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Autore: StEfYLuPaCcHiOtTa    11/01/2007    6 recensioni
[COMPLETA] Poi le luci si spengono. Le solite ragazze accanto a me si fanno scappare dei gridolini insulsi, io invece faccio un ampio respiro, quasi avessi bisogno di raccogliere le forze, prima di vederti, di vedervi. Che sciocca che sono, vero? A volte, mi sento quasi una ragazzina. Non lo sono, non dentro, troppo ho visto per esser tale. Ma questo è il mio sogno, è la nostra serata, per una volta, in vita mia, voglio concedermi il lusso di non aver pensieri.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora, visto che è la prima volta che posto qui, un po' di premesse XD Io scrivo per il puro piacere di farlo e quello che scrivo non ha alcuna pretesa d'essere nè un capolavoro, nè altro...però mi fa piacere condividerlo ^^
Questa non è una FanFic, o meglio, non una di quelle tradizionali, nessuna storia d'amore, solo un breve racconto liberamente ispirato da quei 5 ragazzi chiamati My Chemical Romance. Detto questo la finisco e mi tappo la bocca, o prima di arrivare al sodo vi sarete già stufati X°D
Enjoy!


Tra le mani, stringo questo pezzo di carta. E’ spesso, quasi ruvido al tocco…lo porto al naso, non ha un odore particolare, odora di carta, semplice e banale carta, ma per me è come sentire l’odore di quanto ho sempre desiderato. Lo allontano dal viso, lo osservo ancora, quindi lo piego con cura, nemmeno fosse un documento di vitale importanza.
Beh, forse per me ha quel valore.
Sollevo il capo, portandolo oltre quelle sbarre che ora mi stanno di fronte, stringendo quest’ultime con entrambe le mani. Porto il viso tra due di esse, per poter vedere meglio dentro…che cosa assurda, vero? Tu sei dentro, e io fuori, ma tra i due mi sento io quella in prigione. Vorrei poter essere dall’altra parte... Un’occhiata al poliziotto che placido passeggia, guardandomi con aria di sufficienza.
Stronzo.
Crede d’essere Dio in terra perché, in questo momento, è lui a decidere ogni mio movimento.
Aspetto solo che questo cancello si apra.
Sono impaziente, troppo. La bottiglietta d’acqua che mi ero portata per scorta è già finita, lasciata accidentalmente cadere a terra, tra i piedi. Tanto non me la sarei potuta portare appresso…il mio fedele zainetto è infilato sulle spalle, portato avanti, per sicurezza. Non vorrei mai nessuno ci mettesse le mani…non c’è granchè di prezioso dentro, una felpa, per quando farà freddo, il lettore cd, che ha trovato riposo solo pochi minuti fa, una macchinetta fotografica. Ma è la mia roba, e ne sono gelosa. Più che altro, mi roderebbe il culo se la perdessi. Guardo l’orologio…sono le sette meno dieci. Sono qui da esattamente 12 ore. L’attesa non mi è pesata molto, certo, fossi stata con qualcuno sarebbe stato meglio. Ma che posso pretendere, la gente non capisce un cazzo, non capisce, quello che ci lega, perché avrebbero dovuto accompagnarmi? Ma tanto l’attesa è finita, ormai.
Manca poco…manca poco…
Lo sbirro s’avvicina, fa scattare la catena che teneva chiuso il cancello. Io allargo appena le gambe, pronta a scattare. Ora sono io a guardarlo con aria di sufficienza. Non puoi più niente, adesso. Appena lo apre quel tanto che basta a farmi passare, ficco il biglietto sotto il naso del suo collega, un sorriso quasi vittorioso sulle labbra. Sono la prima. Lui nemmeno lo guarda, lo strappa, senza osservarmi. Non me ne preoccupo, del resto non me ne fotte un cazzo di lui. Non appena me lo rende, sguscio attraverso l’apertura, sento una sua protesta, ancora stava aprendo, ma non mi giro. Dal chiasso che avverto alle mie spalle, intuisco che sono stata imitata. Corro, corro, ancora più veloce. Raggiungo la scala. Uno, due, tre, quattro…quanti cazzo sono ‘sti gradini? Devo ricominciare ad andare in palestra. Ma alla fine, la cima è conquistata. Non mi fermo a riprendere fiato, anche se ne avrei bisogno…sento già i passi alle mie spalle. Riprendo a correre, come una forsennata, spingo maniglioni antipanico e porte che mi si presentano davanti…e poi…eccolo lì.
Il palco. Sorrido, mi sento come un naufrago che vede sempre più vicina la riva. Un’ultima corsa, salto due o tre cavi per terra, l’ultimo lo manco, rischio quasi di cadere. Fortunatamente, recupero l’equilibrio, anche se qualcuno m’ha raggiunto. Ma riesco lo stesso a piazzarmi contro le transenne, proprio sotto dove stai tu di solito. Mi ci aggrappo, come un koala all’albero, svelta ci lego il mio zaino, come se quel povero Eastpack malandato potesse preservarmi il posto da possibili attacchi di pogo.
In pochi minuti la sala è già riempita. Mi volto due o tre volte a controllare, osservo distrattamente le persone che iniziano ad accalcarsi contro di me, accanto a me. Ma, inesorabile, resisto, resistiamo, io e il mio Eastpack. Passa un’ora, un’ora e mezza forse.
Sono agitata. Chissà se te ne accorgerai? Chissà se mi noterai? Passo veloce una mano sui capelli, sul contorno occhi, come se, senza uno specchio potessi aggiustarmi i ciuffi disordinati e il trucco. Forse nemmeno mi guarderai, ma voglio essere bella. Delle ragazze accanto notano il mio gesto, ridacchiano. Mi volto, guardandole con un misto d’indifferenza e fastidio. Poi torno ad osservare il palco. E’ vuoto, ci sono gli strumenti, e i microfoni, paiono quasi abbandonati lì in tutta fretta, come se tu e gli altri foste scappati pochi minuti prima del nostro arrivo. Mi volto ancora. La sala è piena. Quasi si inizia a non respirare. Sorrido, sono contenta che ci sia così tanta gente. Vi amano anche qui, anche qui c’è qualcuno che vi apprezza, e stasera ne avrete la prova.
Altri minuti passano, più s’avvicina il momento, più ho l’impressione che non arrivi mai. Poi le luci si spengono. Le solite ragazze accanto a me si fanno scappare dei gridolini insulsi, io invece faccio un ampio respiro, quasi avessi bisogno di raccogliere le forze, prima di vederti, di vedervi. Che sciocca che sono, vero? A volte, mi sento quasi una ragazzina. Non lo sono, non dentro, troppo ho visto per esser tale. Ma questo è il mio sogno, è la nostra serata, per una volta, in vita mia, voglio concedermi il lusso di non aver pensieri. Che mi giudichino infantile, se questo li fa sentire più maturi. Chiudo gli occhi, li riapro solo quando sento l’urlo della folla, quando sento il “click” che indica lo scattare delle luci.
Sei lì.
Fantastico come al solito, non ti smentisci mai, un vero animale da palcoscenico, a partire dal look. Ringrazi la folla, alzi un braccio, tutti ridiamo dell’italiano stentato che esce dagli altoparlanti. E poi…come un fiume in piena, ecco la musica.
Travolgente, calda, assordante e al contempo tremendamente piena di sentimento. Muovo le labbra, so a memoria tutte le parole, ma non canto. Ho una pessima voce, mia sorella me lo dice sempre. A casa non mi risparmio dal cantarle a squarciagola, chiusa in camera mia, ma ora, è come se avessi quasi paura che tu potessi sentire le mie pessime stecche. Resisto alla tentazione ancora per un paio di brani. Poi parte lei, quella canzone, LA canzone. Non reggo. Mi aggrappo alle transenne, urlo, con tutta me stessa, con tutta l’energia che ho in corpo, e voi me ne trasmettete tanta, troppa.
Quante volte ho pianto, ascoltandola?
Ha un ritmo così deciso, cattivo, pesante, eppure le parole evocano in me ricordi troppo dolorosi, troppo forti. Solo alla fine m’accorgo che, anche stavolta, un paio di lacrime m’han percorso la guancia. Passo frettolosa una mano sul viso, alzo gli occhi verso di te, quasi temo che te ne sia accorto. Ma il tuo sguardo pare quasi vacuo, rivolto orgogliosamente verso l’intero pubblico. Lo vedi nella sua totalità, non noti le facce di ognuno di noi. Ma mi fai sorridere. Sembri felice, e ne sono contenta. Ti osservo, ora, con più attenzione, quasi come fosse la prima volta che ti vedo. Posso dire di conoscerti a memoria, il mio pc è saturo di tue immagini. E invece, ora che ti ho davanti, è come se scoprissi un’altra persona. Ti agiti, salti, sei instancabile. Osservo il modo in cui, col sudore, i capelli ti si arricciano sulla nuca. Adorabile. Le ragazze accanto a me urlano, cercano di chiamarti, d’attirare la tua attenzione. Storco appena le labbra, osservando anche gli altri. Avervi qui, in carne e ossa davanti a me, mi sembra una cosa irreale. Ma la vostra musica, quella mi fa sentire a casa.
La colonna sonora della mia vita.
Le canzoni continuano a seguirsi, io salto, canto, annuendo col capo, muovendo instancabilmente il braccio verso di voi. Non sono stanca, sento che potrei continuare per ore. La gente spinge, da dietro, le transenne quasi fanno parte di me, tanto ci sono pressata contro, ma non importa. Ad ogni canzone, i sentimenti s’alternano, rievocando momenti in cui un pezzo, piuttosto che l’altro, m’hanno accompagnato, m’hanno fatto star male, m’hanno aiutato a tirarmi su, a combattere. Due lacrime ancora mi rigano il viso, subito cancellate dall’urlare, ormai senza remore, le vostre parole contro il soffitto, contro il cielo che sopra di esso si apre. Sui brani malinconici prendo fiato, e torno ad osservarti. Sei come ti ho sempre visto, eppure, allo stesso modo, sei diverso. Ci sono cose di te che, non conoscendo, ho sempre immaginato. Così tanto da convincermi che fossero realmente così. Ma, ora che ti guardo, mi rendo conto che sbagliavo.
T’avvicini al bordo del palco, allunghi una mano verso di noi. Inizio a saltare come una matta, la mia mano sempre protesa. Finchè non la sfiori, e, per un nanosecondo, i nostri sguardi non s’incrociano. Il tempo di un battito ciglia, e sei passato oltre, ma per me è stato più che sufficiente.
Non sei come pensavo, ora me ne rendo conto. Forse è il vederti di fronte a me che me l’ha fatto realizzare. Sei un’altra cosa, ma unico e fantastico lo stesso.
Parte un’altra canzone, uno dei vostri pezzi forti. O perlomeno, tra i più quotati. Capisco che siamo alla conclusione. Non mi risparmio, per il finale, mi abbandono contro la transenna solo quando anche l’ultimo accordo inizia a svanire nell’aria. Vi avvicinate, tutti, verso il bordo, chinate il capo, alzate le braccia, ci ringraziate. Non guardi verso di me, ma non importa. Quando sparite dietro le quinte, la gente inizia a sfollarsi verso le uscite.
Io rimango ancora qualche minuto, lì, forse mi sto riposando, di certo osservo il palco che fino a poco prima vi ha ospitato, quasi come se volessi imprimermelo nella mente, come se volessi imprimermi tutta la serata. Quindi alzo la mano, in un immaginario saluto a voi, che, là dietro, vi starete congratulando l’un l’altro per l’ottima performance, magari starete facendo i cazzoni, come al vostro solito, o forse sarete solo stanchi morti. Sorrido ancora tra me e me, mentre mi avvio a mia volta verso l’uscita. Ormai il più della gente s’è già ritirato. Con calma, esco. Il freddo della notte m’avvolge, recupero la mia felpa nello zaino, me la infilo. Mi sta un po’ grande, ma sti cazzi, almeno è calda.
Imbocco la via che porta a casa. Non è molto distante. Sto in silenzio, ascolto il mio respiro, lo osservo addensarsi in nuvolette sotto al mio naso, davanti alla mia bocca. Entro in casa, facendo piano, per non svegliare i miei. Domani mi toccherà raccontargli tutto. O quasi.
Chiudo la porta di camera mia lentamente, sbatto le all star in un angolo, mi infilo il pigiama, senza preoccuparmi di struccarmi. Frugo nello zaino, per prendere il biglietto, e lo appendo con una puntina, proprio sotto il vostro poster che preferisco, al centro del muro. Lo guardo, prima di infilarmi a letto, spegnendo la luce.
Sorrido.
Tu non lo sai, ma stasera, hai esaudito il sogno di una ragazza che vive attraverso la vostra musica.
  
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