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Autore: Hacy    24/06/2012    1 recensioni
Quando aprì il secondo spalancò occhi e bocca contentissima. «La mia moleskine!» aveva urlato, skine, skine, ine.. aveva ripetuto l’eco della stanza ormai vuota. Si guardò attorno ascoltandolo attentamente e aprì l’agendina. In un primo momento si trattenne a sfogliare le pagine bianche ma poi prese la penna e sulla prima pagina scrisse “echo”. Sorrise e la chiuse per poi dirigersi fuori.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Echo.

«Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
but it's never enough.»

Aveva sempre amato viaggiare, andare in giro per il mondo da bambina era il suo sogno più grande e si era sempre detta che un giorno sola o accompagnata sarebbe partita per chissà dove. Diceva che questa era una delle cose che voleva fare prima di morire. Nella lista di cose da fare prima di morire c’erano così tanti punti da non poterli ricordare neanche tutti in una volta sola, ogni tanto gliene veniva in mente uno ma non aveva mai pensato a fare una vera e propria lista.
Quando suo padre tornò da uno dei suoi innumerevoli viaggi per lavoro le portò una moleskine completamente nera. «Magari adesso potrai annotare i tuoi sogni», le aveva detto. L’aveva guardata con curiosità, aperta e chiusa innumerevoli volte ma non ci aveva mai effettivamente scritto nulla. Ogni volta che la vedeva lì, sul comodino si fermava qualche momento a guardarla e poi non ci pensava più. Quell’agendina passò si e no due mesi chiusa e completamente bianca su un mobile qualsiasi della sua camera o passata da una borsa all’altra. Le piaceva tantissimo portarsela in giro, pensava che prima o poi l’avrebbe aperta e ci avrebbe scritto su qualcosa e, nonostante non se ne dimenticasse mai e la prendesse sempre in mano non le veniva mai niente e la riponeva ordinata come l’aveva presa. Tutti i suoi amici le chiedevano di farli leggere qualcosa ma lei rispondeva sempre che non le andava, che erano fatti che riguardavano solo lei, cose importanti e segrete: si sentiva stupida anche a dire che non ci aveva mai scritto nulla.
Una sera era al parco. Sola, senza nulla da fare ma comunque tranquilla. Si guardava attorno silenziosa ed ascoltava il rumore della città che la circondava, guardava le luci che illuminavano le strade e i fari delle auto che facevano luce sulle siepi che aveva tutt’attorno. Tra i mille pensieri ricevette una telefonata che le cambiò drasticamente la vita.
Si alzò in piedi e iniziò a correre, il più velocemente possibile verso quella casa che l’aveva vista crescere, da quei genitori che le avevano dato forza per diciassette lunghi anni. Il fumo si vedeva in lontananza e iniziò a sentire il cattivo odore un paio di strade più in là. I rumori erano assordanti, le voci confuse e le fiamme talmente alte e calde che iniziò a sudare come in una giornata rovente d’estate. Vedeva le finestre cadere in pezzi, le tegole del tetto schiantarsi a terra e le assi della veranda piegarsi su se stesse. Le si avvicinò un uomo in uniforme da vigile del fuoco che le chiese se lei fosse la figlia dei Carter. Rimase immobile, non rispose e di conseguenza l’uomo annuì e mettendo un braccio attorno le sue spalle la condusse ad uno dei loro grandi furgoni facendola sedere. Le fece tantissime domande a cui lei non rispose se non con un cenno della testa. Non riusciva neanche a piangere e pensò che tutta l’acqua che aveva in corpo la stava sudando.
I lunghi capelli neri erano schiacciati sul viso e sul collo e i grandi occhi verdi erano persi nel vuoto. L’uomo le consigliò di entrare nel furgone e dormire per evitarle il peggio. Dopo aver alzato lo sguardo per la prima volta annuì e facendosi aiutare entrò dentro e si rannicchiò in un angolo chiudendo gli occhi, pensando a momenti felici, cercando con tutte le sue forze di non sentire il baccano che facevano fuori, di non vedere l’ombra delle fiamme che tingevano di rosso i finestrini del grande camion.
Quando aprirono le portelle il sole splendeva e un venticello fresco le accarezzava il volto. «Belle?» l’aveva chiamata l’uomo della sera prima. Lei aveva aperto gli occhi e aiutata era scesa dal camion posando i piedi sull’asfalto che le sembrò un po instabile. Guardandosi attorno era rimasta sconvolta. Più di un centinaio di persone la fissavano piangendo, con gli occhi lucidi oppure solo commosse. Fece qualche passo avanti e si voltò verso casa sua o meglio, quello che rimaneva di casa sua.
A quel punto nessuno le impedì di iniziare a piangere, niente sudore, niente shock. Iniziò a correre verso la sagoma grigiastra della quale non riusciva a vedere i contorni dati gli occhi appannati dalle lacrime. La veranda era completamente distrutta e solo con un po di attenzione riuscì a riconoscere uno stralcio della stoffa usata per rivestire i divanetti che avevano sistemato suo padre col nonno tantissimi anni prima. Le peonie che sua mamma aveva coltivato con tanta cura erano sparite lasciando posto ad un mucchietto di cenere. L’acchiappasogni che aveva fatto quando aveva sei anni era a terra con le piume bruciacchiate mentre lo zerbino verde di erba finta non lo riusciva neanche più a riconoscere. Facendo attenzione scavalcò quell’ammasso di macerie ed entrò in casa, tra quelle mura bianche che una volta erano decorate con la carta da parati panna, quella che avevano scelto con la madre. Si guardò attorno e iniziò a raccogliere oggettini che trovava qua e là: un pezzo di una delle cornici appoggiate sul tavolino di legno che al momento vedeva come un ammasso scuro ed accartocciato, la manina dell’angioletto che avevano usato alla sua prima comunione come bomboniera e altre piccole cose un po bruciacchiate ma ai suoi occhi ancora più belle e preziose. Andando in giro per le stanze si accorse che alcune erano mezze vuote, forse perché i vigili del fuoco avevano portato via le cose pericolose o semplicemente bruciate perché ormai da buttare. Nella sua stanza erano rimasti soltanto la sedia girevole e il comodino di pietra che avevano comprato ad una fiera dell’usato. Se ne era innamorata subito e aveva pregato i suoi genitori così tanto che alla fine glielo avevano comprato. Avvicinandosi si rese conto che era illeso e facendo attenzione aprì uno dei tre cassetti. Tutto era come lo aveva lasciato e un grande sorriso si fece spazio tra le guancie bagnate. Iniziò a rovistare ritrovando cose preziose che non avrebbe mai voluto perdere. Quando aprì il secondo spalancò occhi e bocca contentissima. «La mia moleskine!» aveva urlato, skine, skine, ine.. aveva ripetuto l’eco della stanza ormai vuota. Si guardò attorno ascoltandolo attentamente e aprì l’agendina. In un primo momento si trattenne a sfogliare le pagine bianche ma poi prese la penna e sulla prima pagina scrisse “echo”. Sorrise e la chiuse per poi dirigersi fuori. Erano ancora tutti lì che la guardavano dispiaciuti e immersi nelle lacrime. «Vieni, ti portiamo da..» «Sono sola. I miei erano figli unici, i miei nonni non ci sono più. Sono sola.» lo interruppe calma. Una qualità che la contraddistingueva dall’ammasso di ragazzine della sua età era il saper nascondere le emozioni perfettamente. Quando finì di parlare l’uomo la guardò stupito e poi cercò lo sguardo di un suo collega col quale si scambiarono due parole velocemente. «Ti portiamo alla centrale allora.» le disse l’altro venendo vicino a lei con un sorriso amabile e tranquillizzante. Questo era molto giovane, sarà stato cinque o sei anni più grande di lei. Annuì e si voltò di nuovo verso casa sua. «Dovunque andrò, voglio che il mio comodino venga con me sempre.» disse dolcemente e entrambi gli uomini andarono verso la casa dalla quale uscirono un paio di minuti dopo con il comodino in pietra  grigia che caricarono sul camion. Quello dopotutto era l’unico ricordo intatto di casa sua, della sua vecchia vita. Ringraziò di cuore i due che dopo averla aiutata a salire si diressero verso le portelle del posto di guida. Quando queste si riaprirono il paesaggio era cambiato davvero tanto. Al posto di alberelli e aiuole c’erano alti cancelli di ferro con filo spinato e un grande cortile senza alcun tipo di vita. Le mattonelle tutte ugualmente grigie mettevano tristezza. Rimase quasi tutto il giorno seduta su una sedia dell’ufficio di Sam, il ragazzo giovane che le aveva annunciato la sua sorte per il resto della giornata. Quando entrò le sorrise e le si avvicinò cauto. «Sinceramente non sappiamo ancora dove poterti mandare a stare ma stiamo facendo il possibile per contattare qualsiasi tipo di istituto. Fino a quel momento non potrai certo stare seduta qui quindi se non ti dispiace vieni con me.» le disse sorridendogli ancora. Era così dolce e gentile, le ricordava molto una figura fraterna, quella che aveva sempre desiderato. Si alzò timidamente e lo seguì fino fuori lo stabilimento. Lì la aspettavano l’uomo di quella mattina ed una signora che apparentemente sarebbe sembrata sua moglie. Le sorrisero entrambi. «Vorresti venire a stare da noi per un po?» chiese la donna. Lei annuì anche se con sguardo interrogativo. «Sono i miei genitori.» le spiegò Sam. Annuì di nuovo e si lasciò guidare in macchina e poi a casa delle belle persone che avevano accettato di tenerla con loro. La sistemarono nella stanza degli ospiti e le fecero trovare tutte le comodità ma nonostante tutto si sentiva tremendamente sola e infelice.
Ogni tanto sentiva nelle orecchie le ultime parole che sua mamma le aveva detto al telefono e poi vedeva davanti a se momenti belli e indimenticabili passati con le uniche due persone che l’avevano sempre sostenuta, che erano stati i suoi unici amici e confidenti. Doveva tutto a due persone che non avrebbe mai potuto ripagare come avrebbe voluto.

 

«Hello, hello
anybody out there?
'cause I don't hear a sound
alone, alone

I don't really know where the world is but I miss it now
.
»
 

Fine.

Ok, One-Shot alquanto random su fatti molto random con tema la canzone più bella del mondo.
Echo di Jason Walker attualmente per me è la canzone più bella del mondo, si v.v Me ne sono innamorata follemente come Belle si era innamorata del comodino di pietra (piangiamo tutti insieme).
Spero vivamente che vi sia piaciuta e che non vi sia sembrata una demenziale storia idiota, di quelle che si trovano dappertutto. Siate buoni, vi prego.
Detto questo vi saluto e vi ringrazio per averla solo letta:3
Bacioni, Frah♥

  
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