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Autore: pandamito    24/06/2012    5 recensioni
E’ cambiato, forse troppo, ma posso riconoscere i suoi occhi azzurri. Non l’azzurro da barbie che aveva Lindsay, una mia vecchia conoscente forse fin troppo stupida per esistere davvero, o quelli del mio amico Geoff.
No, quelli sono gli occhi di una tonalità particolare d‘azzurro, tremendamente chiari da risultare il mare di qualche paradico tropicale. Occhi verde acqua. Occhi di ghiaccio. Occhi da spaccone. Occhi inconfondibili, indimenticabili.
Quelli sono gli occhi di Duncan.
Lo fisso.
Genere: Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Courtney, Duncan | Coppie: Duncan/Courtney
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo | Contesto: Contesto generale
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Sono in ritardo, maledizione! Odio fare le cose di fretta, ancor di più farle lentamente. Ogni cosa per me ha il suo giusto tempo, quindi odio essere in ritardo e non avere il tempo necessario per prepararmi e per fare colazione. Giusto il tempo di lavarmi ed indossare il tailleur, manco quello di sistemarmi i capelli in modo accurato in qualche crocchia, niente, e mi danno fastidio mentre corro fuori e mi getto in macchina con le varie cartelle che devo consegnare. Inserisco le chiavi e le giro.
Non parte. 
Riprovo. 
Niente. 
Alla fine, con qualche maledizione, sono costretta ad arrendermi per la prima volta nella mia vita. Ops, ho sbagliato: la seconda.
Frugo nella borsa ed estraggo il mio palmare, scorro velocemente i nomi nella rubrica e alla fine clicco il suo. Squilla solamente un paio di volte prima di sentire la sua voce dall’altra parte.
« Tony, la macchina non parte » gli spiego, un po’ allarmata e un po’ furiosa col mio mezzo. Vedrai chi la vincerà quando ti rottamerò. « Devo prendere l‘autobus, farò tardi. Ce la fai da solo col caso? »
Fortunatamente il processo non sarebbe iniziato prima di un paio d’ore ed avevo trovato Anthony libero. Certo, con la macchina sarei arrivata in orario, tra il passare in ufficio e tutto il resto, se non in anticipo, ma con l’autobus è una questione totalmente impossibile, non ce l’avrei mai fatta. 
Lo sento che sospira, sta pensando. « Non preoccuparti, Court » mi rassicura e so per certa che se fosse qui di fronte a me avrebbe già sfoggiato uno dei soliti sorrisi che rifila alla sua clientela per infonder loro sicurezza. Sorrisi diligenti, sinceri e rassicuranti. Amo i suoi sorrisi. « Posso farcela anche da solo, è una causa facile. Passo a prendere le copie dei documenti in ufficio. » Un’altra cosa che mi piace di lui è che sa sempre cosa fare, sa sempre cosa dire, non a caso è diventato un ottimo avvocato. « Chiamo Conor e ti faccio accompagnare dal meccanico, tranquilla. »
Trovando una soluzione chiudo la chiamata, non mi rimane che aspettare.
 
Conor non ci mette poi tanto a venire, anzi mi stupisco che abbia trovato il tempo per venire subito fra tutti gli impegni che di solito ha. Lo ringrazio, ma scopro che il suo è solo un favore per dei buoni amici di carriera che conosce da anni, di fatti il tempo di agganciare la mia macchina dietro la sua e di portarmi dal meccanico, che poi si congeda dispiaciuto dicendo che deve scappare per un colloquio con dei clienti, ma che appena finisce lo devo richiamare per farmi venire a riprendere.
Quando scendo dalla macchina, sento che quella di Conor sfreccia dietro di me e va via, forse anche lui in ritardo più del dovuto; resto con la mia macchina che non parte, guardandomi attorno: è una semplice stradina poco affollata, l’officina è di fronte a me, circondata da palazzi, con le saracinesche tutte alzate, una macchina alzata da un crick, a terra una cassetta degli attrezzi oliata e sotto la macchina la figura di un molto probabile meccanico che lavora.
« Scusa » faccio per chiamarlo, avvicinandomi pian piano alla sua postazione di lavoro, con la paura di macchiarmi.
L’uomo scivola da sotto la macchina grazie alla tavola da skate su cui è posata la sua schiena ed ora posso vederne i lineamenti del viso. 
Mi si blocca il respiro. 
Lui si alza a mezzo busto, mentre con una pezza si pulisce le mani sporche d’olio di motori. E’ cambiato, forse troppo, ma posso riconoscere i suoi occhi azzurri. Non l’azzurro da barbie che aveva Lindsay - una mia vecchia conoscente forse fin troppo stupida per esistere davvero - o quelli del mio amico Geoff. 
No, quelli sono gli occhi di una tonalità particolare d‘azzurro, tremendamente chiari da risultare il mare di qualche paradiso tropicale. Occhi verde acqua.  Occhi di ghiaccio. Occhi da spaccone. Occhi inconfondibili, indimenticabili.
Quelli sono gli occhi di Duncan.

Lo fisso.










Bene, benvenuti alla fine del primo capitolo di quello che un tempo doveva essere una one-shot.
Mi fanno male le tette.
Dopo questo vi dico che molto probabilmente la cosa finirà in tre capitoli.
Vorrei uccidermi perché mi sono resa conto che come one-shot diventava troppo lungo.
Quindi ho dovuto dividerlo in tre parti.
E allora? Direte voi, forse. O forse no.
Sta di fatto che allora il capitolo è corto e non dice assolutamente niente, quindi chiede perdono.
Ci tengo alle vostre recensioni.
Se volete leggere qualcos'altro di mio mi farebbe molto piacere.
Se volete invece seguirmi o contattarmi ovunque voi vogliate, ci sono i contatti nel mio profilo.
Bao! Baci e panda, Mito.

   
 
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