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Autore: Medea00    25/06/2012    5 recensioni
Perchè avere la febbre in presenza di Sherlock Holmes può essere un serio problema.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sintomi

Perchè avere la febbre in presenza di Sherlock Holmes può essere un serio problema.
 




 
Quando John rientrò in casa con in mano una grande busta e un sacchetto di carta stretto al petto, Mrs Hudson si presentò subito davanti a lui, aiutandolo a sistemare la spesa nella sua credenza.
Parlarono del tempo, di come Londra fosse incantevole nonostante la pioggia incessante, e la donna ne approfittò per rabbonirlo sul suo cappotto bagnato e su come dovesse stare molto più attento alla sua salute, magari, decidendosi ad usare un ombrello. John, con molta gentilezza, le sorrise, ma questo lasciò intendere che non avrebbe cambiato le sue abitudini.
Salì le scale con lentezza, la sua gamba ogni tanto tornava a fargli male nonostante sapesse benissimo che era un problema vecchio e risolto; aprì la porta, non stupendosi affatto di trovare Sherlock già pronto a salutarlo, con la mano tesa a mezz’aria e il violino scordato nell’altra.
“Sei in ritardo di tredici minuti.”
“Ho preferito fare le cose con calma”, ribattè lui. Abbdonò il cappotto sulla sedia e aprì il frigo, alla ricerca di qualcosa di commestibile tra barattoli di ossa e cervelli; aveva quasi deciso di buttare la spugna e ordinare cinese fino a quando non scorse mezzo litro di latte non ancora andato a male. Afferrò la sua tazza, mise su il tè nel bollitore e si preparò un paio di biscotti, precedentemente conservati nella biscottiera che gli aveva regalato Molly. Aspettando pazientemente davanti ai fornelli, si massaggiò leggermente la tempia, un gesto tipico, lo faceva ogni volta si sentisse particolarmente stanco o stressato; forse, avrebbe aggiunto un cucchiaino extra di miele.
“Sei passato per Gloucester Road - La voce di Sherlock, alle sue spalle, giunse fredda e risoluta, ma anche con un pizzico di curiosità – Hai allungato la strada volontariamente, invece di prendere un taxi fino a Marylebone Road.”
John trattenne a stento un sospiro: poteva immaginarsi benissimo il suo coinquilino in posizione recumbente sul divano che diceva quelle cose, accarezzandosi il mento con l’archetto del violino.
“Sì, è così.”
Ovviamente, quella risposta esaustiva non soddisfò la sete di sapere dell’uomo.
“Il tuo cappotto è umido ma non bagnato, delle zone interne come gomito, fianchi e manica sono perfettamente asciutte. Hai camminato sotto al cornicione degli edifici per non bagnarti del tutto.”
“Esatto, Sherlock.”
Si mise a sedere di fronte a lui con il tè in mano, aprendo il computer e cercando di ignorare quell’assurdo giochino che gli capitava ogni benedetta sera. Il punto, è che non riusciva proprio a capire dove volesse arrivare: poteva benissimo capirle da solo quelle cose, invece ogni volta doveva annunciarle ad alta voce, come se fossero soggetti di chissà quale importante mistero. Come se lui fosse un mistero degno di nota.
Nonostante tutti gli sforzi di rimanere concentrato e aggiornare il suo blog, sentiva gli occhi vitrei e limpidi di Sherlock fissi su di lui, come se riuscissero ad attraversarlo. E rimaneva così delle ore, fermo, ad osservarlo; John non era riuscito ancora a decidersi se fosse più inquietante o imbarazzante.
Poi, dopo un tempo incalcolabile, con una voce più vellutata e perfino un po’ sorpresa, lo sentì affermare: “Hai la febbre.”
Alzò la testa di scatto, esitando per un secondo: “Che stai dicendo?”
Eppure, ogni microespressione presente sul volto dell’uomo sembrava tradurre esattamente quanto appena sentito.
“Spostandoti dalla cucina al divano hai trascinato la gamba, segno evidente che ti provocasse un dolore, ma non troppo forte da costringerti a usare il bastone; hai lasciato il cappotto sulla sedia, non avevi voglia di piegarlo perfettamente o eri troppo occupato a cercare di farti passare il mal di testa che hai da... quasi mezz’ora.” Aggiunse un attimo dopo, analizzando chissà quale dettaglio presente sul suo viso. “Hai preso la strada secondaria per approfittare del cornicione spesso e delle insegne dei negozi più fitti. Quindi, dolori muscolari, stanchezza, viso pallido, mal di testa e prevenzione dalla pioggia per evitare una probabile ricaduta. Hai la febbre.”
John rimase a fissarlo in silenzio, la sua faccia non accennò a nessun tipo di reazione, o smorfia; fino a quando, con la maggiore calma possibile, commentò: “Non ho la febbre.”
“Sì invece.”
Sospirò: certe volte quella estrema fiducia in se stesso era piuttosto irritante.
“No Sherlock, non ho la febbre, la sentirei se ce l’avessi.”
“Potrebbe essere un principio di influenza, o un virus che ti colpirà questa notte; potresti avere una temperatura corporea leggermente più alta, così da non riconoscere la differenza.”
“So benissimo riconoscere quando ho la febbre o meno – protestò lui – e quei sintomi di cui hai parlato non vogliono dire niente, possono averli chiunque abbia una giornata lavorativa piuttosto stancante.”
“Ma tu non l’hai avuta”, replicò Sherlock; era vero: aveva passato la mattina a fare una passeggiata intorno al parco, e il pomeriggio era andato a fare la spesa per Mrs Hudson. Colpito, si limitò a sviare gli occhi verso il tè, che ormai stava diventando freddo.
Fu solo quando lo vide alzarsi in piedi e dirigersi verso di lui che ebbe di nuovo la forza per parlare.
“Sherlock, davvero, non c’è bisogno che tu mi faccia una diagnosi ogni qual volta rientro a casa, inizia ad essere stancante, e poi se devi proprio impiegare il tuo tempo puoi aiutare Mrs Hudson a-“
Le labbra dell’uomo si posarono sulla sua fronte, immobilizzandosi per un istante. Erano fredde; le sentì indugiare sulla sua pelle, riuscendo a captarne la morbidezza, assieme al profumo intenso e sensuale della colonia applicata sul suo collo, tutto ciò che riusciva a vedere.
La sua gola non riusciva più a far passare l’aria dai polmoni, costringendolo ad una sorta di fastidiosa apnea.
Quando si staccò, Sherlock si voltò quasi immediatamente, non lasciando all’altro il tempo di poter osservare il suo viso.
“Trentasette e sette.”
Ci mise qualche secondo di troppo a capire di cosa stesse parlando, visto che era troppo impegnato a far decelerare i battiti del suo cuore; non disse nulla: adesso si sentiva la testa girare freneticamente, e il viso bruciare come se fosse stato immerso in una pentola di carboni ardenti.
Sherlock tornò soltanto qualche minuto dopo, munito di cappotto, ombrello e una scatola di aspirine in mano. Avvicinandosi alla porta di casa, la lanciò verso il divano e rivolse a John una rapida occhiata, prima di uscire e lasciarlo da solo con il suo malore.
“Comunque è strano – commentò lui – guardandoti, avrei detto trentasette e due.”
Quando il suono della porta chiusa riecheggiò in tutta la stanza, John esitò qualche altro secondo prima di sprofondare sul divano, passandosi una mano sul viso in fiamme. Forse aveva davvero trentasette e due, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di dire a Sherlock che, probabilmente, la temperatura del suo corpo era aumentata istantaneamente al contatto con le sue labbra.
 

 
 






*** Angolo di Fra: OS Johnlock (Sherlock della BBC). Mi sono ispirata a questo contest, con il tema bacio e originalità, e boh, è uscita questa cosa. Però mi piace!
   
 
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