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Autore: Sylvie    07/01/2007    4 recensioni
Siviglia, secolo diciottesimo.
Isabel, figlia dell'avvocato Bartolo, viene promessa ad un conte. Ma lei non vuole maritarsi con lui. Così dopo una furibonda lite con il padre, viene trovata svenuta da un comandante dell'esercito inglese. Lui la aiuterà a scappare dalla Spagna, portandola in Inghilterra... ma infondo lei ha sempre un contratto, ed è la fidanzata ufficiale del Conte Rodriguez. Intrighi, amori, tradimenti... nella caotica Londra, dove Isabel diventerà una ballerina, per sfuggire al padre e al promesso.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Many years ago I met the most beautiful women I’ve ever seen.
Her name was Isabel and she wanted to run away.
I loved her, since that day, I think.
And when she understood that, it was too late.
Our love was like to no other love.
She was like to no other women.
And all I know now… is that the day I met her
I was the luckiest man in the world.
Tanti anni fa incontrai la donna più bella che avevo mai visto.
Il suo nome era Isabel e lei voleva scappare.
L’amai da quel giorno, credo.
E quando lei lo capì, era troppo tardi.
Il nostro amore non era simile a nessun altro amore.
Lei non era simile a nessun’altra donna.
E tutto ciò che so ora... è che il giorno che la incontrai
Fui probabilmente l’uomo più fortunato del mondo.





Capitolo Primo: Una nuova speranza

Siviglia,1806.

Fogli, fogli ovunque, la scrivania del padre, Andrés Bartolo, era sempre piena di quei dannati fogli. Contratti, appunti e poi libri su libri, dove cercare? Dove cercare la propria salvezza? Una ragazza di circa diciassette anni continuava a rovistare tra tutte quei fogli, era come cercare un ago in un pagliaio; qual’era tra tutti quelli il suo foglio? La giovane indossava un lungo abito azzurro, rigorosamente secondo la moda Spagnola; i lunghi capelli castani erano sistemati in un chinon e gli occhi verdi scattavano da un documento all’altro.
- Isabel, donde estàs? – una voce maschile, proveniente dal salotto, richiamò l’attenzione della fanciulla, che prontamente abbandonò lo studio. Passando per la propria stanza, arrivò all’elegante salone. Fece un inchino al padre, che era accompagnato da due uomini.
- Eccomi, stavo leggendo un libro nella mia camera. – inventò il più velocemente possibile una risposta adeguata, prima di scutare i due accompagnatori, che puzzavano entrambi di fumo. - Oh, non ti preoccupare... volevo solo presentarti al Conte Rodriguez e a suo figlio Miguèl, tuo futuro sposo... – un brivido percorse la schiena della ragazza che a quel punto non sapeva più se guardare il padre o il promesso. Per educazione piegò le labbra in un mezzo sorriso, rivolto al figlio del Conte.
- Onorata, Senores – controllò la voce, impedendole di tremare.
- E’ semplicemente deliziosa, Andrés. Devo dire che è davvero molto bella! – si complimentò sfacciatamente Rodriguez, guardando ogni curva della ragazza. Miguel annuì, schiarendosi poi la voce, per parlare:
- Si, è vero. Ora, però, vorrei parlare di quella questione del tribunale... – si avvicinò all’avvocato Bartolo, le mani incrociate dietro alla schiena e l’atteggiamento da aristocratico. – Un’altra accusa di stupro è incompresibile... chi è che continua a fare la spia! – il padre congedò Isabel con un cenno della mano, mentre conduceva i due signorotti nello studio. Isabel si recò nel giardino, correndo. E dunque quello era il suo futuro marito? Un uomo continuamente accusato di stupri, omicidi, e quant’altro! No, non si sarebbe mai sposata con una persona del genere, aveva cercato senza tregua il documento del loro fidanzamento, senza trovarlo... Ed ora? Parlare con il padre, dirgli tutta la verità..ovvero che non voleva sposare Miguel... e poi? Lui non vedeva l’ora di farla contessa! Bene..allora la soluzione sarebbe stata una sola: scappare.
**

Era sera, i Rodriguez avevano lasciato la villa da un bel po’ ormai. Bartolo sedeva nella sua poltrona di velluto bordeaux, leggendo distrattamente il giornale. Aveva l’aria stanca. Timidamente Isabel entrò nella stanza del padre, avvicinandosi lentamente a lui.
- Padre... – lo chiamò a bassavoce, guardando lo schienale della poltrona.
- Si, Isabel? – si alzò stancamente, poggiandosi con entrambe le mani al tavolo, su cui era poggiata la bottiglia di rum.
- Devo parlarle del mio matrimonio – raccolse tutto il suo coraggio, alzando lo sguardo ed incrociando quello sconcertato del padre. – Io non voglio sposarmi con Miguel; non posso sposarmi con un uomo del suo calibro... non sono io la donna adatta a lui. – continuò, dopo un sospiro. – Io non sono una donna in grado si sopportare i suoi continui tradimenti ed i suoi continui crimini; non voglio essere anche io una pedina del suo sporco gioco... io voglio essere libera di scegliere. –
- Ma tu sei in grado di scegliere, Isabel? – con voce roca rispose alla figlia -Non sei un uomo, non hai nulla di tuo, non hai alcun titolo... mi spieghi come hai intenzione di scegliere?-
- Io ho lei, padre. Lei può cambiare la mia sorte.. ed è ciò che le chiedo. –
- Posso, Isabel... Posso, non lo nego. Ma io non voglio. – come uno schiaffo in piena faccia quelle parole arrivarono alle orecchie della ragazza.
- E’ l’unica cosa che le chiedo! Non le ho mai chiesto nulla... la prego! – gli occhi divennero lucidi, ma per nulla al mondo si sarebbe permessa di piangere.
- Dovrei rinunciare a delle terre, ad un titolo, per... che cosa... la tua volontà? – levò un sopracciglio, mentre si versava del rum. – Non ne ho la minima idea, assolutamente -
- Ma.. padre! Perchè? Non sono nulla per lei, padre? - domandò con un briciolo di speranza, con le mani tremanti.
- Sei qualcosa... sei una donna. Una donna è obbligata a compiere i propri doveri, come quello di pensare alla propria famiglia; sposando il giovane Rodriguez non faresti altro che pensare alla tua famiglia.. insomma, è un dovere. E poi: le donne servono solo per sposarsi e fare figli! – rise, bevendo il liquido ambrato dal bicchierino di vetro soffiato.
- Ma come si permette! Io non sono una puttana! Non faccio figli a comando, diavolo! – la rabbia colorò di un rosa acceso le goti di Isabel, che si diresse al comodino del padre, prendendo in mano dei fogli. – Io non mi sposo e faccio figli...io posso fare anche altro! Vede questi, padre? Questi bellissimi fogli, tutti molto importanti per lei. Io posso... – strappò in due i documenti, guardando con aria di sfida l’uomo, che non credeva ai propri occhi. - ... strappare fogli. Una volta... due volte...- con un altro secco gesto delle mani strappò un’altra volta i fogli, avvicinandosi nel frattempo al camino. - ... e guardi un po’, padre. Riesco anche a bruciarli! –
- No, dannata! – Bartolo si portò le mani ai capelli, avvicinandosi con aria minacciosa alla figlia. L’andatura era barcollante, causa di ciò era ovviamente l’eccesivo rum bevuto. – Sai cosa hai appena fatto? Te lo immagini minimamente?-
- Le ho dimostrato che le donne possono fare qualcosa in più di ciò che lei crede! – rispose beffarda Isabel. Brutalmente l’avvocato si buttò sulla ragazza, schiacciandola con tutto il suo peso al muro. Le afferrò i polsi, stringendoli con tutta la sua forza. Lei urlò per il dolore, non riconoscendo più in quel viso l’amore paterno.
- Così impari a ridere di me, puttana... così impari... – una sua mano la afferrò per i capelli, spingendola sul letto. Isabel chiuse gli occhi terrorizzata, non riusciva più a respirare.. i colpi del padre erano troppo forti per il suo corpo. Si alzò, scappando dalla stanza. Arrivò all’uscita della villa e corse nel giardino, la testa dolorante... aprì il cancello, urlando terrorizzata, ma il colpo potente della bottiglia di rum sulla propria testa, la fece cadere a terra e poi: buio.
**

Isabel aprì gli occhi, un dolore allucinante la fece ansimare. Cercò di mettersi a sedere, ma il taglio sulla propria schiena glielo impedì. Dove era? La stanza in cui si trovava non le era famigliare, non vi era mai stata prima d’allora. Non indossava più il suo sfarzoso abito azzurro, ma un semplice vestito da popolana... cosa le era successo? Si aggrappò ad una sporca tenda, riuscendo a mettersi finalmente seduta.
- Ti conviene stare sdraiata... – consigliò qualcuno in inglese, nascosto nella penombra di un angolo della piccola stanza. Lo sconosciuto mosse alcuni passi in avanti, rivelando il proprio volto. Era vestito elegantemente, e Isabel non riusciva proprio ad associare il suo bell’aspetto a quel luogo così povero. – Le ferite non sono gravi, ma comunque sono piuttosto dolorose. – aggiunse, accennando un sorriso. Si sedette su una botte, allungando le gambe.
- Io... dove sono? – si guardò intorno, spaventata, mentre nella sua mente si ricostruiva la vicenda con il padre. L’inglese sorrise comprensivo, guardandola negli occhi.
- Ti ho trovata accanto al cancello della villa Bartolo... eri svenuta e non riuscivo a farti rinvenire. Allora ti ho caricata nella mia carrozza e ti ho portata alla taverna più vicina, per rimetterti un po’ in sesto. – spiegò con dolcezza, cercando di tranquillizzarla almeno un po’.
- E tu chi sei? – domandò Isabel, scrutandolo attentamente.
- Hai ragione, non mi sono ancora presentato. Il mio nome è William Turner, comandante nell’esercito inglese. E tu invece? –
- Isabel Bartolo – rispose semplicemente, abbassando lo sguardo.
- Dunque vorrai essere riportata... –
- No! Ti prego no! – gridò, portandosi le mani alla bocca. William la osservò, senza porre alcuna domanda. Gli occhi azzurri continuavano a scrutarla, come in cerca di qualche indizio, per risolvere almeno uno dei perchè che aveva portato la reazione di Isabel.
- Capisco... – annuì. – Quindi cosa hai intenzione di fare, Isabel? –
- Scappare – sincera come non mai lo guardò negli occhi, in cerca di un aiuto. – In Inghilterra – - Inghilterra,dici? Potrei aiutarti, se vuoi! –
- Si, porfavor... aiutami, William... – cercò di mettersi in piedi ma non ci riuscì. William si alzò e le tese le proprie mani, alle quali Isabel si aggrappò, per alzarsi. Le faceva male tutto, le botte che le aveva dato il padre avevano lasciato dei lividi lungo le braccia e sul viso. Quando finalmente fu su due piedi, lui le passò il braccio attorno alla vita, per reggerla.
- Va bene, allora ora dovremmo andare... la mia carrozza ci attende qui fuori, e ci porterà al porto...dal quale sulla nave della Marina raggiungeremo Londra – Isabel annuì, camminando lentamente verso l’uscita. – Vuoi prendere qualcosa, prima della partenza? –
- Non voglio entrare in quella casa. - con la coda dell’occhio notò un anello che portava sul dito indice William, troppo dorato per un qualsiasi comandante dell’esercito. Lui, appena notò il punto sul quale si posò lo sguardo della ragazza, mise la mano in tasca, spronandola a continuare a camminare.
- Bene, ci penseremo dopo allora. Soffri di maldimare, Isabel? – domandò con un sorrisetto sulle labbra William, quando le aprì lo sportello della carrozza, per farla salire.
- Non so, sinceramente non sono mai andata via dalla Spagna... – ammise con una scrollata di spalle. - Beh, ti auguro di non soffrirlo... i marinai inglesi se ne potrebbero approfittare... – ridacchiò, aiutandola a sedersi comodamente. Chiuse lo sportello, facendo segno al cocchiere di partire.
- Oh, me lo auguro anche io! – accennò un sorriso, per la prima volta in quella mattinata, guardando poi fuori dal finestrino il paesaggio. Gli uliveti sembravano sempre più lontani, mentre più vicina era la speranza di una nuova vita... in cui era libera di scegliere. Ma Isabel si dimenticò di una cosa: il contratto matrimoniale vi era ancora, e lei era la fidanzata di Miguel Rodriguez a tutti gli effetti.
  
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