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Autore: Phoenixstein    25/06/2012    6 recensioni
[1x12 Jack/Jack]
Lui non mi appartiene, è vero, ma fin dal primo istante in cui ha posato lo sguardo su di me, io ho sentito di appartenere a lui.
Aveva negli occhi il cielo d’autunno, quel tipo di cielo placido e bello nel suo chiarore, vagamente malinconico e probabilmente capace di grandi tempeste.
Aveva le spalle da soldato, un odore buono sulla camicia, il petto solcato da bretelle chiare. Lo ricorderò sempre nella sua perfezione…
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jack Harkness
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima ff che scrivo su “Torchwood”. Va a collocarsi alla fine della 1x12.

Lo ammetto: ho pianto come una bambina per la coppia Jack/Jack che, pur nascendo e morendo in una sola puntata, ha catturato la mia attenzione in maniera non indifferente.

Questi sono i possibili pensieri del “vero” capitano Jack Harkness, dopo l’addio.

 

 

 

 

 

 

Lui non mi appartiene, è vero, ma fin dal primo istante in cui ha posato lo sguardo su di me, io ho sentito di appartenere a lui.

 

Aveva negli occhi il cielo d’autunno, quel tipo di cielo placido e bello nel suo chiarore, vagamente malinconico e probabilmente capace di grandi tempeste.

 

Aveva le spalle da soldato, un odore buono sulla camicia, il petto solcato da bretelle chiare. Lo ricorderò sempre nella sua perfezione…

 

Aveva davvero l’aria di uno che non rimane, e questo mi ha dato fin da subito il tormento perché ad ogni parola e ad ogni sguardo capivo che il tempo passava e le mie possibilità di averlo -in qualsiasi modo- si facevano più sottili.

 

Aveva un fascino innaturale tutto avvolto alla sua persona; mi ha travolto senza che sembrasse sbagliato, illecito o… sporco.

 

Il paradiso, avrei rinunciato al paradiso se avessi potuto toccare lui, stringerlo, baciarlo a lungo e poi peccare insieme, sì, di lussuria, avviluppati da lenzuola gelide…

 

Non sapevo quasi nulla su di lui, ma parlava come un saggio, come uno che abbia visto trionfi e rovine, uomini grandi e uomini piccoli passare e morire.

 

Un velo di compassione gli leggevo sul volto, anche se non riesco a decifrarne il motivo.

 

Mi aveva invitato a cogliere l’attimo, ricordandomi la fragilità dell’esistenza, e allora l’ho fatto. Ho cercato la sua mano, mi andava di ballare. Senza riluttanza oso pensare che sia stata la migliore decisione presa in vita mia.

Mi guardava dall’altra parte della stanza, io ero appoggiato al muro col bicchiere in mano, a chiedermi se il gioco valesse la candela, se valesse mettermi a nudo con i miei sentimenti di fronte a una cerchia di gente che avrebbe giudicato. Non smetteva di fissarmi. Ebbro, non dell’alcool, ma di lui, ho deciso che sì, valeva eccome. Ho attraversato la stanza, ogni passo pareva infinito e suonava nella mia mente come un tuono.

La mia mano stava perfettamente nella sua, come se fosse il suo eterno e giusto posto. Al centro della pista lui ha corretto il mio tocco incerto, stringendomi a sé con delicatezza, come doveva essere. Finalmente riuscivo a sentire il calore del suo corpo, in una stretta fragile ma inebriante.

In quel momento ho sentito di non aver mai vissuto prima, di aver aspettato anni e anni per imparare ad afferrare a piene mani un desiderio.

Danzavamo lentamente, persi in noi. Tremavo accanto al suo viso, mentre sciami di parole mi si affollavano fra le labbra senza che riuscissero a vedere la luce.

Poteva finire un mondo là fuori, ma egoisticamente non mi sarebbe importato.

Quanto poco ci conoscevamo ma quanto vicini, davvero vicini, eravamo? In un modo intimo e ancestrale che non necessita spiegazioni.

Ho incrociato i suoi occhi brillanti, e speravo lui stesse leggendo nei miei quanto bramavo cogliere un bacio, anche uno solo, dalla sua bocca socchiusa.

E lui poi sembrava avermi letto, sì. Perché potevamo respirare l’uno sulle labbra dell’altro, perché quel bacio stava arrivando, era già mio…

…uno scoppio di luce. Non ho speso un solo istante del nostro tempo a domandarmi cosa fosse, ma ho capito subito, nel momento in cui lui si era fermato, che quella cosa avrebbe portato via il mio bel capitano.

Mille granate mi sono esplose nel cuore, mentre il suo labbro tremante s’allontanava dal mio.

“Devo andare. E’ il mio dovere…” mi ha sussurrato, e da soldato capivo, non potevo fare altro che annuire nonostante dentro di me stessi pensando che era maledettamente presto e che non poteva lasciarmi così, perché sarei morto senza conoscere la vera gioia, l’appagamento più intenso e pulito di un desiderio.

Pochi passi, uomo. Pochi davvero, e già il dolore mi faceva a brandelli la carne.

Avevo addosso la terribile e spiacevole sensazione di esser stato troppo vicino ad una ragione di vita che poi mi era stata brutalmente strappata via.

E poi il capitano si è fermato, è tornato indietro e ha colmato il mio vuoto. Un bacio per cui vivere o morire. E io stavo vivendo la fiaba di due principi azzurri che hanno ribaltato qualche noiosa regola, stavo vivendo il tremore alle gambe come neanche una ragazzina infatuata. Sapendo che sarebbe stato il nostro primo e ultimo bacio, l’ho assaporato con disperazione, con la tristezza che mi saliva in gola come un penoso veleno…

Era un po’ così: come prendere aria con i polmoni e provare a trattenerla finché è possibile, poi si deve lasciarla scappare e il petto rimane oppresso da un peso invisibile. Una tortura.

 

E adesso lui è andato via. Sparito in uno squarcio di luce, lasciandomi solo per seguire il suo dovere che immagino sia qualcosa di grande davvero.

Ad ogni modo, la sua assenza è tanto pesante quanto pesante è il suono delle bombe, o le urla di morte, la polvere da sparo delle battaglie, le notti in bianco con l’angoscia del domani, come questa.

Chi sa se mai tornerà…

Ne dubito.

…tuttavia potrò sempre vantare l’onore di aver conosciuto un angelo in tempo di guerra.

Un angelo molto bello.

 

Cerco di dormire, adesso, magari è nel sogno che potremo rincontrarci…

Addio, mio capitano, e grazie.










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