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Autore: _M e l_    24/06/2012    1 recensioni
Si renderanno conto che è così che dovrebbe essere, sempre; che il non essere discriminato da nessuno non dovrebbe essere un privilegio, ma un diritto.
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La Shot è stata scritta per il contest estivo "Lo slash è un diritto", indetto da Il_Genio_del_Male e Florelle sul gruppo di Facebook "Lo slash è un diritto", con il prompt: Tutta la notte. Il tema trattato è Coming Out, con accenni a Omofobia.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È così che dovrebbe essere.

[1803 parole]




 

Sono diritti, non privilegi.
Rita O'Grady - We Want Sex


 

Era da tutta la notte che ci rimuginava su, insicuro e pieno di timori. Si era rigirato nel letto nella sfrenata ricerca di una soluzione al problema, soppesando qualsiasi circostanza, ed era arrivato alla conclusione che sì, Andrea aveva ragione. Non poteva aspettare oltre, doveva dirglielo subito.
Ma come?

Gabriele non riusciva ancora a capirlo.

Schiacciando la faccia contro il cuscino, pensava a quanto l'avrebbe delusa e non riusciva a sopportarlo. Lei aveva fatto di tutto per lui; l'aveva cresciuto da sola, dopo che il padre li aveva abbandonati per andare chissà dove con chissà chi, lavorando dodici ore al giorno solo per garantirgli un futuro, una vita, felice. Cosa che lei non aveva avuto, ricevendo invece solo continue bastonate e delusioni. Gabriele non poteva credere che l'ennesima l'avrebbe avuta proprio da lui. Lui che le voleva un bene dell'anima e che adesso si tormentava al solo pensiero di ferirla ancora, con la sua inadeguata diversità. Non voleva farlo, ma doveva. E non per sentirsi finalmente in pace con se stesso, liberandosi da quel segreto che tanto lo faceva soffrire, ma per lui, Andrea, che aveva condiviso quel peso enorme in silenzio per tre anni, e che adesso, giustamente, richiedeva che gli fosse riconosciuto il suo spazio nella sua vita. Gabriele, però, aveva una paura fottuta di tutta quella storia e non solo perché sarebbe stato un altro colpo basso inferto alla madre, ma anche perché non avrebbe retto il suo abbandono, il solo pensiero gli mozzava il respiro.

Come diamine poteva dirle una cosa del genere senza essere ripudiato istantaneamente?
Aveva sentito le storie di alcuni amici, nonché dello stesso Andrea, che raccontavano terribili reazioni dei genitori alla loro dichiarazione. Quasi tutti erano stati messi alla porta con l'unica raccomandazione di non farsi più vedere, di allontanarsi il più possibile da loro, persone normali disgustate dai loro stessi figli.
Era forse normale quel comportamento?

Andrea glielo domandava sempre, quando si lasciava andare alla nostalgia che provava verso la sua vecchia famiglia, aspettandosi in risposta un “No” secco e pieno di risentimento. E, certe volte, Gabriele lo pronunciava anche, solo per non dover litigare – e perché, comunque, non sopportava che qualcuno gli facesse volontariamente così male, tanto da spingerlo alle lacrime, quelle rare volte in cui mandava a benedire la sua aria da duro e si apriva completamente. Il problema era, però, che lui li capiva maledettamente bene quei bigotti bastardi, come li definiva spesso il compagno, perché lui stesso era stato come loro, arrivando anche a discriminarsi da solo, a non accettarsi. In realtà, ancora faceva fatica e questo mandava in bestia Andrea. Gabriele era cresciuto con un'educazione cristiana e già questo era abbastanza per farlo sentire sbagliato. Era sicuro, poi, che la madre sarebbe stata pienamente d'accordo con lui, dato che si parlava di una donna che aveva chiamato suo figlio come uno degli angeli più fedeli di Dio, l'Annunciatore. Andrea cercava di rassicurarlo dicendogli che forse si era ammorbidita durante gli anni, adeguandosi ai nuovi tempi, ma era sempre stato ricambiato con un'occhiata scettica di Gabriele, che vacillava quando Andrea si aggrappava alla storia del “Gesù non era il tipo “viva l'amore, abbasso i briganti”? Se tua madre è veramente cristiana dovrebbe seguire i suoi insegnamenti, no?”. Lì per lì, Gabriele ribatteva con qualche commento derisorio, come “Guarda che era “viva l'amore, abbasso la guerra”. Ti sei confuso con gli Hippie, amore”, ma adesso, nel silenzio della notte, quelle parole gli si erano conficcate a forza nel cuore, donandogli una, seppur mera, speranza.
Forse è tutto qui, si era detto, forse devo solo parlarle del nostro amore, della nostra storia.

Raccontarle di quando, a tredici anni, l'aveva visto per la prima volta, con i suoi pantaloni strappati e le magliette dei vari gruppi Metal di cui andava pazzo, e aveva pensato “che tipo bizzarro” e poi ancora “meglio tenersi alla larga”. Di quando, a quattordici anni, quel “tipo bizzarro” lo aveva difeso dai bulli che lo additavano come “secchione timorato di Dio”, e lui l'aveva ammirato, considerandolo un amico. Di quando, a quindici anni, gli aveva confessato i suoi dubbi – che presto sarebbero diventati certezze –, e Gabriele l'aveva mollato lì, in mezzo al cortile, con il solo intento di distanziarsi, perché aveva paura. Di quando, a sedici anni, si era avvicinato e gli aveva chiesto scusa, e Andrea lo aveva accettato con un sorriso sereno – segno inconfondibile della sua felicità nel rivederlo, ma, soprattutto, della scomparsa definitiva di quei dubbi. Di quando, a diciassette anni, si erano ritrovati nella sua stanza in una di quelle giornate talmente calde che non si riescono neanche a sopportare i vestiti sulla pelle, e Gabriele aveva pensato “però, lui sulla mia pelle lo vorrei” – evidentemente Andrea pensava la stessa cosa, poiché, alla fine, quel pensiero era diventato realtà. Di quando, a diciotto anni, gli aveva dato appuntamento con l'intento di porre un fine a qualunque cosa ci fosse tra loro – perché era irrazionale e anormale, e stavano peccando – e Andrea vi si era presentato in lacrime – aveva appena parlato con i genitori – e lui si era sentito distrutto da quel dolore e l'idea di abbandonarlo gli era parsa oscena, mentre la rabbia per quell'ingiustizia gli incendiava il cuore. Di quando, a diciannove anni, si erano messi davvero insieme e Andrea era stato costretto a sopportare tutte le crisi di Gabriele. Fu allora che capì di amarlo – anche se qualche sospetto già l'aveva da tempo.
Di quando, a venti anni, avevano avuto la loro prima vera discussione e Andrea se n'era andato minacciandolo di non tornare più.

Gabriele aveva liberato un sospiro rassegnato a quel ricordo. Ecco per cosa – per chi – doveva assolutamente trovare il modo. Non poteva perderlo, non sarebbe sopravvissuto ad un'eventualità del genere.

Quando la madre era entrata nella camera l'aveva trovato disteso sul letto a pancia sotto, impegnato in un rozzo tentativo di soffocarsi da solo con il cuscino. Era rimasta ferma sulla porta, interdetta, prima di schiarirsi la voce e colpire lievemente con le dita l'uscio di legno. Gabriele era sobbalzato e si era voltato verso la donna con gli occhi allargati pieni di terrore. Era arrivato il momento.

« Io... ehm... mi ero preoccupata non vedendoti già in piedi. Ti senti male? » aveva chiesto lei, apprensiva. Gabriele aveva scosso la testa in segno di diniego, così Michela se n'era ritornata in cucina, invitandolo a fare altrettanto.

L'aveva raggiunta dopo qualche minuto e si era piazzato dietro di lei, che preparava il bricco del caffè, pronto a parlare, ma Michela l'aveva anticipato:« Siediti, che fai lì in piedi? »

Gabriele aveva richiuso la bocca con uno scatto, poi, scostando con mano tremante la sedia, si era seduto di botto. Era agitato, e la madre si chiese il perché. Che avesse deciso di... scosse la testa, era impossibile.

« Mamma, volevo-- » riprovò Gabriele, prima di essere bloccato nuovamente:« Tesoro, mi passi le tazze? » dopo averle ricevute e aver versato la bevanda, si sedette anche lei. Iniziò, così, a sbirciare di sottecchi il figlio, cercando qualche indizio utile a capire cosa gli passasse per la testa. È impossibile, si disse, eppure sembra proprio che abbia deciso di...

« Non hai dormito bene? » Gabriele si chiese che razza di aspetto avesse, ma quasi immediatamente quel pensiero fu sostituito da un odiosa vocina che continuava a ripetergli:”Adesso o mai più. Dillo, dillo, dillo”. Strinse la mano in un pugno, tentando disperatamente di non mettersi a urlare – o, peggio, piangere.

« No... non sono riuscito a chiudere occhio per tutta la notte... sarà stato il caldo » rispose poi, in un modo che, evidentemente, alla madre non piacque, poiché strinse le labbra contrariata.

« Ele, volevi dirmi qualcosa? » domandò, alla fine, posando la mano sulla sua. Dal canto suo, Gabriele s'irrigidì ancor di più. “Dillo, dillo, dillo”. Sorrise, rassicurante, e scosse la tesa. “Dillo, dillo, dillo”.

« Sicuro? » rincarò lei. “Dillo, dillo, dillo”. « Sai che a me puoi dire tutto » al ragazzo sembrò che la donna avesse marcato apposta l'ultima parola. “Dillo, dillo, dillo”. Adesso o mai più, si ripeté.

Quindi, sottraendosi alla sua presa, lo lasciò, finalmente, uscire fuori:« Sono gay »

Era stato solo un flebile sussurro, eppure la madre ne aveva percepito tutta la potenza, proprio come se fosse stato un urlo.

che abbia deciso di dichiararsi.

Michela portò una mano al cuore e sospirò. Ma non era un sospiro di rassegnazione o uno di quelli che si fanno per imporsi la calma... più che altro, sembrava un sospiro di sollievo.

« Grazie a Dio! » esclamò, alzando gli occhi al cielo.

« Gr... grazie a Dio? » gracchiò in risposta Gabriele, riguadagnandosi così l'attenzione della madre.

« Oh, non in quel senso! Cioè... ecco, lo so da un po' e credevo non me l'avessi detto perché pensavi che io non lo avrei-- »

« Tu... tu lo sapevi da... da un po'? » Gabriele quasi si strozzò nel dirlo, e Michela gli lanciò uno sguardo tra l'offeso e il compassionevole.

« Guarda che sono cristiana, mica scema... o cieca » lo riprese, arrossendo colpevole.

« C... c... ci hai... visti? » la madre arrossì ancora di più e scostò lo sguardo in imbarazzo.

« Oh, ma guarda quanto è tardi! Devo andare a prepararmi » disse, balzando in piedi all'improvviso. Si avviò, per poi tornare indietro e lasciargli un bacio sulla guancia. Sussurrò:« Grazie di avermelo detto » con fierezza e gratitudine.

Quando se ne andò definitivamente, Gabriele rimase fermo lì, le mani sul tavolo e lo sguardo fisso nel vuoto. Non poteva crederci.

Solo quando Michela lo salutò (Io vado... e, giusto per precauzione, chiudete bene le porte e assicuratevi che davvero non ci sia nessuno in casa), si riprese. Con estrema lentezza ritornò in camera, prese il cellulare e chiamò Andrea.
« Gabriele? Pronto? »

« Andrea... credo che mia madre sia impazzita »

 

Solo la sera si chiariranno e la madre gli confesserà con vergogna che le ci era voluto del tempo per abituarsi all'idea, che inizialmente aveva pensato fosse colpa sua perché gli aveva negato una figura paterna, e che solo in seguito aveva compreso che non era né per causa sua né per causa del padre che li aveva abbandonati. Solo in seguito aveva compreso che era così e basta. E, una volta compreso, non ne aveva avuto più paura; e, una volta compreso, aveva imparato ad accettarlo.

Gli confesserà anche che non aveva mai smesso di amarlo, né le era mai venuto in mente di abbandonarlo, e Gabriele penserà di essere un ragazzo fortunato. Tanto fortunato.

Si renderanno conto, però, entrambi, che è così che dovrebbe essere, sempre; che il non essere discriminato da nessuno non dovrebbe essere un privilegio, ma un diritto.








 


Spero vivamente che la storia piaccia - almeno un po' - e che non sia caduta nella banalità. Mi farebbe davvero piacere leggere le vostre opinioni ^^

Ringrazio, dunque, chi recensirà, chi metterà la storia tra le preferite/seguite/ricordate e chi leggerà solamente :)
Vostra,
       _M e l_


La Shot - Dio, ancora non ci credo... ho davvero scritto una storia così lunga? O.o - è stata scritta per il contest estivo "Lo slash è un diritto", indetto da Il_Genio_del_Male e Florelle sul gruppo di Facebook "Lo slash è un diritto", con il prompt: Tutta la notte. Il tema trattato è Coming Out, con accenni a Omofobia (?).
   
 
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