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Autore: eleuthera    07/01/2007    6 recensioni
Scene da un'ipotetico futuro post canon. Partire, cambiare e ritrovarsi. E conversare con leggerezza di piccole cose.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Tea Gardner/Anzu Mazaki, Yuugi Mouto
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Yu gi oh! E tutti i suoi personaggi appartengono a Kazuki Takahashi.


Rhapsody in Blue



La prima cosa che Anzu riesce a scorgere di lui sono gli inconfondibili ciuffi scarmigliati che puntano dritti e insolenti verso il cielo. Almeno in questo non è affatto cambiato. Il lento movimento ascensionale della scala mobile le rivela gradualmente il resto della piccola, aggraziata figura. Anche in questo non è cambiato, ed anzi sembra ancora più minuto in contrasto con la prorompente massa femminile avvolta in uno spettacolare cappotto di pelliccia verde che sosta sul gradino alle sue spalle, intenta a segnalarsi con ampi gesti a qualche conoscente tra la folla.

Lui invece è composto, un braccio disteso a serrare la presa sul corrimano, l’altro pigramente abbandonato lungo il fianco. Appare rilassato, dalla sua posa si direbbe quasi, nota Anzu, svagato, e questo è già un pochino più insolito considerando che la persona in questione è Yuugi Mouto. Se solo riuscisse a vederlo in faccia… ma è impossibile, la ventiquattrore di quell’uomo in abito scuro, cinque gradini più in alto, gli sta proprio davanti, sottraendolo alla vista esattamente dalla radice dei capelli selvaggi fino a metà del petto.

“Yuugi!” Anzu prova a chiamarlo, magari sentendola si sporgerà per vederla, ma la sua voce risuona quasi inconsistente nel rumoroso andirivieni dell’aeroporto, e viene inghiottita nel caos generale ben prima di poter giungere alla portata del suo orecchio.

Sgomitando e quasi improvvisando uno slalom tra capannelli di parenti e amici festanti, mucchi di bagagli abbandonati e trolley che sfrecciano attraverso l’atrio in tutte le direzioni, dio se qualcuno dovesse travolgerla e romperle un piede, e perché non esiste un allestimento che preveda in scena una ballerina zoppa? Anzu si fa strada verso la sommità della scala mobile, e quando dribbla l’ultimo passante lui è appena approdato sul pavimento di marmo bianco stringendo due enormi valigie, una per mano, e si fa da parte con rapidità ed eleganza per cedere il passo alla giunone impellicciata che avanza imperiosa dietro di lui. Poi alza lo sguardo verso di lei, e per un istante Anzu crede di svenire.

Perché quello non è Yuugi. Quell’ovale perfetto che si interrompe soltanto in corrispondenza della linea dritta degli zigomi e degli angoli decisi della mascella, quegli occhi grandi - ma non così grandi, dal taglio obliquo e allungato e quelle sopracciglia scure leggermente arcuate non appartengono a Yuugi, non sono Yuugi. Non il suo vecchio compagno d’infanzia ossessionato dai puzzle che a sette anni divorava le pagine dei settimanali di enigmistica e risolveva i rompicapo più difficili, ma non si sarebbe neanche mai sognato di partecipare a concorsi e giochi a premi di cui sarebbe stato il certo vincitore. Non il ragazzino dolce, solare e un po’ imbranato che sente quasi esclusivamente tramite e-mail da quasi sei anni a questa parte, e che due mesi prima le ha telefonato così entusiasta per annunciarle che a breve sarebbe venuto a trovarla all’altro capo del mondo.

Ma è un altro Yuugi quello che adesso la riconosce e le sorride, uno che era sicura non avrebbe mai più rivisto sulla faccia della terra, uno che non può essere qui ora davanti a lei, perché lei stessa lo ha visto sparire dentro la luce bianca e abbagliante e due lastre di pietra chiudersi alle sue spalle e l’intero tempio rovinare su se stesso sigillando per sempre sotto le macerie e la sabbia dorata quella silenziosa tomba di roccia.

“Anzu!” Esclama raggiante il ragazzo mentre poco cerimoniosamente butta a terra le valigie, e subito le corre incontro e la abbraccia forte.

“Cavoli, quanto mi sei mancata!” dice allegro, e il suo odore fresco di sapone e di tiglio le penetra nelle narici con un’intensità sconcertante, questo sì identico a come se lo ricordava.
Yuugi ha fatto l’università a Tokyo, e da parecchio non abita più al primo piano sopra il negozio di suo nonno, ma in qualche modo ha conservato il profumo di quei viali alberati, e se lo porta ancora dietro come una ventata di candidi, nostalgici ricordi.

Ed è proprio lui, Yuugi, quello vero, vivo, di carne e sangue, che ora la lascia andare ma non smette di tenerle la mano e di sorriderle festoso con un’eccitazione che l’altro Yuugi – Atemu, non avrebbe mai mostrato, non a lei comunque, e certamente non in circostanze così banali quali un ricongiungimento all’aeroporto. E nemmeno avrebbe tollerato quella ciocca più corta di frangia bionda che gli ricade sulla fronte e gli danza davanti agli occhi quando piega la testa di lato per guardarla meglio in viso, proprio come sta facendo adesso. Sì, quello è il suo Yuugi. Anzu gli getta le braccia al collo e lo stringe forte, e sente le guance bruciare e pungere gli occhi, e si rende conto improvvisamente di essere sull’orlo del pianto.

E quasi a voler dissipare ogni dubbio circa la sua effettiva identità il ragazzo incespica, sbilanciato dalla sua foga, ed entrambi rischiano di crollare rovinosamente a terra, salvati per un pelo dalle valigie strategicamente accatastate alle spalle di lui. Yuugi si raddrizza e ride imbarazzato, voltandosi a chiedere scusa a quei due o tre astanti che sono stati urtati nel processo, e nel vederlo così, la mano nervosa che sale istintivamente a scompigliare la sua criniera con quella timida grazia che lo contraddistingue, Anzu pensa che fino a quel momento non si era resa conto di quanto le fosse mancato.

Adesso la sua attenzione è di nuovo rivolta a lei, e i suoi grandi occhi viola la scrutano intenti e ammirati. “Sei splendida lo sai?” Lo dice senza galanteria, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Anche tu.” Risponde lei senza pensare, e quasi stupita si accorge che è vero. “Voglio dire, sei così… cambiato. Cresciuto.” Lui le lancia un’occhiata scettica – e da quando in qua lo scetticismo è entrato a far parte del repertorio emotivo di Yuugi? Poi fa un ampio gesto verticale che termina in corrispondenza con la sommità del suo capo, capelli esclusi naturalmente, e la sua mano tesa raggiunge a malapena il naso di lei. Anzu ride.

“Non è questo che intendevo.” Certo, non ha guadagnato molto in altezza dall’ultima volta che si sono visti. E quella sua tenera goffaggine tende ancora a riaffiorare di tanto in tanto, e non è difficile intuire che probabilmente non se ne libererà mai del tutto. E come al solito si sente in dovere di scusarsi per colpe non sue, come finire addosso a qualcuno sotto la spinta aggressiva dell’abbraccio di lei.

Sotto molti aspetti, è rimasto lo Yuugi di sempre. Però è diverso.

Tiene la testa alta, e quando le parla la guarda dritta negli occhi. Quando lei lo ha trascinato per terra poco fa, sulla sua faccia si potevano leggere sconcerto e imbarazzo, ma nessuna traccia di vergogna. E se uno dei tanti fanatici megalomani che spuntano a intervalli regolari, attirati dalla sua fama come mosche al miele, pretendesse di sfidarlo a duello qui ora in questo preciso istante, lui declinerebbe, com’è ovvio, ma non si sentirebbe un codardo nel farlo. Ed Anzu è quasi certa che, per quanto odiosi e appropriati siano gli insulti che il suo mancato avversario potrebbe indirizzargli, adesso Yuugi non avrebbe bisogno di fingere che non gli facciano male.

Yuugi è forte. Ci vuole ben altro per scalfirlo.

“Usciamo, ti va? Ti accompagno all’albergo, così puoi mollare i bagagli, e poi ti porto un po’ in giro per la città. A proposito, dov’è che alloggi?”

“Grand Hotel Kaiba.” Risponde lui con una smorfia, e poi le rivolge un sorriso a metà tra il divertito e l'esasperato. Anzu se lo mangerebbe di baci.
Ma come fa a leggerle nel pensiero?


~-~


“Accidenti che freddo.”

Accidenti per Yuugi è quasi una bestemmia. Anzu si strofina il naso e le guance intirizzite. “Te l’avevo detto che è freddo qui, a fine estate.”

“Sì, ma non pensavo così freddo.” Il cielo è terso, e il vento tagliente. Yuugi rabbrividisce e si tira su il risvolto della giacca. Chiude gli occhi, cercando di assaporare il debolissimo tepore degli ultimi raggi di sole.

Un’onda più alta delle altre li raggiunge sul molo spruzzandoli di acqua salmastra. Anzu si passa una mano sul viso. Gesto perfettamente inutile considerando che la sua mano è bagnata e fredda esattamente come, se non più, della sua faccia. Yuugi si limita a strizzare gli occhi. “Il Metropolitan è veramente spettacolare.” Dice, e le sorride. “Io non so niente del balletto o della lirica, ma entrare lì dentro è stato come… varcare la soglia di un tempio. E’ stato grandioso, anche per me che sono un semplice spettatore.”

“So cosa vuoi dire.” Anzu gli sorride di rimando. “Danzare su quel palco è stato come danzare di nuovo per la prima volta. Come se prima di allora non avessi mai danzato davvero. Sembra una cosa stupida da dire, ma l’arte vive in quei muri e quelle tappezzerie, anche quando le luci si spengono e non resta che il vuoto e il buio.”

Yuugi annuisce affondando la faccia nel bavero di tela leggera, pensieroso. Anzu sa che ha capito. D’altra parte, quando si è abituati a vedere le proprie carte da gioco prendere vita e trasformarsi in esseri palpitanti e tangibili, non è poi molto difficile credere che un teatro possa conservare la memoria e le emozioni di chi ci ha danzato.

Anche se ultimamente non accade più. La faccenda delle carte. L’energia mistica, o come diavolo si vuole chiamarla. La magia.

La magia è scomparsa dalle loro vite in un torrido pomeriggio d’agosto, sotto il cielo intenso e l’alito infuocato del deserto egiziano. Però qualcosa è rimasto. Come una specie di consapevolezza latente. Un sesto senso. Un pochino più di fede e curiosità in ciò che la razionalità non è in grado di spiegare.

“Anzu, sei felice?” Le chiede lui a bruciapelo. Accidenti, Yuugi. il ragazzo ha sempre avuto un talento per le domande importanti.

Anzu resta in silenzio per un po’, fissando il mare. E’ felice? Non se lo è mai chiesta. Suppone di sì, naturalmente. E’ una ballerina. Non una prima ballerina, certo, ma Anzu conosce i suoi limiti. Essere una prima ballerina è al di là di questi, e lei lo ha sempre saputo. Ma è una ballerina. Danza nella compagnia dell’American Ballet Theatre. Ha realizzato il suo sogno. Ha amici sinceri, che condividono la sua stessa passione. E poi, ha Yuugi.

“Sì, penso di sì.” Sussurra infine stringendosi nelle spalle. “E’ questa la vita che volevo. Sì, sono felice.” E mentre lo dice lo guarda e sorride e sa che è la verità.

“E tu, Yuugi, tu sei felice?”

Lui alza appena le spalle e affonda le mani nelle tasche. I loro sguardi si incrociano per un attimo ed entrambi sanno che lo stesso pensiero ha appena attraversato le loro menti.

“Non c’è male.” Dice Yuugi tornando a guardare il mare. Ci riflette un attimo e aggiunge “Devo comprarmi un giaccone.”

Anzu si sente improvvisamente scaldare. “Significa che hai deciso di accettare la proposta di Kaiba?”

“Più o meno. Dobbiamo discuterne domani. A patto che Kaiba accetti le mie condizioni.”

“Quali condizioni?” chiede lei incuriosita, mentre una piccola parte del suo cervello prende nota che la fine del mondo è imminente. O quantomeno, una bella nevicata fuori stagione. Yuugi. Dettare condizioni. A Kaiba. Ma non scherziamo.

Yuugi accenna un mezzo sorrisetto, come se l’ironia della cosa lo colpisse solo ora, ma c’è una punta di orgoglio nel suo sguardo. “Lavorerò su commissione, senza vincoli di esclusiva, e mantenendo i diritti di proprietà intellettuale sul mio lavoro e tutto ciò che ne deriva.”

Questa volta Anzu non riesce ad impedirsi di sgranare gli occhi, e la sua espressione incredula dev’essere così eloquente che Yuugi scoppia a ridere. La sua risata è calda, sonora, riempie l’aria con il suo tepore.

“Sai, ho ricevuto diverse proposte, da enti e riviste di divulgazione scientifica.” Le spiega divertito. “I vantaggi di avere un nome noto, immagino." Aggiunge con un'ombra d'imbarazzo. "E voglio che i risultati del mio lavoro siano accessibili a tutti, che diventino altrettanti punti di partenza per altri ricercatori. Non sarebbe giusto se ci guadagnasse soltanto la Kaiba Corporation." Dichiara convinto. "E’ una questione di principio.”

Anzu sorride. C’era da scommetterci. Yuugi non transige sulle questioni di principio.

“E poi c’è Danny, ti avevo scritto di lui, no? L'informatico, di Berkeley.” Anzu scuote la testa. Boh? Non se lo ricorda per niente.

“Comunque,” Taglia corto lui, “Aveva delle idee molto interessanti sulle possibili applicazioni della realtà virtuale. Ha fondato una società sua, adesso, e mi vuole come consulente. Ho promesso che avrebbe potuto contare su di me.” Conclude, solenne. “Perciò ho detto a Kaiba che non ho nessuna intenzione di firmare in esclusiva per la KC. Se vuole la mia collaborazione, dovrà assumermi come libero professionista, alle mie condizioni.”

Ah, questo sì che è proprio da Yuugi. Una promessa ad un amico non vale tutto l’oro della Kaiba Corporation. O qualcosa di simile.

“Wow. Immagino che Kaiba non sarà entusiasta.” Probabilmente sta già arruolando il sicario che assassinerà lo sfortunato amico americano.

“Non lo è.” Dichiara Yuugi lapidario, e non c’è davvero bisogno di aggiungere altro. “Ma alla fine accetterà.” Dice spavaldo voltandosi a guardarla dritta negli occhi, e le sue labbra carnose, come quelle di un bambino, si schiudono in un sorriso sfrontato. “Perché se non sarà lui ad ingaggiarmi, certamente lo farà qualche suo concorrente. E potrei sbagliarmi, ma se conosco Kaiba, non credo che vorrà rischiare.”

Anzu sogghigna. “Oh, già me lo vedo.” Si raddrizza tutta, alza esageratamente la testa e apre le spalle. “Yuugi, ti reputavo superiore a certe bassezze. Questo è un vile ricatto!” Esclama con tono vibrante di sdegno producendosi in una pregevole imitazione del summenzionato Seto Kaiba. Si porta una mano alla frangia bruna e scompiglia la linea fresca di taglio in un gesto nervoso e arrabbiato che è un vero capolavoro di parodia.

“E’ il libero mercato.” Replica Yuugi con un’aria serafica che sarebbe sufficiente a mandare in bestia il vero Seto Kaiba.

Lei abbassa appena la testa e scruta i suoi placidi occhi scuri. “Il tuo lavoro deve valere parecchio se Kaiba preferisce sottostare ad un simile ultimatum piuttosto che rischiare di perderti.” Osserva intrigata.

“Sono il migliore.” Afferma lui con un largo sorriso. Non è una vanteria, Yuugi non si vanta mai. E’ un fatto. E’ così bello mentre lo dice, così affascinante. Ha il piglio sicuro e lo sguardo deciso di quel giorno in Egitto. E con il vento che gli accende e scompiglia il fuoco della chioma ribelle e la stessa luce che gli brilla fiera negli occhi, somiglia così tanto ad Atemu che fa male guardarlo.

Anzu sorride, mentre un nodo le sale alla gola e il cuore le si stringe. Vorrebbe abbracciarlo e stringerlo e baciarlo e gridargli: ti amo! Ma sorride soltanto, e non dice niente.

Yuugi è forte. E’ la persona più forte che Anzu abbia mai conosciuto. Non si direbbe, nemmeno adesso che è più grande e ha le spalle più larghe e il corpo di un giovane uomo. Ma ormai da molto tempo Anzu ha imparato che la vera natura delle cose è spesso nascosta all’apparenza visibile.

Yuugi ha combattuto spettri necromanti, incantatori, demoni, e perfino le divinità stesse, ma soprattutto ha affrontato la vita, giorno per giorno, con semplicità e determinazione, e non ha mai perso il coraggio e il sorriso. Yuugi è forte. Lo è sempre stato, e nemmeno lui lo sapeva. Fino a quel fatidico pomeriggio d’agosto. Quando, per la prima volta, tutti hanno visto quella forza nel suo sguardo. Quella forza straordinariamente e unicamente sua, che non viveva del riflesso di nessuno. E l’orgoglio, quasi, la gioia nello sguardo dell’altro.

Tutto ciò che c’è stato di importante nelle loro vite è cominciato con Atemu.

Ma la vita è andata avanti, anche senza di lui.

E ora Yuugi starnutisce e scruta preoccupato le nuvole scure che si addensano sulle loro teste, e Anzu si accorge improvvisamente che il sole se n’è andato da un pezzo tuffandosi nell’oceano grigio, e comincia a far freddo sul serio.

“Torniamo?” Propone Yuugi, che evidentemente sta seguendo un simile filo di pensieri.

“Torniamo.” E si avviano in silenzio, fianco a fianco, lungo il viale alberato.


~-~


“Anzu!” Una smilza figura agita la mano dall’altra parte della strada. Anzu accenna un saluto e lo raggiunge camminando in fretta.

“Hey.” Lo abbraccia allegra e gli appoggia svelta un bacio sulla guancia. “Allora com’è andata?”

Yuugi estrae una minuscola scheda di memoria incastonata in una custodia di plastica trasparente dalla tasca interna della sua giacca. “Il mio primo incarico.” Annuncia mostrandogliela tra due dita, lo stesso gesto con il quale rivelava le carte agli avversari in duello. “Forte, no?” Domanda ridendo. “Credevo che questi cosi esistessero solo nei film di 007.”

“Oh, sai com’è Kaiba, ama fare teatro.”

“Già. Allora dove andiamo?”

Anzu punta il dito inguantato verso l’incrocio davanti a loro. “C’è una bellissima sala da tè proprio sull’angolo laggiù. Vieni.” Lo prende sottobraccio e lo guida con passo deciso attraverso la folla.

Il locale è al secondo piano di un grande palazzo vittoriano ornato di fregi austeri in pietra scura. Ha grandi finestre di vetro piombato che si aprono sulla strada, lasciando ammirare l’interminabile viavai del traffico sottostante. Pesanti tende di raso verde pallido incorniciano frenetici quadretti di vita metropolitana. Vista da qui, da questo angolo caldo e tranquillo di un’epoca passata, tutta quella fretta sembra incomprensibile. Ad Anzu piace sedersi sulle poltrone damascate con in mano una tazza di tè bollente, e per un po’ lasciarsi trasportare dai pensieri.

“Che cosa prendete?” Una camerierina in jeans borchiati e mèches nere si avvicina al tavolo con un blocco di appunti e una biro pronta in mano, in netto contrasto con l’atmosfera vecchio borghese dell’ambiente che la circonda.

Ripensandoci, forse questo non è esattamente il posto più adatto in cui portare Yuugi. Ma d’altra parte, con quell'aria da bravo ragazzo Yuugi potrebbe tranquillamente sedere al ricevimento di stato della Regina d’Inghilterra con tutto il suo armamentario di metallo, cinghie e lacci vari senza che nessuno osi mettere in dubbio la sua onorabilità.

Anche la camerierina sembra averlo notato, e osserva deliziata la tenuta all-black e le catene d’acciaio che avvolgono i polsi e la vita del giovane.

“Per me un tè alla pesca e un bignè alla crema.” Ordina Anzu un po’ infastidita, senza aprire il menù.

“E per te?” Sorride la ragazza, lanciando a Yuugi un’occhiata maliziosa che fa affiorare alla mente di Anzu tutta una serie di epiteti indegni delle sue labbra soavi. Cosa che, peraltro, Anzu non è mai stata.

“Lo stesso va bene.” Risponde lui con un’alzata di spalle, del tutto ignaro della silenziosa battaglia di sguardi che si sta consumando al di sopra della sua testa.

“Okay.” Cinguetta quella strappando una copia del foglio di appunti e fermandola sul tavolo con il portafiori di ceramica. “Bel collare.” Gli dice con una strizzatina d’occhio mentre si allontana, puntando la biro in direzione della cinghia di cuoio nero chiusa da una grossa fibbia d'argento che fascia il collo del ragazzo. Ma cosa crede, solo perché condividono gli stessi gusti in fatto di abbigliamento non significa che sia automaticamente autorizzata a considerarlo territorio di caccia!

Anzu afferra i lembi della tovaglia con entrambe le mani augurandosi di strapparli, e solo con un immane sforzo di autocontrollo riesce a trattenersi dall’alzarsi e inseguire la piccola punk per strangolarla con un tovagliolo di raso.

Yuugi, che da parte sua pare essersi improvvisamente accorto di possedere un collo, si porta una mano alla gola per aggiustarsi l’oggetto incriminato e abbozza un mezzo sorriso perplesso, come se non sapesse decidere se debba sentirsi più imbarazzato o lusingato. Alza gli occhi e il suo sguardo incontra l’ampia volta adorna di stucchi dorati. “Uh… qui in America i soffitti sono altissimi, vero?” butta lì tanto per cambiare argomento.

“Già.” Commenta Anzu asciutta. Lui la guarda con un’espressione confusa e vagamente dispiaciuta. Oh, no, Yuugi, così è sleale. Anzu già si sente in colpa. Il ragazzo si volta ad osservare la finestra con l'aria afflitta di un gattino bagnato.

“Scusa, stamattina sono un po’ nervosa.” Anzu capitola. “E’ che continuo a provare quell’assolo e non mi riesce di eseguirlo perfetto.”

Yuugi torna a sorriderle. “Sono sicuro che sarà perfetto per Sabato sera.”

Anzu s'accende come una lampadina. “Verrai a vedermi?” Chiede, per una volta senza preoccuparsi di nascondere l’eccitazione.

“Certo.” Risponde lui serio. Anzu adora quel suo modo cavalleresco di prendere ogni impegno come fosse un giuramento solenne.

“le vostre ordinazioni.” La voce squillante dell’odiosa camerierina giunge a rompere l’idillio. Somiglia vagamente a Rebecca Hopkins, e questo, agli occhi di Anzu, la rende ancora più insopportabile. Con gesto veloce apparecchia le tazze di porcellana bianca, sbattendo ostentatamente le palpebre bistrate verso il ragazzo imbarazzato, e depone il bollitore fumante al centro della tavola con espressione di sfida. Anzu ricambia con un’occhiataccia.

Fortunatamente, un cenno di richiamo dalla padrona del locale arriva provvidenziale a porre fine alla contesa, e la ragazzina si allontana stizzita.

Yuugi si passa una mano tra i capelli disordinati, un po’ a disagio, ma proprio non riesce a trattenere il sorriso. Gli angoli della sua bocca già si curvano all’insù, e le sue labbra scoprono i denti bianchi.

E a quella vista Anzu si sente assalire da uno strano sentimento, lo stomaco le si chiude e si rigira nella bocca un sapore amaro, nauseante. E se Yuugi si innamorasse? Se incontrasse una ragazza e decidesse di fidanzarsi, o addirittura sposarsi? E’ giovane e allegro e intraprendente, e non è più un bambino, potrebbe succedere. E il solo pensiero le fa venir voglia di vomitare. E’ amore quando vorresti prenderlo a schiaffi anche solo per un mezzo sorriso di cui non sei tu l’oggetto?

“Che farai adesso, cercherai casa?” Chiede sforzandosi di addolcire la voce mentre si accinge a versare l’acqua bollente nella maiolica candida.

Yuugi fa segno di sì con la testa. “Kaiba ha fatto in modo di puntualizzare - ripetutamente - che da domani dovrò pagare l’albergo di tasca mia. Ora che l’accordo è siglato, non sente più alcun obbligo di cortesia nei miei confronti.” Racconta in tono divertito. “Grazie.” Aggiunge mentre lei si sporge in avanti per riempirgli la tazza.

“Comunque, ho già chiamato un paio di agenzie. Mi manderanno una mail con le offerte.”

“E nel frattempo?”

Lui alza le spalle con una sorta di ironica rassegnazione. “Pagherò l’affitto a Kaiba.”

“Senti.” Dice lei d’un fiato. “Il mio appartamento è grande. C’è spazio più che sufficiente per due. Potresti venire da me, almeno finché non trovi un’altra sistemazione.” E sorride con una timidezza che le è inusuale.

Yuugi resta un attimo a fissarla, sorpreso.

“Solo come soluzione provvisoria. Non mordo mica, sai.”

“Io… grazie. Sarebbe, sì, sarebbe ottimo." Yuugi si morde le labbra. "Sei sicura che non sia un disturbo?”

“Ma no! Non te lo avrei proposto altrimenti.”

“Okay. Allora… posso passare nel pomeriggio a portarti la mia roba?” Domanda lui ancora un po’ esitante, con quella sua caratteristica delicatezza.

“Naturalmente.” Anzu conferma a voce e a gesti, assaporando in segreto la vittoria.

“Grazie.” Ripete Yuugi ancora una volta.

“Non è nulla.”

Il silenzio che segue è confortevole, impregnato di quell’intima familiarità che viene dall’essere cresciuti insieme, e non ha bisogno di parole per esprimersi.

Anzu immerge la bustina del tè nel liquido incolore, e una nuvola di amaranto si sprigiona in lente volute offuscandone la purezza cristallina. Yuugi la imita con gesti appena un po’ più aggraziati. Il rumore di cucchiaini sbattuti contro tazze di ceramica e il tenue brusio di conversazioni sussurrate riempiono la sala con la loro quieta monotonia.

“Allora, Yuugi.” Dice lei, briosa. “Parlami un po’ di questa 'Teoria dei Giochi'.”

FINE.



Note:

Non ho la più pallida idea di che temperatura ci sia a New York sul finire dell'Estate. Mi piaceva l'idea che fosse freddo, e volevo evitare tutta la caratterizzazione natalizia che la New York invernale ha solitamente nei film americani.

La teoria dei giochi è una delle branche più complesse e avanzate della matematica moderna.
Molto in sintesi, essa analizza le situazioni di conflitto dove due o più contendenti si ritrovano a competere per il raggiungimento di uno stesso obiettivo. Queste situazioni sono dette giochi, ed ogni gioco ha delle regole prestabilite, tenendo conto delle quali la teoria formula una serie di ipotesi (modelli) sul comportamento (mosse) di ogni giocatore. Ogni singola mossa avrà precise conseguenze all’interno del gioco e influenzerà il comportamento degli altri giocatori. L’insieme delle mosse di un individuo è chiamata strategia, e a seconda della strategia scelta dal singolo giocatore e dai suoi contendenti si hanno diversi possibili risultati. Ovviamente lo scopo è individuare la strategia migliore, che nel caso può essere quella che garantisce il successo di tutti i giocatori, oppure quella che ne vede trionfare uno su tutti.
Beh, mi sembrava semplicemente il mestiere perfetto per Yuugi ;D

  
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