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Autore: ivyblossom    22/06/2012    6 recensioni
John, sempre il buon dottore, si accorge che c’è qualcosa che non va in Sherlock. Biopsia, diagnosi, chirurgia e radiazioni: Sherlock deve affrontare il trattamento per curare il cancro alla tiroide.
Questa è una storia hurt/comfort, avvolta in amore, momenti sexy, e “come sono finiti insieme”: qualcosa che serve veramente a un’amica per distrarsi mentre è in isolamento radioattivo. Scuse a chiunque si sente offeso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Un paziente è un campo di battaglia
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Non mi lasceranno stare con Sherlock mentre fanno la biopsia, il che non mi sorprende. Perché dovrebbero? È la semplice procedura, sarei tra i piedi e basta. Lo aspetterò qui, gli occhi incollati alla porta.

Sono andato con lui a prendere la vestaglia e ho levato la sua camicia di sartoria e la maglietta che indossava al di sotto di essa; è stata una strana cosa, per me. Molto strana.
Nessuno mi ha guardato di traverso, ma non aveva per niente bisogno di me per indossare la sua vestaglia, vero? Non ha obiettato, comunque. Ha lasciato che mi avvicinassi, non ha nemmeno detto nulla quando si è sbottonato la camicia, me l’ha allungata e si è tolto la maglietta.
Non l’ho mai visto gironzolare per l’appartamento mezzo nudo; non l’ho mai visto seminudo. Quindi è stato strano, ho realizzato che era strano quando stavo lì in piedi, la porta in fabbricato chiusa dietro di me, guardandolo mentre si sbottonava la camicia e la toglieva, togliere la sua maglietta, stare in fronte a me nudo fino alla vita. Ho preso i vestiti da lui, come se fossero un peso che non avesse bisogno di portare. Perché? Non lo so; ancora una volta lui non ha obiettato.


Magari trova confortante avermi qui, essere venuto con lui. Mi piacerebbe immaginare che è vero. Sono suo amico, il suo migliore amico, sa che si può fidare di me. Ho ucciso per lui. Sono il suo dottore; spogliarsi di fronte a me non dovrebbe essere un problema in un contesto come questo. Non è troppo intimo. Non è strano. Non è un preludio a qualcosa di sessuale. È solo scienza medica. È solo preoccupazione.

Starei mentendo se dicessi che non ho sentito niente nel vederlo così, spogliato delle sue piume. Petto liscio, il suo piatto, imbarazzante stomaco. Sherlock non è quel tipo di persona che è nuda con grazia; lui si allunga, muove i piedi, cerca invano di provare a coprirsi usando le sue ali inutilizzabili per volare, le sue braccia troppo magre. Imbarazzato. Non lo avrei mai immaginato; fino a questo momento lo avrei immaginato strapparsi i suoi vestiti di dosso con leggerezza, pensando di rivelare la sua carne che è solo il suo mezzo di trasporto. Ma non così. Ha chiuso gli occhi dopo, e gli ho messo una mano sul braccio. Volevo aiutarlo a stare in piedi, dargli un po’ di forza. Non ha scrollato via la mia mano.

Non ho idea di come si senta in merito, riguardo a qualsiasi cosa. Non so come chiedere. La sua faccia è semplicemente bianca. Posso presumere alcune cose riguardo la mancanza del suo solito colorito, ma non so se sono corrette.

Quindi non ho chiesto. Ho semplicemente piegato i suoi vestiti e li ho messi sulla panca; ho preso la vestaglia e l’ho aiutato a indossarla. Ho guardato il suo corpo magro e scarno, le sue spalle magre avvolte dal tessuto troppo lavato blu; così vulnerabile. Così dolorosamente vulnerabile. Non dovrebbe farmi male così, tenere ad un paziente.

Posso mentire al sistema, posso dire che sono il suo medico di base ma lui è mio amico, sono di parte, sono emotivamente coinvolto. Ho paura per lui. Ho allacciato la vestaglia sulla sua schiena, poi ho preso una seconda vestaglia, ho aiutato a infilare le braccia nelle maniche, e l’ho allacciata davanti. Avevo una mano sulla sua spalla, una dietro al suo collo, davvero non so perché. Riesco ancora a sentire il calore del suo collo sul palmo della mia mano, mi aggrappo alla memoria del tessuto sotto le mie dita.

“Non farà tanto male,” ho detto, probabilmente facendo emergere più preoccupazione di quanto non avessi intenzione. È impossibile tenere qualcosa lontano da Sherlock. “Solo pressione.”

Non ho potuto andare con lui durante la procedura, nonostante ci abbia provato, ho discusso per questo. Sherlock rimaneva in silenzio; non so se mi volesse o no lì dentro, francamente. Mi hanno lasciato guardare gli ultrasuoni, comunque; probabilmente hanno capito che avrebbero avuto bisogno di una mano per tenere Sherlock buono.
L’hanno fatto; lui ha guardato lo schermo per tutto il tempo, ha provato a correggere l’angolo, ha dato consigli. Due noduli calcificati, questo era chiaro. Sherlock ha annunciato ognuno di essi quando è comparso sullo schermo; aveva fatto qualche ricerca, sapeva cosa guardare nell’immagine degli ultrasuoni. Non ho avuto bisogno di aspettare il referto per sapere che aveva ragione. Ma il referto dice così, comunque: biopsia raccomandata. Ne avevo il presentimento. Non mi piacciono troppo i miei presentimenti questi giorni.


Non sentivo niente dall’altro lato della porta, quando stavano passando un piccolo ago sotto la pelle di Sherlock, dritto nella tiroide. Ma ovviamente non avrei sentito nulla. Non griderebbe, non ne farebbe un problema, non rovescerebbe gli strumenti, non prenderebbe a calci il dottore negli stinchi, non correrebbe fuori dalla stanza gridando, con l’ago rimasto in gola.

Sherlock non ha paura del dolore, ma non gli piace essere indifeso.
Non ho mai considerato quanto un paziente si debba sentire indifeso di fronte al professionista medico; un paziente è un campo di battaglia, la scena di guerra, non un soldato, non un generale. Siamo noi quelli con le armi: i dottori, i chirurghi, i tecnici. Noi controlliamo l’attrezzatura, controlliamo le foto, ci inviamo note a vicenda. Il paziente deve stare sdraiato e fermo, ed essere un oggetto, il campo di gioco, non deglutire, Sherlock. Non deglutire. Sherlock non è un oggetto, e non si comporterà come se lo fosse. Non si farà zittire.

Vorrei che mi avessero lasciato entrare con lui.
Ci impiegano circa venti minuti, non di più. Viene fuori da solo, ha una serie di punture rosse e macchie sul collo ed è appiccicoso del liquido degli ultrasuoni, giallo di iodio. È bloccato nella vestaglia, dai miei nodi sicuri. Mi guarda, fa un cenno con il capo. Mi alzo e lo riaccompagno allo spogliatoio.
“Aspetta,”dico, e mi affretto ad andare dalle infermiere. Mi danno una tinozza d’acqua calda e sapone, un piccolo asciugamano; chiudo la porta in prefabbricato dietro di noi. Si siede: mi inginocchio di fronte a lui.

“Non vorrai sporcare la tua camicia,” dico. Lascia che io lavi via lo iodio e il lubrificante da lui, anche se trasalisce quando muovo l’asciugamano sopra le chiazze rosse. Le conto; sette. Sette diversi punti d’entrata. Hanno fatto fatica a prendere un campione, ovviamente. Lavo via lo iodio dal suo collo, e lavo via anche le gocce che gli sono cadute sul petto. Lo avrebbero dovuto ripulire prima di averlo mandato fuori; lo stanno trattando semplicemente come un campione di tessuto, come qualcosa che può essere marchiato e inviato al patologo. Gli occhi di Sherlock sono chiusi. Le mie dita contro la sua pelle. La pelle è sempre morbida, e lui è sempre caldo. Trema. Uso il dietro della vestaglia per asciugarlo.

“Stai bene?” chiedo, infine. Mi sento come se avessi evitato di chiederglielo.
“Bene,” dice. “Sto bene.” I suoi occhi sono ancora chiusi.

  
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