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Autore: biondich    25/06/2012    7 recensioni
"Ha cucinato del brodo, per cena, Mrs. Hudson?"
Può un inconveniente trasformarsi in un esperimento ancora più interessante?
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note:

Suppongo di dover chiedere venia, per questa cosa qui sotto.

È la prima volta che scrivo su Sherlock Holmes, in effetti. Ho sempre avuto troppa stima e troppa ammirazione per il personaggio di Conan Doyle, per cimentarmi in una storia su di lui, con il rischio di snaturarlo oltre ogni dire.

Ma al cuor non si comanda e, vista la meravigliosa nuova serie della BBC, eccomi qui a tirare le somme di questo primo tentativo!

Cosa posso dire, se non “spero-con-tutto-il-cuore-di-non-essere-andata-OOC”?

È una one shot senza alcuna pretesa, volta unicamente a strapparvi un sorriso, tutto qui.

Spero di riuscirci!

Sarò più che felice, se qualcuno vorrà lasciarmi un commento, sia in positivo che in negativo!

Grazie per l’attenzione, buona lettura,

Francesca

 

Una questione di cervello

 

 

 

 

 

 

Signora Hudson.

Tuonò imperioso, affacciandosi nel pianerottolo, con una mano ben ancorata allo stipite della porta dell’appartamento, volta a non farlo scivolare a terra, per via dell’eccessivo slancio che quel frenetico moto lo aveva portato a compiere.

Quattro secondi, un arco di tempo fin troppo ampio, per replicare a quella chiamata.

Holmes compì una mezza torsione a ritirò il busto nel salotto, per poi attraversarlo a grandi falcate ed irrompere una seconda volta nella cucina, mormorando a fior di labbra pensieri sconnessi.

Si arrestò sul posto, contemplando la stanza. Gli sportelli del frigorifero e del congelatore oscillavano inquieti, i rifiuti di una settimana sembravano sfidare il tappetino davanti al lavello a chi coprisse più ampiamente la superficie del pavimento, la lama di un grosso coltello da cucina vibrava ancora, conficcata nel ghiaccio del freezer, accanto ad una sinistra busta grigiastra.

Signora Hudson!”- abbaiò il consulente detective ancora una volta, calciando una gamba del tavolo di cucina che, tracciando un ampio solco sul pavimento, si spostò di un paio di centimetri. La brocca d’acqua che si trovava sul piano si rovesciò a terra ed innaffiò i residui di caffè e di calce sul pavimento, dando vita, così, ad una torbida pozza mangia carne.

Passi leggeri e affrettati, con una breve pausa sul settimo gradino che scricchiolò quando la donna si appoggiò al corrimano, combattendo la ribellione che la sua tirannica anca soleva iniziare nelle umide serate autunnali, risalirono le scale, annunciando l’imminente arrivo della gradevole padrona di casa.

Per lamor del cielo, Sherlock, che diavolo ti prende?”- soffiò trafelata, con gli occhietti vispi evidentemente in allerta. Corrugò la fronte e serrò le labbra sottili, quando scorse le caotiche condizioni in cui versava la cucina.

Si domandò improvvisamente cosa l’avesse spinta a rifiutare l’affitto dell’appartamento a quella numerosa famiglia di circensi, in favore di quello che a prima vista le era parso un giovane e mite tuttologo alle prese con l’ingresso nel mondo del lavoro.

Dovè! Dove lha messo?”- ruggì Holmes, sfilando il coltello dal congelatore, per poi agitarlo senza troppi complimenti sotto il naso della padrona di casa che gonfiò il petto, per nulla toccata da quella melodrammatica scenata.

Di cosa stai parlando?”- tediata, la donna incrociò le braccia al petto e lo aggirò, facendosi largo fra i banconi della cucina, inorridita da quelli che dapprima identificò come chicchi di riso e che si rivelarono, invece, larve di mosca.

Fece per mettere un piede nella torbida pozza marronastra ai piedi del secchio ma, con un secco colpo d’avambraccio, Sherlock la ritrasse indietro, prima che la calce le divorasse le suole delle scarpe e le corrodesse un piede.

Del mio cervello, for God's sake!”- ululò infine l’investigatore, innervosito dagli sbuffi di sconcerto e sconforto che provenivano dalla povera lady.

È nel congelatore, dove lo hai lasciato.”- lo rimbeccò prontamente la signora Hudson, indicando la sinistra busta grigiastra sul fondo del freezer.

Holmes arricciò le labbra e soffiò come un gatto, offeso.

Laltro cervello!”- protestò, portandosi entrambe le mani alle tempie, prima di ricominciare con il suo frenetico deambulare per le stanze, trascinando con sé carte e mobili.

Ce nera un altro?”- trasalì la donna, piuttosto interdetta.

Sherlock la squadrò per un breve istante, prima di schiudere le labbra in un sorriso euforico.

Elementare.

Tracce di bollito sotto le unghie.

Granelli di pepe fra le dita.

Leggera vescica da scottatura sul dorso della mano sinistra.

Presenza di cristalli di sale incastrati nella fibbia della scarpa destra.

Buccia di patata sotto la suola destra. Rumore del tacco attutito. Tracce di amido sul pavimento.

Aroma di ginepro.

Ha cucinato del brodo, per cena, Mrs.Hudson?”- indagò l’investigatore, avvicinandosi alla donna con passo cadenzato. Assottigliò lo sguardo azzurrognolo, senza riuscire a trattenere un sogghigno di perverso divertimento.

La donna rimase a lungo interdetta, ancora ignara della non poi così sottile eleganza con cui il suo affittuario le stava lasciando intendere la soluzione del mistero.

Oh santo cielo!- squittì, portandosi una mano alla bocca, con un sobbalzo-Credevo che il Dottor Watson avesse fatto spesa in macelleria, non immaginavo …”- impallidì vistosamente e Holmes fu costretto a circondarle le spalle con un braccio, augurandosi che non stramazzasse a terra.

Macelleria, obitorio, non custodiscono entrambi forse carni morte?”- sorrise gioviale, illuminandola con uno sguardo candido e ilare.

Alla signora Hudson riusciva difficile trovare la sfumatura comica dell’atrocità commessa.

Lho perfino assaggiato, congratulandomi per lottima qualità Buon Dio …”- si pulì gli angoli della bocca con le dita tremanti, guardò confusamente ora Sherlock ora la cucina, ripensò a quanto gradevole avesse trovato il sapore della sua prima portata. Un brivido lungo la schiena risvegliò la sua anca dormiente e la padrona di casa incespicò nei propri passi.

Si faccia coraggio, mia cara, non poteva sapere! Ora voglio che si sieda, prenda un lungo respiro e si calmi, mentre preparo del tè.”- Holmes la scortò premurosamente fino alla sua poltrona, prima di congedarsi e scivolare veloce al piano inferiore.

Risalì dopo un abbondante quarto d’ora, con un vassoio pieno fra le mani. Scomparve per un breve istante nella caotica cucina, dove lasciò parte del contenuto del vassoio, e ne riemerse con una tazza fumante di tè per la sua cannibale preferita.

Grazie”- mormorò la poveretta, prima di prendere a brevi sorsi l’infuso, nella speranza di togliersi dal palato il sapore di brodo umano. Sherlock trascinò una seconda poltrona di fronte a quella su cui sedeva la signora Hudson e vi sedette, congiungendo le mani davanti alla bocca, in un’espressione incredibilmente meditabonda.

Il silenzio nel salotto fu interrotto unicamente dall’infrangersi della tazzina di porcellana contro il suo piattino, fra le mani tremanti della donna che, una volta rimessasi in sesto, liberò il tavolino da caffè dal gran numero di cartacce e ciarpame di cui era ricoperto, per posare il recipiente ormai vuoto.

Sotto lo sguardo indagatore di Holmes, tirò le labbra in un sorriso trattenuto, palesando il proprio disagio.

“Va meglio?”-le chiese lui, sorridendo amabile.

La donna si meravigliò della tenerezza nella voce del burbero giovanotto davanti a sé e ne rimase tanto colpita da dimenticare il perché di quella domanda.

Annuì leggera, decisa a rimuovere dalla propria mente quel macabro evento. Lo avrebbe spazzato via, come era solita fare con la polvere da sparo che puntualmente trovava sotto al letto di Sherlock il lunedì mattina.

Con i nervi ben più distesi, la signora Hudson abbandonò le spalle contro lo schienale della poltrona e godette di quel momento di quiete, in compagnia di chi, usualmente, era solito romperla.

E adesso, mia zuccherosa padrona di casa, mi racconti.”- esordì Holmes, qualche istante dopo, sfregandosi le mani e sporgendosi verso di lei, con uno sguardo fin troppo complice negli occhi ed un sorriso malizioso sulle labbra.

Raccontare cosa?”- sussurrò la donna, spiazzata.
“Il cervello dell’avvocato Douglas! Che sapore ha!

Sherlock Holmes!”- la padrona di casa scattò in piedi come una molla, gonfiando le guance stizzita, prima di sollevare il mento, sdegnata, ed abbandonare l’appartamento dello sconsiderato investigatore. Si richiuse violentemente la porta alle spalle e pestò i piedi sul pianerottolo, prima di scendere di gran carriera le scale, intenzionata a rifugiarsi nell’immacolato ordine che contraddistingueva la sua abitazione.

Furiosa com’era, quasi non si accorse di aver urtato John, appena rincasato.

“Buonasera, mia cara Mrs. Hudson. Che gradevole profumo. È brodo, forse?”- sorrise il dottor Watson, strizzandole l’occhio con fare amichevole.

“Non mi abituerò mai a questo”- sibilò la padrona, scuotendo il capo, ancora provata.

“A questo, cosa?”

“A quello là!”- abbaiò, rivolta alle scale, certa che il diretto interessato l’avesse sentita.

Dopo una breve risatina isterica, affrettò il passo e, con le lacrime agli occhi, si chiuse nel proprio appartamento, ben attenta a non tralasciare alcuna serratura.

L’uomo scosse il capo, evidentemente rammaricato per lo stato in cui Holmes- ne era certo- aveva fatto scivolare la povera vicina.

Quando fece ingresso nell’appartamento, indossò la sua migliore espressione di rimprovero e puntò lo sguardo contrariato su Sherlock, intento a carezzare, con insolita quiete, le corde del violino, con l’archetto.

“Mrs. Hudson è una donna gentile, non merita certo che tu sia … che tu sia te stesso, con lei!”- borbottò, interrompendo quelli che erano esercizi di riscaldamento, per Holmes.

“Il tuo appuntamento, John?”- sospirò flemmatico l’altro, senza dar alcun particolare peso alle parole dell’amico.

“Dimmelo tu.”

“È andato male, un vero peccato.”

L’annunciatore della rubrica “Borse e Monete” del telegiornale del mattino avrebbe avuto certamente più pathos di Sherlock, si disse John.

Watson si accomodò su di una poltrona, pronto a farsi raccontare come fosse andata la propria serata ma, contro ogni aspettativa, Holmes tenne per sé l’accurata analisi di quell’appuntamento fallito che aveva facilmente desunto da centinaia di più che evidenti particolari nel volto e negli abiti del dottore.

“Tutto qui? È andato male. E da cosa lo hai capito? Dall’elastico rigirato a forma di cuore spezzato dei miei calzini o dalla grossa scritta Piantato in asso che ho sulla fronte?”- latrò seccato il biondo, facendo schioccare la lingua, amareggiato.

“Non siete arrivati al ristorante. Non vi siete visti affatto, a dire il vero.”- Sherlock ripose il violino, per poi intrecciare le mani dietro la schiena e tagliare corto, con un lapidario “Ti ha chiamato, mentre la stavi andando a prendere, ricordandosi, tragicamente in ritardo, di avere un impedimento per questa sera. Una zia malata, l’influenza della bambina di sua sorella, un parente indisposto, sicuramente.Denota scarsa fantasia ed un repertorio di scuse piuttosto limitato e d’uso frequente. Hai pagato la corsa del taxi, ma non sei tornato indietro immediatamente. Hai camminato attraverso Regent’s Park, tornando verso casa. La pioggia di questa mattina ha fatto sì che riportassi con te un po’ delle foglie cadute durante la giornata. Hanno attutito la tua salita, quando sei rientrato, nonostante fossi palesemente irritato.”

“Per il modo in cui hai trattato Mrs. Hudson, Sherlock.”- si impuntò John, sospirando, sotto il peso della schiacciante verità dell’analisi dell’amico.

“Per il tuo mancato appuntamento.”- lo corresse prontamente Holmes, affilando lo sguardo nella sua direzione- “Non hai tolto il cappotto, né le scarpe. Se avessi incontrato quella Mary Margareth, Mary Kate o come diavolo si chiama-”

“Sheila.”- intervenne Watson, ma fu rapidamente zittito da un vago gesto disinteressato della mano dell’investigatore.

“Un nome vale l’altro.”- riprese Sherlock- “Se l’avessi incontrata, il livello di concentrazione e lo stato di pressante tensione in cui saresti scivolato, avrebbe fatto sì che, una volta tornato a casa, tu ti liberassi dell’opprimente sensazione di claustrofobia provata, a cominciare dal cappotto o dalle scarpe. Ma non lo hai fatto. Questo perché non c’è stato alcun incontro, se non quello con l’umidità di Regent’s Park.”

“Ti diverte, non è così?”- ridacchiò sarcastico Watson, liberandosi dal soprabito, per poi starnutire. Tirò su con il naso, prima di liberarsi delle scarpe ed avvicinare i piedi, avvolti nei calzini umidi, al caminetto.

“Oh, niente affatto. Sono addolorato, per la tua perdita.”- ancora una volta, l’empatia di Holmes non riuscì a trasparire, coperta com’era da un curioso mezzo sorriso euforico disegnato sulle labbra dell’investigatore.

Watson sbuffò. Quello era il massimo di solidarietà maschile che sarebbe riuscito ad ottenere da Sherlock.

“Per questo, mi sono preso la briga di chiedere a Mrs. Hudson di preparare la cena, questa sera. Immagino tu sia affamato.”- proseguì l’investigatore, con falso candore.

“È insolitamente gentile da parte sua. Dovrò ringraziarla.”- acconsentì John, mentre l’amico raggiungeva a grandi passi la cucina.

Ha detto che si tratta di una nuova ricetta. Gradirebbe che le facessi sapere cosa ne pensi, una volta provata. Che sapore ha, ad esempio.”- parlò Holmes, mentre si adoperava a riscaldare la cena.

Watson lo sentì armeggiare con le pentole e mettere sul fuoco quello che aveva tutta l’aria di essere brodo di carne. Il suo stomaco brontolò entusiasta e John si disse che nulla avrebbe potuto risanare un cuore infranto e inumidito come una buona soup.

Al piano inferiore, dopo una serie ripetuta e concentrata di gargarismi, la signora Hudson raggiunse la cucina, intenzionata a far sparire le tracce del misfatto. Procedette con cautela, indossò dei guanti in lattice, storse la bocca, quando vide gli avanzi di carne nel cestino dei rifiuti.

Sobbalzò, osservando la pentola vuotata del suo macabro contenuto. Si strinse nelle spalle, si adoperò a lavare accuratamente le stoviglie utilizzate, fin quando, dal pianerottolo, attraverso la porta chiusa, non percepì un gradevole aroma di ginepro, a lei fin troppo noto.

Balzò fuori dall’appartamento con uno scatto invidiabile, per la sua età, sapeva cosa stava accadendo.

“Per carità! Dottor Watson, metta giù quel cucchiaio!”- squittì dai piedi delle scale, storcendo il naso a quel gradevole quanto disgustoso profumo.

Ma, non poi così casualmente, un’allegra sonata di violino si levò nel pianerottolo, coprendo la sua voce e celebrando una macabra vittoria.

 

 

 

 

 

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