Salve
a tutti! Questa è la mia prima Dramione, la mia prima
avventura con questa coppia. E sono davvero contenta di iniziarla e
seguire le esperienze e le vicende che accadranno. L'ispirazione
è arrivata all'improvviso, ascoltando una canzone in
verità. E' legata relativamente al testo di questa; infatti si ispira sopratutto
al video. Si tratta di Cool di Gwen Stefani!
Questo
che posto oggi è il prologo della storia, ambientanto
diciamo al presente. Spero vi piaccia e vi incuriosisca abbastanza da
seguire i prossimi capitoli.
A
presto ^^
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Prologo. (Oggi)
Avete
mai assistito all’alba? L’avete mai vissuta nello
stesso modo in cui l’assaporai io quella mattina di giugno?
Erano
le cinque e mezza del mattino ed io, Hermione Granger,
mi ritrovavo nella mia casa nella contea dell’Hampshire, nel
distretto di Hart,
in terrazza, con ancora la vestaglia indosso. Mi carezzavo i lunghi
capelli
assorta nei miei pensieri, nei mie ricordi.
Non avevo mai assistito ad alba migliore. Forse perché avevo
la consapevolezza che stavo per rivederlo dopo ben due anni di silenzio.
Ero sempre rimasta affascinata dai colori del sorgere del
sole, ma allora ciò che mi procurò un profondo
stato d’estasi, era il profumo
di quel mattino. L’aria fresca neo estiva mi cingeva in un
abbraccio,
procurandomi dei leggeri e piacevoli brividi. Sentivo odore di
gelsomino e ciò
era strano. Era come se avessero riempito l’atmosfera di
nuova aria. Un’aria
che non avevo mai avvertito prima di allora. Mi inebriava i sensi e mi
apriva
il torace come per depurarmi.
Mi strinsi nelle spalle carezzando il tessuto setoso della
vestaglia chiara. Sorrisi. Ma non era un sorriso come un altro. Era un
sorriso
amaro intriso di malinconia e piacere. Erano i ricordi a procurarmelo.
Era la
mia mente che assaporava nuovamente con i pensieri gli attimi vissuti
due
estati prima.
I miei occhi lucidi parteciparono a quel sorriso nostalgico
che aveva il mio viso mentre la brezza del mattino prese a muovere le
ciocche
dei mie capelli nel vento.
Non era una domenica come altre. Sapevo cosa sarebbe
accaduto quella mattina. Un gufo mi aveva avvertito qualche giorno
prima.
Una carta bianca e costosa riportava in oro semplici parole:
So
che sei a conoscenza di ciò che sta per accadere nella mia
vita.
Ma
voglio comunque dirtelo di persona.
Verremo
domenica, 10 giugno.
Draco
La
mia reazione alla notizia fu strana quanto inaspettata. I
miei occhi, così come credevo, si fecero lucidi ma subito
dopo un grande
sorriso riempì il mio viso. Non mi importava quasi di
ciò che stava per
accadere. Del motivo della sua visita. Mi importava rivederlo. Mi
importava
vedere i suoi capelli dorati, i suoi occhi di ghiaccio, le sue movenze.
Si, le
sue movenze. La fotografia custodita nel cassetto della mia scrivania
non mi
dava reale soddisfazione di quanto potesse donarmi la sua presenza di
persona.
I suoi atteggiamenti, la sua risata trattenuta, le sue mani passare tra
i
capelli.
Quella mattina sembrò durare
un’eternità. Mi abbandonai ad
un bagno rilassante al profumo di vaniglia. Scelsi con cura gli abiti.
Una cosa
che facevo raramente e non perché fossi sciatta e distratta
nel vestirmi, ma
perché non davo incisiva importanza a ciò che
doveva essere la mia apparenza.
Non quella mattina però.
Sapevo
che il mio stato d’animo non era dettato da un
sentimento ancora esistente, ma semplicemente dal ricordo di questo. Da
ciò che
accadde quell’estate. Ai ricordi che cementati nella mia
mente mi regalavano
sorrisi amari e malinconici.
Legai i capelli, ormai lisci e ordinati, in una coda alta
che scendeva morbida sulle spalle, ciò che solitamente
facevo ogni mattina per
andare a lavoro al quinto piano del Ministero, all’ Ufficio
per la Cooperazione
Magica Internazionale.
Ci ripensai. Sciolsi la coda, ma passarono pochi secondi per
farmi cambiare idea e rilegare la chioma nella stessa e identica
maniera utilizzata
in precedenza.
Rifeci il letto e rassettai il salone. Per una casa grande
come la mia, la quale mi potei permettere grazie al prestigioso lavoro
ottenuto, la questione pulizie ed ordine erano quasi un
tabù. A volte mi
concedevo qualche incantesimo, ma ho sempre rinunciato alla stupida
idea di
avere un elfo domestico.
Mi guardai allo specchio almeno un centinaio di volte.
Sorrisi di me stessa. Non potevo crederci di comportarmi davvero in
quel modo.
Passarono le ore, tra un cambio di abiti e diciassette code
di cavallo sciolte e rilegate.
Ero agitata. Il mio stomaco era appena diventato
l’ambientazione alla più nervosa e confusionale
lotta di farfalle in caos.
Allungai la mano al viso e costatai quel leggero tremolio che le mie
dita
acquistarono con lo scorrere dei secondi. La mia testa era vuota
stranamente,
il che mi fece preoccupare. Non c’era un secondo in cui io
non pensassi,
riflettessi o rimuginassi su qualcosa. Ma non era così in
quell’occasione. Il
vuoto totale. Solo qualche immagine passata rinasceva prepotente tra i
miei
pensieri. Volevo pensare. Pensare a qualcosa che mi facesse passare
quell’agitazione, quell’ansia. Ma non trovai modo
di farlo che il suono del
campanello della mia porta mi fece sobbalzare dal divano sul quale ero
seduta tesa
e nervosa.
Il
mio sguardo si spalancò guardando insistentemente le
punte delle mie scarpe. Strinsi i pugni in grembo e socchiusi gli occhi
alzando
la testa all’indietro. Espirai pesantemente e mi alzai
sistemando i vestiti che
indossavo, prendendo a camminare lentamente verso l’entrata.
Superai il salone e la sala da pranzo, erano pochi,
ormai, i passi che
mi dividevano dalla
porta. La mia mano si poggiò senza accorgermene sulla
maniglia ed esitai per
qualche attimo.
Dietro quel sottile divisore c’era lui.
Poco legno a
dividerci. Socchiusi gli occhi e lo immaginai ancora per
l’ultima volta come me
lo ricordavo. Ricordai i suoi capelli, le sue mani, i suoi occhi.
Ricordai le
sue labbra e i suoi sorrisi trattenuti ancora una volta.
Poggiai l’altra mano stesa sulla porta come se potessi
sentirne il contatto dall’altra parte. Accarezzai inutilmente
il legno e con un
sorriso mi decisi ad aprire ai miei ospiti.
Prima ancora del contatto visivo, prima ancora che il mio
sguardo si potesse poggiare sulle persone che avevo di fronte, sentii
qualcosa
di familiare che mi fece sciogliere il sangue e agitare l’esercito di
farfalle allo stomaco.
Era il suo profumo. Ma non un qualsiasi profumo maschile
zuppo di muschio, piante e chi sa altro. Era il profumo della sua
pelle. Debole
eppure così percepibile. Dolce e deciso allo stesso tempo.
Alzai
lo sguardo e li vidi. Fermi sulla soglia di casa mia.
Prima guardai lei. Alta, fisico da modella, dai lunghi capelli neri
come la
notte che scendevano sul suo petto in morbidi onde. Il suo sguardo era
contornato
da lunghe ciglia scure e sembrava anche alquanto sereno, non sul punto
di
guerra ecco. Mi mostrò un lieve ma educato sorriso, al quale
ricambiai
allungando la mano per salutarla. Eccola Astoria Greengrass in tutta la
sua
bellezza. La ragazzina scostante e altezzosa trasformata nella
bellissima donna
dalla pelle diafana e dagli occhi smeraldo.
Repentinamente il suo sguardo capitolò su di lui, su Draco e
io non potei fare a
meno che seguirlo.
Fu una sensazione piacevolmente strana rivederlo. Il suo
sguardo mi colpì come un’onda che si scaglia
inaspettatamente su un surfista
incerto. I diamanti che aveva al posto degli occhi mi tolsero il
respiro per
qualche secondo. Le farfalle si agitarono ancora di più.
Sentivo le loro ali
fare su e giù dal mio stomaco.
Maledette farfalle.
Anche lui come me aveva le labbra dischiuse e gli
occhi
persi in chissà quale ricordo. Fu lui il primo a dedicarmi
un sommesso sorriso.
Allungai la mano per salutarlo e lui sorpreso la strinse
annuendo tra sé e sé. Il contatto con la sua
pelle non era decisamente nuovo,
ma diverso. Le sue mani erano ancora fredde ma ruvide, non
più lisce e setose
come una volta. Come due estati prima.
Istantaneamente le stesse dita che sfioravo si allungarono
verso i miei capelli, carezzando la mia coda di cavallo. Non erano
più le onde
che lui ricordava. Erano lisci e
ordinati. Erano cambiati. E se ne accorse.
Abbassò lo sguardo e non potei fare a meno di imitarlo
notando solo allora l’ennesimo particolare che mi fece
perdere un battito. Si
tenevano per mano. Certo, non potevo aspettarmi diversamente. Eppure ci
rimasi
quasi male. Abbozzai un sorriso tra me e me. Ancora una volta un
sorriso amaro
e malinconico.
-
Ehm… accomodatevi! Dai venite!
Li invitai ad entrare forzando l’entusiasmo, incitandoli a
fare alcuni passi avanti, chiudendo la porta dietro le loro spalle.
Approfittai
dell’istante rivolta verso la porta per espirare ancora e
preparami il nuovo e
sapevo non unico sorriso.
Ripresi a camminare davanti a loro, guidandoli per la casa
che notavo ammiravano piacevolmente. Li portai in salone per farli
accomodare
sul divano. Mi voltai per parlare quando qualcosa mi colpì.
Alzai
lo sguardo e subito i suoi occhi di ghiaccio mi
trafissero. Imbarazzata abbassai subito la testa sorridendo in maniera
nervosa
e facendogli spazio. Draco non sorrise e non staccò gli
occhi da me prima di
sedersi insieme ad Astoria sul divano a tre posti.
Mi accomodai sulla poltrona accanto, imbarazzata, senza
saper che dire.
Pensa Hermione, pensa.
Com’è allora? O parli troppo o niente? Almeno
fagli gli auguri per il suo compleanno passato ormai da cinque giorni.
Cosa ti passa per la testa? Lo so cosa
mi passa per la testa. Il vuoto del presente, di questi attimi e i
ricordi di
ieri, di due estati fa.
-
Sono contento di rivederti… E’ passato tanto
tempo…
Draco e la sua voce. Bassa, profonda e decisa. Lancinante
come un tuono d’estate. Tagliente come la lama della spada
più lucente. Ma era
anche melodiosa ed elegante.
Avevo ancora la testa abbassata. Non volevo guardalo
perché altrimenti
la testa si svuotava e i ricordi tornavano a tormentarmi privandomi
della
capacità di ragionare in quei momenti. Fissavo il parquet al
pavimento. Seguivo
le linee che disegnava. Ma non potevo rimanere in silenzio. Dovevo
comportarmi
almeno da buona padrona di casa. Dovevo staccarmi da quello che Draco
mi
ricordava. Dovevo vederlo per quello che era in quella circostanza.
Dovevo
essere indifferente.
Così,
decisa, alzai lo sguardo con un sorriso. E poi mi
persi. Mi persi nell’infinità che furono quei
pochi secondi.
I suoi occhi. Li rividi alla luce del sole di luglio, in
quelle mattine d’estate sul lago di Como. Li rividi sorpresi,
amareggiati,
disgustati e languidi. Li rividi socchiusi sotto le stelle. Li rividi
nei miei.
Il tempo sembrò fermarsi e trascinarci nel vortice delle
immagini che
condividemmo. Per me fu questa la sensazione. Ma fu come se il suo
sguardo mi
dicesse lo stesso. La mia casa sembrò mutarsi nel paesaggio
mediterraneo che mi
incantò in passato e il parquet divenne asfalto e sabbia.
L’aria sapeva di
gelsomino. Ancora. C’era gelsomino ovunque.
-
So che il passato che ci ha legato non è stato dei
migliori, però è passato giusto? Siamo qui per
invitarti al nostro
matrimonio!!!
Il
sorriso luminoso di Astoria mi fece tornare al presente.
Lei cercò lo sguardo del suo futuro marito trovandolo
subito. Draco si voltò a
guardarla, spezzando il vortice che ci imprigionava, stringendole
la mano come a rinforzare ciò che
la sua fidanzata aveva appena detto.
Li
guardai fissarsi e costrinsi un sorriso al mio viso. Un
sorriso amaro e malinconico.