara.

I due erano ancora immobili al centro della stiva di carico. I ricordi affluivano forti e violenti riportando anche gli odori, che sembravano reali quando il metallo che calpestavano. L’odore di smog, di cucina cinese, di chiuso, di caldo, di whisky, della lozione che Kyoko aveva applicato sulla sua pelle; ma anche di sangue, di polvere da sparo, di dolore, di paura. Dietro agli occhi di Bruckmeyer si agitava qualcosa che Ryo aveva imparato a riconoscere presto, ma sperava che il metodo per sconfiggerla non dovesse essere sempre lo stesso.
- Sei stato male Hans. Non hai mai avuto la concezione di tutto quel che è successo. –
- O si invece. –
Bruckmeyer si alzò, Ryo non accennava ad abbassare la pistola.
- Ho avuto molto tempo per pensare a tutto quel che era successo Ryo, molto tempo. Tre anni sono lunghi da passare, soprattutto se stai in un posto dove il massimo dello svago è vedere un decerebrato che rovescia la sua minestra addosso al compagno di sventura, un giorno si e l’altro pure. – si spolverò il vestito, un gesto automatico o per prendere tempo? – Quella notte Ryo, mi si sono spalancati gli occhi. Non solo ho avuto la rivelazione di ciò a cui ero destinato a diventare, ma anche di chi erano le vere persone di cui fidarsi. Sai, gli uomini d’affari come Tanaka sono i più affidabili, in fondo seguono una sola regola, quella del Denaro. Segui e rispetta questa regola e da loro non avrai nulla da temere. –
Bruckmeyer aveva cominciato a muoversi lentamente in circolo intorno a Ryo, che aveva tutti i sensi allerta. Non si poteva permettere distrazioni.
- Che cosa credi che sia successo Hans? Perché pensi che sia stato io a venderti? –
- Non fare l’idiota Ryo! Te ne sei andato poche ore dopo che siamo usciti da casa tua. Nessuno oltre e noi in quella stanza sapeva che cosa stava per accadere. Ci hai venduti agli Orochimatsu, hai rovinato tutto! –
“Che cosa?!”
Ora Ryo capiva: Hans era d’accordo con i Lo. Lui sapeva che la sua Kyoko era al loro soldo, probabilmente era lei che teneva i contatti tra lui e il clan. Quando erano venuti a cercarlo sapevano perfettamente che tra lui e il clan Lo non correva buon sangue, perché era stato assunto da una famiglia proprietaria di un ristorante per proteggerli da loro. Poi la faccenda gli era sfuggita di mano e si era ritrovato a combattere una battaglia contro il clan Lo per liberare l’intero quartiere dalla loro influenza: un’utopia. Gli sguardi di Kyoko ora assumevano un significato, probabilmente il clan era disposto a rinunciare a vendicarsi di lui pur di prendere Tanaka, in fondo era un pesce piccolo in confronto alla vittoria su uno dei due Boss contro cui combattevano.
- Tu… lavoravi per i Lo?! –
- Naturale che lavoravo per i Lo. Mi credevi così stupido Ryo?! –
“Assolutamente si”. Che altro avrebbe dovuto pensare di un ragazzino che correva entusiasta dietro allo squadrone d’attacco, faceva il giocoliere con il machete e chiedeva incessantemente di raccontare com’era il ‘fronte’? Ryo non aveva mai avuto una buona stima di lui in quanto a intelligenza. Era diventato bravo con le armi ma era rimasto sempre un immaturo. Ma forse era cambiato. “Forse non lo era mai stato”.
- E così… hai creduto che io ti avessi venduto, in cambio di passaggio sicuro per il Giappone. –
- È esattamente quello che è accaduto. –
- No. Hans… -
- Non mentirmi Ryo. Non ci sono altre spiegazioni . –
A pensarci no, ma ci doveva essere, lui non li aveva venduti. Non lo avrebbe mai fatto.
Si riscosse, il tono di Hans era cambiato e si era fermato.
- Hai idea di quel che ho passato, Ryo? Ho visto morire Kyoko, l’ho vista morire in maniera così atroce da rimpiangere i tempi della guerriglia. I cinesi, i cinesi conosco infinti modi per far morire qualcuno il più dolorosamente e lentamente possibile. Lei però alla fine è morta, io invece… - guardò il ponte come incapace di parlare, ma poi continuò, aveva lo sguardo fisso e spento, - io invece no. Sono rimasto giorni chiusi in quella cella putrida, al buio, a ripensare a Kyoko, a Tanaka, all’affare, a te! E poi, quando mi hanno riconsegnato a mio padre, siccome io non smettevo di pensare lui ha pensato che fossi impazzito del tutto, completamente sciroccato. –
Esplose in una risata così triste che Ryo rabbrividì. Lo sguardo di Hans cambiò ancora e si fissò su di lui.
- Tre anni. Tre anni Ryo, passati in mezzo a dementi e ritardati. A farmi vomitare addosso, a indossare solo pigiami, a dormire quando me lo dicevano loro, mangiare quando me lo dicevano loro, pisciare quando me lo dicevano loro, respirare quando me lo dicevano loro! E quando sono uscito… ho deciso che da quel momento in poi sarebbe stato il contrario. Io sarei stato il burattinaio e gli altri le mie marionette. E come puoi vedere, ci sono riuscito. –

Kaori era sul portello della stiva, stava ascoltando tutto. Melanie era a poca distanza da lei ancora svenuta: non aveva bisogno di guardare la scena, le bastava sentirla, era più che sufficiente per farle venire i brividi alla schiena. La voce di Bruckmeyer cambiava continuamente di intonazione, a tratti cantilenava, a volte era assente, sembrava non fosse in grado di controllarsi. “È pazzo.”
Con un brivido, Kaori ebbe un terrificante dejavu. “No, sono solo ricordi, è una situazione completamente diversa, non finirà come l’altra volta”. Ma la coscienza l’avvertiva: qual’era l’ultima volta che il suo istinto aveva fallito? Kaori non lo ricordava.

Hans era immobile di fronte a lui e lo guardava con odio folle. Aveva i capelli scarmigliati e il viso paonazzo, Ryo sapeva di doversi aspettare di tutto da una persona del genere. Gli aveva insegnato lui a sparare, a difendersi, a lottare corpo a corpo, a usare le armi da taglio e la testa. Forse Bruckmeyer non si era tenuto in esercizio come lui in quegli anni, ma non era nemmeno detto. Alla fin fine, Ryo non sapeva niente di lui.
Bruckmeyer scattò. Ryo fece un balzò a sua volta e sparò mancandolo completamente. Rotolando su se stesso, Bruckmeyer raggiunse qualcosa sul pavimento che Ryo riconobbe come una pistola.
“Dannazione!”
Era completamente allo scoperto. Rotolò all’indietro cercando di raggiungere le casse più vicine ma due colpi a terra lo convinsero a fermarsi. Era proprio al centro della stiva. Un battito ritmico e lento di un paio di mani proveniva da dietro di lui.
- Bravo. Ottimo esempio di agilità. Peccato che non sia servito a molto. –
Bruckmeyer era dietro di lui, accanto alle scale. Ryo si voltò e lo osservò, chiedendosi che diamine avesse in mente.
- Sai, tempo fa mi è giunta voce di come è morto il povero Kaibara. – a Ryo gli si rizzarono i capelli sulla nuca – Me lo ricordo sai? Vi comportavate proprio come padre e figlio, anche se già all’epoca era evidente che non ci stava molto con la testa. Immagino che alla fine il tutto sia degenerato tra voi. Un vero peccato davvero, mi piaceva come persona. -
Aveva i brividi. Non sapeva perché, ma tutte le sue terminazioni nervose gridavano al pericolo. Doveva uscire di lì.
- Dev’essere stata dura poi, per te, uccidere tuo padre. Immagino che non sia stata facile da superare nonostante tutto, vero? – Bruckmeyer salì il primo gradino senza smettere di fissarlo.
- Ho pensato quindi che sarebbe stato carino, in fondo, permetterti di raggiungerlo in modo consono. Per la stessa via, magari, magari anche nello stesso modo. –
Bruckmeyer alzò un braccio e mostrò a Ryo quello che sembrava un piccolo telecomando. Senza dare spiegazioni, premette il bottone che si trovava sulla superficie. Un rumore di esplosione dietro di lui e fu spinto violentemente in avanti dallo spostamento d’aria. Subito il ponte venne invaso dall’acqua. Bruckmeyer salì velocemente le scale e richiuse il portello stagno dietro di lui. Ryo si rialzò barcollando, aveva battuto forte la testa contro il ponte. L’acqua gli arrivava già alle caviglie e non era difficile immaginare che cosa era successo: in una nave camuffata da peschereccio per poter eseguire trasporti illegali, una delle componenti base è un portello che permette l’aggancio per un piccolo sommergibile. Bruckmeyer lo aveva fatto saltare e aveva chiuso il portello. Non c’era uscita. Non asciutta.
“Beh, poco male.” Ryo si avvicinò all’apertura. L’acqua entrava velocemente, il che indicava che uno sfiato per l’aria c’era, ma era sicuramente in alto, tanto valeva uscire dal basso. Fece per mettere cautamente un piede nella forte corrente ma incontrò un ostacolo dopo solo mezzo metro. Con un terribile presentimento Ryo si immerse e tasto sotto di se, incontrando una grata.
“Dannato!”
Tentando di non farsi prendere dal panico, uscì dalla botola risalendo per quelli che erano ormai due metri; a quella velocità la stiva si sarebbe riempita in pochi minuti. “Lo sfiato per l’aria”. Ryo sapeva che se Hans aveva pensato a chiudere la botola, sicuramente aveva fatto lo stesso per lo sfiato, ma non accettava di arrendersi, non così, non adesso.

Kaori si era distratta e nel momento sbagliato. Quando aveva sentito lo sparo si era girata preoccupata a vedere che cosa succedeva a Ryo, il tempo necessario perché qualcuno la colpisse alle spalle. Cadde a terra perdendo la presa sulla pistola, quando si voltò, vide Melanie che la torreggiava minacciandola con un coltello. Perché non aveva pensato a perquisirla?
- Stai ferma dove sei. –
“Ma nemmeno per sogno”.
Kaori le sferrò un calcio alla base della caviglie facendola cadere. Cercò di riprendere la pistola ma la donna l’afferrò per i capelli tirandola indietro. Sferrò una gomitata alla cieca con il braccio ingessato raggiungendo qualcosa di morbido e la presa sui suoi capelli si allentò. Girò su se stessa e le sferrò un calcio rotante alla nuca; mentre la sua avversaria cadeva sul ponte, qualcuno dietro di lei chiuse il portello. Kaori si girò e vide Bruckmeyer che ansimava e si voltava verso di lei puntandole contro una pistola.
- Spiacente signorina Makimura. Ryo non è disponibile al momento. Ma se aspetta un po’, lo potrà raggiungere tra i più molto presto. –
“No!”
Si lanciò verso il portello preparandosi a essere respinta dall’uomo ma a sorpresa lui, invece di spingerla indietro, la schivò e l’afferrò per le spalle, mandandola a sbattere contro l’oblò. Le immobilizzò le braccia e le tirò indietro la testa, assicurandosi che riuscisse a vedere bene.
- Guarda, guarda come muore Ryo Saeba. –
Kaori osservò, impietrita, la stiva che si riempiva d’acqua. Osservò Ryo riemergere dal punto in cui l’acqua fuoriusciva spumeggiando e guardarsi intorno furioso. L’acqua continuava a salire, lui aveva cominciato a fare i giro delle pareti per cercare lo sfiato, fino a quando non individuò una piccola grata a livello del portello in cui si trovavano loro. E ce ne erano altre, tutte intorno, tante piccole grate che coprivano gli sfiati per l’aria. Non c’era, per lui, un’uscita abbastanza grande in grado di farlo passare. Era finita.
Dietro di lei Bruckmeyer sussultava, spingendola sempre più contro il vetro, alla fine scoppiò a ridere. Una risata scrosciante, sonora, divertita, una risata che condannava a morte Ryo. Kaori cercò di battere sul vetro e sulla porta, di farsi sentire, di librarsi, ma la presa dell’uomo su di lei era troppo forte, non ci riuscì. L’acqua arrivò a lambire il portellone e poi l’oblò. In pochi istanti la stiva fu piena.
Dagli sfiati cominciarono a fuoriuscire forti getti d’acqua, era evidente che per uccidere Ryo Bruckmeyer aveva minato la capacità della nave di stare a galla. L’acqua usciva e si riversava sui ponti, riempiendo i corridoi, la nave sarebbe affondata presto.
Bruckmeyer la tolse dall’oblò e la trascinò a peso morto su per delle scale che portavano all’esterno.
- Melanie prendi l’elicottero, ce ne andiamo. – la donna lo precedette verso la sezione di poppa.
Appena arrivarono sul ponte di poppa Kaori reagì. Sferrò una gomitata con il gesso alle reni di Bruckmeyer, mozzandogli il respiro. Per essere sicura ne sferrò un’altra facendogli mollare la presa su di lei, poi lo colpì alla testa. Il tedesco perse la presa sulla pistola, che Kaori afferrò. La puntò verso l’uomo ma due spari dall’alto la costrinsero a indietreggiare fino al parapetto. Melanie accorse subito in aiuto dell’uomo e si frappose tra i due. A Kaori sembrò di essere dentro una scena al rallentatore: la vide scendere dal ponte superiore, la vide correre verso di lei e prendere posizione per sparare; decise di non attendere, fece fuoco. Melanie fece una strana espressione di sorpresa quando il colpo la raggiunse e si portò una mano al petto. Tra tutti gli avversari presenti quella notte, Kaori non era mai stata classificata come un pericolo effettivo, solo come un fastidio. Avevano sbagliato. Quello fu l’ultimo pensiero di Melanie quando scivolò sul ponte priva di vita.

Kaori tornò alla realtà. Ricordava ogni particolare di quella notte. Rumori, odori, discorsi, sensazioni… le sue notti si dividevano tra il ricordo della morte di Ryo e quella di Melanie. Glie lo aveva detto tante volte ma non ci aveva mai creduto: il proiettile faceva sul serio un suono diverso quando colpiva qualcuno. Si alzò dal divano e andò alla finestra. Non lo faceva mai, avrebbero potuto vederla. Peggio, avrebbero potuto ucciderla. Mick e Saeko glie lo ricordavano un giorno si e l’altro pure quando erano qui: Bruckmeyer è ancora libero. Libero e pericoloso.
Il Professore lo aveva cercato dappertutto, ma non lo aveva trovato. Si erano persino rivolti ai tre hacker che avevano aiutato Ryo, ma con scarso successo. Sembrava scomparso dalla faccia della terra. Un po’ meno segreta era l’ubicazione dei tre hacker al soldo del tedesco che si erano dileguati dalla villa prima dell’arrivo delle autorità e ora progettavano il contrattacco per i TNT e cercavano nuovi clienti. Ma a loro non interessavano i tre ragazzi, loro erano dei freelance, lavoravano per chi li pagava e basta.
Con il braccio sano tastò la pistola nella fondina posta sulla sua schiena. Da quel giorno dormiva persino armata, sorprendendosi a trovare perfettamente naturali gesti che prima attribuiva solo a Ryo.
Il sole era ormai completamente tramontato, lo ombre cominciavano a allungarsi su Shinjuku e le insegne ad accendersi. Il bagliore vivace della città cominciava ad avere la meglio sulla scarsa luce solare.
C’erano poche ombre in movimento nella via davanti a casa sua, le numerose finestre accese indicavano che era ora di cena, di compagnia, di famiglia. Kaori non aveva fame. Non mangiava quasi nulla in quel periodo e si giustificava con Miki dicendo che, chi non fa niente tutto il giorno non ha bisogno di mangiare. Miki si arrabbiava ma alla fine si arrendeva. Sapeva che non c’era verso di farla ragionare in quel periodo.
Un’ombra fugace passo rasente al muro e si infilò nel palazzo di fronte. Senza un motivo preciso, Kaori si mise in allerta. Sfilò la pistola dalla fondina e attese, poteva essere un falso allarme, ma anche no.
Passarono diversi minuti senza che sentisse il minimo rumore sospetto, il sole era ormai tramontato del tutto e il cielo completamente buio. La stanza era illuminata solo dalle luminarie stradali e era quasi completamente in ombra. Kaori sospirò e mise di nuovo la pistola al suo posto. Un falso allarme. Stava diventando paranoica.
Quand’è l’ultima volta che il tuo istinto ha sbagliato?
“Accidenti!”
La porta si spalancò.
Kaori rotolò di lato sfoderando la pistola ma un colpo secco sul braccio glie la fece cadere. Senza darle il tempo di voltarsi, l’aggressore l’afferrò per il braccio ingessato e immobilizzò quello sano. Per poco Kaori non urlò.
- Ci rivediamo signorina Makimura. –
“Bruckmeyer!”
- Ha sentito la mia mancanza? In effetti no, non credo. –
Scaraventò Kaori contro la finestra e si levò il passamontagna. Era proprio Bruckmeyer, in tenuta da combattimento nera faceva tutto un altro effetto, ma era proprio lui.
- Lei ci ha proprio tratti in inganno sa? Era la persona da cui ci aspettavamo meno fastidi e meno sorprese e invece… Beh, è tardi per piangere sul passato, ma non per rimediare. –
Puntò la pistola contro di lei e armò il cane, poi sparò.
Kaori aveva chiuso gli occhi istintivamente, aspettandosi il colpo, che non venne. Il dolore che provava era sempre il solito al braccio, non ce ne erano di nuovi. Era illesa. Ma Bruckmeyer era a soli pochi passi da lei!
Aprì gli occhi e lo vide sempre in piedi davanti a lei, leggermente curvo con un piede in avanti e la pistola puntata, ma l’espressione era diversa. Sorpreso, Hans si portò una mano alla spalla destra, tastò e si portò la mano alle labbra. Sangue. “Sono stato colpito, ma chi…”
Non fece tempo a completare il pensiero, perché un secondo sparo lo raggiunse alla gamba, stavolta facendolo cadere.
Quando Bruckmeyer fu a terra, Kaori poté vedere una seconda figura che avanzava dall’ombra portandosi nel raggio di luce della finestra e in quel momento si sentì mancare. “Ryo.”
Era come quando l’aveva visto scomparire tra i flutti, l’aria le venne risucchiata dai polmoni rifiutandosi di entrare, come se un grosso peso le fosse stato appoggiato sul diaframma; poi il pensiero caldo e rassicurante che riprese a farle battere il cuore: “È vivo.”
Bruckmeyer era a terra e si era voltato a guardare il suo assalitore.
- Tu, tu sei… non è possibile. –
Ryo fece un mezzo sorriso amaro e si diresse verso la parete, accendendo l’interruttore.
- Tutto è possibile Hans. – Ryo si riavvicinò al tedesco e si chinò verso di lui, levando dalla tasca qualcosa e mettendoglielo davanti. Bruckmeyer sbiancò ulteriormente. – Soprattutto se mi lasci da solo in una stiva piena di questi giocattoli. –
“La stiva?”
Improvvisamente Kaori ricordò le casse. Non si era mai chiesta che cosa contenessero. Ryo allontanò la pistola dall’uomo e gli levò il coltello alla caviglia. Non era molto armato, probabilmente erano armi di riserva. Si diresse verso la sua assistente e si chinò verso di lei.
- Stai bene? –
Kaori era ancora senza parole. Aveva creduto sul serio che… Insomma, aveva visto che…
Ma quand’è stata l’ultima volta che il tuo istinto ha fallito?
Doveva dare più retta al suo istinto. Si, davvero.
Riuscì ad annuire brevemente e gli buttò le braccia al collo, tentando di reprimere i sussulti che era il preludio al pianto.
- Ma… ma come… ?-
Lui l’allontanò quel tanto che bastava a guardarla in faccia e le fece l’occhiolino.
- Semplice fortuna. –

Quando aveva visto le piccole grate poste in cima alla stiva, si era sentito perso. L’acqua invadeva ormai più di metà deposito e non c’era nessuna via di scampo. Se avesse tentato prima di scardinare la grata forse… ma ora era impossibile. Si era arrampicato su una delle pile di casse più alte. Aveva visto Kaori al di là dell’oblò e non si faceva illusioni, non era lei che aveva la pistola in mano in quel momento. Doveva uscire di lì, doveva raggiungerla subito. Con un gesto di stizza aveva sferrato un calcio alla cassa sotto di lui che cominciava ad essere sommersa. “Bravo, demolisci uno dei tuoi pochi punti di sostegno”, poi gli si accese la lampadina. “Le casse!”
Pochi giorni prima Ryo aveva scambiato le casse piene di armi trasportate nella caverna con altre piene solo di giocattoli e fatto saltare in aria le due navi mercantili che le avevano trasportate, con tutto il carico originale a bordo. Bruckmeyer le aveva rimpiazzate subito, ma aveva fatto arrivare una nuova fornitura di armi per essere più tranquillo. La politica del ‘non si sa mai’ però, per la prima volta aveva fallito. Nella foga di mettere a punto un piano di riserva per eliminarlo, l’uomo si era dimenticato che lasciava City hunter da solo in una stiva piena di esplosivi e i relativi accessori.
Nella cassa che aveva sfondato c’era abbastanza plastico da far saltare in aria mezza costa giapponese. Aveva afferrato un panetto di esplosivo e aveva cominciato a dividerlo in fretta. Aveva afferrato i detonatori e i fili presenti in ciascuna casse e si era tuffato. In alto non c’erano aperture sufficientemente gradi per farlo passare nemmeno se le avesse fatte esplodere, ne rimaneva sempre solo una. Aveva raggiunto la botola ringraziando che l’acqua non avesse ancora spento le luci, ma raggiungere la grata non era stato facile, soprattutto nella corrente della botola. Aveva raggiunto il centro e aveva creato un circolo di panetti aggrappandoli per bene alle maglie della grata. Poi aveva inserito il detonatore, lo aveva collegato al cavo e il cavo… “Il telecomando!”
Era riemerso in fretta, constatando che anche se aveva il telecomando era difficile farlo partire senza le batterie e il dispositivo di comunicazione. Guardò in alto: aveva solo due metri prima di toccare il soffitto della stiva. Al diavolo. Tirò fuori il cellulare dalla tasca, lo smontò, prese la batteria e si immerse di nuovo. Arrivato alla botola fu tentato di tirare un sospiro di sollievo nel vedere che cavo, plastico e detonatore erano tutti lì. Prese i fili del detonatore, li spelò velocemente con i denti e li collegò alla batteria.
L’impattò contro la paratia fu violento e l’aria gli uscì dai polmoni. Aveva battuto la testa e la nausea lo stava invadendo. Aveva una gran voglia di lasciarsi andare, di chiudere gli occhi e lasciarsi trascinare via dalla corrente e dall’acqua, ma sapeva perfettamente che la morte per annegamento era tutt’altro che dolce. Facendo ricorso alle sue ultime energie, raggiunse la botola e guardò lo squarcio nella grata: era appena sufficiente per farlo passare. Sentì i polmoni premere per inspirare e la testa che lamentava la mancanza di ossigeno, oscurandogli la vista. Si infilò velocemente nell’apertura, il metallo slabbrato gli penetrò nei fianchi ferendolo, la corrente lo ricacciò indietro. Si aggrappò al bordo del portello esterno e si diede una spinta. Era fuori.
Cercando di non cedere nuotò otre la fiancata della nave resistendo all’impulso di portarsi una mano alla bocca per aiutarsi. Una. Due. Tre bracciate. Inspirò. L’acqua di mare gli bruciò la gola e i polmoni alla prima sorsata, sentì gli occhi tentare di difendersi con le lacrime e si impose di non inspirare più. Una. Due. Tre bracciate. Stava davvero andando in alto? Non lo capiva più. Era così distante la superficie? Una. Due. Tre… non ce la faceva più. Una. Due. Era la luna quella? Una. Inspirò una seconda volta. Le braccia si rifiutarono di rispondere, le gambe erano terribilmente pesanti. Forza! Uno! Due! Tre! No. Non ce la faccio. Un’ondata di acqua calda lo sollevò e lo fece rivoltare, improvvisamente la sua faccia incontrò l’aria.
“Aria!”
Come i suoi polmoni incontrarono l’ossigeno, espettorarono violentemente l’acqua di mare. Ryo annaspò tentando di tenersi a galla e di non soffocare mentre tentava di tornare a respirare. Dopo qualche istante in cui il suo apparato respiratorio tornava alla normalità, Ryo sentì qualcosa di duro sotto un piede. Tentò di voltarsi e prese una gran gomitata contro qualcosa di ancora più duro che gli fece riprendere lucidità per qualche istante, il tempo necessario di accorgersi che era parecchio distante dalla villa di Bruckmeyer. “Che stupido, ho nuotato in diagonale.”
La corrente lo aveva trascinato in un anfratto dove le onde non si infrangevano troppo violentemente. Ryo si arrampicò sopra uno scoglio abbastanza grande e in alto e svenne. Si sarebbe svegliato solo il giorno dopo, a sera e si sarebbe riaddormentato quasi subito, svegliandosi il pomeriggio seguente. Ben riposato, avrebbe risalito la scogliera non troppo ripida e raggiunto il bosco, stando attento a non farsi vedere dalle forze dell’ordine che perquisivano la villa.

Kaori stava cominciando a piangere senza rendersene conto, ma non sapeva se di sollievo o semplice sfogo. Si erano completamente dimenticati di Bruckmeyer.
- Bravo. Ben fatto, come sempre Ryo. –
I due si voltarono verso l’uomo che parlava a fatica e li guardava ancora con odio. Si era trascinato fino alla spalliera del divano e aveva qualcosa in mano.
- Ma non credere che sia finita qui. Non ti lascerò mai vincere così facilmente. –
Sollevò un braccio e lanciò verso di loro l’oggetto molto simile a una granata. Ryo sollevò Kaori e balzò in avanti nel tentativo di sfuggire all’esplosione. La granata toccò la parete ed esplose in un sfolgorio accecante di luce. I due sweeper atterrarono pesantemente sul pavimento coprendosi le mani con gli occhi, non ci vedevano più. Sentirono i passi zoppicanti di lui uscire il più velocemente possibile dalla porta e sparire in fondo alle scale. Ryo non accennava a muoversi.
- Ryo! Sta scappando! –
- Lascialo andare. –
Kaori si sfrego gli occhi nel tentativo di ritrovare la vista, mentre il peso del corpo di Ryo si sollevava da lei. Dopo pochi istanti riuscì a distinguere i colori della stanza e si voltò verso lo sweeper, che stava appoggiato stancamente alla parete e si teneva una mano sul volto; il suo braccio era ancora intorno alla sua vita.
- Ryo, stai bene? Sei ferito? –
Ryo sorrise e si voltò verso di lei.
- Si sto bene, stai tranquilla. – e si riappoggiò alla parete.
Kaori si accorse di non avere la forza di replicare. Non aveva la forza di fare niente. Si appoggiò a Ryo e respirò a fondo. Ryo era lì, Ryo era vivo. Era finita.

  
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