Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Ilune Willowleaf    22/06/2012    1 recensioni
Con passi silenziosi, / tu vieni, ascolti la mia voce, / con passi silenziosi, / tu arrivi, raccogli il mio grido / con passi silenziosi / tu stai, guardi il mio dolore / con passi silenziosi / tu vai, mi porti via / Con passi silenziosi / Io sarò con te
Una ragazza a cui nessuno tiene, che trascina la sua vita come l'ultima degli ultimi. Una eclissi di luna. E la sua vita cambia, facendone la dama in grigio, l'imperatrice di un mondo lontano. Oppure no.
Storia dolceamara, dal finale aperto, scritta in una sera di ispirazione.
Genere: Fantasy, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dreamcatcher


Con passi silenziosi,
tu vieni, ascolti la mia voce,
con passi silenziosi,
tu arrivi, raccogli il mio grido
con passi silenziosi
tu stai, guardi il mio dolore
con passi silenziosi
tu vai, mi porti via
Con passi silenziosi
Io sarò con te

Canticchiava tra sé e sé la melodia lievemente monotona, sussurrando le parole sulle labbra, socchiudendo gli occhi alla luce intensa del primo mattino.
Odiava la sua vita.
Odiava quel villaggio turistico, pieno di forzata allegria, di alcol e di musica a tutto volume, di gente che si divertiva mentre lei doveva lavorare, senza poter scappare, senza poter fuggire, senza fine.
Odiava il bungalow che era la sua casa, torrido d’estate, gelido d’inverno. La squallida cucina sporca, perché era troppo stanca per pulire e cucinare anche lì, quando finiva di lavorare.
Odiava il patrigno, la sua seconda moglie, i suoi parenti che non si curavano di lei, suo padre che non aveva voluto saperne di sua madre, sua madre che era morta di overdose proprio in quel disgustoso villaggio turistico frequentato solo da squallidi turisti interessati solo a fiumi di alcol, droga e ragazze compiacenti pagate dal padrone per ballare seminude sui cubi e coi pali.
Finì di pulire l’ennesimo bagno lurido di vomito, con un sospiro.
Se solo Colui che cammina nell’Ombra l’avesse davvero potuta portare via con sé…
Quella di Colui che cammina nell’Ombra era una sorta di ninna nanna che si cantava da sé fin da piccola, per scacciare la paura del buio. Nel buio, c’era qualcuno che camminava silenzioso, si raccontava da piccola, e con passi silenziosi veniva e la consolava, e l’avrebbe portata via con sé, lontano dalla solitudine e dallo squallore.
Si guardò attorno, nell’impietosa luce del mattino estivo. Forse, se si sbrigava, sarebbe riuscita ad andare a prendere qualcosa al bar senza che il vecchio ubriacone se ne accorgesse. Non voleva che i dipendessi prendessero la roba al bar senza pagare. Neanche la figliastra, che lavorava gratis nel villaggio turistico e viveva confinata in un bungalow in un angolo, mentre lui aveva una bella villetta dal lato opposto.

-Con passi silenziosi, tu vieni, ascolti la mia voce…- canticchiò piano, mentre già l’aria del tardo pomeriggio veniva squarciata dalla musica a tutto volume.
Guardò la spiaggia, disgustata dalla massa ondeggiante di umanità mezza nuda che si era cotta come lucertole sui muri al sole del tardo pomeriggio, e che ora, tramontato il sole, migrava verso la luce artificiale del villaggio turistico.
Controvoglia, si avviò verso la pista da ballo all’aperto. Doveva dare una mano a servire da bere, la sera e la notte, o il vecchio si sarebbe arrabbiato, dandole della nullafacente, della mangiapane ad ufo.
Provava disgusto per quelle persone. Per fortuna, nessuno badava a lei, mentre nel retro del bar lavava i bicchieri e metteva il ghiaccio nei secchielli, portava casse di birra dentro e portava fuori i vuoti.
-Oddio! No! Non vomitare qui!- gridò la barista, inorridita. Troppo tardi: una pozza di vomito puzzolente e alcolico si spandeva davanti al banco.
Lei continuò a pulire i bicchieri, imperterrita. Un danno alla volta.
-Ehy! Dai, pulisci! Io ho troppo da fare, ora!- le gridò la barista.
Vomito. Disgusto.
Prese lo scopone e lo straccio, ignorando i corpi sudati e traspiranti alcol che si dimenavano attorno a lei.
Vomito, sudore. Disgusto, schifo.
Il suo patrigno si appoggiò al bancone. Puzzava di sudore e crema solare irrancidita. La maglietta con il logo del villaggio turistico era macchiata.
Lo vide stappare una bottiglia di birra sul bordo del bancone. Parte del liquido cadde per terra.
Vomito, sudore, alcol. Disgusto, schifo, nausea.
Un ragazzo barcollava ubriaco, forse anche drogato. Ridendo, si calò i pantaloni, e pisciò per terra, tra l’ilarità generale.
Vomito, sudore, alcol, piscio. Disgusto, schifo, nausea, esasperazione.
Lasciò cadere il secchio per terra, senza una parola. Lo scopone rimbalzò un paio di volte con un suono sordo.
I capelli sfuggiti al nodo sulla nuca le solleticavano il volto, mentre se ne andava senza una parola da quell’inferno, ignorando i richiami del vecchio, le sue urla e i suoi strepiti.

Il mare sciaguattava dolcemente, un suono morbido e ritmico, ipnotico.
L’acqua era nera nella notte profonda, striata d’argento da una luna piena bassa e arancione.
L’acqua che lavava via l’odore di piscio, di alcol, di sudore e di vomito che le era rimasto addosso. L’acqua del mare che bagnava occhi che non piangevano più da troppo tempo.
Lunghe bracciate in un mare scuro, avvolgente e tiepido come il liquido del grembo materno, fino all’isoletta bassa e rocciosa. Fino alla sottile lingua di sabbia, ancora calda e asciutta dai raggi del sole del giorno.
Si sdraiò, assaporando il buio, il silenzio, la solitudine.
Guardò la luna, meravigliata: era rossa, rossa come il sangue. Una parte stava diventando nera. Un’eclissi di luna.
Le parole vennero spontanee sulle labbra, mentre la luna diventava sempre più nera.
- Con passi silenziosi,
tu vieni, ascolti la mia voce;
con passi silenziosi,
tu arrivi, raccogli il mio grido;
con passi silenziosi,
tu stai, guardi il mio dolore;
con passi silenziosi,
tu vai, mi porti via.
Con passi silenziosi
io sarò con te. -
Cantò ancora, e ancora, a voce più alta, sdraiata sulla sabbia morbida, non pensando a nulla se non al mare nero, al cielo nero, alla sabbia nera, e alla luna, ora nera.
-Vuoi venire via con me, allora?-
Una voce la fece sobbalzare. Una voce alle sue spalle. Come aveva fatto qualcuno ad arrivare fin lì?
Si alzò a sedere, voltandosi, per guardare chi aveva osato entrare nel “suo” spazio.
-Chi sei? Come sei arrivato qui?-
Un sorriso ferino nell’oscurità, uno scintillio dorato, come quello degli occhi di un gatto.
-Dovresti saperlo. Mi chiami da tanto tempo. – un sussurro appena udibile sopra il mormorio delle onde.
-Cosa intendi dire?-
Un fruscio morbido, gli occhi scintillanti si abbassarono alla sua altezza. La persona doveva essersi inginocchiata.
-Con passi silenziosi, io vengo, ascolto la tua voce. Con passi silenziosi, io arrivo, raccolgo il tuo grido. Con passi silenziosi, io sto, guardo il tuo dolore. Con passi silenziosi, io vado. Ti porto via con me? Vuoi restare con me, con passi silenziosi?-
Lei sgranò gli occhi, sentendo le parole della *sua* canzone sulle labbra di qualcuno. Pronunciate da una voce di velluto, da una voce di tenebra, nel buio di uno scoglio in mezzo all’acqua.
-Io ti chiamo, ma non so chi sei…-
Una mano invitante dinnanzi a lei.
-Qui sono un’ombra. Vuoi venire con me, e camminare al mio fianco?-
-Dove?-
-Dove non sarai mai più serva, ma regina. Dove calpesterai solo petali di rose, e mai più il vomito di ubriachi. Dove gli eserciti si inchineranno di fronte a te, e il tuo nome sarà lodato e la tua parola obbedita. -
Gli occhi grigi di lei scintillarono come stelle. Mise la sua mano in quella nera, e le parve di stringere della seta fresca.
-Con passi silenziosi, io sarò con te. - canticchiò, alzandosi, seguendo l’ombra, senza neanche degnare di uno sguardo il corpo che giaceva sulla sabbia, nero sotto la luce della luna rossa.

Buio. Tenebra. Camminava senza vedere nulla, ma la mano fresca che stringeva la sua le dava tutta la sicurezza di cui aveva bisogno.
-Dove stiamo andando?- sussurrò. Non le sembrava appropriato parlare a voce più alta.
Nessuna risposta, per interminabili secondi.
Un fioco chiarore, che splendeva in quella tenebra come una candela in una grotta.
La pallida stella dorata si fece più intensa, e nel tempo di un battito di ciglia, divenne una stanza avvolta nella penombra, rischiarata dalla luce morbida di decine di candele bianche.
Si voltò, e finalmente poté vedere l’ombra che dopo tanti anni era venuta a prenderla.
-Benvenuta nel mio impero. – sussurrò la voce di velluto. Gli occhi color oro erano incorniciati da ciglia nere e lunghe da cerbiatto, in un volto d’alabastro circondato da capelli neri come una cascata di tenebra.
La mano guantata di nero che ancora stringeva delicatamente la sua si sollevò, portandola alle labbra pallide, in un reverente bacio.
-D’ora in poi, dimentica il tuo antico nome, la tua antica vita. Sei la Dama Grigia, la Signora delle Nebbie, la Regina delle Nubi e delle Tempeste. Tua è la luce della luna e il lucore delle stelle. Il tuo nome sarà quello della stella che mai tramonta, la più fulgida e bella. Ishienne. –
-Ishienne...-
-Ishienne, io sono Ashor. -

Seduta in un’ampia poltrona di velluto grigio perla, si rigirò in bocca il suo nuovo nome. Ishienne. Era bello.
Non avrebbe avuto difficoltà, pensò, ad abituarsi ad essere chiamata così.
Ashor era seduto su una poltrona identica, quasi accanto alla sua. Entrambe le poltrone erano disposte di fronte a un camino, dove un fuoco ardeva discreto e silenzioso.
-Tu hai un grande potere, Ishienne. Fin da quando eri bambina, il tuo potere ardeva come una stella d’argento nella tenebra. – le sfiorò il volto con la mano, e Ishienne si accorse che i suoi capelli, prima di un biondo pallido e stoppaccioso sbiadito dal sole e dalla salsedine, erano diventati bianchi, simili a fili d’argento, e scendevano sericei attorno al viso, sulle spalle e sulla schiena.
-Il tuo potere mi ha chiamato, mi ha chiamato per innumerevoli anni. Nel buio, come un'ombra nelle ombre, ti ho sussurrato le parole del canto che mi avrebbe permesso di venire da te e portarti via. E finalmente, il tuo potere è cresciuto abbastanza da permetterti di aprirmi una strada, di far si che io potessi portarti via con me. -
-Tu mi osservavi? Nel buio, ogni notte?-
-Fin da quando dormivi nella culla. - la voce era ridotta a un sussurro -Avrei voluto sfiorarti così, e portarti via prima. Portarti qui, lontano da quella vita miserabile. Desideravo asciugare le tue lacrime, quando piangevi in silenzio nella tenebra. - le sue dita bianche come la cera accarezzarono la guancia di Ishienne, scendendo a sfiorarle il collo. -Se tu lo vorrai, ti aiuterò a far sbocciare il tuo grande potere. Ora, è come un roseto carico di boccioli ancora chiusi; -
Ishienne vide quel volto color cera avvicinarsi, quasi a sfiorare il suo -E io posso farlo fiorire. -
-Si. -
-E quando infine sarai sbocciata, come la regina delle rose, come la stella di cui porti il nome, allora, Ishienne... sii la mia sposa. -
Occhi color oro, che attiravano il suo sguardo, incatenandolo, facendolo sprofondare, togliendole ogni volontà.
-Si. -



Quando Ishienne aprì gli occhi, per un attimo si chiese dove fosse.
Si levò a sedere, stropicciando sotto le dita lenzuola di un grigio perlaceo, scostando spesse, calde coperte candide, e facendo da parte le cortine di un letto a baldacchino.
Il pavimento di pietra era coperto da soffici tappeti tutto attorno al grande letto chiuso. La grande stanza era silenziosa e immota nella luce grigia che precede l'alba. Faceva freddo.
Come era finita lì?
Ricordava la conversazione della notte prima. Le parole di Ashor. Aveva parlato solo lui, lei aveva solo potuto dire poche parole, due assensi.
Arrossì, toccandosi le labbra con le dita. L'aveva baciata, e poi lei era sprofondata nella tenebra del sonno.
Si guardò attorno: era la stanza della sera prima, senza dubbio. Le due poltrone grigie, il camino. Le innumerevoli candele erano ancora lì, ormai consumate e spente.
Rabbrividendo al contatto dei piedi nudi sul freddo pavimento di pietra, lasciò l'oasi del tappeto e si avvicinò alla finestra, ignorando il freddo che emanava, e guardò fuori.
Un giardino di bianco e nero, di neve e alberi spogli, chiuso da un'alta muraglia che cingeva quel riquadro di natura dormiente.
Rabbrividì, e si accorse di indossare una camicia da notte, lunga, fluente e sciolta, di un color grigio perlaceo, cangiante tra il celeste e il lilla. Era splendida, ma leggera, e tornò rabbrividendo sotto le coperte, lasciando però le cortine del letto un po' scostate.
Rimase raggomitolata tra le coperte per un tempo che le parve lunghissimo, osservando la luce che mano a mano aumentava.
Il sole non era ancora arrivato a fare capolino sopra il muro, sebbene già avesse illuminato il cielo e indorato le nuvole, quando una porticina laterale si aprì, ed entrò una cameriera che, silenziosa come un'ombra e altrettanto discreta, si chinò a pulire il camino, raccogliendo la cenere e mettendola in un secchio, spazzandolo con cura, ponendo nuova legna e accendendolo con una brace che aveva con sé. Smoccolò i vari portacandele, raccogliendo la cera colata in un altro secchiello, più piccolo, e ponendo nuove candele, bianche e sottili, al posto dei mozziconi.
Si voltò, e solo allora si accorse che Ishienne era sveglia, e che la osservava raggomitolata sotto le coperte. La ragazza sbiancò, inginocchiandosi.
-Perdono, vostra altezza. Non era mia intenzione destarvi disturbandovi con la mia indegna presenza. - sussurrò.
-Non mi hai svegliato. Ero sveglia già da un pezzo. - Ishienne estrasse le mani da sotto le coperte. -Senti, da che parte è il bagno? Ho un bisogno tremendo di andarci ma fa troppo freddo per andare a cercarlo...-
La cameriera parve sorpresa dal linguaggio di Ishienne, ma mostrò immediatamente alla fanciulla che dietro a una delle porte della stanza c'era un'altra stanza, più piccola, con una sedia di legno su una base di pietra, dall'inequivocabile funzione.

Rannicchiata nella poltrona, davanti al fuoco, Ishienne ignorava la dama di compagnia che l'aveva raggiunta assieme alla colazione, che l'aveva aiutata a vestirsi (ommeglio, aveva diretto lo stuolo di cameriere che l'avevano vestita e acconciata) e che ora ricamava, attenta al minimo cenno della “Dama Grigia”.
La porta principale si aprì, e la dama di compagnia scattò in piedi, inchinandosi profondamente dinnanzi ad Ashor, che la congedò con un cenno, senza guardarla. La donna uscì dalla stanza camminando all'indietro, china.
-Ieri sera ti sei addormentata sulla poltrona. Il Passaggio deve averti stancato molto. - lui le sfiorò i capelli, sorridendole dolcemente. Gli occhi dorati barluginavano come dotati di vita propria alla luce calda del camino.
Ishienne annuì, anche se sospettava che non fosse proprio tutta la verità.
-Ho molti compiti da svolgere per governare il mio regno, ma ho organizzato le cose in modo da poter dedicare almeno due ore al giorno. - Ashor si sedette sulla poltrona. -Il resto del tempo, potrai sviluppare i tuoi poteri, da sola o aiutata da dei saggi che godono della mia massima fiducia. Quando sarai a un buon punto, ti aiuterò io stesso. Ma, per oggi e per i giorni successivi, vorrei solo che godessimo della compagnia l'uno dell'altra. - le sfiorò la mano -Qualunque cosa tu voglia sapere, chiedimela pure, senza timore. -
-Mi... mi parleresti del tuo regno?-
Il pallido volto di Ashor parve illuminarsi di piacere.
-Certamente...-

Ishienne scoprì, quel mattino, che Ashor era il Khal, cioè una sorta di imperatore/dio, di un immenso territorio, che copriva province e regioni, stendendosi ininterrottamente per un intero continente. Lo aveva conquistato pezzo per pezzo, a partire dal piccolo feudo nobiliare da cui proveniva la sua famiglia. Famiglia che comunque non esisteva più. Ishienne si chiese che fine avessero fatto, ma da come Ashor aveva glissato l'argomento, intuì che c'erano delle ombre.
Ombre fitte, ombre pesanti: aveva conquistato con la magia, asservito eserciti di creature spaventose, imposto allenze e poi conquistato regni e ducati, marche e contee.
-Ogni potere ha qualcuno che lo invidia, lo odia, gli addossa ogni responsabilità di ogni male di questo mondo, dimenticando che un potere forte porta anche una giustizia forte, e stabilità e sicurezza. Per questo, alcuni miei nemici, potenti maghi che si ribellarono alla mia autorità, con un rituale, trenta anni fa, strapparono parte del mio potere, sigillandolo in una gemma. Quando furono scovati, scoprii che la gemma era già vuota: avevano scagliato questo potere rubatomi lontano, in un'altro mondo. Un mondo al di là dei sogni. Ma quel potere era pur sempre parte di me, e riuscii a ritrovarlo. A Trovarti. -
Ishienne si chiese se quei maghi avessero più o meno spontaneamente rivelato come fare a rintracciare quel “potere”. Iniziava a sospettare che forse l'avesser fatto, ma molto poco volontariamente.
-E allora, quando ti ho vista, ho capito che averti al mio fianco mi avrebbe ridato il potere. Anzi, forse un ptoere ancora più grande!-
-Quindi, ti servo per tornare ad essere potente?-
Ashor la guardò, sorridendo compiacciuto.
-Si. E No. Sono già il mago più potente che mai abbia calcato la terra. Da quando mi rubarono parte die miei poteri, ho continuato a esercitarmi, a esplorare i miei limiti ed oltrepassarli. Ora sono potente come allora, forse di più. Ma quando ti ho visto, ho capito che eri parte di me. Che dovevamo tornare ad essere una sola cosa. Ti ho osservato crescere, e con te cresceva la mia ammirazione per la tua forza. Hai l'orgoglio, hai la forza di volontà, la fierezza di una regna. Non volevo più solo il potere che ormai è parte della tua anima, inscindibile da essa. Volevo te. Ti voglio al mio fianco, come dea e imperatrice.-
-I miei desideri non contano nulla, quindi?-
-Oh, certo. Tu volevi venire qui, non è così? Desideravi abbandonare quello squallido mondo. Io ti amo. Ho iniziato ad amarti quando ti ho visto la prima volta, e il mio amore è cresciuto con te. Spero che, vivendo qui, tu possa iniziare a ricambiare un po' questo mio amore; ma anche se mi vorrai solo bene come un caro amico, io sarò felice. -
Ishienne arrossì, distogliendo lo sguardo.
Ashor si alzò, le prese la mano, e se la portò alle labbra.
-Il tempo a mia disposizione è finito, e altri doveri mi chiamano. - le disse, gli occhi color del miele che parevano trafiggere i suoi. -Ma tra un'ora sarà l'ora di pranzo, e desidererei che tu pranzassi con me. Poi, potrai iniziare a studiare, con i Saggi. -
Ishienne annuì, osservandolo lasciare la sala, col nero mantello che ondeggiava al ritmo dei suoi passi.
Si rese conto di non aver praticamente fatto caso a cosa indossasse: per tutto il tempo, l'attenzione era stata calamitata dagli occhi color oro del mago.
“Mi attrae. Ma... non so, in un certo senso, mi fa paura.” pensò “Quando parla, quando è qui, mi pare così giusto, e buono, e... perfetto. Ma ora che non c'è...” rabbrividì “C'è qualcosa che mi inquieta.”
Per esperienza personale, Ishienne sapeva che la bontà di chi sta su la vedi dai commenti di chi sta giù.
Iniziò a studiare diligentemente con i tre uomini e le due donne chiamati Saggi, che le insegnarono a individuare nella sua anima la scintilla di magia, a nutrirla, ingrandirla e dominarla. Le insegnarono a far levitare gli oggetti, a creare le fiamme e il ghiaccio, l'elettricità e la roccia, e dominare gli animali.
Nel frattempo, Ishienne era riuscita a conquistarsi la fiducia della serva addetta alla pulizia del camino e del bagno. Era diversa da quelle che si occupavano dei vestiti. Quelle erano ancelle, provenivano da famiglie della borghesia, e per loro era un'onore servire la Regina delle Nebbie, la Stella che non tramonta.
Nella ragazza che puliva per terra, Ishienne riconobbe quello che anche lei era: una figura senza nome che in silenzio compie i doveri più umili.
Si chiamava Lisetta.


-Parlami della tua famiglia. -
Ishienne si faceva vento con un delicato ventaglio di seta. L'estate era ormai agli sgoccioli, ma ancora era caldo, malgrado gli incantesimi gettati sul castello che stemperavano la temperatura. Il gelo invernale che aveva accolto il suo arrivo era un lontano ricordo.
Ishienne aveva mandato via la dama di compagnia e le ancelle, e aveva fatto chiamare la servetta con una scusa, come già faceva da diverse settimane, per poter parlare con lei.
Lisetta parlò della madre, delle sorelle, dei fratellini, del padre che era morto quando lei era piccola.
Ishienne però aveva intessuto una rete di magia, che Ashor le aveva appena insegnato a fare: non importa cosa dicesse chi vi era avvolto, l'incantatore sentiva le parole che la vittima diceva, ma vedeva ciò che la vittima non voleva dire.
Ishienne vide quindi della povertà, dei vicoli sudici che Lisette attraversava una volta alla settimana, quando tornava a casa per una notte, per arrivare a una via povera ma orgogliosamente pulita, dove una nidiata di fratellini e sorelline la aspettava, e dove una madre che cuciva al lume di candela attendeva la paga della figlia per pagare i debiti per nutrire quella famiglia numerosa. Vide il corpo del padre di Lisette, impiccato per essersi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato, quando lei era poco più che una ragazzina, e l'ultimo dei suoi fratelli gonfiava il ventre di sua madre.
Vide il vicino di casa, sbattuto per venti anni in prigione per aver rubato del cibo in un negozio.
Vide le guardie che minacciavano le ragazze della via per cose che nella mente di Lisette erano turbini di vergogna e rabbia.
Vide uomini dall'aspetto consunto, dagli occhi pieni di rabbia e odio, parlare con Lisette, tentare di persuaderla a qualcosa, e lei che rifiutava con ostinazione. Ma cosa le chiedessero, Ishienne non riscì a capire.
-Lisette, ti trovi bene, a lavorare qui, al castello?- le chiese.
-Oh, si!- rispose lei, con un sorriso; e Ishienne vide che era sincera. -Voi siete tanto buona, meravigliosamente buona. Poter servire Voi è la cosa più meravigliosa che mi sia venuta in vita mia. Tutti vi amano, tutti coloro che vi servono vi amano, e io, che sono un'insignificante serva, mi sento felice da morire anche solo a poter pulire la cenere del vostro camino. -
Ishienne sorrise, mentre lasciava andare la ragazza agli altri suoi compiti. Ma il suo sorriso svanì dal volto al ricordo di ciò che aveva scruttato nella ragazza.
Non le piaceva farlo, ma c'era qualcosa, qualcosa che non glie la contava giusta.
Da molto tempo, scrutando nelle menti delle persone attorno a lei, c'era qualcosa che non le quadrava.

-Perché non posso uscire?-
-Puoi farlo, ma ci vuole almeno un giorno o due perché venga preparata la carrozza da parata, e le strade vengano pulite e sgomberate, e le guardie distribuite. -
-Io non voglio uscire in parata. L'ho già fatto ed è stata una cosa noiosissima. Io voglio scendere in strada e vedere altra gente normale, e parlare con la gente normale, e vedere la vera città, non quella tutta infiocchettata perché passa il Khal e la Khalissa. -
Ashor scosse il capo.
-E' troppo pericoloso. -
-Perché? I Saggi mi hanno insegnato a controllare gli elementi. Tu mi hai insegnato a controllare gli spiriti. Posso persino scrutare le anime, e ormai so controllare anche le volontà deboli!-
-Ishienne, tu non ti rendi conto che io sono il Khal di un impero che mai s'era visto prima d'ora, e tu sarai la mia sposa. I nemici sono molti, innumerevoli invidiano il mio potere, e sarebbero ben lieti di rapirti o ucciderti per farmi del male. Non posso permetterti di andare in giro senza protezione, senza scorta, finché tu non sarai diventata potente tanto quanto me. -
-Sono già abbastanza potente!-
-Non abbastanza. -

Quello fu il primo dei litigi.
Non fu un vero e proprio litigio, ma Ishienne si tenne fredda e scostante con Ashor per giorni, offesa.
Poi fecero la pace.
E, due mesi dopo un litigio quasi identico, per la stessa identica ragione.
Ishienne però decise che non si sarebbe abbassata a chiedere scusa. Neanche di fronte a quegli ipnotici occhi dorati, alle dolci parole che carezzevolmente la imploravano di restare al sicuro, nel castello, la più preziosa delle gemme dell'Impero.
Poi, l'idea.
I Saggi non sarebbero stati presenti per alcuni giorni, qualcosa a che vedere con predizioni e congiunzioni astrali che dovevano studiare.
Leggendo nella mente di Lisetta e delle ancelle, con opportune domande, Ishienne si era fatta un'idea del castello, dei passaggi della servitù e compagnia bella.
Non poteva e non voleva coinvolgere nessuna delle ancelle, e tantomeno Lisetta, nel suo piano di fuga ed esplorazione. In fondo, ora padroneggiava anche le illusioni.

I vestiti che indossava erano dissimulati da un'illusione, e apparivano come una semplice tunica di lana grigiastra e un mantello color del fango. Uguale a una delle tante contadine in giro per il mercato in una pallida e fredda mattina di inzio inverno, quasi uguale a quella in cui, undici mesi prima, si era svegliata nella sua nuova stanza.
Ishienne guardava stupita attorno a sé.
Non era certo questo, il meraviglioso, ricco e pacifico regno che Ashor le aveva dipinto!
La puzza aggrediva le sue narici, l'innominabile melma che copriva le strade la nauseava, ma ancora di più la nauseava le condizioni dei bambini che giocavano in strada, o che tentavano di rubacchiare dalle bancarelle un po' di cibo, o elemosinavano ai passanti più ricchi.
Cambiano l'illusione della sua veste, Ishienne arrivò a un quartiere che ricordava di aver attraversato durante la parata che l'aveva presentata al popolo.
Una guardia cittadina l'apostrofò con una pesante battuta, ma lei lo ignorò, scivolando tra le ombre e scomparendo, restando a osservare il viavai delle persone. Corrucciò le sopracciglia, disapprovando il tenente che insidiava una recalcitrante serva con la giara piena d'acqua.

Di ombra in ombra, come un grigio spettro invisibile, girovagò per quartieri ricchi e poveri, per mercati e piazze, osservando piena di pena gli uomini alla gogna e quelli nelle gabbie, inorridendo davani alle forche con i cadaveri impiccati e trattenendosi a stento dal piangere nel vedere i bambini di strada farsi covi e cucce per la notte in botti sfasciate vicino all'argine del fiume, cloaca a cielo aperto, tra falò di rifiuti su cui arrostivano ratti e altre cose innominabili allegramente mangiate dagli stessi bambini.
“Questo non è il paradiso. Lo è per me, nella gabbia dorata. Ma sono passata da un inferno all'altro.” pensò. Non riusciva a restare indifferente a tanta miseria, ricordando come fosse stato ieri i giorni in cui lei era una dei miserabili, dei dimenticati.
Notò una figura familiare.
“Lisetta.”
La seguì fino alla casa, povera ma pulita, di quella pulizia ossessiva di chi, pur nella sua povertà, tenta di mantenere un po' di dignità. Sorrise nel vedere i suoi fratelli e sorelle minori farle festa, e desiderò avere una madre che l'abbracciasse con affetto come la madre di Lisetta stava facendo con la figlia.
Lasciò la felice famigliola e la piccola oasi di luce e tepore, scivolando nell'ombra grigia.
-Ti avevo vietato di uscire. - le disse una voce alle sue spalle.
Ishienne si voltò, spaventata.
-Volevi nascondermi la verità. - fu la sua accusatoria risposta, dopo un'attimo di sconcerto.
-Volevo proteggerti. -
-Da cosa?-
Ashor non rispose. Sollevò il mantello, con uno svolazzo, e Ishienne si trovò nella sua stanza.
Il pallido volto del mago imperatore era contratto dalla rabbia.
-Non osare più disobbedirmi!-
Ishienne incrociò le braccia, fissandolo con aria di sfida.
-Altrimenti?-
Per la prima volta, la ragazza vide quei gentili occhi dorati lampeggiare di un freddo odio, e si rese conto che quell'espressione fredda c'era sempre stata, anche se mai rivolta a lei.
-Cosa farai? Mi ucciderai? Mi ributterai nel mio mondo? - chiese, insolente -So che non lo farai. Ti serve il mio potere. Quello che stai coltivando con tanta cura. Non puoi strapparmelo con la forza, è la mia anima. Me l'hai detto tu stesso, che devo donarmi a te di mia spontanea volontà. -
-Tu non capisci...-
-Cosa non capisco? Che mi fai vivere in una gabbia dorata mentre lì fuori c'è una miseria nera che hai cercato di nascondermi?-
-Sono solo vermi. -
-Sono esseri umani. Come me. Come te. -
-Non osare paragonarmi a quei miserabili!- Ashor scagliò via, col dorso della mano, un vaso di cristallo, che si frantumò in mille frammenti a terra.
-Tu mi stai nascondendo tante cose. Troppe. Se vuoi che io ti ami, devi essere sincero. - Ishienne si voltò, dandogli le spalle.
Un attimo dopo, sentì le braccia di Ashor attorno al suo corpo. Si irrigidì, spaventata, tentando di dirvincolarsi.
-Hai ragione, non posso farti del male. Ho bisogno del tuo potere. Il tuo potere e il mio, assieme, possono dominare il mondo. Cosa t'importa di creature effimere come la brezza, che vivono le loro miserabili vite nel fango? Noi siamo diversi. Siamo superiori. -
La voce di Ashor era di nuovo calda e vellutata, suadente.
Ishienne strinse le labbra. Non ci sarebbe cascata di nuovo.
-Io ero una di quei miserabili. So cosa vuol dire vivere nel fango. Ho visto il tuo meraviglioso, florido impero, Ashor. Se vuoi il mio amore, prima dovrai avere quello dei tuoi sudditi. -
-Mi amano già. -
-No. Si prostrano ai tuoi piedi. Applaudono e gridano quando i tuoi soldati glie lo ordinano. I nobili sorridono e si inchinano. Ma laggiù, nella città bassa, nelle campagne, non ti amano. Chinano il capo, e ti accettano, così come si accetta un inverno interminabile, il ghiaccio a primavera e la malattia mortale di un figlio. E ti amano allo stesso modo. -
Le braccia di Ashor si strinsero attorno a lei, fin quasi a farle male. Poi la lasciarono.
-Farmi amare da loro, è dunque questa la strada per ottenere il tuo amore? Non basta tutto ciò di cui ti ho circondato?-
-No, Ashor, non basta. - Ishienne si liberò da quel'abbraccio, allontanandosi di qualche passo.
-Non amerò un uomo incapace di pensare ad altri che a sé stesso. Mia madre ha fatto questo errore per due volte, ed è morta tentando di dimenticarlo, nell'alcol. - Per la prima volta dopo anni, pensava a sua madre, e a come si era sempre riproposta di non ripetere lo stesso errore.
-Mi ami già. -
-Non esserne così sicuro. - Ishienne lo guardò con aria di sfida.
Sollevò un braccio, e una macchia di tenebra crebbe alle sue spalle. Vide il volto già alabastrino di Ashor sbiancare come un cadavere.
-Ferma...-
-No. -
-Non farlo!-
-Mi stai spingendo tu. -
-Non potrò riportarti indietro!-
-Io sopravviverò, di là. -
-Non è vero. -
-E' vero, e tu lo sai. Sarà una vita dura, ma preferisco vivere duramente con le mie forze, che vivere nel lusso sul sangue degli altri. -
-Ti prego!-
-E' inutile, Ashor. - lo guardò negli occhi, e Ashor si rese conto che i dolci occhi grigi adesso erano dure schegge d'acciaio. I ruoli si erano invertiti.
-Non amerò un uomo senza misericordia. Un uomo egoista. Ricordatelo. - furono le sue ultime parole, cariche di sfida, prima di entrare nel tunnel, voltargli le spalle, e percorrere di corsa quella tenebra.


-Dottore? Dottore, si sta svegliando!-
Odore di medicinali e di disinfettante.
Un letto troppo molle, affossato al centro. Dolore nel corpo.
Aprì gli occhi.
-Dove sono?- chiese, a fatica. La gola era secca e riarsa, gonfia. Aveva un sondino al naso.
-In ospedale. Sei stata in coma per quasi un anno. -
Annuì, piano. Non disse nulla.
Era tornata a essere una dei miserabili.

Il vecchio aveva tenuto quanto poteva esserci di valore, aveva messo i quattro stracci di vestiti che possedeva in dei sacchetti della spazzatura e li aveva scaricati nella sua stanza di ospedale. Il messaggio era chiaro: non voleva più averla tra i piedi. Non dopo che la polizia, intervenuta per indagare sulla ragazza trovata in coma sullo scoglio di fronte al camping, aveva trovato parecchie cose irregolari, tipo droga e prostituzione.
L'ospedale stava per dimetterla. Dove sarebbe andata?
Sola, senza casa, senza lavoro, senza forze.
L'aria calda dell'estate le irritò il volto quando, con un sacchetto in mano con tutti i suoi averi, si lasciò alle spalle l'ospedale.
Una panchina del parco divenne letto, per una notte. E per un'altra ancora.
La vita da senzatetto era umiliante, ma ci si trascinava come attraverso un sogno.
Qualche moneta, un po' di pane regalato da un fornaio, gli avanzi di cibo di un ristorante.
Provò a cercare lavoro, ma nessuno voleva assumere una diciottenne sporca e senza casa, a malapena con la licenza di terza media, smunta e con lo sguardo spento.
Dopo un po', smise di cercare.
Quando l'autunno arrivò, iniziò a frequentare anche i dormitori per i senza tetto. Le diedero un sacco a pelo e delle coperte.
-Torna da me. - le sussurava Ashor nei momenti tra il sonno e la veglia -Torna da me, Ishienne. -
Lei lo ignorava, o fingeva di farlo, ma le sue parole le risuonavano nelle orecchie, mentre vagava senza meta o fissava il vuoto, seduta in un angolo dell'uscita del supermercato.
-Ho bisogno di te. Ti amo. - parole sussurrate dall'ombra, mentre fissava il buio nelle notti umide e fredde.
Quasi non si accorgeva della gente che la schivava, pallida e emaciata ragazza, sporca e vestita di strati e strati di vestiti che avevano da tempo visto i giorni migliori.
Tornò la primavera, e poi l'estate, e le cose furono un po' meno peggio. Riusciva a lavarsi, nelle fontanelle o nei bagni pubblici. E poi di nuvo l'autunno, umido e rigido, e un freddo, freddo inverno.

Nel cuore dell'inverno, il freddo mordeva impietoso.
Ricordava un distante mattino d'inverno, in cui s'era destata in una stanza silenziosa e grigia, con la luce pallida del mattino che aveva illuminato un sogno in cui desiderava tornare, pur cercando di resistervi.
Il vento sibilava e fischiava attorno a lei, mentre voltava le spalle al dormitorio per senza tetto, in cui non c'era più posto per lei, neanche per terra.
Il cielo era sereno, e le stelle spendevano nette come diamanti sul velluto.
Si trascinò fino a un androne di un palazzo chiuso e disabitato, rannicchiandosi sui gradini e cercando riparo dal vento, coprendosi di cartoni e di stracci.
Rannicchiata, tentando di trattenere il calore, si permise di ascoltare quella voce che le sussurrava da ore, da giorni, da mesi.
-Ishienne, mia amata. Mia gemma. Ti prego. -
-Ashor, smettila. Smetti di tormentarmi. -
-Non posso. -
Gli occhi dorati le apparvero davanti, come fossero sempre stati lì, e lei li avesse resi visibili pronunciando il nome del loro padrone.
-Lasciami in pace. -
-Lasciarti in pace? A vagare come una medicante, tu, che sei la Khalissa?-
-Non sono la Khalissa. Sono solo una miserabile. Un verme nel fango. Vai via. Sei solo il sogno di una pazza che non ha nulla nella vita. -
-Ishienne, Ishienne. Guardami. Tocccami. -
Una mano candida come la cera sfiorò il viso sporco e magro della ragazza.
-Sono qui. Sono qui per te. Per riportarti indietro. Ti prego, torna con me, anche solo un poco. Sono cambiato. Ho cambiato tutto. Per te, solo per te. Potrai vederlo coi tuoi occhi. Lascia che ti mostri come sono cambiato. -
Lei guardò quegli occhi dorati, così dolorosamente familiari. Desiderio, sofferenza, amore. Pentimento.
-Mi ferirai di nuovo. Tu lo sai che voglio solo amore, ma mi userai e mi ferirai ancora. -
-No. Mai. Mai più. -
-Si, invece. -
-Dammi una possibilità. Una sola. Non mi sono mai inginocchiato dinnanzi a uomo, spirito o dio, ma dinnanzi a te, io mi inginocchio e ti chiedo, dammi un'altra possibilità. Dammi modo di dimostrarti che sono cambiato. Per te, solo per te. -
Prima di incontrarlo, era stata triste, e non si era mai sentita amata. Ma quando aveva creduto di essere amata, e invece era desiderata solo per il potere che aveva celato dentro di sé... allora, allora era stato infinitamente peggio.
Desiderava solo un po' di amore, ora, e di attenzione.
Sarebbe stata quasi disposta a barattare quel suo potere per l'amore confortante, anche se un po' oppressivo, che lui le aveva offerto.
-Sono stanca, stanca di soffrire. -
-Vieni con me, allora. -
-Tu mi hai fatto soffrire. Mi ha fatto sentire amata, ma volevi solo il mio potere. - una pausa -Ma... mi hai fatto sentire amata. - Lei alzò lo sguardo, a incontrare quegli occhi dorati e dolenti.
-Una sola possibilità, Ashor. Una sola. -
Braccia forti la strinsero, e la sollevarono; un nero manto l'avvolse, e neri capelli le scesero sul volto.
-Grazie. - fu la risposta, sussurrata, lieve come le ali di una falena.

-Hai visto, Ishienne. Non ti ho negato di andare dove volevi, travestita come desideravi. Hai visto e toccato con mano. Puoi andare dove vuoi, di tutto l'impero, dimmi dove, e ti ci porterò nel tempo di un battito di ciglia. Nessuno prima d'ora aveva governato così. Ho mille nuovi nemici, nella nobiltà, ma non mi importa di nulla, per avere ancora il tuo rispetto, e il tuo amore. -
Ishienne guardò sorridendo il mago imperatore, che le stava dinnazi, in piedi, con un'espressione che su un'altro viso sarebbe stata umile. Ma nulla poteva alterare la regalità di quel volto.
Aveva girato, celata nelle ombre o come una contadina, tutta la città, le campagne attorno.
Gli credeva, ma voleva vederlo così contrito e penitente ancora per un po'.
Rabbrividì, malgrado il caldo di agosto, e si strinse nel pesante mantello di lana.
-Portami qui. - indicò sulla cartina le propaggini più meridionali dell'impero. Forse sarebbe riuscita a scaldarsi...

Ashor sudava, davanti al camino che ruggica ardente. Aveva solo la camicia, ed era sbottonata e aperta.
Ishienne tremava di freddo, quasi dentro al camino, le mani tese verso le fiamme che spuntavano da mantelli e coperte.
-Ho tanto freddo. - si lamentò, con una voce sottile.
Ashor si chinò, prendendola tra le braccia.
-Vorrei poteri aiutare...- disse, contrito. Era impotente. Malgrado il fuoco, i mantelli, il caldo torrido del castello più meridionale dell'impero, Ishienne tremava.
-Tiemmi stretta. - gli disse, e lui obbedì volentieri, malgrado il caldo. Era felice che lei lo amasse. Aveva visto quello che aveva fatto per l'impero: stava diventando un bel luogo per tutti dove vivere. Si era inimicato i nobili, ma ora il popolo lo amava, e per davvero. Aveva chiamato da ogni dove uomini e donne saggi, i capi dei villaggi e delle piccole città, i mastri delle corporazioni, e aveva cambiato totalmente il suo governo, le sue leggi, ogni cosa.
Tutto per lei, perché lei approvasse, perché lo amasse.
E ora la stringeva di nuovo tra le braccia.
Per distrarla dall'intollerabile freddo che provava, le raccontò di quei diciotto mesi senza di lei. Di come aveva dovuto imporsi con la forza ai nobili, di come avesse visto le maschere di ipocrisia sfaldarsi. Sapeva che esistevano, ma pensava che quegli uomini e donne fossero troppo codardi per ribellarsi. Ma l'entusiasmo e la gratitudine del popolo erano più sincere, aveva scoperto, scendendo in incognito come anche lei aveva fatto molto tempo prima.
-Tu mi hai cambiato. Hai ucciso il vecchio me, e hai dato vita a un nuovo Khal Ashor. - concluse. Ma si accorse che quasi non lo stava a sentire. Aveva le mani bluastre.
-Ashor... è il mio corpo. Il mio vero corpo. Sta assiderandosi. Io sono solo l'anima. T-ti prego, riportami là. -
-Ma...-
-Ti amo. Ti ho sempre amato, ma non riuscivo ad accettare di amare un uomo egoista. Ora ti amo ancora di più, perché sie cambiato e sei un uomo buono. Non ti abbandonerò. Ma, ti prego... riportami indietro. Anche solo per poco. -
Ashor guardò quei candidi capelli spuntare dalle coperte, quelle labbra bluastre.
La prese tra le bracciae la sollevò, lieve come una piuma.
-Va bene. - ma le sue parole erano pesanti come il piombo.

Un mucchio di cartoni e stracci, coperto di una spolverata di neve. La pioggia li aveva inzuppati, e ora la neve si posava sul ghiaccio, lenta, impietosa.
Le persone camminavano svelte, indifferenti, troppo concentrate a pensare a cosa preparare per il pranzo di Natale, a che dono comperare, al veglione a cui andare.
Ombre nelle ombre, Ishienne si strinse nella coperta, grata dell'abbraccio di Ashor, che la teneva ancora tra le braccia.
-Nessuno lo guarda. Nessuno si chiede se lì ci sia una persona, o solo spazzatura...- mormorò.
Un cane si avvicinò al mucchietto di stracci e cartoni, annusando. Era un grosso cane dal pelo folto e lungo, forse un terranova. Il suo padrone lo strattonò, tirandolo via, allontanandosi indifferente. Il cane diede un'ultima occhiata alla mano livida che sbucava da sotto una coperta lacera, e poi seguì il padrone.
Altre persone passarono, indifferenti e indaffarate.
-Ashor... recidi l'ultimo legame. - disse, asciugandosi le lacrime.
-Cosa?-
-Guarda che lo so. Scaldami col tuo corpo. Fammi tua. Recidi l'ultimo filo che lega la mia anima a quel corpo. - si voltò, dando le spalle al corpo magro ed emaciato di una ragazza abbandonata e mezza assiderata.
-Quando mi unirò a te, quel mio corpo morirà. -
-Come lo sai?-
-I Saggi. Non dovevi insegnarmi a vedere nelle menti, se non volevi che scoprissi tutto quello che loro sapevano. -
Ashor sorrise, abbracciandola teneramente e sollevandola tra le braccia, ma gettò un'ultimo sguardo di pena alla figura raggomitolata sui gradini, coperta di stracci e cartoni bagnati, che lentamente si stava coprendo di neve.


-E' morta da almeno due giorni. Assiderata. -
-Poveraccia. E dire che se non ci avessero chiamati per sgombrare questo “mucchio di rifiuti puzzolenti”...-
I due operatori ecologici scossero il capo. Il più vecchio, quello che si definiva ancora “spazzino”, strofinò le mani arrossate, per cercare di scaldarsele. Guardavano gli infermieri chiudere nel sacco di plastica quel corpo grigio e senza vita, infagottato di abiti sciupati.
-Non doveva essere tanto vecchia. Hanno detto che è una ragazzina. Chissà come ci è finita, così. - disse il più giovane, accendendosi una sigaretta.
-Morire di freddo la notte di Natale. Come la piccola fiammiferaia. Cose da pazzi, nel ventunesimo secolo. - commentò tristemente il più vecchio, pensando alla sua figlia più piccola, che non era molto più vecchia di quella ragazza. -Beh, spero solo che sia morta facendo bei sogni. Ho visto il suo viso, sai? E' morta sorridendo. -


Con passi silenziosi,
tu vieni, ascolti la mia voce,
con passi silenziosi,
tu arrivi, raccogli il mio grido
con passi silenziosi
tu stai, guardi il mio dolore
con passi silenziosi
tu vai, mi porti via
Con passi silenziosi
Io sarò con te

 

Questa piccola storia prende il nome da una canzone il cui ritmo, le sonorità, la voce della cantante, mi hanno suggerito la "ninnananna" cantata dalla protasgonista, e che mi ha accompagnato nelle 2-3 ore necessarie a scrivere il tutto. Perla cronaca, la canzone è "dreamcatcher" dei Secret Garden, ascoltatela che ne vale la pena!
Il finale è volutamente aperto. Ishienne ha davvero lasciato un involucro di carne per regnare con Ashor in un'altro mondo, come Khalissa? O è solo una senzatetto che si è rifugiata in confortanti fantasie, dopo una vita da reietta, senza mai aver ricevuto amore e attenzione, ridotta a inventarsi e raccontarsi storie per tirare avanti? Scrivetemi il vostro parere nelle recensioni ^_^

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Ilune Willowleaf