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Autore: Brin    21/06/2012    0 recensioni
Non si può restare a guardare quando una mano sconosciuta porta via ciò che di più caro hai al mondo: questo è quanto Sari Kalabis sperimenta sulla propria pelle nel momento in cui uno dei pilastri della sua vita le viene strappato per sempre.
Non sa, però, che il desiderio di sapere perché la porterà su strade pericolose, lastricate di interessi a cui non dovrebbe avvicinarsi. Verso i sotterranei di un carcere da cui non si può uscire, nella pancia di un incubo folle e delirante che non dovrebbe esistere.
Genere: Fantasy, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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20



20.

UNA PERSONA IMPORTANTE



*


Sari rimase ferma davanti alla porta, con il pugno a mezz’aria pronta per bussare ma senza il coraggio per farlo.
Come avrebbe fatto a guardare in faccia sua madre e a sorriderle dopo aver saputo la verità su suo padre? Da quand’era partita per Artika non l’aveva più vista e Sari era stata così codarda da rivolgersi alla vicina di casa per sapere come stava sua madre.
Sapeva che era stata dimessa dall’ospedale pochi giorni dopo la sua partenza per il carcere, e la donna che abitava dall’altra parte della strada le aveva raccontato che Emma non stava affatto bene.
Dopo la morte del marito era caduta in uno stato depressivo, e la preoccupazione per la vita della figlia non faceva altro che peggiorare il suo umore.
E ora Sari era lì, davanti a quella porta che la separava dalla madre. E non sapeva come avrebbe
fatto a sorriderle.
«Forza Sari» si fece coraggio, respirando profondamente. Bussò, con il cuore in gola.
Quando sentì la serratura scattare, pensò che le sarebbe scoppiato nel petto.
Sorridi.
Sua madre era di fronte a lei, ed era solo lo spettro della donna felice e gioiosa che era stata in passato. Inizialmente sembrò non riconoscerla.
Sorridi.
«Ciao mamma.»
«Sari?» la donna la guardò come se avesse davanti un fantasma. L’istante successivo le gettò le braccia al collo, con le lacrime agli occhi. E fu sufficiente per far crollare Sari.
Pianse.
Per la paura che le aveva fatto compagnia nel profondo del suo cuore da quando era cominciata tutta quella storia. Per il sollievo di essere finalmente a casa, con sua madre.
Per quel segreto terribile che riguardava suo padre, un segreto che portava dentro e che non poteva assolutamente rivelarle.
E sua madre la abbracciò tremante, senza mai lasciarla andare.


*

Quando Sari lasciò la casa dei propri genitori, un paio di ore dopo il suo arrivo, il morale non era propriamente dei migliori. Aveva tranquillizzato sua madre, le aveva assicurato che non c’era più nulla da temere.
In realtà le aveva detto una bugia bella e buona.
Del resto, che cosa avrebbe potuto dirle? Renderla partecipe di quello che stava succedendo, significava dirle la verità riguardo ad Adrian.
E Sari era certa di una cosa: sua madre non avrebbe saputo tollerare un tale dispiacere.
Quando fece ritorno alla Corporazione, corse subito in camera. Si coprì gli occhi con un braccio e sospirò, pensando a Namar.
Lo rivide incatenato in quella cella, e immaginò che cosa dovesse aver provato in tutti quegli anni. Per quanto si sforzasse, però, sapeva bene che non lo avrebbe mai davvero capito. Non aveva idea di cosa volesse dire nascere e vivere tra le mura di un laboratorio, vedere il proprio destino segnato ed essere trattato come carne da macello. Non poteva sapere cosa volesse dire assaporare la libertà, vederla rubata e infine ritrovarsi insperatamente a difenderla.
L’unica cosa che sapeva perfettamente era che non avrebbe mai permesso ad Amos di mettere di nuovo le mani su Namar, non dopo quanto aveva appena scoperto.
Si mise a sedere, improvvisamente nel panico. Namar stava arrivando per salvarla. Stava venendo verso l’uomo che aveva mobilitato l’esercito per catturarlo, dritto nella tana del lupo.
Doveva impedirglielo, a tutti i costi.
Si catapultò verso la porta, ma un pensiero la bloccò. Non aveva idea di come poterlo contattare per dirgli che non doveva assolutamente venire. Con un gemito frustrato si accasciò a terra, con la schiena contro la porta. Doveva pensare.
Namar le aveva sussurrato all’orecchio che sarebbe venuto da lei, prima di gettarsi dalla scogliera. Sapeva che lei era in pericolo. Probabilmente non doveva essere neppure troppo lontano, pensò, quando all’improvviso si ricordò del colpo infertogli da Rider.
Per un breve istante si sentì gelare le ossa, e un brivido serpeggiò lungo la schiena.
Era ferito.
Si alzò senza pensare e uscì di corsa dalla stanza. Si guardò attorno nel panico, come se potesse intravedere nei corridoi la figura familiare di Namar da un momento all’altro. Poco importava che non fosse possibile: il terrore si era impadronito di Sari e sembrava non volerla lasciare.
La ragazza corse fino alle scale che portavano al giardino, e le discese così velocemente che per poco non inciampò.
Il primo pensiero fu di guardare verso il cielo: forse Namar stava volteggiando da qualche parte tra le correnti d’aria, cavalcandole con leggerezza mentre sorvolava la città.
Ma era stato colpito dal raggio di Rider.
Se si fosse nascosto in qualche buco putrido e sporco, ferito e stanco, come avrebbe potuto aiutarlo?
«No, non può essere.»
Non potrei aiutarlo, pensò. Namar era da qualche parte, e aveva intenzione di venire a Rosya per lei: questo era quello che più importava, e che più spaventava Sari. Doveva proteggerlo, impedendogli di avvicinarsi così tanto ad Amos. All’improvviso le vennero in mente due nomi, a cui non aveva minimamente pensato in quel turbine di eventi e pensieri. Amaya e Silver.
Anche loro erano ad Assen quando il C.S.M. li aveva inseguiti, e nonostante si fossero separati durante la fuga, erano l’unico punto di riferimento per Namar. Le uniche persone a cui avrebbe potuto chiedere aiuto.
Se voleva avere una possibilità di sapere dov’era, doveva cercare di mettersi in contatto con loro. Si fiondò verso le scale salendo due scalini alla volta, e tornò nella sua stanza. Quando entrò, saltò gli oggetti che stavano ancora per terra e raggiunse i vestiti che indossava quand’era arrivata e che giacevano scomposti sopra lo schienale di una poltrona. Frugò dentro le tasche dei suoi pantaloni. La mano si chiuse su qualcosa di metallico e freddo. L’orologio che aveva regalato a suo padre. Lo tirò fuori e lo guardò: quel piccolo dono era la causa di tutto. Lo mise nella tasca della giacca che indossava, ripromettendosi di non fare mai più lo sbaglio di lasciare in giro un oggetto del genere. Era consapevole che non poteva assolutamente rimanere incustodito, e che doveva venire aperto al più presto per scoprire che cosa conteneva. Ma c’era una cosa ancora più importante da fare.
Sari cacciò la mano nell’altra tasca dei pantaloni, sicura che questa vola avrebbe trovato ciò che cercava: infilò la mano nel Ragno, e avvertì il contatto del palmo con la pietra nera, gelida e liscia, che nell’istante successivo si accese di venature dorate. Le pagliuzze si espansero, finché la pietra non fu di un unico colore d’oro, e cominciò a brillare.
«Amaya?»
Nessuno rispose. Sari si morse il labbro. Sentiva il cuore batterle furioso nel petto.
«Amaya, mi senti?»
L’istante successivo non successe nulla, di nuovo. Poi finalmente una voce rispose all’appello della psicologa.
«Sari?»
Era Amaya. Sari tirò un sospiro di sollievo, e si sentì immediatamente più tranquilla. Ce l’aveva fatta, era riuscita a mettersi in contatto con la sua amica. Il suo secondo pensiero fu che a giudicare dal tono di voce, l’elfa doveva essere piuttosto sorpresa di sentirla. Una cosa che le fece uno strano effetto e le diede una sensazione per nulla piacevole.
«Sari, stai bene?»
La voce di Amaya, filtrata attraverso il Ragno, sembrava decisamente preoccupata. Sari si accigliò, spiazzata. Avevano trovato Namar e lui gli aveva detto che lei era in pericolo, o erano soli e pensavano che lei e l’evaso fossero ancora braccati dal C.S.M.? Tra le due opzioni, Sari sperò nella prima.
«Certo. Piuttosto Amaya…»
«Lui non ti ha fatto nulla, vero?» la interruppe.
Il cuore di Sari mancò un battito. Namar li aveva avvisati. Era con loro. Sentì la tensione scendere di colpo. «Namar è con voi?»
«Era. Ma hai sentito quello che ti ho detto Sari? Quel tizio…»
«Lo so Amaya. Mi ha aggredita.»
Dall’altra parte ci fu un pesante silenzio. Sari sorrise, sapendo che quello era il tipico segno che precedeva l’esplosione. Attese la reazione di Amaya in silenzio, ma dentro di sé pensava alle parole dell’elfa.
Era. Il significato di quella parola non le piaceva molto.
«Che cosa?!» Amaya era spiazzata, Sari lo capì chiaramente. «Cos’è successo?»
«Nulla di grave, stai tranquilla. Voleva qualcosa, era convinto che ce l’avessi io. Penso si tratti dell’orologio.»
«Ma l’hanno preso?»
Sari sospirò. La conversazione le stava riportando alla mente preoccupazioni e ricordi spiacevoli. Si passò una mano tra i capelli, nervosa.
«No. È lì fuori, da qualche parte.»
Dall’altra parte ci fu di nuovo silenzio. Probabilmente l’elfa non si aspettava quella risposta, e Sari avrebbe desiderato dargliene una diversa.
«Ti stanno tenendo sotto scorta?»
Le venne quasi da ridere. L’idea che Amos potesse fare una cosa del genere rasentava la comicità.
«No. Comunque non c’è bisogno che ti preoccupi, sto bene.»
«Come fai a dire che non c’è bisogno di preoccuparmi? Sari, il tizio che ti ha aggredita è lì fuori, e potrebbe rifarlo.»
Sorrise. In effetti avrebbe potuto, ma stranamente lei aveva accettato il fatto che non poteva pretendere protezione da Amos. Forse se avesse saputo chi era realmente colui che l’aveva aggredita, si sarebbe deciso ad assegnarle una scorta, ma l’idea di far sapere ad Amos che un altro dei suoi preziosi morfisti era ancora in libertà le faceva venire la pelle d’oca. Preferiva rischiare il peggio, piuttosto che aiutare quel vecchio a raggiungere i suoi scopi.
«Prima hai detto che Namar era con voi. Dov’è ora?» tentò di evitare l’argomento Jariel, cercando di ottenere così anche informazioni sull’evaso.
«Lo abbiamo lasciato con Volker, ma non cambiare discorso.»
Quella era una risposta che Sari non si aspettava. Lo ricordava ferito; saperlo in giro era una delle ultime cose che si sarebbe aspettata.
«E dove sono?» domandò, ignorando volutamente l’ammonizione di Amaya, che sospirò accogliendo la decisione dell’amica di non continuare il discorso riguardante l’aggressione subita.
«Volker l’ha portato a Rosya da un medico di sua conoscenza. Non so se lo sai, ma era ferito.»
«Sí, questo lo sapevo» annuì Sari con sollievo.
Lo stavano aiutando.
«Però forse c’è una cosa che non sai.»
Il cuore di Sari le salì in gola, minacciando di non voler più scendere. Sentì riaffiorare quel presentimento spiacevole e familiare.
«Eravamo quasi entrati in città quando le condizioni di Namar si sono aggravate.»
La psicologa non seppe cosa rispondere, totalmente colta alla sprovvista. Cominciò ad aver paura di cosa quelle parole significassero. Non era sicura di volerne sapere di più, ma le sue labbra si mossero prima che lei potesse fermarle.
«Che cosa gli è successo?»
Si stupì di come il suo tono fosse così concitato.
«Ha perso conoscenza.»
Sari sbiancò. Se era svenuto probabilmente aveva perduto molto sangue, non le venivano in mente molti altri motivi. Si coprì la fronte con la mano, e venne aggredita dallo sconforto. Non sapeva cosa doveva fare, ed era terrorizzata. Aveva paura che le sue condizioni potessero aggravarsi ulteriormente, portando Namar tra la vita e la morte.
A quel pensiero, una morsa le attanagliò il cuore, e si stupì dell’intensità di ciò che provava. Aveva paura di perdere Namar, questo era innegabile, ma le sfuggiva il motivo. I suoi sentimenti erano confusi, senza una forma precisa, e fare ordine tra essi era un’impresa non da poco. Soprattutto in quel momento.
«Sari, ci sei?»
La voce di Amaya la riportò alla realtà.
«Sì, scusami. Dov’è questo medico?»
«Nel quartiere Est.»
Voleva vederlo. Desiderava sapere come stava, ne sentiva il bisogno. Non poteva rimanere un momento di più chiusa in quel palazzo, circondata da gente ipocrita, che faceva solitamente il proprio interesse senza guardare in faccia nessuno.
Fu una decisione che prese senza neppure pensare, ma nell’istante in cui parlò, Sari seppe che non avrebbe potuto prendere in considerazione nessun’altra opzione.
«Puoi portarmi da Namar?»
   
 
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