Gli specchi non smettono mai di riflettere
Harry osservava la sua figura e la trovava mutata negli
anni.
Non era più il ragazzino di
un tempo, quello spaventato undicenne che aveva paura della sua stessa ombra,
che si ritrovava immerso in un mondo che non sentiva appartenergli, ma che
invidiò subito come casa…
No, Harry
non era più un bambino.
Erano passati i tempi della
scuola di magia.
Erano passati i tempi delle
zuffe tra amici, delle serate passate a giocare a scacchi magici, delle
avventure meravigliose, delle uscite notturne sotto il mantello
dell’invisibilità’.
Era finita la spensieratezza
che, a conti fatti, non aveva mai goduto appieno.
Voldemort era stato sconfitto, ma….attenzione! Questo non ne
implicava la morte…
Voldemort era ancora vivo.
In seguito al tradimento dei dissennatori, la maestosa prigione d’Azkaban,
era stata abbattuta e avevano costruito un’altra prigione più grande e con
nuove magie.
Hermione Granger aveva creato un
incantesimo così potente ma era così crudele che, solo
se vi era la certezza ASSOLUTA dell’effettivo crimine, si poteva applicare.
L’incantesimo era più o meno lo stesso effetto di un molliccio: ti mostrava la
tua più grande paura e te la ricreava, ma diversamente da quel buffo esserino, questo anatema permaneva finché il carceriere non
decidesse di scioglierlo e le emozioni erano così reali e così profonde da
annullare ogni resistenza o coraggio o forza dal malcapitato.
Questo incantesimo era così spietato
da poter essere scagliato unicamente da una squadra speciale, era considerato
senza perdono e senza ritorno, poteva, quindi, essere scagliato solo a chi era
colpevole oltre ogni ragionevole dubbio e se il crimine era considerato
disumano e al limiti del diritto della vita.
Ovviamente Voldemort non sfuggì al trattamento e, poiché la sua paura
più grande era morire, fu costretto a farlo più e più volte, dolorosamente e
spaventosamente, nei modi più atroci e angosciosi. Ma
tutto era nella sua testa e lì restava.
Perché, si sa, è la psiche
umana che ci rende quelli che siamo. Distruggerla è
peggio che morire…
Harry osservava il suo riflesso.
- Gli specchi non smettono
mai di riflettere - sussurrò tra se e se.
Le cicatrici di guerra erano
evidenti e andavano ben oltre il sfregio che lo aveva
accompagnato lungo tutto il suo viaggio.
Non sembrava Moody per fortuna, ma la guerra lo aveva molto provato nel
fisico.
Allungò una mano e accarezzò
la superficie fredda creando degli aloni leggeri che svanirono subito dopo.
Il suo riflesso eseguiva
tacito ogni movimento continuando a restituire lo sguardo truce e triste che
caratterizzava il padrone dell’immagine.
Ora Harry
Potter era libero.
Si sentiva come un elfo domestico
che aveva ricevuto un indumento e la libertà.
Era felice si, ma…
Harry Potter era il salvatore del
mondo, il bambino sopravvissuto, colui che aveva
sconfitto il signore oscuro.
Era cresciuto con questa etichetta e mai nessuno lo avrebbe visto in altro
modo.
Perfino Ron
e Hermione, che tanto si professavano suoi amici, s’inebriavano
della luce che lui emanava e si pavoneggiavano della sua amicizia.
Ipocriti.
Tutti ipocriti.
Tutti pronti solo a vedere di
Harry Potter l’immagine che
rifletteva quello specchio che aveva di fronte.
Harry respirò a fondo.
Già. Era proprio vero:
Gli specchi non smettono mai di riflettere.
Questa frase era l’ultima che
il signore oscuro gli aveva sussurrato prima di accasciarsi ai piedi
dichiarandolo vincitore.
Lui aveva capito i tormenti
del giovane di fronte a se, lo stesso avversario aveva compreso che era quello
la cosa che li legava maggiormente.
Non era la cicatrice.
Non era il loro legame.
Non era la loro faida.
Era l’apparenza…
Quell’assurda apparenza a cui
entrambi dovevano far conto.
Il primo come capo del male,
seguito, ammirato, odiato, acclamato, combattuto, continuamente sulla bocca di
tutti, con una lente d’ingrandimento costantemente puntata sul suo capo,
costretto a guardarsi le spalle sempre e comunque per
poter sopravvivere.
Il secondo come capo della
guerriglia di ribellione, o forse più come esca o
fantoccio per attirare il nemico.
Una
stanchezza ormai radicata nell’animo di entrambi e, per questo, impossibile da
ignorare.
Improvvisamente Harry si allontanò dall’oggetto e si diresse verso il suo
letto ove vi era riposta una valigia mezza piena.
Finì di riporvi alcuni indumenti
e si voltò nuovamente verso lo specchio che ora
rifletteva la stanza vuota.
Osservò nuovamente la valigia
e ritornò allo specchio, come imprigionato di un incantesimo, un novello
narciso.
Si riavvicinò alla superficie
riflettente e toccò nuovamente la superficie, ma
accadde qualcos’altro…
La sua mano fu incatenata da
altre dita che fuoriuscivano dallo specchio, la sua immagine non rifletteva più
ciecamente ciò che aveva innanzi, ma aveva vita propria e propria forma.
Infatti, la forma mutò piano fino a divenire quella del
peggior incubo del ragazzo che era sopravvissuto.
- Voldemort…
- sussurrò piano.
Non si ribellò, né tentò di
scappare. C’era qualcosa di differente in quella nuova immagine riflessa.
L’uomo sorrideva mestamente e
lo attirava a se solennemente.
Harry lo seguì lì, oltre lo specchio, oltre la sua immagine
riflessa, oltre la sua realtà, oltre l’ipocrisia della
sua verità.
Mentre attraversava lo specchio sentì il freddo avvolgerlo
come ad imprigionarlo in una morsa soffocante, ma subito avvertì il calore
bruciante delle braccia dell’uomo che lo stingeva.
- Ciao, Harry
-
La voce del signore oscuro
era bassa e roca, leggermente maliziosa.
Harry lo fissò dritto nei suoi piccoli occhi neri: era
diverso dalla battaglia, era più simile all’uomo che sarebbe divenuto se avesse
continuato la sua vita senza trascinare se stesso e tutti in quell’incubo.
Poi si guardò attorno.
Era nella sua stanza, ma era
tutto al contrario, proprio come in uno specchio. Si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa, ma che reprimente subito dato
che era tra le braccia del suo peggior nemico.
- Che
ci fai qui? – chiese semplicemente. - Come sei scappato? -
L’uomo non rispose. Si limitò
a sorridergli obliquamente, allentando la presa leggermente.
- Non chiedermi come… -
esordì con voce strascicata e bassa – ma perché. -
Nonostante la presa era fiacca, Harry
non sembrava accorgersi del pericolo, restava immobile tra le braccia del
nemico come coccolato.
- Allora… - sorrise - Perché?
-
Gli occhi di Voldemort si fecero più vicino ed Harry
poteva sentire il suo fiato sul proprio viso, le sua labbra
si avvicinarono pericolosamente e, improvvisamente, si ritrovarono incollate al
quelle del ex grifone.
Harry non sembrava aver capito la situazione.
Non ricambiava il bacio, ma nemmeno
lo scacciava, semplicemente, sembrava voler vedere cosa desiderasse
da lui quell’uomo.
Tuttavia le
mani del signore oscuro si fecero più intraprendenti e s’infilarono sotto la
maglia rossa che avvolgeva il moretto.
Harry si trovò, suo malgrado, a sospirare.
- Vedo che non ti sono
indifferente… - constatò il nemico leccandosi le labbra.
Il moretto lo osservò
inespressivo.
Voldemort lasciò definitivamente la presa e si allontanò piano,
avvicinandosi al letto e sedendovi sopra.
I loro occhi s’incrociarono e
il moretto capì il chiaro invito dell’uomo di fronte a se.
Gli chiedeva di scegliere, di
dimenticare per una volta la gente, gli occhi degli altri, la loro reputazione,
le loro fame…di essere semplicemente loro stessi per
qualche ora.
Lui n’aveva bisogno, come
n’aveva bisognino il suo antagonista.
Dimenticare che erano “Il
Ragazzo Sopravvissuto” e “Il principe Oscuro” e godersi quegli attimi di totale
abbandono che entrambi agognavano.
In qualche arcaico modo,
chiedeva semplicemente di divertirsi. Divertirti a prendere in giro il mondo
oltre l’apparenza ed essere ciò che gli altri non avrebbero mai accettato.
Harry si avvicinò al letto.
- Aaaaaaaaaarghhh!!!!
-
L’incantesimo cessò e Harry cadde a terra, esausto.
Era ormai molto tempo che
questo trattamento gli veniva riservato nella buia
prigione che prima era conosciuta come Azkaban.
In verità Voldemort
aveva vinto la battaglia e tutti erano stati catturati o uccisi.
Ovviamente, il trattamento
peggiore, era riservato al bambino sopravvissuto che lo aveva costretto al
declino per ben 14 anni!
L’anatema più spaventoso mai
creato da mente magica gli era scagliato giornalmente facendogli vivere ciò che
più lo spaventava e ciò che più lo uccideva: cedere all’attrazione del male…
Ormai era così provato nell’animo
che poco in lui si poteva definire “vivo”.
- Portatelo nella sua cella!
– urlò un carceriere.
Harry fu condotto nella cella più fredda e buia della
prigione. Non aveva più alcuna forza di camminare o
muoversi, i suoi nervi erano stremati e distrutti dalla sua mente lacerata.
Aprirono l’uscio pesate della
sua cella e lo buttarono dentro senza gentilezza lasciandolo steso ovunque
cadesse e immobile dovunque si trovasse.
Nella profondità della sua
mente osservava impassibile l’aria circostante, non potendo, però voltare lo sguardo oltre il suo campo visuale che, essendo guancia a
terra, era ristretto al pavimento di pietra e parte della cella.
Non aveva nemmeno più la
forza di piangere o respirare.
Stava lentamente morendo.
O forse lo era già…
Era ormai alla stregua di un
pupazzo senz’anima, un bambola senza sentimenti. Forse
solo quella paura che gli inducevano era l’unica
emozione che gli rimaneva.
Sentiva il freddo della cella
gelargli le ossa e incredibilmente si mosse buttandosi stancamente a pancia in su e voltando lo sguardo verso la pozza d’acqua piovana
in cui riluceva la luce della luna.
Si guardo attorno per
l’ultima volta e poi si alzo abbastanza da specchiarsi in quella pozza.
Gli specchi non smettono mai di riflettere
Vide il proprio aspetto ormai
privo d’umanità, e sorrise.
Sorrise semplicemente,
lasciando che una lacrima si riversasse su quell’acqua,
ricreando onde circolatorie dai movimenti sinuosi.
Le sue braccia tuttavia non
ressero oltre il suo peso e si accasciò nuovamente a terra con un tonfo sordo.
I suoi occhi color verde
smeraldo si riaprirono e le sue pupille pece si dilatarono…
In seguito quel giorno tutti
lo ricordarono come il giorno in cui morì Harry James Potter, il bambino
coraggioso che non ebbe mai paura di fronte al Signore
Oscuro.
La gente lo elogiò come
martire e si ribellò a Voldemrt costringendolo a
ritirarsi e a subire le medesime torture.
Sulla sua lapide che si erge
maestosa nella piazza principale di Hogsmade
si può leggere il discorso che pronunciò prima di andare in battaglia di cui
pochi capirono il significato:
Gli specchi non smettono mai di riflettere e ti
mostrano solo la realtà così com’è senza che sentimenti o discriminazioni la alterino.
Vado a combattere la mia battaglia persa e con poche
speranze di vittoria, ma questo perchè la gente, quando si riflette, vede solo
ciò che vuole vedere e segue la corrente limitandosi ad
adattarsi per sopravvivere.
Io ora, qui, vi saluto e vado a combattere non la mia
battaglia,
La battaglia di tutti.
Gli stessi “tutti” che, codardamente, mi addossano la totale
responsabilità.
Quando vi guardate allo specchio la mattina, o
semplicemente, quando vi specchiate negli occhi dei vostri cari, ditemi gente:
cosa vedete?
Gli specchi non smettono mai di riflettere, ma non c’è
peggior cieco di chi non vuol vedere.
Fine.
Salve gente….
Ehm, lo so, non ha senso
tutto questo, ma la tematica dello specchio oggi mi ha
ispirata questa cosa. So che probabilmente non sarete
arrivati alla fine, e so che non c’è assoluta coerenza con il tutto, ma
dato che io scrivo e basta senza che ci sia una logica…
Nell’attesa che pubblichi
l’ultimo capitolo della mia fic “Anima D’artista” Vi
auguro una felice befana! ^.^
E se proprio non vi fa schifo,
non mi dispiacerebbe una salutino e una critica anche
maligna!^__^