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Autore: _Misery    22/06/2012    2 recensioni
10 giugno 1840: il giovane Edward Oxford tenta di uccidere la regina Vittoria mentre passeggia per Londra in carrozza, incinta, senza però nemmeno colpirla. Una diceria, sempre più forte, vuole che l'attentato sia stato organizzato in realtà dal potente Lord Voldemort, aiutato dai suoi seguaci.
Tra questi, è in particolare Lucius Malfoy a temere: il suo titolo di baronetto potrebbe essergli strappato via da un momento all'altro, e sicuramente non solo quello. Ma è un problema che di certo non riguarda Nymphadora Tonks, sua nipote e protetta, pronta a tutto pur di liberarsi dall'ambiente soffocante in cui vive e ritrovare suo padre.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Goodnight, Travel Well'
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Half-sick of shadows

 

But in her web she still delights
To weave the mirror's magic sights,
For often through the silent nights
A funeral, with plumes and lights
And music, went to Camelot:
Or when the moon was overhead,
Came two young lovers lately wed;
"I am half sick of shadows," said
The Lady of Shalott.
Alfred Tennyson, "The Lady of Shalott"

 

 



I medici hanno detto che la sua salute è assai fragile e i suoi polmoni feroci, tuttavia il giovane Draco Malfoy torna sempre alla riva del suo lago color cenere, incurante della tenera bruma inglese che gli grava come pietra ad ogni respiro. Sfuggire all’apprensione di sua madre non è sempre così facile, pensa, se non fosse che il recente attentato alla regina Vittoria e le sibilanti voci sul presunto coinvolgimento di Lord Voldemort e dei suoi seguaci l’hanno notevolmente distratta: se il brusio dovesse farsi clamore, lo sa bene anche lui che ha appena sedici anni, il suo insigne padre potrebbe subirne conseguenze più gravi che non la sola perdita del titolo di baronetto. È una situazione che lo fa sentire piccolo e tremante, nudo sotto una tempesta che incombe ma che non riesce a vedere – forse nemmeno ci prova, d’altronde –, eppure insolitamente libero; anche perché, nonostante il perenne ghigno sarcastico di sua cugina, Draco preferisce sentirsi uno sparviero, piuttosto che un comune scricciolo ormai avvezzo al freddo dell’Inghilterra.
E adesso quel silenzio iridato lentamente placa il flutto continuo che tiene stretto in petto, e la soffice…
«Draco! Perdio, Draco, corri!»
Eccola, puntuale come la peste, la voce irritante di sua cugina che gli rimbomba addosso da chissà dove, incrinando l’equilibrio: Draco s’alza con un sospiro addolorato – sono settimane che le sue caviglie pulsano – e s’incammina con deliberata mollezza, chiedendosi, non senza già un po’ di fiatone, che cosa mai abbia combinato stavolta. Stranamente riesce a schivare il gradino vestito d’edera in cui inciampa sempre, da che ha memoria, e raggiunge l’altra sponda col cuore mangiato dai suoi stessi battiti. La bianca canoa sottile su cui sua cugina ama coricarsi, qualsiasi colore abbia il cielo sopra la sua testa scura, ondeggia placida sull’acqua col suo libro di poesie, ma lei non c’è; Draco si avvicina, scruta il velo pigro e lattiginoso delle onde, la chiama – poi sente un crocchio sinistro alle sue spalle, e qualcosa lo spinge pericolosamente oltre la rena.
«Sei matta!» Draco grida, il volto in fiamme e i pantaloni pieni di fango. «Strega!»
Nymphadora Tonks non ride, quando lui si volta, ma ha pallide labbra beffarde e grandi pozze nere e scintillanti, al posto degli occhi; è determinata, lo è sempre stata, sin da quando gliela portarono a casa, bambina e molto probabilmente orfana, come protetta dei signori Malfoy.
«Non credevo saresti venuto, cuginetto» replica lei, tirandolo via dalla fanghiglia con ben poca gentilezza.
«Ti sei divertita?»
Draco sta già riprendendo il sentiero di casa, furioso, senza nemmeno guardarla.
«Molto, sì, grazie» gli urla dietro sua cugina, canzonatoria. «Vai a chiamare la mammina, ragazzo, sbrigati!»
Ma il giovane Malfoy è decisamente poco incline alla pacifica sopportazione: torna sui suoi passi, ignorando le fitte alle ginocchia, schiva l’ardente cugina con le mani ai fianchi e i capelli sul petto e immerge i polpacci in acqua, raggiungendo svelto la barca incustodita.
«Ho un’idea migliore» mormora e, prima che Nymphadora Tonks possa fare anche solo un passo, la Dama di Shalott affoga con un ultimo ansimare di pagine bagnate, giù, giù, nel verde profondo del lago.
«Tu!» Adesso è lei ad avvampare d’ira, e il rossore delle sue guance la fa assomigliare a uno strano fiore scarmigliato. «Inutile… ranocchio mammone, vedi di sparire prima che faccia affogare anche te una volta per tutte!»
«Ti ricordo» sibila Draco, col gelo nelle scarpe «che è stata mia madre ad accoglierti quando eri poco più che una stracciona piena di pulci, Nymphadora
Sua cugina gli è addosso in un grido selvaggio, eppure si limita a spingerlo via nel vano tentativo di recuperare il libro perduto; Draco indietreggia goffamente sui propri piedi, ma è proprio questa sua sciocca disperazione – lei non raccoglie le sue provocazioni, non succede mai – a farlo sentire un ragazzino sporco e ignobile. D’improvviso vuole portarla via, tornare a casa, ritrovare le poesie su cui lei ha scritto il proprio nome.
«Dora, smettila!» esclama, tirandola via, impiastricciandole il corpetto liso. «Dora, è solo un libro, andiamo!»
La mano della ragazza lo colpisce in pieno volto, di dorso, senza volerlo: Tonks si ferma lì dov’è, sembra atterrita dal suo stesso gesto, ma qualcosa di ben più cocente freme al di là le sue iridi.
«Per te è solo un libro, forse» stride, gelida. «Tronfio damerino analfabeta dalle flaccide chiap…»
«Nymphadora Tonks! Apri di nuovo quella tua bocca da ragazzaccia di strada contro mio figlio e stai sicura che non rivedrai la luce del sole prima del tuo matrimonio.»
L’altera voce di sua madre è davvero l’ultima che Draco vorrebbe udire, in quel momento: quando lui e sua cugina si voltano, entrambi cerei e sporchi fino alla punta dei capelli come animali rabbiosi, Lady Malfoy li sta fissando dall’alto della scalinata che conduce al lago. Anche se lontana, non ha urlato: non le serve. Il suo volto è bello e furente, d’opale nei riccioli biondi, le labbra strette promettono una punizione alquanto sgradevole, ma Draco sa che non sarà per lui: Nymphadora è la nipote brutta e sgradita, indegna, dunque ogni colpa deve inevitabilmente ricadere su quella sua testa orgogliosa e caparbia.
Vorrebbe essere comunque il primo ad andarsene, a tirarsi fuori da quell’imbarazzante pantano, tuttavia sua cugina lo precede e fila via.
«Vedrete, quando mio padre tornerà» sibila, rivolta a sua zia, ma lei inspira come se non esistesse; quando si sposta per non doverla sfiorare, Draco scorge, ancor più su, la minuta Pansy Parkinson, col suo vestito lillà in attesa di lodi e il caschetto nero che presto i suoi genitori le vieteranno di tenere.
Quanto stupidamente avrebbe voluto, una volta, che sua cugina ne fosse gelosa; ma Tonks le passa accanto in un silenzio che, lo capisce bene, conserverà gelosa fino alla cena, forse anche per tutta la durata del suo prossimo castigo.
Sciocca Dora,pensa, tentando invano di recuperare un aspetto passabile, sciocca sciocca cugina.
Eppure, a volte, nemmeno lui riesce a non chiedersi se i suoi zii siano ancora vivi, o se i suoi genitori abbiano avuto qualche colpa nella loro oscura morte; in ogni caso, non potrebbe farci assolutamente nulla, non gli interessa neanche. Sua madre non li menziona quasi mai: dovevano essere sicuramente degli ottusi sciattoni come la figlia.
 
La sala da pranzo, a Malfoy Manor, non assomiglia affatto ad una sala da pranzo – non una comune, almeno. È alta e nera, persino di giorno: non è rigogliosa come le altre stanze ma è certo bellissima, con quei suoi mobili che sembrano scolpiti nell’ossidiana e centinaia di fiammelle che brillano di fronte alle lunghe feritoie. Né Draco né sua cugina hanno mai visto entrarvi altra luce: forse perché al potente amico di Sir Lucius Malfoy non è mai stata particolarmente gradita.
Lady Malfoy siede e mangia in religioso silenzio, quella sera: gli occhi di suo marito scintillano grigi, velenosi, a volte balenano nella luce d’una candela verso qualcosa di lontano e invisibile, pronti all’attacco, pronti a sferzare. Il giudizio della regina incombe sulla sua testa come una scure e lei non può far nulla se non, nella peggiore delle ipotesi, tener le spalle dritte e mostrarsi com’è sempre stata, pura e pericolosa come un aspide.
Ogni tanto osserva suo figlio, il bambino dai tratti affilati – e decisamente poco gentili, ma questo non ha importanza – per cui è sempre pronta ad azzannare e dilaniare, persino quando v’è di mezzo Lucius: ma Draco non alza mai lo sguardo, sembra quasi che non possa sopportare nessuno di loro; se solo potesse, anche a costo di scappare da sola con lui in qualche posto sconosciuto a ogni mappa, Narcissa lotterebbe per far svanire tutta quella tensione, quella tenebra che lo fa apparire tanto piccolo e chiaro.
Di fronte a Draco, la sua goffa nipote mastica veloce come se dovesse dileguarsi da un momento all’altro; ha pensato bene di lavarsi e d’indossare un abito presentabile, eppure la bellezza le sarà sempre raggiungibile quanto l’eleganza potrebbe esserlo a un topo. Ha gli occhi e la carnagione di sua madre, Dora: ma i geni e il nome di suo padre hanno decisamente rovinato il resto, e Narcissa non riesce – non c’è mai riuscita davvero – ad amarla.
«Nymphadora.» La voce di Sir Lucius striscia all’improvviso in quella calma inquietante, inesorabile, colpisce la nipote senza che lei possa prepararsi, coprirsi. «C’è qualcosa d’importante che forse dovresti ascoltare, stasera.»
La ragazza stringe con forza le posate d’argento, e a Draco pare quasi di vederla tremare: il contatto con suo zio non le è mai piaciuto, ma si sforza comunque di sollevare gli occhi neri dal piatto.
Deglutisce. «E io vi ascolto, signore.»
Sia Narcissa che Draco attendono, le labbra serrate, respirando a malapena: Lucius ha posato il mento sul dorso della mano bianca, osservando la nipote senza particolare interesse. L’ha avuta intorno fin troppo, per i suoi gusti.
«Innanzitutto» dice Lucius «vorrei che la smettessi d’illuderti e minacciare un improbabile ritorno del tuo sgradevole genitore. Fortunatamente è in un luogo da cui non potrà più fare ritorno, che tu voglia crederlo o...»
«No.» Tonks inspira a forza, lanciando alla zia un’occhiata feroce. «Io ho visto il corpo di mia madre, ma non il suo. E voi non gli impedirete di venire da me.»
Le mani di Lucius tornano al tavolo in un soffio.
«Secondo poi» riprende, indifferente «gradirei che non m’interrompessi più con questo tono indisponente, Nymphadora. Sai bene in quale spiacevole stato d’animo mi trovi al momento. Comunque – il precario baronetto s’esibisce in un sospiro che Tonks trova a dir poco teatrale – il discorso è un altro. Qualche giorno fa il signor Greyback, tu certo lo ricorderai, mi ha fatto visita con una proposta decisamente interessante.» L’ultimo schiaffo arriva con un sorriso di ghiaccio: «Devi averlo colpito, mia cara nipote, perché mi ha chiesto la tua mano.»
Tonks trasale, pallida come uno spettro: la forchetta le cade di mano in un tintinnio pieno d’orrore, adesso è completamente inerme. Il signor Greyback, Fenrir Greyback. Lo sguardo di Draco scatta dalla cugina a sua madre, sperduto.
«Quel… mostro…» gli sfugge, piano.
«Draco» lo richiama Lucius, inclinando un poco la testa con espressione sardonica, «il signor Greyback è un rispettabile amico di famiglia, lo sai.»
«Certo, padre.» Il ragazzo provvede a richiudere subito la bocca e a piantare gli occhi nel bicchiere. Ha sempre pensato che sua cugina avrebbe sposato lui, quando fosse stato più grande, o almeno questo è ciò che tutti gli hanno detto: per quanto i suoi genitori non l’abbiano mai ben vista, sbarazzarsene senza darla in sposa a qualche mentecatto sarebbe praticamente impossibile. Adesso la sente ribollire, dall’altra parte del tavolo.
«Sembri alquanto… preoccupata, nipote.»
Tonks alza il mento, con uno scintillio negli occhi che Draco tenta ostinatamente di non vedere – sembrano lacrime.
«Lo sono» replica, audace. «Il… signor Greyback, ecco, non è… esattamente l’uomo che avrei immaginato di sposare. Per niente.»
«Infatti, per tua… e forse anche per sua fortuna» Lucius mormora, inarcando le sopracciglia «ho rifiutato la richiesta. Per metà sei di ottima stirpe» aggiunge, guardando la moglie «mentre Greyback non possiede neanche un misero titolo, perciò sarebbe comunque un peccato. Certo, sarà seccante trovarti un altro buon partito prima che diventi troppo vecchia, sempre che non decida veramente di darti in moglie a mio figlio.»
«Non voglio esservi di peso» borbotta Tonks, improvvisamente rossa in volto. «Chiedo il permesso di tornare in camera mia, signore.»
Ma suo zio ha ripreso a mangiare e lei non è più nulla, ormai, ai suoi occhi.
«Permesso negato.»
 
Il signor Fenrir Greyback. Nymphadora Tonks si guarda allo specchio, storcendo le labbra: Greyback è, molto probabilmente, l’individuo più riprovevole che abbia mai incontrato – magari non quanto gli altri rispettabili amici di famiglia, ma è di certo il più peloso e puzzolente. Il solo pensiero di condividere con lui quello che dovrebbe essere il giorno più importante della sua vita e il resto della sua esistenza… una casa, un letto, magari anche dei figli… le fa avviticchiare dolorosamente lo stomaco. Vomito, ecco la precisa definizione del sentimento che prova per lui. E poi perché mai una creatura tanto raccapricciante dovrebbe interessarsi a lei? Non è nemmeno quel che si direbbe una bellezza, anzi, non passa giorno che sua zia non le ricordi, con un borbottio o una smorfia, quanto sia sgraziata; forse lei è solo una specie d’ultima, scialba spiaggia, o qualcosa del genere. Eppure ha sempre pensato che le avrebbero fatto sposato Draco, quando lui fosse stato abbastanza grande – o, almeno, questo è ciò che tutti le hanno detto.
Morirò prima che arrivi il giorno in cui sarò grata a mio zio.
La sera livida s’infila prepotentemente nella scintillante camera di Tonks, nonostante la punizione. Non può fare a meno di pensare che sta davvero diventando vecchia – ha quasi ventitré anni e ancora cerca di sognare in mezzo a vecchi volumi pieni di polvere –, ma del mondo ha visto poco più che quelle mura grigie: ormai non ricorda più nemmeno la sua vera casa, il volto mezzo sorridente di sua madre, le mani di suo padre. Ha perso tutto a quasi dieci anni, quando un incendio dai mille colori s’è mangiato la sua famiglia e il destino l’ha scaraventata in mezzo a quelle mummie vanitose; da bambina, lo ricorda bene, era vivace e pronta a tutto pur di lasciarsi amare – ma adesso, adesso è tutto diverso, sa che dissotterrare l’antica ironia servirebbe solo a rendersi ancora più reietta. Lei è la nipote brutta e sgradita e indegna di portare il cognome dei suoi protettori, è già qualcosa che non l’abbiano buttata da qualche parte a spazzar pavimenti fino a spezzarsi la schiena; e persino fantasticare di dame rincorse da maledizioni o di combattenti dal volto azzurro e antiche regine vendicative di nome Boudica è inutile.
Non le rimangono che la rabbia, lo scherno e quel nome di cui s’è vestita come in una fiera armatura – anche se sa bene che sarebbe stato molto peggio ritrovarsi affidata a quella squilibrata di Bellatrix Lestrange.
Quando la pendola lontana batte le nove e mezzo, Tonks si alza con indolenza e ravviva un po’ il fuoco, sebbene non senta freddo; eppure quello scricciolo di Draco è probabilmente riuscito a prendersi una bella influenza, il che servirà a farla stare in castigo per un altro po’.
Non m’importa, in fondo.
S’è persino vestita bene, a cena – indecisa se odiarsi per essersi comportata male con lui o per aver perso le staffe in quel modo stupido –, eppure qualcuno sembra forse averlo notato?
E poi quell’idiota che ne sa della Signora di Shalott, che ne sa della sua torre e di Lancillotto? Che ne sa della vita attraverso gli specchi, e delle prigioni?
Draco se lo merita proprio, quel brutto animo meschino che si ritrova; e, sicuramente, tutti i Malfoy si meritano a vicenda. Fosse davvero una strega, avrebbe già trovato il modo, nemmeno troppo delicato, di farli sparire dalla faccia della terra – o, in caso contrario, di farla finita una volta per tutte; ma ha ancora una speranza che stavolta non è solo carta e inchiostro, e Tonks prega con un sospiro risoluto che la notte si sbrighi a nascondere la casa e i suoi abitanti impagliati col manto meno stellato che può.
 
La notte arriva, alla fine. Tonks ha dovuto attendere che i rintocchi della mezzanotte si spegnessero nelle tenebre della casa, poi è sgattaiolata fuori dalla sua stanza senza scarpe; tutte le volte che lo faceva, quand’era bambina, si fermava a sbirciare nella camera di Draco – i suoi sonni erano sempre neri e burrascosi, e al tempo le faceva persino tenerezza – per poi correre via nel giardino assopito sotto la luna, aiutata dal gracile domestico Dobby. Tuttavia quando lui è passato ai servizi di un altro signore, tal Harry Potter, lontano parente della regina, l’imponente e piuttosto laconico Rowle ha preso il suo posto, ma Tonks sa bene che fortunatamente è poco più d’un ubriacone dai capelli biondi: non si accorge nemmeno che lei gli sta sgusciando accanto, stordito com’è dal vino che ha tracannato di buon gusto in cucina, mentre ombre spaventose gli si dipingono tra le rughe del volto. Nonostante tutto, la ragazza continua ancora a chiedersi dove suo zio sia riuscito a trovare una simile gentaglia; in ogni caso la questione le è ormai indifferente, dato che – almeno spera – sta per lasciare quella casa in rovina.
Scivolare in giardino non è poi così difficile: Tonks, forse anche meglio dei suoi parenti, ne conosce ogni singolo avvallamento, ogni sentiero, pietra o cespuglio, e neppure la sensazione della terra che raccoglie i suoi piedi è davvero sgradevole. Passando davanti al lago, saluta la sua vecchia barca e il libro seppellito dalle acque ferrigne – non sa neanche se la Dama sopravvivrà alla sua maledizione, se sarà amata da Lancillotto – e fugge più veloce, nella strada senza solchi, verso i vecchi cancelli che nessuno cura più da una vita. È strano pensare che possa esserci qualcosa di vagamente simile ad un futuro, là dietro, ma Tonks ha preso il coraggio con entrambe le mani e non vede più modo di tornare dalla notte gelida.
Quando afferra le grate, trattenendo il respiro per non sembrare stanca e inquieta, non riesce a vedere nulla: Londra non è molto luminosa, da quelle parti, e una tempesta sta rombando lentamente dalle valli all’orizzonte.
«Remus!» chiama sottovoce, anche se dalla casa nessuno può più sentirla. «Remus!»
E la sua unica, ultima speranza emerge all’improvviso accanto a lei, ma dall’altra parte dello scheletrico cancello: ha un viso bianco e gentile, Remus Lupin, e Tonks sente d’amarlo da strapparsi le viscere nonostante la malattia che si sta mangiando anche lui (una volta, incontrando di nascosto il suo altro cugino evaso, Sirius Black, lui le disse che spesso l’aveva visto tossire sangue, anche se mai l’avrebbe ammesso); non ha i riccioli scuri di Lancillotto né il suo forte destriero, ma possiede molto più valore, ne è sicura. E poi fa parte di un’associazione segreta, una specie di loggia che ogni giorno s’adopera per il bene degli uomini, a quanto ha potuto capire: al suo confronto, ogni sfavillante cavaliere di Camelot è solo uno stupido vanesio.
«Santo cielo, Dora, quanto è pericoloso» mormora lui, tuttavia si fa più vicino; oltre le sue spalle, Tonks vede spuntare la faccia in frantumi eppur cara del vecchio Alastor Moody, che sta zoppicando rumorosamente verso di loro e la saluta con un cenno del capo.
Lei ha il cuore in gola, ma si sforza di trarne un qualche suono comprensibile.
«Te lo sei trascinato dietro per tutta la strada?» scherza, rivolta a Remus, omettendogli il piccolo particolare della punizione appena guadagnata; lui sorride, sembra quasi sollevato.
«Credo proprio che sia molto più in salute di me, sai?»
Anche Tonks ridacchia, un rapido sfolgorio nel buio, ma tiene per sé l’ennesima battuta sui rottami: ha quasi paura che, a forza di vivere nel Manor, la sua lingua si sia fatta fin troppo affilata per il mondo esterno.
«Tu non hai le mie ferite di guerra» replica fieramente Moody, mentre il suo occhio azzurro e cieco (si dice che da bambino gli sia caduto, o che qualcuno gli abbia lanciato, uno stilo di ghiaccio, e Tonks non saprebbe dire esattamente perché, ma è un mistero che l’affascina ancor più delle sue storie di duelli e battaglie) scruta veloce oltre l’inferriata. «Ti ha visto qualcuno, Nymphadora?»
Pur al buio, Tonks resiste all’impulso di roteare gli occhi: non è poi sempre certa che Moody ne abbia perso davvero uno, spesso ci vede persino meglio di quella sottospecie di segugio mugugnante che è suo cugino Sirius – ecco, se la regina non avesse posto una munifica taglia sulla sua libertina testa calda, le sarebbe piaciuto vivere con lui.
«Ti pare?» borbotta, un piede già pronto a scattare verso la libertà; in effetti ha tralasciato anche quest’altro particolare – sta per scavalcare quel dannatissimo cancello e perdersi nei fantastici meandri di Londra insieme a Remus e alla sua organizzazione segreta – ma sa che, nonostante la loro instancabile e seccante prudenza, non le negheranno ciò che ha sempre desiderato con tutta se stessa. «In ogni caso, avete informazioni per me, vero?»
Adesso, non si è nemmeno accorta come, la mano di Remus è sulla sua, stretta, tremante e sicura: Tonks sente che, se pure Greyback dovesse spuntarle davanti in quel momento, con i suoi occhi d’oro da lupo, potrebbe benissimo farlo secco con un colpo nelle parti giuste. Non ha paura, e persino l’espressione quasi disgustata di Moody le pare divertente.
Ma Remus sospira, e non è esattamente un buon presagio.
«No» mormora, col tono di chi è appena tornato da un funerale. È nefasto.
«No cosa?»
«Remus» lo richiama Moody, ferreo, dalla sua ombra.
«Alastor» ribatte lui, altrettanto fermo, poi torna alla ragazza. «Non abbiamo trovato tuo padre, Dora. L’abbiamo cercato in ogni angolo della città – persino in campagna – ma non ve n’è traccia. Forse» aggiunge, pianissimo «dovresti smetterla di pensarci… forse è davvero m…»
Sotto un lampo distante, i capelli di Tonks si tingono di strani riflessi violetti; anche i suoi occhi sono in tempesta. La ragazza tenta di strappare via la mano, ma ci vuole un po’ perché Remus la lasci andare: d’improvviso, le sembra che invece sarebbe Greyback ad averla facilmente vinta.
«Tu menti» soffia, annaspando nel corpetto. «Fammi solo uscire di qui, Remus, e lo cercherò io con voi…» È mio padre, maledizione, come fate ad essere tanto ciechi? Lui è lì fuori! «Lo troverò, vedrai…»
Remus sospira di nuovo e, di colpo, Tonks si fa più dritta. Tra le sue dita, il sangue sembra scorrere bruciando insopportabilmente.
«Mi hai già chiesto anche questo, Dora. E io ti ho già risposto che è meglio di no, per ora sei molto più al sicuro nella casa dei tuoi zii… una donna correrebbe fin troppi pericoli con noi, lo sai bene…»
Per un attimo, però, Tonks sembra molto più alta di lui. Non è furiosa, sta fremendo di dolore: le crepe nello specchio di Elaine di Astolat sono le ferite che le falciano il respiro, i brividi che le piegano la schiena – possibile che siano tutti dei… dei codardi, che le abbiano mentito per tenerla buona? Per lasciarla a marcire lì dov’è, al sicuro, per non doverla avere sulle spalle, d’intralcio? Remus, Moody… Sirius, col suo umore instabile… possibile? In un unico pensiero, come se le fiamme si fossero appena attaccate alla sua gonna, le sembra di vedere tutti i volti che ha creduto d’amare: nella sua testa è in atto una riunione notturna di cospiratori sghignazzanti, e Tonks non riesce a fermarla.
Uno strano sapore amaro le sale in gola, tra i denti: non s’era sentita tanto delusa nemmeno quando aveva scoperto che i Malfoy non erano proprio una famiglia accogliente.
Remus Lupin, con l’ombra che gli sbiadisce i capelli fino alle spalle, contrae le mani sul ferro rugginoso. Le sue guance sono livide – Tonks lo vede, nonostante tutto –, quasi sconfitte: che cosa diavolo vuol dire? La ragazza cerca Moody, sentendosi arrossire e impallidire di colpo, ma il vecchio sembra una roccia, se non fosse che le poche ciocche chiare si muovono al vento del temporale che s’avvicina.
«Nymphadora.» La voce di Alastor Moody arriva inaspettata, come per un sortilegio capace di risvegliare sibili dalle terre deserte, ammonisce ancora. Tonks sembra calma, ma è la brezza: mesi prima avrebbe combattuto, persino strattonato Remus per il colletto logoro, ma adesso… sa solo che è vecchia e prigioniera. Dovrà morire, prima che il per ora dell’uomo si esaurisca? Ma verrà il momento di lottare di nuovo, di scuoterlo così forte da fargli male, svegliarlo. Di questo è certa, almeno.
Tanto quanto il tono di Moody e lo sguardo di Remus sono bassi e vibranti, lei parla come una scintilla nella notte. Per quanto inferiore e volgare e infelice tutti possano considerarla, lei rimane la più forte.
«Una donna correrebbe fin troppi pericoli con noi» lo imita, arretrando; Remus lascia le sbarre, invece di sporgersi (sarebbe ridicolo, e poi lui non chiede mai nulla… neppure di riaverla indietro, a questo punto). «Vedrete come sarò protetta, quando mi smerceranno come moglie a Greyback!»
Tonks non sa perché abbia ritirato fuori quella storia – in effetti il pericolo di sposare il mostro è ormai scongiurato, anche se potrebbe sempre essere la sua prossima punizione. Sa solo che vorrebbe fermare i suoi pugni tremanti, mentre fila via, e che è dannatamente irreale che Remus combatta per il bene del prossimo e poi si arrenda di fronte alla sua rabbia. Greyback. Per un attimo desidera che quella specie di ringhio gli si conficchi nel petto, che lo morda per il resto dei suoi giorni…
«Dora!»
Il suo stesso nome le giunge debole e scoraggiato, come se Remus si stesse accasciando lentamente; forse c’è anche il latrato di Moody, ma è già troppo lontana per sentirli. Attorno a lei, in quel sentiero a ritroso, i cipressi esalano strani sospiri al vento prima della tempesta che incombe: per quanto odioso e soffocante e ripugnante possa essere Malfoy Manor, Tonks li preferisce di gran lunga ai pochi platani calvi e scorticati che punteggiano le strade circostanti. Muore dalla voglia di gridare con i loro rami fetidi, ululare fino a lasciare che la sua voce si perda nelle campagne, ma si trattiene. Non capisce.
Quando si siede su una roccia, bagnata dalla nuova pioggia e con un centinaio di dolorosi spasmi nel cuore (che sia per il pianto che non arriva o per il cammino, non può saperlo), la vede: una minuscola candela, un chiarore che la osserva diabolicamente da una delle finestre della casa. Qualcuno si è svegliato e quasi sicuramente ha anche scoperto la sua assenza, ma neppure questo è importante: Tonks non vuole tornare, detesta quella luce beffarda con tutta la sua anima. Aspetta solo che Remus e il vecchio Moody se ne siano andati, che il respiro torni forte e regolare, poi s’alzerà da quel limbo a metà tra il focolare dei Malfoy e la notte e andrà dove deve andare. Forse, considera, è anche meglio non sapere già cosa ci sia lì fuori.
 
«Perché non l’hai fatto, Remus?» Alastor Moody arranca vistosamente nel fango che si fa sempre più viscido, ma Lupin non gli restituisce lo sguardo. «Avresti dovuto dirle la verità. Certo che è una strana ragazza, Nymphadora, ma abbastanza sveglia da capire.»
«Non chiamarla Nymphadora, per favore» è tutto quel che riesce a replicare l’altro: si sente come se non potesse più rivedere Tonks che difende da sola il proprio cognome, come se lei dovesse davvero svanire insieme a Greyback (è sicuro che l’abbia detto per rabbia, o almeno prega che sia così), e quell’acqua che gli si è riversata improvvisamente addosso non lo fa stare certo meglio. Tende una mano verso il cavallo nervoso.
Rivelarle tutto…come diamine avrebbe fatto? No che non è una stupida, ma come potrebbe dirle che ecco, suo padre l’hanno ritrovato in una baracca ma che, pur sapendo da sempre dove fosse la figlia, persino lui crede che vivrebbe molto meglio lì?
Ai suoi occhi, tutti loro apparirebbero ancor peggio che conigli.
 
«Continuo a pensare che sia davvero strano averti qui a quest’ora della notte, cara cognata.»
Il ghigno contorto di Bellatrix Lestrange, splendidamente vestita sotto la chioma selvaggia, si riflette in quello assai più sottile di Lucius Malfoy. Sir Lucius Malfoy, anzi, perché il titolo non è mai stato al sicuro tra le sue grinfie come adesso.
Nel salottino, la donna alza pigramente il calice trasparente che tiene fra due dita.
«Be’, la lieta novella compenserà la tua levataccia, baronetto» sibila, sprofondando nella poltrona purpurea come se fosse sempre stata sua. «Un pivellino di nome Edward Oxford è stato accusato del tentato assassinio della nostra grassa regina, ma se la caverà – dicono che non ci stia poi tanto con la testa» aggiunge, picchiettandosi la fronte con un’unghia scura e un sorriso turgido di malizia. «Comunque ho visto quell’ottusa colonna di Rowle uscire di corsa in giardino, che diavolo succede?»
Malfoy fa mulinare il suo liquore con aria annoiata, lanciando un’occhiata furtiva alla finestra umida.
«Niente di che» risponde, con lo stesso interesse che si proverebbe a lanciare via un moscerino dalla manica. «La nostra simpatica nipotina se l’è svignata dopo cena. Niente di nuovo» mormora in fretta, quando Bellatrix spalanca gli occhi in uno sguardo insieme divertito e irritato. «Già da bambina lo faceva spesso, ma torna sempre indietro.»
«Solo che adesso ha contatti con l’Ordine, lo sai bene. La piccola Parkinson una volta l’ha intravista nei pressi di Hyde Park con quel Lupin, no? E provare a scappare è proprio della stupida che è.»
Il baronetto concorda con un breve cenno del capo, ma il biancore del suo volto non tradisce la minima preoccupazione. «In effetti è vero, e questa sera sembrava anche particolarmente arrabbiata. Ma hai ragione, quando dici provare a scappare» sibila. «Perché a Rowle, se davvero lei l’ha fatto, non servirà molto tempo per riacciuffarla. E quando ci sarà riuscito, ha il mio permesso di farne quel che vuole, prima di riportarla a casa. Io gli ho assicurato di non sapere nulla.»










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Ehm ehm... salve! Ho sempre seri problemi quando si tratta di dare spiegazioni.
Innanzitutto, io giuro che non ho idea del perché l'abbia scritta (in effetti non ho mai idea del perché io scriva qualsiasi cosa), anche perché dovrei studiare *chiude la testa nel computer*
Seriamente, sto studiando, ma ho cominciato a scrivere... questa cosa da una settimana e pure di più, forse. Undici pagine di poveri personaggi di Harry Potter scaraventati nell'Ottocento, senza magia, con la corsa al potere e alla successione come unica lotta - che poi non è che differisca molto dall'originale.
Comunque da un bel po' di tempo ero in fissa con questa Signora di Shalott - e canzoni e dipinti vari allegati - e non so, semplicemente mi ha ispirata... perché è una tipica storia medievale molto figa *-* e pensavo che sia Tonks che Draco (anche se lui non ne è proprio consapevole, forse) potessero rispecchiarsi nel tema della prigionia eccetera eccetera. In ogni caso ho messo OOC perché come al solito non  sono sicurissima di averci preso col carattere (e solo dopo mi sono accorta che Tonks ricorda molto Harry, argh, stupida me >.<"), anche se anche ogni minima modifica è data comunque dal contesto totalmente diverso e dalle circostanze.
(Voglio dire, vivere con quei capelloni Malfoy non dev'essere esattamente un toccasana per i propri nervi é__é)
Poi, non ho idea neanche del perché abbia narrato tutto in prima persona, soprattutto in un contesto come quello del XIX secolo. Un esperimento, credo, non lo faccio praticamente mai (infatti spero di non averci ficcato verbi al passato remoto in mezzo... maledetta consecutio). Forse è anche perché sto leggendo Hunger Games, buh... però ho tentato in ogni caso di inserire delle anche minuscole caratteristiche che possano in parte richiamare quelle dei personaggi originali, e diciamo che mi sono presa qualche libertà... per esempio ho scoperto che è improbabile che in Inghilterra crescano cipressi, dato che sono alberi tipici delle zone calde o temperate - ma vabbè, sono molto più poetici u_u - oppure ho reso questo giugno parecchio freddino e piovoso (in realtà, lo ammetto, non avevo fatto caso alla data dell'attentato alla regina Vittoria).
Mi dileguo, baci :*

 

   
 
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