Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: overthinkgeo    24/06/2012    2 recensioni
Ed è quell'istante, se istante è la sua vera durata nella realtà delle memorie, in cui l'uomo non è più un corpo con un'anima, ma un'anima col corpo. E' quello l'attimo smisurato in cui Sherlock Holmes ha mostrato al suo unico amico quanto uno sguardo possa contenere il respiro dell'immenso e del cielo la profondità. Occhi dal suono malinconico, quasi sembravano sussurrare un tiepido Addio.
Genere: Angst, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Bene, bene, bene. Eccomi con la mia seconda FanFiction. Questa volta ho sperimentato il mondo delle "one-shot" eheh. No va beh, a parte gli scherzi mi sono trovata anche bene. Sinceramente non so cosa scrivere, deh. Ma qualcosa voglio scrivere.
Diciamo che mi sono immedesimata un sacco e la depressione ha preso il sopravvento anche dentro me. Ma c'ho messo il cuore, davvero. Mi sono anche sfogata un sacco, nel senso che l'ho colmata di descrizioni.. io amo le descrizioni.. Spero non vi stufino lol
Dai buona lettura, spero che apprezziate e spero che piangiate.

Ah, prima di cominciare voglio dire un grazie speciale a della gente speciale che mi ha ispirata e stimolata. Tenete conto che non ho mai visitato le Seven Sisters (anzi, ci andrò tra due settimane) e mi sono dovuta inventare un po' tutto ascoltando musica malinconica e guardando foto di Google. Evviva.

Gente speciale: John Keats, Mumford & Sons, Frank Turner, Edgar Allan Poe.







Dolce, dolce è il saluto degli occhi

Dolce, dolce è il saluto degli occhi,
e dolce è la voce nel tuo saluto,
quando l’addio s’è logorato e gli arrivederci
svaniscono dove il tempo antico si è perduto.

Caldi i nervi d'una mano accogliente,
e serio un bacio sulla fronte,
quando ci incontriamo al di là della terra e del mare,
dove all’aratro son nuovi i solchi.

- John Keats





Il camino suona note di calore. Il fulgido rosso che brucia intorno alla legna distende una densa coperta di timido albore sul tappeto.
Le fiamme prendono vita da un pallido giallo che, danzando, finisce per trasformarsi in un rosso impetuoso. E il legno, il legno come una preda rimane inerte, aspettando la sua fine. Lenta morte dolorosa. L'oscura stanza è illuminata dalla voce del caminetto, e riscaldata dal suo denso fiato. Ma fuori, l'aria volteggia vorticosamente e- senza sguardo, sensi e riflessione- sbatte contro gli umidi e congelati vetri delle case lasciando un tiepido grido. Tuttavia il vento non è solo a danzare sulla notte.. la pioggia, dal delicato tintinnio, s'aggrappa ad esso e compie le piroette più aggraziate.

Le ombre, come demoni introversi, coprono gli oggetti presenti nella stanza; i quali sembrano essersi addormentati nei luoghi più assurdi. Un block notes giace al centro della stanza, è spalancato e molti dei suoi fogli sono sparsi vicino ad esso. Un porta biro è dritto vicino ai piedi della scrivania, e abbraccia ancora le matite dentro a sé. Il pavimento è lucido, viene accarezzato con costanza da un moccio ma gli oggetti su di esso delineano una stanza disordinata. Una scura presenza respira in mezzo all'oscurità. China, concentrata e silenziosa volge il serio viso verso la luce abbagliante di un oggetto su cui poggia le lunghe dita. Si muovono agili, le dita. Velocemente. I gesti che compie sono quasi impercettibili. Il suo sguardo è condensato sull'oggetto luminoso davanti a lui. Ha occhi piccoli ma vispi, sembrano quasi mandorle. Sottili e allungati.

Il fragore di un tuono immerge la stanza col suo intenso boato. Sherlock Holmes, nonché l'uomo silenzioso e pensieroso alza lo sguardo verso la pallida finestra alla sua destra. La guarda, o meglio, osserva il cielo, oggi come un plumbeo tessuto su Londra. Quasi cerca ispirazione dal gelo, o dalla leggerezza delle inafferrabili nuvole. Il ruvido schioccare della porta che si apre attira la sua attenzione.
Sale un rumore ovattato di pesanti pedate sulle scale. John è appena rientrato al 221b di Baker Street, dopo una noiosa spesa al supermercato. Sherlock volta nuovamente il viso verso lo schermo luminoso del computer e continua a digitare, lasciando i suoi scuri ricci come unica visuale per John. L'ultimo arrivato appoggia una lettera vicino al pc, senza dare vita a una parola, e comincia a riordinare la spesa. La lettera è soffice e delicata, poiché la pioggia ha lasciate le sue tracce su di essa. Sherlock la osserva con la coda dell'occhio. Come un ragno l'angoscia si è avvinghiata al suo sguardo e una smorfia si evidenzia sul suo volto.Non sembra sorpreso, ma particolarmente abbattuto. John sta girovagando per la stanza ignaro della reazione di Sherlock.
-Cos'è quella lettera? un nuovo cliente? c'è scritto "Sebastian Moran".. lo conosci?- azzarda mentre si dirige verso il frigo
-Deve essere un anziano, chi è che manda lettere al giorno d'oggi? abbiamo il sito internet sempre a disposizione- Aggiunge con sicurezza mentre posiziona la frutta nel recipiente trasparente sul tavolo. Sherlock pare sordo, e il suo sguardo dedicato solamente alla lettera. Non l'ha ancora afferrata, né aperta.. ma sembra sapere di cosa si tratta. Pare che l'identità di quell'oggetto giaccia silenziosa nel suo più profondo tormento.

Sono quasi le 7 e un quarto, John sta preparando la cena solo. Sherlock non è in salotto. Il tintinnio delle posate si dirama nel lugubre silenzio, mentre un rumore debole si accende lungo le scale. Qualcuno sta scendendo, a passo lento ma non trascinato. A primo ascolto si potrebbe dire quasi rilassato, ma la lentezza non delinea solo tranquillità. La lentezza è figlia del verbo frenare, la lentezza grida aspetta, la lentezza si trova laddove un'anima non vuole procedere, dove la mente vorrebbe fermarsi e tornare indietro.. scappare lontano poiché non possiede la forza di andare avanti, ma procede comunque più lentamente possibile. Sherlock entra tacito. E' vestito con il suo completo più elegante. Porta con se una nuvola di profumo.. Tutto in lui vuole chiamarsi perfezione. I ricci sono ordinati, ma visibilmente soffici come sempre. La sua immagine slanciata si muove appena, sta fissando John in attesa che gli conceda il suo sguardo. Nonostante la sua apparenza rasenti l'impeccabilità e richiami un pensiero di festa e spensieratezza, il volto pare appartenere a un mondo estraneo. Se la leggerezza voleva esprimere la sua preparazione allora la pressione di un masso prendeva il posto del suo sguardo.
John si è voltato furtivamente verso il suo amico. La forchetta è immobile nella sua mano, tra la bocca e il piatto. E' tesa come l'aria che s'aggira impercettibile.
-John, spero tu abbia appena cominciato a cenare- azzarda Sherlock guardando in basso e con un tono di voce soffocato.
-S..sì. Mi sono praticamente appena seduto. Perché sei vestito così?- Aggiunge velocemente per non sottolineare troppo l'imbarazzo.
-Avevo voglia di uscire a mangiare qualcosa stasera.. da Angelo potrebbe andare? E' da molto che non mi concedo una pausa.. sai esco di casa sempre e solo per il lavoro.- spiega con voce sincera e sicura. Osserva John con occhi desiderosi di una risposta immediata.
-Oh, sì.. sì certo! metto le bistecche in frigo, così le mangiamo domani.. dammi 3 minuti.- Risponde confuso.
Non che questa proposta meravigliasse John più di tanto, dopotutto era già capitato che certi atteggiamenti di Sherlock l'avessero sbalordito.. ma infine questi ultimi si rivelavano sempre scuse per indagare su qualcosa di nuovo o interessante. La cosa che pareva più appartenente a un sogno che alla realtà tangibile era la sua preparazione, il tempo che ci aveva dedicato. John aveva infatti notato che il suo amico era in bagno da parecchio tempo, ci si era infilato poco dopo il suo ritorno a casa. Dovevano andare soltanto da Angelo, non in posti particolari.. perché vestirsi in quel modo e perché tutta quella cura?

Il ristorante è pieno come ogni sabato. Il chiasso della gente impedisce a chiunque di distinguere una sola parola dal garbuglio di discorsi che si intrecciano nell'aria.
Un caldo soffocante si spinge in ogni corpo, soffoca i pensieri e il desiderio che narra di una leggera ventata d'aria. E' sempre così nei locali, si arriva dal freddo punzecchiante che passeggia per le strade all'afa stagnante che dorme tra la gente. Fastidioso il calore, calore quasi palpabile. Ma dopo un po' ci si abitua. Sono seduti allo stesso posto vicino alla finestra, ma questa volta non c'è nessuna candela a tenergli compagnia. John ha ordinato da mangiare e Sherlock, senza sorprese, ha preso solo da bere. Nonostante quella giornata fosse stata pesante, se ci riferiamo alla mattina, Sherlock sembra non preoccuparsi della fame.. perché sicuramente la sua fame ha così fame che sta mangiando se stessa da dentro il suo magro corpo. Ma c'è forse qualcosa di più intenso e opaco che, come la coperta ci abbraccia di notte, riesca a foderare pienamente la fame? Che riesca a farla scomparire dai pensieri e dalle preoccupazioni? Cosa se non la paura? densa e fastidiosa come il fumo.
-Perché siamo qui? C'è qualche nuovo caso interessante? C'è forse qualche criminale che si aggira nel ristorante?- dice John accennando un sorrisetto e afferrando il bicchiere.
-No, no purtroppo no. Sarebbe stato divertente.- conclude sforzando un sorriso e tornando subito serio.
John e Sherlock passano la maggior parte della serata parlando di casi passati e presenti. John è stupito ora che ha capito che il suo amico non l'ha portato lì per questioni di lavoro. Tuttavia il detective non perde l'occasione per sfoggiare una delle sue più brillanti deduzioni.. oh, un ristorante! non c'è posto migliore! Gente ovunque, e così esplicita negli atteggiamenti che sembrano quasi raccontare la loro storia ad alta voce. John ascolta le sue osservazioni come se fosse la prima volta e si fa scappare alcuni dei suoi corti ma efficienti complimenti che fanno respirare un sorriso sincero sul viso di Sherlock.

E' mezzanotte e due minuti, il ristorante si è un po' svuotato ma molte coppie e amici che si sono ritrovati dopo tanto tempo sono rimasti ai loro posti, con i piatti vuoti e i fazzoletti sporchi, un po' di rossore e tante risate. John sembra essere stanco, si appoggia sulla sua mano e si ferma a fissare il tavolo. Sherlock accarezza il suo tovagliolo pulito, pensa e riflette probabilmente.
-John, stavo pensando di andare a visitare le Seven Sisters, le scogliere.. non ho un motivo preciso, ma è da quando ero piccolo che desidero vederle. Cosa ne pensi? - chiede a John alzando lo sguardo e con tono rilassato.
-Potrebbe essere una bella idea. Ma il lavoro?-
-No, non…- Sherlock sembra esser stato bendato per un momento. Le parole non vogliono uscire. Si gratta l'angolo della bocca e procede
-Non c'è problema, staremo via una giornata.. ci si mette poco ad arrivare e 24 ore sono più che sufficienti-
-Perfetto sì, hai ragione! E quando hai intenzione di partire?-
-Domani-
-Domani? beh non potevi avvertirmi prima?-
-No-
-Okay, okay..- John si accontenta della risposta di Sherlock perché sa che non vuole confessargli il motivo e che non glielo confesserà mai. Sherlock continua a guardare in basso, sembra essere rimasto pietrificato e avvilito dopo che John gli ha chiesto riguardo il lavoro.
-Allora è meglio se ci alziamo e andiamo a preparare qualcosa, non credi?-
-Sì, assolutamente-
I due si alzano facendo chiasso con le sedie e afferrando le pesanti giacche che erano avvinghiate alle piccole sedie. Il freddo gioca ancora brutti scherzi fuori dalle finestre e li accoglie improvvisamente con un sorriso di gelo.

C'è silenzio lungo Baker Street. I passi dei due schioccano forte sul pavimento bagnato e scivoloso. Sono passati ormai 5 anni da quando Sherlock è ritornato.. La sua assenza ha diviso due vite e una di queste è stata distrutta. John, John ha sognato in ogni notte e in ogni sogno il ritorno del suo migliore e unico amico durante la sua tangibile assenza. Tre anni di pura agonia, silenziosa e angosciante dormiva nell'odiosa aria l'agonia! Periodo così intenso da potersi definire ombra. Momenti in cui la vita era sottile e vuota come il verbo sopravvivere e i desideri chiamavano ciò che è definito vivere, fulgida azione travolgente. Non era stato facile vivere. Non era stato facile fare nulla. La mancanza della persona, se solo persona si può definire, che della tua vita ha fatto un brivido caldo è come un solco nel deserto, tacito e che mai può essere riempito dalla pioggia. Ma non era l'assenza in se' che aveva travolto John, bensì l'immagine del suo compagno disteso in una tomba, inerte e silenzioso. Incapace di vedere ciò che il respiro può donarti. Incapace di ascoltare i pianti dei propri cari. Incapace di afferrare anche la minima parola, una folata d'aria, il profumo dell'erba e della scura terra che gli faceva da letto. Non percepire. Non percepire se non le belle cose almeno quelle brutte, pensava John. Emozionarsi. Ma no, quel magro corpo giaceva muto, gonfio e soffocato sotto la terra, sotto il cielo, sotto le vite che ancora vive. E quest'immagine ristagnava nei pensieri di John, povero uomo o bambino senza sguardi.

Sherlock è appollaiato sulla poltrona e John sta preparando qualcosa da mangiare per la gita che li aspetta. Sherlock guarda nel vuoto, nessuno sguardo vuole su di sé e nessun pensiero dedicato alla sua immagine. Odia che le persone pensino al ciò che pensi, odia se le persone cercano di appropriarsi del suo sguardo e tentano di capire cosa cela dentro di lui. Lo odia perché capisce quando la gente sta cercando di guardargli attraverso, e l'ansia prende il sopravvento. E poi le domande, fastidiose e inutili domande. Lo fanno sentire peggio se non del tutto atterrito.
John si è appena fermato e lo sta osservando. Eccolo lo sguardo studioso, studioso ma ignorante allo stesso momento.
Nessuno era mai riuscito a seguire il filo dei pensieri di una persona bene come Sherlock, nessuno grazie a un battito di ciglia e un movimento di una mano era mai riuscito a far trapelare una storia completa di un pensiero muto.
-E' tutto okay Sherlock?-
L'amico non risponde e continua a guardare nel vuoto, ma cerca di nascondersi il viso.
-Sher.. Sherlock va tutto bene?- John si avvicina, e come risposta riceve un movimento brusco del suo compagno che si nasconde nell'ombra e nei suoi densi ricci. John preoccupato cerca di guardare il suo viso, lo cerca nella notte. La figura turbata si alza di scatto e a testa bassa raggiunge la sua camera.. chiusa e nascosta in un batter d'occhio. Il coinquilino, rimasto scioccato dal suo comportamento rimane immobile per qualche minuto vicino alla poltrona, cercando di convincersi che non avesse nulla.. che non stesse succedendo niente di preoccupante.
La cosa davvero inquietante era la quasi certezza che Sherlock aveva lasciato nel suo amico del fatto che stesse per scoppiare a piangere.. e non un pianto qualsiasi, ma un vero e proprio gemito di sgomento. Timore, terrore, orrore.. densi e pungenti. Sherlock aveva pianto in passato, ma nessun pianto era stato un pianto sincero. Niente aveva fatto piagnucolare il detective di pietra per motivi sentimentali. Non aveva mai provato il dolore puro, quello che nasce nel giorno più tranquillo e finisce nella fine più tagliente.

E' mattina presto, ma non così presto da sentirsi ancora in un sogno. Erano stati i sogni di John, invece, a volersi impossessare della sulla vita reale quella notte. Paranoia e pressione pulsavano nel buio. La paura per la vita di Sherlock, per la sua vita, per le loro vite. Cosa sta per accadere? Aria pesante soffia sui loro corpi.
Una luce pallida si attorciglia nel paesaggio. I verdi prati respirano timidi e ancora mezzi addormenti. Sherlock guida serio e impassibile. Se non muovesse le braccia il suo essere potrebbe venir paragonato a quello di una statua di pietra. John è ancora turbato dai sogni fastidiosi e dai pensieri preoccupanti dunque rimane zitto nel suo oceano di ipotesi. Il viaggio non vuole prendere sfumature più entusiasmanti durante le due ore che li dividono da Seaford.
John detesta come il suo amico riesca ad essere così esplicito ma dannatamente abile nel nascondere le motivazioni del suo strano comportamento. Perché andare in gita alle Seven Sisters? Perché una cena senza motivi di lavoro? Perché questa reazione? Non erano mai rientrati tutti questi fattori accumulati nel carattere di Sherlock. E non si possono prendere alla leggera se l'uomo di cui parliamo è un sociopatico, detective detestato da ogni genere di criminale.

L'aria è piena di mare. Il vento sembra quasi pesante e cremoso. Il freddo pungente si spinge sui loro corpi come uno stormo di aquile all'attacco, il cielo è plumbeo e vivacizzato dal verde lucente del prato che pare appartenere ad un'altra realtà. I colori miti si alternano e lo spumeggiare dal mare canta melodie nivee. Le scogliere limpide controllano il mare con la loro rigida possanza. La vita vuole quasi confondersi con ciò che respira intorno ai loro corpi, sogno ad occhi aperti. Il paesaggio è quasi una realtà trasparente. Ciò che sono e ciò che sentono vuole scomparire silenzioso, nel vento, nel vento pieno di mare. Il mare è in cielo e la loro esistenza precipita.
Sherlock guarda il mare da lontano. Il suo sguardo non lascia trapelare molte emozioni o immagini che si stanno proiettando nella sua affollata mente, ma è proprio quest'ultima che ora -più che in ogni altro istante- sembra silenziosamente libera da ogni riflessione.

I due sono distesi sulla spiaggia, i ciottoli grigi spingono sotto i loro corpi. Il rumore delle onde ha riempito le loro orecchie e si è infiltrato fino a dentro i loro pensieri. John è disteso e tiene gli occhi chiusi, si vuole godere quei momenti di pura tranquillità che poche volte la vita insieme a Sherlock ha potuto regalargli. Non che la vita movimentata lo infastidisse, ma il riposo e l'assenza di preoccupazioni sono cose che un uomo accoglie sempre a braccia aperte. Il respiro ha preso il ritmo delle lancette dell'orologio, vuole essere più vivo quest'istante. Soffi dopo soffi, pensieri dopo pensieri, è infatti il tempo sperduto tra le onde. Saranno passati secondi, minuti, ore, giorni? Il silenzio ha saziato le menti dei due amici, che muti hanno trascorso le ultime 3 ore.

Il freddo è pungente, sono seduti su due asciugamani colorati e John è avvolto in un panno che lo protegge dai coltelli affilati del vento. La linea del mare parla ai loro sguardi perduti.
-John vai a prendere un panno anche a me?- Chiede Sherlock senza vergogna e senza staccare il suo sguardo dall'orizzonte. L'altro risponde con una smorfia, ma non vuole dire niente -spera che dopo poco si dimentichi del freddo e di conseguenza dell'ordine appena dato-. La macchina è abbastanza lontana e l'ambiente pacifico li ha come legati con catene alle sue bellezze. Se bellezza possiamo chiamare anche le grida e i lamenti dei candidi gabbiani.. oh sì! nemmeno loro stonano con l'armonia del mare che è nell'acqua e che è nel vento. -John?- Proprio quando John stava per immergeresi nuovamente nel paesaggio tacito ecco Sherlock, che con una parola rompe tutto in mille pezzi. -Sì,sì.. va bene, va bene- Si rassegna il dottore con voce annoiata. Pensa che magari, dopo tutto quell'ozio, un po' di passi possano fare solo bene. Appoggia la mano a terra per racimolare un po' di forza per alzarsi e volge lo sguardo verso il suo amico silenzioso. Sherlock lo sta guardando a sua volta, con occhi diversi dal solito. C'è qualcosa nella sua occhiata che luccica di diversa luce e brilla di diverso bagliore ora.
Ed è quell'istante, se istante è la sua vera durata nella realtà delle memorie, in cui l'uomo non è più un corpo con un'anima, ma un'anima col corpo. E' quello l'istante smisurato in cui Sherlock Holmes ha mostrato al suo unico amico quanto uno sguardo possa contenere il respiro dell'immenso e del cielo la profondità. E' il pesante sguardo al suo coinquilino che ha detto un grazie per il panno, ma se quest'ultimo di sola brezza fosse fatto, non avrebbe sussurrato un sincero grazie che valeva lo spessore d'un'intera vita. John spaesato dagli occhi del suo amico resta un momento in più a fissarlo, quasi ogni cosa è sparita davanti a quello sguardo rivelatore. Non si sa se di stupore o inquietudine si sia colmata l'anima di quest'ultimo. Continua a fissare ciò che pochi secondi fa era il suo migliore amico, e ora con quegli occhi muti si vuole ricoprire di dolce malinconia, come se stesse bisbigliando un lieve addio.

John è finalmente in piedi, e per distrarsi velocemente da quella visione comincia a camminare a lunghi passi, veloci e sbrigativi. Sherlock senza voce, udito e percezione continua a vivere dell'immagine del suo unico amiche che si allontana verso la macchina.
Come una sagoma opaca lo vede rimpicciolirsi sulla spiaggia. Non vuole che una sagoma nella sua mente ormai libera, vuota da ogni conoscenza, ragionamento, idea, pensiero, riflessione, operazione.. mai nella sua vita la sua mente era stata così spaziosa. Solo di quella sagoma vuole colmarsi, la sagoma più nera tra tutte le ombre, più semplice tra tutte le semplicità, colei che vive, vive ancora come se l'unico problema fosse il panno da prendere. La sagoma più scura tra le oscurità che respira ancora all'unisono con l'uomo a lui più vicino.. pronta a perdere se stessa per gli altri, ma non gli altri per se stessa.

La macchina non è in disordine, John trova immediatamente la borsa di Sherlock dove, la notte prima, aveva riposto il panno. Apre la cerniera e con palese stupore sgrana gli occhi nel vedere un foglio di carta piegato una volta su se stesso, appoggiato sul panno rosso. Leggi, c'è scritto in modo frettoloso sul dorso. Senza farsi troppi problemi, John, lo afferra - soprattutto perché la calligrafia non può essere altro che quella di Sherlock- e lo apre velocemente. E' scritto a mo' di schema, per niente curato e con cancellature e sbavature. Le sbavature sono dovute a piccole gocce cadute sull'inchiostro della penna, sono concentrate precisamente nell'ultima parte del foglio, tra la parola Dimenticarmi e Grazie:


"Ci sono tre cose che ti chiedo John, tre regole che dovrai seguire:
la prima è di non cercarmi, non cercarmi a nessun costo. Sara' tempo perso.
La seconda -che ritengo la più importante delle tre-: non seguirmi quando capirai che non c'è modo di trovarmi. Non cercare di raggiungermi, non lo fare.. questa volta è tutta realtà, non c'è finzione.
La terza: Non dimenticarmi


Grazie"


John stringe il foglio tra le mani e s'aggrappa a ogni sua speranza, mentre tutte le paure e le verità cominciano a pestargli le dita sull'orlo del precipizio. Ed è forse la corsa più rapida e veloce che lo accompagna indietro alla spiaggia da Sherlock. La speranza più luminosa grida dentro di lui perché lo trovi ancora lì, infreddolito da vento, con la vita dentro agli occhi e il respiro ancora caldo. Stringe ancora la carta tra le dita, ormai impressa di orrore. Foglio che di un uomo contiene lo spessore e d'un'anima il terrore. Le lacrime negli occhi del soldato impaurito sono ghiacciate dal vento che trasporta il mare. Ogni passo verso Sherlock è come una caduta nel pozzo senza tonfo. Ogni speranza, anch'ella giù nel pozzo d'oscurità.

E' un brivido, un brivido in gola e nelle mani e nel petto quel posto vuoto.
L'asciugamano senza Sherlock e le speranze senza vita.
Vola l'asciugamano, senza sostegno e senza peso ha accarezzato il vento e ora parte solo, verso l'orizzonte silenzioso. John, la sua vita, quasi come un pezzo di stoffa prende il volo, sola e senza supporto.
Un'energia che vive da se manda avanti John, che senza quest'ultima sarebbe caduto nel pozzo senza bordi.

Un profilo nero, ombra sopra all'ombra, è chinato nell'acqua a pochi metri dalla riva. L'essere chinato è magro, un fantasma piangente può sembrare visto dagli occhi colmi di lacrime. La forma si alza di scatto quando John è ormai vicino. E' un uomo biondo, dagli occhi vuoti e incorniciati da un rosso pulsante. Le lacrime anche nel suo sguardo, ma lacrime comuni solo nella sostanza, poiché la follia e l'esasperazione vivono nitide in quelle pupille d'acciaio.
-Allontanati!- un grido apre l'aria e il silenzio.
-Allontanati o sparo!- Una nota di disperazione accompagna queste dure parole capaci quasi di tagliare il vento. John rallenta velocemente e alza le mani, non potendosi così asciugare le lacrime pesanti e fastidiose che gli avevano ricoperto il viso.
-Stai lontano…- sussurra lo straniero mentre impugna una pesante pistola e rimane mezzo chinato sull'acqua.
John scuote la testa lentamente e compie piccoli passi per riuscire ad allacciare lo sguardo laddove il disperato respira a fatica per l'ansietà.
Quell'anima è turbata, sola e china… pentita o impaurita? non che le sue emozioni si possano definire con precisione, poiché è chiaramente visibile che la ragione e il pensiero sono ormai spariti dalla sua persona parecchio tempo addietro.
-Stai lì, stai lì e io me ne andrò- ha aggiunto bisbigliando e con la testa rivolta verso le spumeggianti onde.
John immobile, le braccia immobili e le gambe immobili. Solo un lieve tremolio si può percepire sulle sue dita. Il rosso dei loro occhi ormai iniettati di dolore pare l'unico colore acceso in quella distesa di grigi opachi.
Una risata lunga e soffocata che pare partire da un lontano sogno e ricadere negli inferi infuocati comincia il suo breve viaggio dalle labbra sottili dello sconosciuto.
Ride, una, due, tre volte… sempre più forte. Si asciuga le lacrime -E comunque.. comunque fossi in te non mi avvicinerei- sorride con piacere e con un brivido di insania -Sai, l'ha fatto per te lui.. lui l'ha fatto per te!- conclude urlando con orrore e trasformando il suo viso in una serietà terrificante.
-L'ha fatto per te, l'ha fatto per te…- continua a ripetere a bassa voce e fissando il fondo del mare.
-Io qualcuno dovevo farlo fuori, o te o Sherlock, io dovevo… Jim è andato, Jim è morto! Totalmente, an-da-to! e guarda te se per colpa di questo stupido detective mi sono dovuto fare 7 anni in prigione! Sherlock mi ha cercato, sai? mentre tu stavi a piangere nel tuo appartamento. Mi ha trovato.. mi ha trovato! e allora io sono stato costretto a vivere solo, nella sofferenza.. solo perché avevo cercato di ucciderti! Quel maledetto giorno dovevo spararti e Jim doveva sopravvivere. E invece questo stupido ha rovinato tutto! tutto..- Urla di nuovo, e quest'urlo non è meno fastidioso del primo.
-E poi dicono che sono matto.. eh sì,sono andato! Anche io, proprio come Jim. Andato.- Si ferma per qualche minuto, fissando sempre il mare.
-Vendetta, vendetta è ciò che volevo e che ho ottenuto.. per me, per Jim, per tutto quello che ho passato!- sembra parlare con un'altra persona a parte che con John. Con quest'ultima frase torna a piangere, rompendosi le parole coi singhiozzi. Un uomo devastato.
-Mi chiamo Sebastian Moran.. e sono l'uomo che ha ucciso Sherlock Holmes!- recita come se si trovasse sul palco di un teatro, con un po' di timido divertimento.
Sebastian Moran.. John aveva già sentito quel nome, non troppe volte ma ha un lieve ricordo di quell'identità.
Come un lampo gli torna in mente l'immagine della lettera arrivata a casa loro il giorno prima. Era lui. L'orrore era partito da quella maledetta lettera.
-Annientato, sparito! per sempre.. niente prese in giro questa volta eh? Sherlock? eheheh- continua a parlare Sebastian .
-Piacere di averti conosciuto John, ora -se vuoi- puoi arrestarmi, cercarmi, uccidermi.. ti lascio la scelta! ora che la mia vendetta è stata fatta la mia vita è pronta a sparire. Ho finito! Jim era il mio sostegno e…- altri singhiozzi lo strozzano -lascia perdere- Sussurra muovendo nervosamente una mano e con odio amaro.
-Addio John Watson.. Ti lascio qui, col tuo amico Sherlock. Nel luogo in cui lui ha deciso di morire, e con la morte che si è assegnato. Addio soldatino, spero tu possa soffrire a lungo come ho fatto io, senza più ritorni e persone resuscitate. eh- Con andamento instabile si allontana, esce dall'acqua e come un brutto sogno sparisce velocemente dagli occhi della realtà, ma rimane nitido nei pensieri.


John aveva ascoltato a fatica il discorso dello sconosciuto, o ora chiamato Sebastian Moran, l'uomo della lettera. Ma non solo della lettera perché un pensiero prende vita nella mente di John: "Lui era il cecchino", il cecchino che mi teneva d'occhio mentre parlavo con Sherlock al cellulare. Ma quest'ultima meditazione perde la sua concretezza appena l'uomo riesce a compiere finalmente un piccolo passo, quasi impercettibile.
Qualcosa giace inerte sotto le basse onde, come un oggetto quel qualcosa segue i movimenti del mare.
John si avvicina correndo, stringe ancora la carta tra le dita. Il suo cuore ha cessato di battere e la sua mente non riesce a concentrarsi. La realtà davanti a lui e sotto i suoi piedi sembra essere proiettata sul telone del cinema, vista da fuori e solo udita.. non percepita e toccata con le proprie mani.

Sherlock è immobile nell'acqua. Il suo corpo galleggia come quello di un bambino che gioca tra le onde, ma i suoi vestiti pesanti e scuri delineano l'anormalità della visione statica. Il suo viso ha preso il colore della sabbia e delle nuvole, ma è vivacizzato dal lieve rossore che vive ancora pallido sulle sue labbra che si stanno pian piano spegnendo. I suoi polmoni sono gonfi di acqua marina. Le lunghe dita galleggiano e sollevano la pesantezza delle intere braccia, che ora lievitano tra il terreno e sono abbracciate dal mare. La punta delle dita e il viso bloccato emergono e sono esposti al vento freddo. Se solo quelle orecchie potessero ancora udire, potrebbero ascoltare la pace che vive dentro agli abissi. Una pace che respira nell'acqua ma sembra nata da un sogno ad occhi aperti.

John è immerso nel mare congelato, ma il suo corpo ormai distaccato da ogni senso si avvinghia a ciò che rimane del suo amico. Lo prende sulle ginocchia, porta la testa inanimata vicino alla sua, e con la mano libera stringe quella di Sherlock. Il contatto con quel corpo appesantito dalla morte è come una coperta sulla sua anima. Lo stringe forte, ancora più forte e più forte ancora.. come se il calore suo umano potesse trasferirsi da pelle a pelle e potesse riconsegnare il respiro all'amico. Non aveva mai avuto molto contatto fisico con Sherlock, ma il calore delle sue mani e il su e giù del suo petto ora urlano nel silenzio e cercano di riaprire i loro occhi. Ma niente e nessuno potrà mai risollevare quelle palpebre. Le lacrime di John cadono sui capelli ancora pieni di vita del cadavere, e scivolano fino a dentro il mare. Nonostante entrambi i liquidi siano fatti d'acqua e sale, il pianto di John si sa distinguere in densità e amarezza. Appoggia le labbra sulla testa di Sherlock e accenna qualche piccolo bacio, come una mamma al suo amato figlio. Piccoli baci come per consolarlo dopo una disgrazia, per farlo risollevare dall'oscurità e riprendere tutto come sempre. John vuole risvegliarlo, o forse non si è ancora capacitato che non si rialzerà mai. Questa volta non si tratta di un corpo finto, o di una finta morte. Vuole sentirlo vicino, come prima. Continua a stringergli la mano, ogni dito in ogni spazio e tutta la forza per tentare di sentirla viva.
-Non ancora.. non ancora Sherlock.. non un'altra volta- sussurra con il pianto in gola -non ancora..-. I singhiozzi ora si fanno sentire più nitidi e il suo dolore è quasi tangibile.
Ma il peso del suo amico sul suo corpo fa tornare nella sua mente ciò che Sebastian gli aveva detto : lui l'ha fatto per te. Quella frase è ora scritta ovunque. Stringe ancora più forte a sé il corpo del suo amico, e avvicina il suo viso alle guance pallide. -grazie, grazie..- alza la voce, come per fargli arrivare il messaggio più diretto. -Grazie Sherlock-. E mentre pronuncia queste brevi parole qualcosa di estremamente rovente e confortante prende vita dentro di lui. -Grazie- continua a sussurrare, mentre gli occhi del defunto guardano in giù, senza ombra di emozione. John si sente più forte, non abbastanza per lasciare il suo corpo, ma una pace silenziosa comincia a vivere nel suo animo. Come può una persona biasimare colui che ha scelto la morte al suo posto?
Questa forza si apre dentro lui, uno squarcio luminoso rilascia quiete e riconoscenza nei suoi pensieri. Come se l'anima di Sherlock avesse riaperto gli occhi nella vita della sua anima gemella.

C'è ancora silenzio in mare, nel vento, nelle onde. Due sagome che da lontano sembrano una sola sono abbracciate in mare.. il vento freddo sopra loro, e la calma viva nei loro animi.
Un uomo ha vissuto l'amicizia fino al suo ultimo respiro, e l'altro -con il lieve fiato che gli è rimasto- confessa tra le onde:

Non ti dimenticherò








Questa mano viva, che adesso è calda e capace
(this living hand, now warm and capable)

Questa mano viva, che adesso è calda e capace
di stringere forte, potrebbe, se si trovasse fredda,
e nel ghiacciato silenzio di una tomba,
turbare i tuoi giorni e gelare le notti, colme di sogni,
sino a farti desiderare di donarmi il tuo sangue,
così da far scorrere nuovamente la vita nelle mie vene:
mi chiedo se allora avrebbe pace la tua coscienza -
Comunque guardala adesso, questa mano è tesa verso di te.


— J. Keats

  
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