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Autore: Sweet96    21/06/2012    1 recensioni
Pochi entrano nei boschi che circondano i villaggi della Britannia, strane creature vi vivono, o almeno è quello che si dice in giro. Ma tutti coloro che credono che la foresta sia abitata solo da misteriose creature fatate si sbagliano. Non vi sono solo le fate, non vi sono solo gli gnomi. Esistono altre creature, più vicine alla natura di chiunque altro, che possono controllarne le sue varie forme. Hanno bisogno di vivere in mezzo ai boschi, perché il loro legame con la natura è troppo forte per allontanarli. E Arthur è uno di loro.
Arthur è l'unico di loro.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Echo. - Seven Life Values

Parte 1

Prologo.

Quel giorno la piazza era gremita di persone; era giunto un uomo da molto lontano, si diceva. Anche Kiku era lì, con gli altri bambini del villaggio e i suoi genitori; la madre era incuriosita ma diffidente, quel genere di atteggiamento che la portava a strizzare gli occhi con ostilità un po’ troppo frequentemente. Il padre invece si era avviato di buon grado, carico di ottimismo; sperava che chiunque fosse portasse buone nuove, anche se gli sembrava improbabile. Il loro era un villaggio piccolo e poco conosciuto nel Giappone, nonostante i raccolti fossero abbondanti e la vita agiata.
Kiku aveva sette anni, ed era molto maturo e intelligente per la sua età: riceveva una buona istruzione e sapeva già leggere un discreto numero di parole; tutti dicevano che, una volta cresciuto, avrebbe potuto fare grandi cose. Ciononostante non capiva perché tutte quelle persone si fossero riunite in piazza, e chiese spiegazioni alla madre.
«Dicono che sia arrivato un forestiero, da lontano», rispose la donna.
«Da Guji?», chiese Kiku. Guji era un villaggio vicino il loro; l’aveva spesso sentito nominare dai suoi genitori.
La madre rise. «Non credo, piccolo mio, penso che venga da ancora più lontano.»
Il bambino rimase pensieroso. Aveva sempre considerato Guji come il luogo più distante dal loro villaggio, cosa poteva esserci più in là?
«Roma.» La risposta gli giunse da uno dei contadini più avanti; non era rivolta a lui, ma il piccolo la udì ugualmente. «Il forestiero viene da un luogo chiamato Roma. Pare che sia oltre le grandi acque», continuò l’uomo.
Kiku stava cercando di capire cosa significasse quell’ultima frase quando tutti quanti ammutolirono. Dai boschi confinanti apparve un uomo: sembrava lievemente disorientato, ma quando vide la piazza i suoi occhi luccicarono e si diresse verso il centro di essa. Mentre passava tutti si spostavano per fargli strada e il forestiero rispondeva con un cenno gentile del capo. Kiku pensò che fosse molto buono.
Giunto nel mezzo, salì su un ceppo. Un tempo quello era un albero secolare, gli aveva raccontato la madre, ed era oggetto di culto per tutti gli abitanti; ma, pochi anni prima che il piccolo nascesse, un fulmine lo aveva colpito e distrutto. Da allora era rimasta solo la base del tronco, che ora il forestiero aveva scelto come rialzo improvvisato. Trovandosi in alto, tutti poterono osservarlo meglio: era un uomo sui venticinque anni, con i capelli scuri, ma non tanto quanto quelli degli abitanti del villaggio; erano marroni, e a Kiku ricordò il colore delle ciotole di legno nelle quali mangiava solitamente il riso. Anche la sua pelle era diversa da quella di suo padre o sua madre: era più scura, quasi dorata, come se fosse lievemente bruciata. I suoi occhi erano dello stesso colore dei capelli, ed erano luminosi e pieni di vita. Dava l’impressione di una persona allegra, che amava la vita.
Ma ciò che più risaltava erano i vestiti: non portava pantaloni larghi come gli altri uomini, ma una specie di corta veste che lasciava scoperte le gambe dal ginocchio in giù – somigliava più agli indumenti di sua madre. E nemmeno il resto era normale: aveva una maglia molto stretta che permetteva di vedere i muscoli del petto, e ai piedi portava delle calzature alte fino a metà polpaccio. Inoltre tutto sembrava duro e rigido, e non soffice come il tessuto comune. Kiku si chiese come quell’uomo potesse indossare degli abiti così scomodi; come faceva a muoversi, bloccato in quella specie di guscio?
Il forestiero aprì la bocca per parlare e tutti quanti lo fissarono attentamente.
«Ave», disse. Il bambino cercò di attribuire un significato a quei suoni, ma non somigliavano neanche lontanamente alle parole che conosceva. Si guardò intorno e vide che gli altri sembravano spaesati quanto lui.
Dopo qualche attimo di silenzio, suo padre fece un passo avanti e rispose: «Ave».
In quel momento Kiku si sentì orgoglioso di essere suo figlio; sapeva già che suo padre era il più istruito di tutti gli abitanti, non per niente era il capo villaggio, ma non avrebbe mai immaginato che conoscesse quella strana parola!
I due parlarono un po’ fra loro, poi il capo villaggio si rivolse agli altri.
«Quest’uomo dice di venire da Roma, una città molto distante da qui, nella lontana Europa. Ha lasciato la sua terra d’origine per viaggiare ed è giunto sin qua; chiede ora di potersi stabilire nel nostro villaggio, e in cambio offre aiuto nei campi e, per chi è interessato, racconti del suo paese di provenienza», annunciò.
I contadini si guardarono, pensierosi. L’uomo non sembrava pericoloso ed era sicuramente forte e in buona salute; un aiuto in più avrebbe fatto comodo.
«Va bene», rispose una voce, «ma noi non lo ospiteremo.»
Un coro di assenzi si alzò dalla folla, e molti presero a mormorare scuse di vario tipo per non dover farlo dormire nella loro casa. Il padre scosse la testa, rassegnato. «E sia, sarò io a ospitarlo.»
Tutti erano soddisfatti, adesso. Persino la madre, che inizialmente era parsa ostile all’idea di un nuovo arrivato, era allegra; evidentemente aveva preso l’uomo in simpatia. E Kiku era incuriosito: quel forestiero sembrava buono e, soprattutto, pareva avere molto da raccontare.
 

Effettivamente, l’uomo aveva moltissime storie da narrare. E Kiku lo ascoltava rapito: immagazzinava nella sua mente tutto ciò che gli descriveva, acquedotti, case, stadi, gladiatori… Ma quel che più lo affascinava erano i racconti su quel luogo chiamato Britannia. Secondo il forestiero, che si chiamava Caesar, era una terra misteriosa, ma incredibilmente bella, dove vi erano numerosi villaggi di contadini, proprio come in Giappone; ma non solo: su di essa circolavano leggende, di creature e maghi, chiamati druidi, e tanto altro.
Ci volle più di un mese perché Caesar parlasse di quelle cose, però. Era simpatico e disponibile, ma tendeva a dilungarsi in discorsi che per lui erano evidentemente più interessanti, quali donne, quadrighe e bevande forti. Non che a Kiku dispiacesse ascoltarlo, ma dopo un po’ avrebbe volentieri cambiato argomento. Quindi colse la palla al balzo quando, una sera, l’uomo nominò una donna proveniente dalla Britannia.
«E cos’è la Britannia?», chiese il bambino, ricevendo un’occhiata lievemente risentita dal loro ospite per aver interrotto il suo precedente discorso.
«Be’», cominciò questi, «è una terra incantata, dimora di potenti uomini detti druidi e di creature mai viste altrove. Si dice che abbiano poteri magici che noi esseri umani non immaginiamo nemmeno; sono leggende, ma potrebbero nascondere un fondo di verità. Ma quel che caratterizza quei luoghi», e sul suo volto apparve un sorrisetto scaltro, che fece comprendere subito al bambino come avrebbe continuato la frase, «sono sicuramente le donne! Sono bellissime, e possiedono un fascino misterioso, che ti conquista subito…», disse, lanciandosi poi in un monologo sulle esotiche bellezze femminili del luogo che il piccolo lasciò subito perdere. Aveva avuto informazioni sufficienti, per quel giorno, ma voleva assolutamente saperne di più.
Fu quella sera, ascoltando il racconto di Caesar sulla Britannia, che Kiku fece una promessa a se stesso: da grande sarebbe andato laggiù, in Europa, avrebbe visitato un villaggio della Britannia e, perché no, avrebbe cercato uno di quei druidi. “Sì”, pensò il bambino, “ecco cosa voglio fare quando sarò cresciuto.” 







Salve a tutti!
Questa è la mia prima storia su Axis Powers Hetalia e sono un po' emozionata, ma non trattatemi con indulgenza per questo.
Permettetemi di illustrarvi il mio progetto: Echo. - Seven Life Values nasce come una serie, innanzitutto. Più precisamente ho intenzione di scrivere sette storie, longfic. Il protagonista indiscusso della serie è Arthur, che però apparirà fra un po'. Tutti gli altri personaggi saranno presenti nel corso degli eventi, ma sparpagliati qua e là nelle sette long: questa è concentrata su Kiku.
La serie è una AU, come avrete capito, e questa storia è ambientata attorno al 200 d.C. Non sono un'esperta di antichità, ma tenterò di essere il più precisa possibile. Kiku è solo un bambino nel prologo, per questo il capitolo può sembrare un po' semplice: ho cercato di mostrare tutto dal suo punto di vista, ma è piccolo, quindi non tutto è chiaro. A me pare lievemente OOC, ma penso che sia giustificabile dal fatto che abbia sette anni e sia incuriosito dal mondo, come tutti i suoi coetanei; poi crescerà, diventando più simile al Kiku che conosciamo. Il bambino vive con i genitori in un villaggio nel Giappone; l'uomo che giunge fin lì (che altri non è che Nonno Roma), è un romano, ma è solo, non ha scopi militari o altro. E' semplicemente in giro per il mondo. Molte cose verranno spiegate più in là.
Penso di aver detto tutto.
Dopodomani parto e torno dopo una settimana. Il primo capitolo è pronto nella mia mente, ma devo scriverlo. Di conseguenza l'aggiornamento arriverà tra più o meno due settimane; tenterò di mantenere sempre questo ritmo, ma non so se sarà possibile.
Accetto volentieri critiche, consigli e ovviamente anche complimenti. :D
E... niente, spero che questo prologo vi abbia incuriosito. :3
Baci,
Sweet96 
  
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