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Autore: CaskaLangley    11/01/2007    24 recensioni
Kairi si rende conto di essere innamorata di Sora. Le cose però non vanno esattamente come sognava, e questo la costringe a rivalutare se stessa e la vita nel peggiore dei modi. Tuttavia...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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[ DOMANI SARA' BEL TEMPO ]

DOMANI SARA' BEL TEMPO

flavour #4; everything you ever wished for

make me laugh
say you know what you want…

Solo le storie delle donne cominciano quando sono bambine.

I ragazzi nascono d’un tratto, immemori, a volte così stupidi. Sono animaletti senza causa, gli uomini. E’ stata una donna a dare loro la vita, ma a volte è come se quella vita se la fossero data da soli, dal niente, ed è da questo che vengono, da niente. Ogni più piccola cosa, a un certo punto, loro la imparano dal niente.

Solo le donne nascono davvero da altre donne.

Conservano la vita di quelle donne, e le gioie, di quelle donne, tutte le speranze che altre donne hanno avuto; le donne fin da quando sono bambine le coltivano, senza saperlo, e quando se ne accorgono le conservano, perché credono nell’assoluta rarità di quelle gioie e di quelle speranze.

Una bambina è consapevole dal momento in cui nasce che diventerà una donna, e a volte vorrebbe che accadesse subito, altre voltre capisce tutto troppo in fretta e vorrebbe che non accadesse mai, ma una bambina si muove, e si atteggia, e si agghinda e si sistema i capelli e parla come crede che facciano le donne.

E una bambina impara presto che mentre il metro del valore di un bambino è quanto veloce corre, quanto lontano fa la pipì, quanto intraprendente o violento o casinista lui sia, il suo metro, quello con cui lei stessa comincia così presto a misurarsi, è il valore che un uomo dà lei. Ed è terribile che una bambina debba accorgersi così presto del bisogno che ha delle attenzioni dei bambini, quando quegli stessi bambini sono impegnati a mangiare insetti o farli mangiare ai bambini più deboli.

Eppure, a dieci anni, tu eri già una bambina fortunata.

Ricordi ancora, come se ancora li stessi vivendo, i lunghi e tiepidi pomeriggi trascorsi all’ombra delle piante di dattero.

Ricordi ancora i salti sulle pietre più grandi, chissà poi perché, ricordi la sabbia troppo asciutta per prendere la forma delle tue tartarughine di plastica, non importava quanto forte le battessi con la paletta e quante volte cantassi torta tortina, se diventi bella ti do una caramella, se diventi brutta ti do la pastasciutta, perché diventavano sempre brutte, e ti ricordi i pianti, per quelle bestioline che si disgregavano quando alzavi fiduciosa la formina.

Ricordi Sora e Riku avere contemporaneamente l’illuminazione: "Mettiamo l’acqua nella sabbia."

"E se viene una schifezza?"

"Ma ne metti poca, devi solo bagnarla, così diventa dura."

E ricordi di aver pensato, allora: "questa, dunque, deve essere la differenza tra di noi."

La differenza fondamentale che sta nell’intuizione che certo, troppa acqua può fare un inutile paciocco, ma acqua a sufficienza può dare forma a una bella tartarughina. La differenza di non fermarsi alla tartarughina, ma di fare un castello. E non fermasi al castello, di fare un ponte levatoio. E non contenti, di rovinare l’idea generale piazzandoci attorno una rozza e ridicola pista per le biglie.

Ti sembrava di aver capito, allora, che quella doveva essere la natura dell’uomo, espandersi, costruire.

E quella della donna doveva allora essere, per forza, abbellire.

A dieci anni eri già una principessa, come la maggior parte delle bambine sognano di essere, e tu non ti limitavi a sognarlo: ne eri convinta, e ogni tuo sforzo era impiegato nel rendere quella verità visibile agli occhi di tutti.

Sora e Riku erano felici di essere i tuoi principi.

Li avresti immaginati un po’ come Re Artù e Lancillotto, più avanti, anche se non avresti saputo dire esattamente quale sarebbe stato chi. Non era importante, perché tu di certo eri Ginevra (col senno di poi, comunque, probabilmente Sora era troppo onesto per non essere Artù, e Riku troppo attraente per non essere Lancillotto).

Ricordi gare a chi ti dedicava la canzone più bella, canzoni che ascoltavano i grandi, canzoni capite sempre a metà o forse meno. E ricordi soprattutto gare a chi ti avrebbe portata più lontana, con Riku che giurava che ti avrebbe scortata fino alla Luna, e Sora, che non riuscendo ad immaginare niente di più grande, ti diceva come se fosse ovvio: "Beh, io troverò qualcosa di più."

Ricordi l’umidità e i pastelli colorati, quel giorno che vi siete disegnati sulla parete rocciosa di una piccola grotta, e le vostre mamme che sono arrivate a prendervi, tutte affannate, e vi anno sgridati, perché quei posti sono pericolosi, si possono fare brutti incontri.

E tu ricordi di aver guardato il cielo e di aver pensato: com’è possibile che qualcosa di brutto possa accadere qui sotto?

Com’è possibile che qualcosa che ti dà l’immensità del mare, i colori dei fiori, il profumo delle arance e la goffaggine dei paguri che camminano all’indietro, possa darti anche qualcosa di spiacevole?

Come può, tutto questo, non essere solo ed esclusivamente meraviglia?

E all’improvviso ti ritrovi ad avere sedici anni.

Indossi l’uniforme più graziosa che avessi mai immaginato, la brezza soffia leggera i tuoi capelli davanti al viso, e mentre state andando a scuola d’un tratto ti fermi, guardi il mare, e per un momento la pensi esattamente come allora.

Come può non esserci solo ed esclusivamente meraviglia?

Come può la miseria del mondo toccarti, la sfortuna colpirti? Quelle cose così lontane, come potrebbero toglierti da davanti gli occhi questo mare?

Quando Selphie si ferma e ti chiede che cosa stai facendo, arriverai in ritardo, tu le sorridi e le dici di andare. Farai in tempo, che si fidi.

E’ uno di quei giorni in cui hai l’impressione che sarai sempre in tempo per tutto.

E come potrebbe essere altrimenti?

Pensi cose che nessuno ha mai pensato prima. Provi sensazioni che nessuno ha mai provato prima. Hai scoperto cose che nessuno ha mai intuito prima. Stai scoprendo il mondo, piano piano, e quando sarai pronta, il mondo sboccerà per te, e tu sboccerai per lui.

E’ uno di quei giorni in cui senti che le cose si sono semplicemente allineate, ti sei svegliata bene, e farai innamorare chiunque con un solo sguardo, perché ti senti radiosa. E non importa se appena entrata in classe vedrai quella con le tette più grosse delle tue e ti sentirai uno scheletro, non importa se vedrai quell’altra filiforme e magrissima e ti sentirai una palla di burro, non importa se ti sembrerà che l’uniforme ti stia malissimo, che i tuoi capelli siano un disastro, che la tua pelle sia impura e che in linea di massima tu sia inguardabile.

Adesso ti senti bellissima. In questo momento. In questo mattino pieno di luce, davanti a questo mare fragoroso le cui onde sembrano poter inghiottire anche il tempo.

In questo mattino di Maggio, Kairi, tu sai che potrai fare tutto. E non importa se sai anche che niente sarà facile, perché niente sarà abbastanza difficile da impedirtelo.

E mentre tu sei in posa, lì, a contemplare la bellezza del giorno e della vita che si sta per schiudere davanti a te, Sora e Riku ti sfrecciano accanto, ignari di tutto questo.

Loro non sanno che ogni cosa va come dovrebbe andare, e che andrà sempre meglio.

Quello che sanno è che rischiano di arrivare in ritardo, che per colpa di Sora si sono già presi tre note che appena usciti dal cancello hanno strappato e masticato, inutilmente, visto che la scuola aveva già avvisato i loro genitori, e sanno che non hanno voglia di mangiare ancora carta per aver dormito dieci minuti in più.

Loro non sanno che è tutto splendido, e tu non glielo dirai, perché il futuro è il segreto delle donne.

Il presente, quello è il tempo per loro.

E’ per questo che gli uomini sono più liberi, credi, ed è giusto, perché è per questo motivo che le donne li amano.

…you said we were the real thing
so I show you some more and I learn
what black magic can do…

Avrebbe mentito dicendo di non averci mai pensato prima.

Ci aveva pensato, certamente, ma in modo diverso. Ci aveva pensato nel modo superficiale in cui non prendi effettivamente in considerazione le opportunità, le constati soltanto, riconosci che fisicamente non c’è niente che potrebbe ostacolare il verificarsi di certi eventi, anche se non sarai tu a favorirli.

Kairi non aveva mai pensato di favorire quegli eventi, ma non esisteva niente che le avrebbe impedito fisicamente di innamorarsi di uno dei suoi amici, o di entrambi, perché no, come niente le avrebbe impedito fisicamente di innamorarsi di un compagno di classe, di Tidus, magari, e non di Wakka, possibilmente.

Certo che ci aveva pensato, era normale, perché è così che fanno le ragazze: il tormento della mente è il loro vezzo, per puro passatempo prendono una cosa minuscola e ci lavorano, ci lavorano, ci lavorano al punto che dopo un po’ quella cosa ha occupato tutto lo spazio nella loro testa, e per un po’ non riescono a pensare ad altro fino a quando non si distraggono, o si fissano su qualcos’altro, e allora tutto finisce all’improvviso, così com’era cominciato.

Da un certo punto di vista Kairi non solo ci aveva pensato, ma era arrivata, in alcuni momenti, a darlo addirittura per scontato. Le storie le davano ragione. Situazioni come la loro erano già state scritte, scortate ognuna verso il proprio lieto fine.

Se lo aspettava, eppure non era comunque pronta.

E dire che aveva fantasticato spesso anche su come sarebbe andata, e su quale dei due avrebbe scelto.

Se avesse scelto Riku, lo avrebbe fatto indubbiamente per il suo fascino. Certo, lo conosceva abbastanza bene da sapere che c’era ben altro in lui, ma insomma, che cosa può esserci dentro a una persona che sia più importante di quello che c’è fuori, quando quello che c’è fuori è il fascino? Il fascino annulla tutto il resto, ma non perché lo cancelli. E’ piuttosto come se lo inglobasse nella luce. Riku era affascinante, e lo avevano sempre saputo. Fin da quando erano piccoli, il suo ascendente sugli altri era stato straordinario. Kairi adorava starlo a sentire quando parlava, perché la sua voce aveva lo straordinario potere di cambiare la realtà. Rendeva minuscole cose che a lei erano sembrate enormi, e qualsiasi idea avesse, anche la più assurda, veniva resa ragionevole dalla perfezione con cui sceglieva le parole.

Riku era facile a spazientirsi con gli altri, ma non con lei. La trattava sempre gentilmente, non si arrabbiava mai, e non la faceva sentire stupida nemmeno quando se lo sarebbe meritato. Questo trattamento di riguardo la lusingava, e quando qualcuno -possibilmente una ragazza visibilmente cotta di lui- glielo faceva notare, lei fingeva di non essersene accorta, gongolando e facendo la ruota come un pavone.

Anche se non fosse stato così bello, Kairi sapeva che sarebbe bastata la sicurezza in se stesso a renderlo così sexy, l’immagine che dava di chi ha sempre tutto perfettamente sotto controllo.

Se avesse scelto Sora, d’altra parte, sarebbe stato proprio per la sua impulsività, per il suo totale e ostinato rifiuto a riflettere. Sora era l’unica persona che se alla domanda "a che pensi?" avesse risposto "niente", sarebbe stato sincero. Era così ovvio che non pensasse a niente, a volte, e lo dimostrava così apertamente, che Kairi si chiedeva se ne fosse fiero, o se fosse solamente stupido.

Sora non si fermava mai. Agiva d’istinto come gli animali, o meglio, come i cuccioli, ed era una di quelle persone che se non gli si chiude un cassetto non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello di guardare che cosa lo blocca, ma continua a spingere tirare e schiacciare finché non rompe qualcosa.

Sora aveva una fiducia pressoché infinita nelle persone e nella fortuna.

Da piccolo aveva fatto cose assurde, come mangiare un pesce vivo, perché Riku spergiurava che sapesse di caramella. E lo avrebbe fatto ancora, se dopo essersi accorto che faceva schifo Riku gli avesse detto che aveva solamente morso il lato sbagliato.

Lui non era mai cambiato. Se qualcuno gli avesse chiesto un braccio lui non avrebbe chiesto "a che cosa ti serve?" ma "quale preferisci? Sicuro che te ne basta uno? ". Per aiutare chi gli ispirava appena un filo di fiducia si sarebbe buttato in un tornado, o dalla scogliera più alta in mezzo al mare in tempesta, e poteva anche perderci braccia, gambe, tempo, denaro e fatica, ma avrebbe continuato a provare, e lo avrebbe fatto con invariabile grado di impegno ed entusiasmo. Era così audace, così sanguineo, che sembrava avesse davvero il potere di attirare la fortuna.

Sebbene la logica le dicesse che in certe situazioni avrebbe fatto meglio ad affidarsi ai nervi saldi di Riku, quando Kairi stava con Sora aveva la certezza inoppugnabile che niente di male sarebbe potuto accaderle, perché Sora l’avrebbe protetta a dispetto di tutto, e l’avrebbe salvata. Sempre.

Insomma, era come uno di quei libri in cui puoi scegliere come far proseguire la storia, e non c’è un finale giusto e uno sbagliato; tutti i finali sono ugualmente possibili, la differenza sta nella strada che hai intrapreso.

Quindi, sì, Kairi ci aveva pensato, ma in modo diverso da come aveva cominciato a pensarci quella mattina.

Quando era suonata la campanella, veloce come una freccia Sora si era piazzato davanti al suo banco, reclamando il proprio pranzo. Poco dopo era comparso anche Riku, che come sempre aveva monopolizzato l’attenzione delle ragazze nel giro di un secondo. Kairi a volte si chiedeva se le femmine della sua classe avessero tutte un rendimento scolastico disastroso, visto che ce lo avevano sempre davanti ed erano quindi moralmente costrette a starlo a guardare adoranti, o se avessero invece sviluppato come degli anticorpi che le rendeva immuni al suo magnetismo ormonale.

Per vedere che cosa avrebbero fatto -e un po’ per sventolare la loro intimità davanti alle ragazze invidiose, sì- Kairi disse di non essere riuscita a preparare niente, quel mattino. Naturalmente era una bugia, visto che si svegliava tutti i giorni alle cinque per essere sicura di farcela, e infatti Riku non ci aveva creduto. Sora, invece, si era buttato sul suo banco fingendo uno svenimento, poi aveva cominciato a lamentarsi e ad agitarsi come un bambino iperattivo che ha mangiato una confezione di marshmellow. Per far tacere la cantilena Kairi gli aveva dato quel benedetto pranzo, e davanti alla sua faccia felice anche lei si era sentita felice.

Poi loro erano usciti, a fare cose da maschi, e lei era rimasta in classe, a fare cose da femmina (vale a dire spettegolare, guardando di sbieco i bento delle altre per fare tacitamente a gara di quale fosse il più carino).

Era stato a quel punto che Selphie aveva portato la sedia da lei, e con un sorriso complice aveva domandato "Allora, quale ti piace di più?"

Sul subito, quella domanda non aveva nemmeno avuto senso.

A lei piacevano entrambi.

Riku e Sora erano…Riku e Sora.

Erano completamente diversi, ma erano anche la stessa identica cosa. A volte faticava quasi a credere che fossero due persone distinte, e non un’unica entità che si manifestava in due corpi differenti per fungerle da angioletto e diavoletto custodi.

Aveva cercato di spiegarlo a Selphie, ma lei era stata praticamente sorda, e aveva detto come se fosse ovvio, come se fosse sempre stato semplice e chiaro davanti agli occhi di tutti: "Beh, Sora è chiaramente innamorato di te…"

Semplice e chiaro davanti agli occhi di tutti, meno che ai suoi.

Lei era scoppiata a ridere, e aveva smentito con decisione, ma subito dopo aveva cominciato a pensarci.

Aveva dato una goccia d’acqua ad un seme sottoterra. Questo subito era germogliato, aveva messo le radici, poi erano cresicuti il fusto, le foglie, aveva messo i petali, e nel giro di poche ore, dove prima c’era solo un semino, una rigogliosa e infida pianta bellissima le aveva attanagliato il cuore.

E durante le ultime ore di lezione, mentre guardava Sora -che, completamente incapace di mantenere l’attenzione fissa su qualcosa, stava cercando di far stare in piedi una matita sulla punta- si era sentita come se quel seme fosse rimasto dentro di lei per anni, e non avesse aspettato altro che quella gocciolina d’acqua per spingerla ad accorgersene.

All’uscita da scuola Sora le aveva chiesto, come al solito, se le andava di fare la strada con loro, e lei aveva risposto sgarbatamente. Per qualche motivo Kairi, che era sempre gentile e casomai timida con tutti, diventava intransigente e insopportabile davanti a chi le piaceva o aveva il sospetto che le potesse piacere. Non per niente a sedici anni non solo era ancora vergine -cosa a volte un po’ frustrante per questioni meramente fisiche, ma del tutto comprensibile- ma non aveva mai nemmeno baciato un ragazzo. Per forza: tutti quelli che le piacevano e che ci provavano con lei si convincevano che lei li odiasse a morte, e scappavano il più veloce possibile.

Sora -ovviamente o fortunatamente- era di coccio davanti ai suoi turbamenti, e non aveva notato niente di strano. In pratica tutti i maschi che aveva conosciuto, persino Riku, almeno una volta o due le avevano dato l’impressione di inserire il salvaschermo, quando lei stava parlando. Andavano in stand by, o qualcosa del genere, magari guardavano delle bestiole compiere danze folcloristiche dentro le loro teste, e quando si riprendevano era chiaro che non avessero capito una sola parola di quello che aveva detto, ma annuivano comunque.

Sora, infatti, annuì. A che cosa, lo sapeva solo lui. Riku allora aveva detto "lasciamola in pace, sarà uno di quei giorni", e Sora aveva annuito di nuovo, con forza e profonda ammirazione per l’intuizione -che doveva reputare quantomeno geniale- del suo amico: "Oh, giusto, le mestruazioni! Allora ti lasciamo mestruare da sola! Ciao ciao, sanguina anche per noi, eh?" e sbracciandosi per salutarla si allontanò con Riku.

Kairi era talmente abituata a rendersi conto che gli uomini della sua vita erano dei totali cretini, che rimasta sola non pensò nemmeno di dare una sforbiciata a quella maledetta pianta del dubbio e buona notte, anzi, si fermò a guardare il mare con aria trasognata.

Respirò più che poteva il primo soffio di vento. Stava provando a buttare fuori qualcosa dal suo petto, ma era impossibile, e così cercò di purificarlo accogliendo dentro di sé tutta l’aria del mondo.

Qualcosa, dentro di lei, si era rotto. Un pezzettino minuscolo, insulso, ma importavano le dimensioni? Certo che no, visto che quell’unico pezzettino aveva compromesso il funzionamento dell’intera Kairi.

E provava un immenso fastidio pensando che, accidenti, se a sedici anni si era lasciata fregare, allora era proprio una stupida. E dire che si era sentita così superiore alle sue compagne, quando dai dodici anni l’ondata degli innamoramenti non l’aveva mai travolta. E si era preoccupata, all’inizio, ma poi si era detta che ehy, e allora? Era forse obbligatorio innamorarsi? Era forse obbligatorio ridursi ad un patetico sacchettino rosa di confetti, orsettini di peluche e caramelle? No che non lo era.

Non lo era ma aveva sempre saputo, e temuto, che fosse inevitabile.

Proprio lei, che si credeva inscalfibile.

Proprio lei, che si era chiesta , qualche volta, se ci fosse davvero una donna, da qualche parte nel suo corpo.

Era tornata a casa, cercando di riflettere lucidamente sulla questione.

Ricordò che Sora era quello che le prometteva che avrebbe scoperto nuovi mondi in cui portarla, e lei aveva sempre dato per scontato che in quei mondi ci sarebbe stato anche Riku. Non aveva mai pensato che forse Sora, lassù, volesse restare da solo con lei.

E lei?

Sarebbe rimasta da sola con Sora?

Oh, certo che sì.

Non aveva mai valutato l’ipotesi, ma sì.

Lei, Sora e Riku erano amici da sempre, ma il loro rapporto non era mai diventato intimo e fraterno al punto da considerare il solo pensiero di baciarli un incesto.

E a volte ci aveva pensato, eccome.

Era rimasta incantata a guardare il sorriso sensuale di Riku, i muscoli nervosi delle braccia di Sora. Si era spesso appoggiata alle loro spalle, ed era stato un gesto naturale, ma non innocente.

Adesso l’idea di appoggiarsi alle spalle di Sora la rendeva impaziente.

Avrebbe guardato il suo avambraccio, seguito le vene con un dito, esitato sul polso e fatto il solletico al palmo della sua mano, e niente di tutto questo sarebbe stato senza significato.

E come avrebbe potuto? L’interazione tra due corpi non può non voler dire qualcosa.

E pensandolo, si rese conto che da un po’ di tempo Sora era un pensiero ricorrente prima di chiudere gli occhi. Era una sensazione piacevole, in fin dei conti.

Quella notte dormì poco, naturalmente. Lo scivolare dentro e fuori dalle dimensioni del sonno favoriva l’ingigantirsi e snodarsi e dei pensieri, ed era finita a chiedersi, sognasi e immaginarsi cose assurde.

Aveva pensato che forse anche Riku era innamorato di lei. Questo avrebbe reso il suo rapporto con Sora molto simile a quello di Artur e Abel nei confronti di Georgie. Non che lei si riconoscesse molto in Georgie, ma whatever, sarebbe stato intrigante. Ed eccitante. Che Riku e Sora se la contendessero a suon di cazzotti doveva essere stato, in fondo, il secondo desiderio che aveva mai avuto, una volta soddisfatto quello di avere gli Orsetti del Cuore a cinque anni.

O magari Riku era stato il primo ad aver compreso che cosa Sora provasse per lei, e gli era sempre stato vicino, spronandolo a dichiararsi e deridendolo per la sua incapacità a farlo. Questo sarebbe stato dolce.

Tra le due ipotesi, certamente a pelle Kairi avrebbe preferito quella eccitante, e questo perché è vocazione delle donne ingabbiarsi nella situazione più difficile; e sono consapevoli, che sia la più difficile, ma che cosa ci possono fare? E’ anche la più interessante.

Ma tolto il senso narrativo, tolto il desiderio di possesso e di essere contesa e posseduta, Kairi, che cosa voleva?

Svegliandosi, fu di nuovo di buon umore, di nuovo piena di tante aspettative.

Si era svegliata, quella mattina, con la netta e improvvisa sensazione di aver acquisito finalmente i poteri sul suo corpo di donna, quel corpo che aveva sempre avuto, eppure le sembrava di non aver mai conosciuto.

I tasselli si erano allineati, pensava, quindi la vera felicità poteva cominciare.

Si era preparata con più attenzione del solito, soffermandosi sul proprio riflesso e pensando che in fondo era stata stupida a credere di essere orribile, molte altre mattine, perché in realtà non era affatto orribile, al contrario. Assolutamente al contrario.

Poi era andata in cucina, si era legata i capelli sulla nuca, e con il grembiule addosso aveva preparato come di consueto tre pranzi, canticchiando allegramente una canzone stupida.

Una volta finito aveva respirato profondamente, si era lavata le mani e sciolta i capelli, era tornata in bagno a controllare come stesse, e aveva reso luminose le sue labbra con qualche goccia ben stesa di gloss.

Forse era l’amore, la sensazione di desiderare e di voler essere desiderata, a farla sentire così.

Avvolse per bene i bento nei fazzoletti, li mise con attenzione in cartella, e dopo essersi infilata velocemente le scarpe e sistemata le calze, era corsa fuori quasi saltellando, salutando sua madre sulla soglia con voce squillante.

Con la salsa di soia, aveva disegnato un cuore sul riso in bianco di Sora.

*

Inutile dire che non solo Sora non aveva colto l’allusione del cuore, ma lo aveva anche scambiato per un cono gelato. Era dovuto arrivare Riku a dire "a me sembra un cuore", ma lui aveva insistito "ma no, guarda, fa così, così, così…è un cono gelato" alché lei, offesa, aveva sbraitato "è un cuore, stupido deficiente!" e gli aveva ordinato di uscire dalla classe prima che lo prendesse a calci in faccia.

Non era andata esattamente secondo i suoi piani romantici, ma se non altro doveva essere stata una situazione abbastanza esplicita persino per una capacità di comprensione limitata come quella di Sora.

Qualche sera dopo, infatti, sua madre bussò alla porta della sua camera, e le disse la sola cosa che avrebbe voluto sentirsi dire: "Kairi, c’è giù Sora, ti chiede se vuoi andare a fare un giro".

Kairi si era praticamente precipitata giù dal letto, e poi davanti allo specchio, sistemandosi i capelli in modo da sembrare in ordine, ma anche naturale. Era già in pigiama, quindi indossò un vestito corto e rosa, ma decise che ci avrebbe messo le scarpe da ginnastica, così da attutire un po’ l’effetto negli ultimi due giorni non ho dormito perché disegnavo abbinamenti sui fogli a quadretti per essere perfetta in questa occasione.

Quando le sembrò che potesse andare corse fino in corridoio, per poi scendere lentamente dalle scale, come una principessina algida.

Sora era all’entrata, e parlava allegramente con sua madre, di scuola, probabilmente. Poi l’aveva notata, e con un’espressione sinceramente colpita sul volto aveva detto: "Kairi, come ti sta bene, che bella che sei!"

Kairi cercò di sorridergli in modo da non rivelare l’imbarazzo, ma soprattutto quanto fosse stupidamente felice. Per quanto a volte gli avrebbe segato la testa per vedere che cosa c’era dentro, lei adorava la genuinità luminosa di Sora, il fatto che potesse farle un complimento così esplicito e sincero senza pensarci un attimo, senza che ci fosse una particolare atmosfera a suggerirglielo, senza che nulla lo artefacesse.

Lei si fermò ad un gradino dalla fine e girò goffamente su se stessa: "Sei sicuro? L’ho appena comprato ma non so se ho fatto bene, quest’inverno mi sono allargata…"

Sora fece una smorfia arrabbiata: "Ma cosa dici, ma se sei bellissima! Dov’è che ti saresti allargata? Dai, fammi vedere."

Lei si indicò le cosce. Lui le fissò, mettendola ancora più in imbarazzo, e decretò: "Piantala di fare la scema, sei stupenda."

Sua madre rise: "Non fare tutti questi complimenti a una donna, Sora, guarda che ci marciano!"

Sora fece spallucce: "Ma è la verità, lo vede anche da sola che è bellissima."

Sua madre allora sospirò, intenerita: "Non so se questa ragazza meritata tanta fortuna, così giovane e già con due cavalieri così…"

"Due?" ci pensò su, poi rise "Ah, parla di Riku! Ma lui se fa i complimenti a una donna poi se la scopa e subito dopo fa finta di essere finito lì per caso!"

A Kairi sembrò di aver ingoiato un mattone. Si avventò su Sora e gli tappò la bocca, ridendo starnazzante come una gallina nervosa, e con qualche veloce convenevole riuscì a congedarsi da sua madre e uscire di casa. Appena chiusa la porta lo lasciò andare, con il viso ancora in fiamme.

"Ma sei scemo a dire a mia madre che Riku fa quelle cose?!"

"Che cosa?"

"Che fa roba."

Sora continuava a guardarla come se avesse una scimmia sulla testa.

"Che ha dei rapporti, Sora."

"Ma che rapporti, sessuali?"

"No, che altri diavolo di rapporti, assicurativi, lavorativi? Accidenti, non farlo mai più!"

Sora scrollò le spalle: "ma a scuola lo sanno tutti che Riku scopa."

"Sì, a scuola! Ma lei vive nell’universo delle mamme! Ci vede tutti piccli carini e asessuati! Vuoi farle venire un colpo al cuore?"

Sora si stirò, e incrociò le mani dietro alla schiena, con fare sufficiente.

"Beh, se la consola guarda che Riku non è andato a letto poi con così tante ragazze come si dice…"

"Davvero?"

Sora annuì solennemente, e cominciò a guardare il cielo come se ci fosse qualcosa di incredibilmente interessante nascosto dietro. I suoi proverbiali cali d’attenzione. Poi recuperò il filo, e tornò a guardarla.

"E comunque ha diciassette anni."

"E allora?"

"Quando avrebbe dovuto cominciare per stare dietro alla leggenda?"

Kairi si fece due conti. A sette anni, probabilmente.

"In effetti…"

"Visto?"

"Non che cambi qualcosa per mia madre."

"Vuoi che glielo vada a dire?"

"No, per carità…piuttosto, dove andiamo?"

"C’era un posto dove volevo portarti, ma sei così carina che mi spiace un po’ fartici andare, magari volevi fare qualcosa di più interessante…"

Kairi notò che il suo ciondolo a forma di corona luccicava come se reagisse alla presenza delle stelle. Si avvicinò e lo prese tra le dita, lo rigirò un po’, per osservarne i giochi di luce, poi alzò la testa e guardò Sora negli occhi: "Andiamo dove vuoi tu."

Lui annuì e la prese per mano. Si tenevano per mano praticamente da sempre, ma in quell’occasione Kairi dovette combattere contro la ragazzaccia che diventava sotto pressione per non allontanarsi impaurita. Doveva cercare di comportarsi come se non lo odiasse, visto e considerato che non solo non lo odiava, ma avrebbe tanto voluto mordergli quelle guanciotte rosa per vedere se erano davvero morbide e liscie come sembravano.

La serata era calda, mossa leggermente da una piacevole brezza.

Camminarono fino alla spiaggia, dove Kairi lo prese amichevolmente a braccetto e lui, a sua volta, se la tirò vicino stringendole le spalle con un braccio. Quando si era sentita stretta contro di lui, e aveva potuto appoggiare una mano contro il suo petto, le era quasi mancato il fiato.

Mentre parlavano del più e del meno, di cose come compiti e videogiochi, lui si era fermato davanti al sentiero che portava alla piccola grotta dove solevano andare da piccoli, e aveva domandato, indicandola: "Vuoi…?"

Kairi aveva annuito, trattenendo un sospiro.

Da qualche giorno le sembrava che la sua unica ambizione fosse stare in un luogo isolato con lui.

Da qualche giorno, per dirla tutta, la sua unica ambizione era diventata fare l’amore con lui, e si era stupita lei stessa della naturalezza con cui lo aveva realizzato.

Era indecisa persino su quello che doveva immaginare. Che tipo di amante sarebbe stato Sora? Una parte di lei le suggeriva che fosse dolce e gentile, forse un po’ impacciato, ma un’altra parte pensava maggiormente al suo lato focoso, e lo vedeva come un amante inesperto, ma reso impetuoso e sfacciato dal desiderio.

Sapeva solo che una sera, mentre sotto le coperte si accarezzava con le dita, aveva chiuso gli occhi e immaginato Sora succhiarle un capezzolo.

Era stato un pensiero improvviso, inaspettato, ma che l’aveva colta tutt’altro che impreparata.

E dopo essersi assicurata che tutti stessero dormendo, e che la porta della sua stanza fosse ben chiusa, aveva continuato a pensarlo, e lo aveva visto baciarla, mordicchiarle il collo e stringerle i seni con entrambe le mani, scivolate poi a trattenere saldamente i fianchi, e lo aveva visto baciare con amore le sue cosce, aveva visto la sua testa muoversi e i suoi occhi chiudersi, mentre leccava con straordinaria abilità il suo sesso umido e fremente.

Sapeva perfettamente che nella vita reale, difficilmente uno dei due sarebbe stato abbastanza sveglio da fare la prima mossa. Ma non le sarebbe affatto dispiaciuto se appoggiati contro una roccia, protetti protetti dagli sguardi del mondo, senza dire nulla Sora le avesse scostato la minigonna e l’avesse almeno accarezzata sopra le mutandine (che, non a caso, aveva cambiato in modo che si appaiassero al vestito).

Pensare a queste cose, con lui lì accanto, le sembrava strano, ma non imbarazzante. La eccitava, in un certo senso, e le piaceva pensare che Sora, che a volte somigliava così tanto a un animaletto, potesse sentire l’odore di questi pensieri.

Erano entrati nella grotta, e si erano seduti in un angolo, nascosti, ben lontani dall’entrata.

Non c’era molta luce, e il corpo di Kairi ne aveva approfittato senza il suo consenso per appoggiarsi completamente contro di lui, fino a posare le ginocchia piegate sulla sua cosce.

Sora cominciò, dopo un po’ che era calato un silenzio denso e carico di promesse: "Dunque."

Kairi stava saggiando beatamente la consistenza del suo braccio contro la guancia, e venne risvegliata dalla sua voce.

"Dunque cosa?"

"…non so bene da che parte cominciare, quindi facciamo che non stai a vedere se sbaglio i verbi e che mi vieni incontro come puoi, ok?"

Kairi annuì, cercando la sua mano senza guardare. Quando la trovò, tracciò sul dorso un segno senza senso con l’indice.

"Allora, in pratica…" si schiarì la voce "…negli ultimi tempi…saranno…non so, ti interessa?"

"Che cosa?"

"Sapere quanto sono gli ultimi tempi, nello specifico, perché non sono sicuro…"

"No, non importa. Vai avanti, rilassati."

"Ok…allora…saranno, non lo so, credo…sei mesi, forse? No, di più…però hai detto che non importa, quindi, dicevo…in questi ultimi tempi…sono successe…come dire, delle cose, sai, dentro di me…"

Era quasi comico che glielo dicesse in quei termini, perché anche dentro Kairi stava uccidendo qualcosa, ed era qualcosa di difficilmente controllabile che le portava una spiacevole sensazione di umido tra le gambe. Le strinse forte, e disse solo mh per spingerlo ad andare avanti.

"Quindi, in pratica, sono successe queste certe cose e…non è che le stessi cercando, sia chiaro, cioè, non le avevo mai pensate, però…hanno cominciato a succedere, ecco. Sono successe da sole, mettiamola così. All’inizio è stato strano. Molto strano. Ma poi è diventato normale, come se quelle cose ci fossero sempre state, e quando queste cose hanno cominciato a…mmmh…"

"Manifestarsi, Sora?"

"Sì, ecco, diciamo così. Manifestarsi. Quando hanno cominciato a manifestarsi, è stato…beh, ok, è stato soprattutto strano, ma è stato anche…"

"…intenso?"

"Intenso, ecco. E’ la parola perfetta. E’ stato molto…molto intenso. Non potevo più nascondere quelle cose, e così io e Riku ne abbiamo parlato, ne abbiamo parlato un sacco, e poi ci siamo detti ok, va bene. Capisci cosa voglio dire?"

Beh. Insomma. Allungò una gamba, incrociandola con la sua, e scosse la testa.

"Ok, allora…mi sono spiegato di merda, in pratica non ho detto niente, scusami."

"Figurati…e non è vero che non hai detto niente…"

"Lo sapevo che dovevo lasciar fare a Riku, ma mi sono fissato che dovevo dirtelo io, perché lui l’avrebbe fatta troppo tragica, ma adesso io sto rischiando di farla troppo stupida e…beh, non è nessuna delle due cose. Non è né tragica né stupida. E’ solo…non lo so, che cos’è. Ma mi piace, Kairi."

Kairi sorrise ansiosamente, quasi arrampicandosi su di lui per l’impazienza.

"Che cosa ti piace, Sora?"

"Quello che…quello che sta succedendo…." sospirò, scuotendo la testa "quello che sta succedendo tra di noi."

Kairi abbassò lo sguardo, e gli accarezzò lentamente il braccio. Gli prese la mano, in fine, e domandò, carezzevole: "E che cosa sta succedendo, Sora?"

"Non lo so con precisione, è sicuramente qualcosa che non ci aspettavamo, però…però continua, ed è…è intenso, appunto. Pensavamo che a un certo punto sarebbe passata, e invece continua come, non so, a crescere…allora abbiamo capito che era arrivato il momento di dirtelo…"

Kairi stava impazzendo, e avrebbe semplicemente voluto fare qualcosa di esplicito tipo prendergli una mano e infilarsela sotto la gonna, ma le sembrava abbastanza squallido pensare a questo in un momento del genere, senza contare che a Sora probabilmente sarebbe preso un coccolone e non le avrebbe più rivolto la parola dallo spavento, quindi cercò di trattenersi. Tuttavia gli uscì dalla bocca un tono supplichevole: "Di dirmi che cosa, Sora?"

Lui sospirò.

"Che le cose tra me e Riku sono…cambiate."

Lei sgranò gli occhi, che aveva tenuto placidi e tranquilli fino a quel momento, cullati dalla penombra.

"…scusa…?"

Sora non rispose. Si vedeva che stava cercando le parole, ma Kairi lo precedette: "In che senso sono cambiate?"

Lui continuò a non rispondere. Lei sentiva chiaramente che le stava venendo fuori un sorriso da psicopatica e le tremavano le mani dalla voglia di picchiarlo. Kairi-ragazza-intrattabile era tornata con la quinta ingranata, ed era difficile trattenerla.

"Sora" riprovò, minacciosa "E’ successo qualcosa? Avete litigato?"

Kairi-ragazza-intrattabile era tornata, ma perché quel penoso tono di disperazione isterica nella sua voce?

Che…che cosa CAZZO stava succedendo, di che cos’è che aveva farfugliato per mezz’ora, cos’è che quel microcefalo stava tentando di comunicare?!

Il microcefalo cominciò: "E’ successo qualcosa, sì, e in un certo senso è vero che abbiamo litigato…è cominciato, mentre litigavamo…non mi ricordo neanche più per che cosa, sarà stata qualche cazzata, se me la sono dimenticata, come se poi fosse una cosa così rara da ricordarsela…abbiamo cominciato a urlare, ci siamo spintonati un po’, sai, poi lui mi ha dato un cazzotto, io ne ho dato uno a lui, lui mi ha buttato a terra, io l’ho trascinato giù con me, e non so cosa sia successo, ma fatto sta che dopo…beh, è andata che dopo ci stavamo baciando."

Kairi sentì chiaramente che dal bassoventre, il calore era salito nella gola, nel cervello, e adesso le sue orecchie erano bollenti e sorde.

Non sentiva quasi più niente.

Rise nervosamente, strattonandogli un braccio, col volto avvampato e accaldato, e disse: "cosa?"

Sora non aveva capito. Non aveva capito che lei si era persa, si era fermata, era rimasta indietro, e l’aveva in chissà che modo presa per un’esortazione. Così, mentre lei praticamente collassava sotto i suoi occhi, lui continuò: "…non so come dirtelo più chiaramente, non è chiaro nemmeno a me, e non era chiaro nemmeno a lui, infatti ci siamo staccati, sai, tipo oh mio Dio, fermi tutti lui si è seduto, io mi sono seduto, abbiamo cercato di capire, ci siamo scusati, a lui è uscito qualcosa tipo che non mi dovevo scusare, e tipo tre secondi dopo ci stavamo baciando di nuovo…"

"Che cosa?"

Kairi cercò di respirare, di far tornare normale la sua voce, di fermare il maledetto tremore alle mani. Guardò Sora, in un moto di speranza, e la sua immagine le tremava davanti agli occhi. Lui sbuffò, un po’ imbarazzato: "Non capisco che cosa non sia chiaro, a questo punto…"

"E che" rise, disperata "Che cos’è successo, insomma, Sora?"

"Ecco, lo sapevo che mi toccava raccontare i dettagli, io queste cose non le so fare…" borbottò, grattandosi la testa. Le sue guance erano arrossite leggermente. Le guance che Kairi avrebbe voluto mordere. Le guance che forse Riku…

…e poi era successo.

La comprensione di tutto, come un’ondata.

"Sora, tu e Riku…?"

Sora guardò a terra e annuì.

"Voi state insieme?" domandò ancora, con un filo di voce ridicolo e strozzato.

"Questo non lo so, non so se si può dire così, non ne abbiamo mai parlato in questi termini, però…non so, credo che si possa dire così, credo che…"

Kairi si alzò, velocemente, in modo quasi doloroso per le sue ossa traumatizzate.

Alzò la voce, per far entrare le sue parole semplici e chiare nella maledetta testa lenta e bacata di quell’idiota: "Voi fate le cose che fa chi sta insieme, esatto?"

"…non saprei, credo di sì…"

"Fate tutte le cose?"

Sora la guardò, imbarazzato e un po’ infastidito: "Sì, accidenti, facciamo tutte quelle cose, ti devo fare un disegno…?"

"Sora!" strillò, all’improvviso "Cazzo, Sora, cazzo!"

Sora sospirò: "Potresti anche dimostrarti un po’ meno scioccata…"

Con quella pretesa assurda, con quell’ignobile, ingiusta e paradossale pretesa, Kairi raggiunse il massimo della sopportazione e cominciò definitivamente a ribollire e fischiare come una pentola a pressione.

Loro…loro stavano insieme!

Riku e Sora!

Gli stessi Riku e Sora su cui fantasticava da una vita, mio Dio, i Riku e Sora che pensava avrebbe sposato quando era bambina, i Riku e Sora che…Sora, mio Dio.

Lo stesso Sora che nella sua fantasia solo la sera prima…

…che cos’era successo…?

Cristo Santo, dov’era, lei, quando questo stava succedendo?

Lontana, a quanto pare, troppo lontana perché i suoi migliori amici passassero a farle un saluto e magari, introducendolo così, casualmente, in una discussione qualsiasi, buttassero lì un "oh, lo sai Kairi, SIAMO GAY".

…erano gay.

Erano gay, e non l’avevano mai nemmeno considerata per sbaglio come lei aveva considerato loro, come lei aveva considerato Sora, come lei stava ancora considerando Sora…

Sora si alzò, lentamente, e si mise davanti a lei con una odiosamente adorabile espressione da cucciolotto: "Kairi, dai, dì qualcosa, che mi fai preoccupare…"

E che cosa poteva dire?

Che si sentiva ferita?

Che si sentiva umiliata?

Che si sentiva come se dovesse scoppiare da un momento all’altra sparpagliando sangue organi pelle e ossa per tutta la grotta?

Che non si era mai sentita così stupida, e inutile, e ancora stupida, idiota, in tutta la sua vita mai nemmeno una volta, mai nemmeno accumulando tutte le figure peggiori che aveva fatto, niente si avvicinava lontanamente a quanto ridicola e patetica e stupida e idiota si sentiva in quel momento, niente, ed era ovvio che non ci fosse, perché non esisteva niente nella vita che fosse orribile e umiliante e vergognoso e ridicolo a tal punto da avvicinarsi a quello, niente, niente di niente, ed era tutto così…mio Dio, lei era così STUPIDA.

Lacrime amare, dolorosissime e bollenti le salirono agli occhi, bruciandoli così forte che dovette chiuderli.

Non disse più niente, se ne andò e basta.

Per qualche secondo aveva sperato che Sora la seguisse, e infatti lui l’aveva seguita, ma dopo che lei aveva rifiutato di parlargli un paio di volte si era arreso e le aveva detto, sconsolato "fai come vuoi" prima di andarsene. E poi, non era successo più niente. E certo che no. Che cosa doveva succedere? Tutto quanto era successo mentre Kairi era girata, tutto quanto era successo alle spalle di Kairi.

Tutto quello che doveva succedere, era già successo.

E Kairi era stata lasciata indietro.

*

Aveva finto un’influenza per non andare a scuola. Dopo tre giorni si era resa conto che i suoi non avevano creduto nemmeno per un istante che i mal di testa, il calore insopportabile al viso, gli occhi rossissimi e le soffiate di naso interminabili dipendessero da una malattia. Non una fisica, almeno.

Che nome aveva la malattia di Kairi?

Tristezza, delusione d’amore, tradimento?

Si sentiva triste, delusa, tradita?

Sì, si sentiva tutte queste cose, soprattutto tradita, ma c’era anche altro, c’era così tanto altro che il solo pensarlo le toglieva il respiro e la costringeva a ricominciare a piangere, perché quello che provava era troppo grande per essere espresso con chiarezza, troppo repellente, e doloroso.

Per una settimana aveva mangiato a stento, a stento si era mossa dal suo letto, mentre rintanata sotto una coperta troppo pesante per la bella stagione aveva sudato e pianto chiedendosi un miliardo di cose e nessuna, perché aveva formulato tante, tantissime domande, ma una sola aveva senso: perché?

Perché stava succedendo quello?

Quale beffarda, crudele ironia della sorte le stava facendo questo? Perché si stava facendo questo?

E dire che pensava di conoscersi così bene.

Adesso Kairi non solo non si riconosceva, ma si odiava. Odiava quella stupida che aveva permesso che si riducesse così. Perché le aveva fatto questo? Perché era stata così stupida, perché?

Non era solo triste, era distrutta.

Ed era così arrabbiata, e mio Dio, così impotente. Non sapeva se, potendo, si sarebbe scavata un buco dove nascondersi a vita, oppure avrebbe caricato una specie di barra turbo e si sarebbe messa a spaccare tutto impugnando qualche arma fallica e lanciando palle di fuoco come nei gdr. Ma importava? No, certo che no, perché non si era mai sentita così sola e questo era quanto.

Era sola, nel modo più assoluto, più desolato e irrimediabile, come se l’avessero presa e piazzata di peso su un altro minuscolo pianeta, e non poteva nemmeno parlare con le uniche persone delle quali si fidava al punto da farsi vedere in quello stato, perché erano quelle le persone che la facevano soffrire così.

Continuava a ripensare alle sue stupide fantasie su lei e Sora, per non parlare di tutte quelle avute su Riku, alle figure tremende che aveva fatto, a tutti quei sorrisi sprecati, quelle moine buttate, quegli sforzi di essere gentile che lui nemmeno aveva notato, e perché avrebbe dovuto notarli, poi? Sora non aveva occhi che per Riku, chiaramente.

Non aveva nemmeno capito che quello sul suo riso era un cuore.

A questo pensiero sentiva così chiaramente il cuore che le si spezzava, che doveva sedersi e stringersi una mano al petto, per non che i frammenti si spargessero.

Non aveva più carattere.

Solo sconforto, e quell’immenso senso di perdita che sembrava inghiottirla.

Una volta alzatasi dal letto aveva cominciato a trascinarsi per casa, come il relitto di un vascello fantasma, e continuava a piangere, camminando senza meta, con le mani schiacciate contro gli occhi ed il viso perennemente deformato in una smorfia sofferente.

Il fatto era che colpa o non colpa, ragione o non ragione, niente poteva cancellare la patetica, tremenda figura che aveva fatto davanti a loro e a se stessa.

Niente poteva cancellare il fatto che fosse stata semplicemente…un’altra donna.

Stupida, debole, così pronta a dichiararsi sensibile, eppure così egocentrica da non rendersi conto di una cosa tanto importante e probabilmente evidente.

Era stata semplicemente un’altra donna.

Aveva creduto di essere potente, come una bomba, ed era bastato il soffio di un uomo a spezzarla.

Dopo due settimane, quando era ormai consumata e bianca, i suoi genitori le avevano detto che non poteva continuare così, e che sarebbe dovuta tornare a scuola, prima di tutto.

Temendo che volessero mandarla da uno psicologo o qualcosa del genere, Kairi si fece forza e il giorno seguente indossò la divisa, che non le era mai stata così male: le sue braccia sembravano dei salami, le cosce dei prosciutti, i piedi erano enormi e in generale ricordava sicuramente qualcosa di grasso da mangiare alla griglia.

Ma che cosa le importava, ormai?

Tanto Riku e Sora non l’avevano voluta a tal punto che si erano convertiti all’altra sponda per repulsione, quindi, accidenti, che cosa poteva causare negli uomini se non ribrezzo? A questo punto tanto valeva andare in giro con un sacchetto di carta in testa, con due bucherellini davanti agli occhi, altrimenti avrebbe reso tutti omosessuali e la Destiny Island si sarebbe spopolata nel giro di trent’anni, e sarebbe stata tutta colpa sua.

Fuori di casa, la luce del sole la ferì tremendamente.

Si fermò a guardare il mare, e si sentì come se in bocca avesse della terra, da tanto la opprimeva e disgustava il sapore dei ricordi di tutte le inutili illusioni che si era fatta.

Kairi non avrebbe avuto tutto.

Tutto quello che aveva sempre desiderato veniva travolto dalle onde, e trascinato lontano.

Pensò che forse la barriera corallina non era altro che un ammasso cristallizzato di sogni e di speranze gettate, perché altrimenti sarebbe stata così brillante, eppure così tagliente?

Quando vide la scuola all’orizzonte si fermò, incapace di proseguire.

Quello non era più un posto per lei. Nessun posto era per lei. Nessuno l’avrebbe capita, là dentro, ed era giusto che nessuno la capisse, perché Kairi era così stupida e idiota da non meritare la comprensione di nessuno.

Nessuno doveva capire che stava provando il dolore più grande che aveva mai immaginato di poter provare, solo perché i suoi migliori amici si erano…Dio, non riusciva nemmeno a dirlo.

Che razza di mostro era?

Che razza di stupida, patetica, insensibile capra piena di rabbia era?

Non di sicuro una donna.

Non era mai stata una donna, adesso ne aveva la certezza.

Non era nemmeno stata donna abbastanza da tenere due uomini per sé.

Arretrò, sconfitta, decisa a tornare a casa con la coda tra le gambe, e fu in quel momento che incontrò Riku.

Lui guardò la scuola, guardò lei, poi ancora la scuola, e le domandò: "Ti va di parlare?"

Kairi, debolmente, annuì.

*

Davanti all’enorme gelato che le portarono al tavolo, Kairi fece una smorfia, ma dopo aver trovato la forza di assaggiarlo non si era più fermata. Tanto che le importava? Anche se fosse diventata così grassa che per mandarla da qualche parte avrebbero dovuto lanciarla con una fionda, la sua presenza sulla Terra non sarebbe stata comunque più devastante di quanto già non era.

Mentre mangiava più piano di quanto non avrebbe desiderato, portando lentamente piccole cucchiaiate alla bocca, osservò di nascosto Riku, come se lo stesse vedendo per la prima volta.

Dimostrava più di diciassette anni, forse almeno diciannove. La sua bellezza era ingiusta, in un’età in cui i ragazzi sono ancora rospetti brufolosi resi appena appena interessanti da un timido, incerto accenno di spalle.

Riku aveva la pelle pulita e le spalle tornite. Era alto, il suo fisico era atletico, allenato, e le sue braccia in particolare attiravano gli sguardi smaniosi delle ragazze, insieme ovviamente alle labbra carnose e sensuali, e gli occhi verdi distaccati e seri. Aveva un portamento sicuro ed elegante, molto diverso dalla camminata approssimativa dei suoi compagni di classe. A volte sapeva essere davvero scortese, ma qualsiasi essere dotato di ovaie gli avrebbe perdonato tutto, specialmente in quei giorni del mese in cui hai gli ormoni a palla, e se uno come Riku ti dice "vaffanculo" tu ti prostri ai suoi piedi scongiurandolo di farti sua.

Riku le era sembrato, a volte, figlio della sabbia e del mare.

Fino ad una certa età, quando aveva cominciato a comprendere il gretto significato della fortuna, aveva sempre pensato che niente di così squisitamente bello potesse nascere da esseri umani. Era così equilibrato, lui, così armonioso e forte, che doveva essere per forza una creazione degli elementi.

Adesso Kairi aveva sedici anni, e si vedeva sbattere in faccia la cruda verità: Riku era stato fortunato a nascere tanto bello, e lei era stata sfortunata ad innamorarsi di qualcuno che aveva in Riku un’alternativa a lei.

Se Sora si fosse messo con una ragazza qualsiasi, anche con una bellissima, Kairi avrebbe potuto giocare d’astuzia, usare quei subdoli trucchi che usano le donne, e in un modo o nell’altro, a furia di battere il ferro, l’avrebbe piegato.

Ma se Sora poteva avere qualcuno come Riku, beh, che cosa poteva fare una Kairi qualsiasi?

Solo abbassare la testa e mettersi mestamente da parte di fronte all’evidenza che non fosse una questione di sesso, lei non aveva perso perché a Sora probabilmente piacevano gli uomini: aveva perso perché Riku era più figo di lei.

Era così umiliante, ma così umiliante, che l’unico modo in cui poteva consolarsi era guardarlo arcigna e pensare: "beh, vaffanculo, intanto ti ho fatto diventare gay col potere della mia bruttezza, ahaha". Ma questo era così puerile che si sentiva ancora peggio.

Fece tristemente le bolle nel latte, e una gocciolina le saltò sul viso. Lo asciugò, poi guardò Riku bere il suo caffè, e si sentì morire al pensiero di quanto dovesse averla trovata ridicola.

Con i suoi pensieri, i suoi sorrisi, il suo cuore sul riso.

Che cosa aveva pensato Riku, per tutto quel tempo? Lui, che vedeva sempre tutto, prima di tutti gli altri, e che quindi sicuramente sapeva che cosa Kairi provasse per Sora prima ancora che Kairi stessa avesse modo di rendersene conto. Lui, che sapeva, che cosa pensava di lei?

Che cosa pensava dei suoi piccoli, patetici sentimenti?

Quanto infantile doveva averla trovata, quanto insicura, e sciocca.

E aveva pensato, anche solo per un attimo, che fosse un suo dovere evitarle quella figuraccia? Che forse quella sua infantile, insicura, sciocca amica, meritava di sapere?

…Che cosa pensava di lei, adesso?

Sospirò, cercando di fingere il meglio possibile di essere forte.

"…raccontami cos’è successo, per piacere…"

Riku si appoggiò allo schienale della sedia, accavallò le gambe, e dopo qualche attimo disse: "Credevo che Sora te lo avesse già detto. In effetti, pensavamo fosse questo il problema."

Kairi scosse lentamente la testa: "Lo sai come si spiega Sora…" e nel dirlo le salirono le lacrime agli occhi perché Dio, certo che lui sapeva com’era Sora.

Lui sapeva com’era Sora molto meglio di lei.

Lo sapeva nei minimi dettagli…lo sapeva in modi che lei non avrebbe saputo mai.

"Vorresti spiegarmelo tu, ti prego…?"

Riku era rimasto in silenzio, e aveva finito il caffè. Poi aveva appoggiato la tazzina vuota sul piattino, e incrociato le mani sul tavolo.

"Che cosa sai?"

"…mi ha raccontato di quando…è successo."

"La prima volta?"

"…mh."

"La prima volta che ci siamo baciati, intendi?"

"Quante altre prime volte ci sono state?" domandò stizzita, con le lacrime che pungevano galeotte.

Riku capì il suo stato d’animo e si ritrasse.

"Non molte. C’è qualcosa in particolare che vuoi sapere? E’ più semplice per entrambi se sei tu a fare le domande."

Kairi non credeva affatto che fosse semplice. Non sapeva nemmeno se avesse davvero delle domande, o se semplicemente volesse strangolarlo e agitarlo così forte da fargli uscire dalla tasta tutto quanto, così lei avrebbe potuto attingere liberamente e ricostruire il suo personale, piccolo puzzle degli eventi.

Sapeva solo che sentiva di essersi persa qualcosa, ed era una sensazione orribile, perché loro erano amici da quella che le sembrava un’eternità, e l’idea che Riku e Sora, da soli, avessero creato qualcosa in cui lei non era contemplata, la faceva a pezzi. Più ci pensava, più quella sensazione diventava una schifosa morbosità.

Avrebbe voluto sapere tutto, da una parte, nei più piccoli e intimi dettagli.

Come si erano mossi, dove tenevano le mani, qual era precisamente l’espressione di Sora un attimo prima che si baciassero e com’era stato ogni secondo di quel bacio. Se era stato dolce o passionale, se era stata una cosa lenta oppure improvvisa, se qualcuno aveva preso l’iniziativa o se si erano mossi entrambi. Se erano accaldati ed eccitati. Se sarebbe stato chiaro ad uno spettatore esterno che si volevano, anche se non era chiaro a loro.

Voleva sapere tutto, eppure quando cercava di immaginare lo stomaco le si stringeva, e non era troppo fiera di sentire brividi tutt’altro che piacevoli.

"Vorrei sapere che cosa è successo dopo. Che cosa avete fatto, come…come avete preso questa cosa …"

"Come dovevamo prenderla? Eravamo sconvolti."

E glielo diceva così. Restando il più figo dell’Isola. Quanto lo odiava.

"Lo immagino…" disse flebilmente, e lo immaginava davvero. Nel dirlo era stata sinceramente comprensiva. Invece di farla sentire meglio, quelle semplici parole le lasciarono un retrogusto amaro sulla lingua.

Riku continuò: "Abbiamo deciso di non vederci per un po’. Era quasi la fine delle vacanze estive. Tu eri ancora via con i tuoi genitori, quindi non avevamo nemmeno il problema di giustificarci con te. Ci siamo incontrati di nuovo a scuola, e abbiamo ricominciato a vederci, a comportarci come avevamo sempre fatto, ma era inutile."

"Del tipo…?"

"Del tipo che io lo guardavo, e lui guardava me, continuavamo a guardarci. Non era un comportamento naturale. Ci zittivamo magari per dieci minuti, facevamo altro, e ci guardavamo quando pensavamo che l’altro non se ne accorgesse. Stava diventando ridicolo. E stancante. Opporsi era stancante."

"Opporsi a che cosa?" domandò a bassa voce, come se avesse paura di disturbare.

Riku mosse il cucchiaino nella tazzina vuota, poi lo tirò fuori e lo appoggiò sul piattino.

"All’attrazione, credo. Che stronzata. Aveva senso fare finta di niente, quando non facevamo altro che pensarci?"

Kairi scosse debolmente la testa, anche se dubitava che fosse davvero una domanda diretta a lei.

"La cosa più insopportabile era sentire che non potevamo averne ancora non perché qualcosa lo impedisse, ma perché non era giusto. Capisci che cosa intendo?"

Kairi annuì.

"Verso…ottobre, credo, eravamo giunti al compromesso di stare vicini, quando eravamo soli e sicuri che non ci fosse nessun altro nei paraggi."

"…vicini…?"

"Nel senso stretto del termine. Vicini e basta. A volte dopo venti minuti riuscivamo a toccarci le mani, al massimo, neanche a prendercele. Giuro che una cosa del genere non mi era mai capitata, ma non è così difficile da credere. In pratica vivevamo nell’attesa che mia madre ci gridasse che usciva, per poter avere anche solo quel contatto. Così era anche peggio, perché ogni secondo che rubavamo ci faceva sentire più in colpa, ma quei secondi erano così sublimi…Stava diventando una tortura, Kairi."

Allora potevate chiamarmi, così ci facevamo una cosa a tre e i casi erano due: o guarivate, o l’orripilante Kairi vi faceva finalmente accettare i vostri impulsi sodomiti. Maledetti bastardi.

"Lo capisco…" disse, e continuava a sorprenderla come riuscisse ad essere del tutto sincero quel tono triste e comprensivo, quando dentro di lei avrebbe solo voluto spaccare teste a destra e a manca.

"Siamo andati avanti così fino a Febbraio. Per quanto mi riguarda, stavo diventando pazzo. L’ho invitato da me per un fine settimana in cui i miei erano via, e abbiamo parlato tanto che alla fine mancavano le parole. A me. Non avevo più parole. Mi ricordo benissimo che gli ho accarezzato le labbra con le dita, e lui…lui si è inginocchiato, mi ha messo le braccia intorno al collo, io l’ho stretto, e ci siamo baciati."

"…e com’è stato…?"

"Travolgente. E incantevole."

Kairi continuò a succhiare dalla cannuccia finché lo sgraziato rumore del risucchio non l’avvertì che il bicchiere era vuoto.

Si sentiva avvolta da una profonda tristezza, adesso, che non era più tinta da quei connotati di disperazione, rabbia e orgoglio che la rendevano così bruciante.

Era una tristezza sorda, inconsolabile, spietata nel suo modo di essere quasi dolce.

Kairi finalmente alzò la testa e guardò Riku, che la guardava a sua volta con tranquillità.

Riku doveva essere l’unica persona al mondo che poteva ammettere di essere innamorato e terrorizzato senza battere ciglio, senza far dubitare nemmeno per un secondo che avesse la situazione in pugno.

Innamorato e terrorizzato…Kairi non l’aveva pensata nemmeno per un secondo in questi termini.

Non aveva pensato nemmeno per un momento che quelli erano i suoi migliori amici, e che quella cosa doveva aver stravolto più la loro vita che la sua.

Eppure…eppure non riusciva a sentirsi nemmeno in colpa.

Aveva solo questo senso di tristezza, dentro, e di una delusione malinconica, come per qualcosa che ricordi di esserti lasciato scappare molto, molto tempo fa.

Domandò, sistemandosi i capelli dietro alle orecchie e tornando a guardare la superficie bianca del tavolino: "Quindi, adesso? Qual è la situazione? In pratica state insieme?"

"Non lo so. Quello che so con certezza è che c’è qualcosa, ed è forte."

"Ma Sora è il tuo ragazzo?"

"…di sicuro è mio."

Kairi non aveva bisogno di sentire altro.

Era così amareggiata che le sembrava che il latte, nello stomaco, le fosse diventato acido.

Allontanò il bicchiere vuoto, e Riku capì. Chiamò con un gesto la cameriera e chiese di portare il conto. Quella tornò tre secondi dopo, sorridendogli e sbattendo le ciglia con fare sfacciatamente civettuolo.

Kairi era abituata a vedere quel tipo di scene, qualsiasi ragazza, anche la più stronza, davanti a Riku nutriva l’improvviso e insopprimibile desiderio di essere gentile. Lui se ne rendeva perfettamente conto, e negli anni lo aveva visto imparare ad usare questa dote per manipolare sottilmente la gente, per ottenere il loro favore e sedurla senza muovere un dito. Lo aveva visto strappare permessi persino alle professoresse e alle madri, parlando col tono di voce più adatto e sorridendo al momento giusto.

Un ragazzo che a soli diciassette anni poteva avere qualsiasi donna ai suoi piedi…Kairi non sapeva se considerare ironia nera che questo ragazzo dovesse nascondersi per dare un bacio al suo migliore amico, o se fosse invece una punizione, una specie di contropartita, qualcosa che bilanciasse il fatto che esisteva tanto potere, ed era finito tutto nelle mani di un uomo solo.

Una punizione…pensandola così, quasi Kairi riusciva a sentirsi meglio.

Si alzò dalla sedia, prese la cartella, e quando anche Riku si alzò lui le chiese: "Pensi di venire a scuola?"

Lei scosse la testa.

"Torni a casa?"

Lei scosse di nuovo la testa. Lui tirò fuori un mazzo di chiavi dalla cartella e gliele porse.

"I miei lavorano, tornano entrambi alle otto. E’ troppo presto per cominciare a gironzolare, stai da me almeno fino alle quattro o le cinque, va bene?"

Kairi non disse niente, ma prese le chiavi. Poi cominciò: "Tu…" e si fermò.

"Io?"

"…torni a casa con Sora…?"

Riku le sorrise gentilmente: "Come sempre."

Lei annuì, lo ringraziò per la colazione e lo guardò andare via. Poi strinse nella mano le sue chiavi, e si avviò lentamente verso la spiaggia.

*

Kairi aveva ricominciato a frequentare la scuola da una settimana, e non aveva mai rivolto la parola a Sora.

I primi tre giorni lui aveva provato ad approcciarla, e non sempre in modi esattamente delicati. L’aveva praticamente placcata in corridoio, le aveva fatto picchietti all’uscita, preso a calci il banco e lanciato bigliettini in testa. Lei non gli aveva mai risposto niente che non fosse una variante di "lasciami in pace". Così, alla fine, persino uno come lui si era arreso.

Lui, che era sempre così irruente e testardo, così convinto che ogni cosa si potesse sistemare con un po’ di colla. Persino lui era arrivato a credere che non esistesse materiale miracoloso in grado di riattaccare i cocci del loro rapporto?

Se era così, allora Kairi poteva esserne certa: era tutto finito.

Erano scivolati nell’indifferenza, ad ignorarsi, definitivamente e tristemente.

Selphie se ne era accorta e gli aveva fatto domande in proposito, ma lei aveva scrollato le spalle, dando risposte molto vaghe.

La cosa più insopportabile era che per qualche assurdo, odioso principio di lealtà, Kairi non riusciva a parlare di quello che era successo con nessuno, perché non era certa che loro volevano che si sapesse.

Detestava essere legata alla fedeltà dell’amicizia, quando proprio loro erano stati i primi a recidere quel vincolo, a mentirle, e a tradirla.

Era assurdo sentire di odiarli, ma di sapere anche di voler loro così bene che un sola, insignificante battuta di qualcun altro sulla loro sessualità l’avrebbe ferita a morte, e poi l’avrebbe spinta a costruire un fortino e ammazzarli tutti lanciando granate esplosive.

Solo lei avrebbe potuto scherzarci, ma lei non ci voleva scherzare. Quindi teneva tutto per se, covando ancora più rancore, perché quei due stronzi non solo l’avevano privata della loro amicizia, ma le stavano indirettamente portando via anche quella degli altri. Beh, quella di Selphie, almeno.

Quel pomeriggio, però, mentre tornava a casa, ebbe un momento di particolare lucidità, e guardando il mare aveva deciso di passare da Riku. C’era sicuramente anche Sora.

Aveva pensato, all’improvviso, che mio Dio, era un mostro.

Eppure Riku gliel’aveva spiegato quanto era stato difficile per loro, e Kairi poteva solo immaginare quanto potesse continuare ad esserlo.

Riku e Sora non avrebbero mai potuto vivere apertamente qualsiasi cosa provassero l’uno per l’altro.

Non era solo questione di un momento, di un periodo di confusione o in cui sentivano il bisogno di particolare intimità: loro si sarebbero nascosti per sempre.

Quando l’arrabbiatura di Kairi si sarebbe attenuata, quando sarebbe andata a vivere dall’altra parte dell’universo (non pensava certo di restare in quell’isola sfigata per sempre), quando si sarebbe trovata un uomo (possibilmente più figo di Riku, così Sora sarebbe schiattato d’invidia), quando tutto per lei sarebbe stato sistemato, loro sarebbero stati ancora a quel punto.

Non si sarebbero mai dati un bacio sul tetto della scuola. Non avrebbero mai fatto la strada per mano. Non avrebbero mai raccontato che cosa li rendeva tristi ad un compagno di classe, e avrebbero dovuto cercare continuamente scuse, per stare da soli, o con gli amici che si chiedevano perché non avessero la ragazza.

Certo, questo era un problema che riguardava soprattutto Riku, ma lui aveva avuto delle esperienze, per un po’ di tempo nessuno avrebbe fatto caso a qualche rifiuto in più, e anzi, lo avrebbero trovato normale: se ne facevano avanti talmente tante con lui, dalle lettere d’amore a quelle ubriache che la sera in spiaggia gliela sbattevano praticamente in faccia, che era solo ovvio non avesse tempo per tutte. Ma prima o poi la cosa si sarebbe fatta sospetta. E in quanto a Sora, ok, certamente non toccava i vertici olimpionici di Riku (che poi, a ben vedere, le sue conquiste di massa avevano tecnicamente tutti i numeri per essere etichettate come massacro), ma piaceva, e molto. Era sempre stato troppo ingenuo e svampito per accorgersene e approfittarne, ma anche nel suo caso un atteggiamento apparentemente normale sarebbe diventato strano, nel tempo. E poi ok, Riku era un figo, alto, muscoloso, coi capelli lunghi, lo sguardo truce e tutto il resto, ma Sora? Piccolo e carino com’era, con quegli occhioni grandi e le guance rosa, in pratica aveva marchiato a fuoco UKE sulla fronte, e presto o tardi tutti lo avrebbero notato.

In un certo senso, probabilmente, quello sarebbe stato il periodo più facile della loro storia.

E mentre tutto questo succedeva, a chi avrebbero dovuto potersi rivolgere?

Alla loro migliore amica.

La loro migliore amica che stava facendo la stronza per un’assurdità, e che li stava lasciando soli ad affrontare la cosa più complicata della loro vita.

Non era giusto.

Così aveva suonato il campanello di casa di Riku, e le aveva aperto sua madre. Aveva scambiato qualche convenevole sul come stesse, era molto che non la vedeva, che era dimagrita, sembrava sciupata, e altre cose così. Poi aveva salito le scale, da dove aveva sentito le voci di Riku e Sora ridere e strillare insensatamente come piccoli di scimmia.

Aprendo la porta, li aveva visti subito.

Riku era sdraiato con la schiena sul pavimento e i capelli spettinati. Aveva la camicia dell’uniforme aperta e calata fin quasi in vita, che metteva bene in mostra le spalle solide e le braccia forti, il motivo incasellato degli addominali. Sora era a cavalcioni sopra di lui, con i gomiti sul pavimento e col viso affondato nel suo collo, impegnato, sembrava, a strapparglielo coi denti.

Si erano fermati e zittiti, quando la porta si era aperta, ed era stato anche peggio, perché così Kairi aveva potuto vederli in tutta la loro degradante bellezza.

Erano rossi, accaldati, e si stavano quantomeno…divertendo.

Sicuramente si vedeva bene che non erano né tristi, né incompresi, né tutte le altre sciocchezze che lei aveva pensato.

Kairi si sentì ancora più delusa, ancora più tradita.

Fu come se l’avessero respinta una seconda volta.

Chiuse la porta e corse giù dalle spalle, senza più una sola briciola di comprensione nel cuore.

Riku e Sora dovevano essere i suoi migliori amici, ma avevano creato un loro mondo a parte, un mondo dove si rotolavano mezzi nudi sul pavimento con degli adulti in casa, e quindi, inevitabilmente, un mondo in cui la sua presenza non era stata calcolata.

Erano i suoi migliori amici, ma l’avevano chiusa fuori.

Lei non poteva intromettersi in una cosa del genere.

Semplicemente, non ne aveva i mezzi. E a quale scopo, poi, se non era stata invitata?

Si era ridotta uno schifo negli ultimi tempi, era vero, ma non avrebbe continuato ad elemosinare la loro attenzione.

Quella sera Kairi andò alla grotta, e con un pennarello nero tracciò righe nervose e scarabocchi sul disegno di loro tre che avevano fatto da bambini, che ancora un po’ si vedeva nonostante il tempo, nonostante l’umidità, nonostante tutto.

Scrisse sotto "andate all’inferno" e poi se ne andò.

Se non altro, adesso, era libera di odiarli.

*

sleep-overs beene's got some pot
you're only popular with anorexia
so I turn myself inside out
in hope someone will see …

Le campane che suonavano a festa rendevano la malinconia di Kairi ancora più collerica.

Guardava con rabbia la scena, come se quella donna, nell’avanzare la pretesa della propria felicità, le avesse tolto un pezzo della sua.

Come se ce ne fosse stata ancora da togliere, poi.

Quando fu tutto finito e le macchine si allontanarono, pronte ad andare ad un rumoroso e patetico pranzo che sarebbe durato per ore, pieno di cibo e di ridicoli applausi, Kairi andò allo spiazzale davanti alla chiesa e calpestò il cuore che era stato disegnato col riso.

Poi si sedette sui gradini, con il riso che gli pizzicava le cosce, se ne riempì le mani e cominciò a versarlo da una all’altra come se fosse la sabbia di una clessidra.

Kairi stava guardando il suo tempo scivolare via senza che niente succedesse.

E dire che era stata così convinta che le cose sarebbero presto cominciate, e che tutto sarebbe andato per il meglio…si sarebbe presa a pugni, a ripensarci.

Gettò il riso e si morse le labbra.

A diciassette anni Kairi sapeva con inscalfibile certezza che il suo momento non sarebbe mai arrivato.

Kairi non sarebbe mai stata una sposa.

Nessuna campana avrebbe suonato a festa per lei, non sarebbe mai stata pettinata e truccata per ore da professionisti e da amiche entusiaste, non avrebbe mai cercato Selphie nella folla per provare a lanciare il bouquet proprio a lei, e non ci sarebbero state né patetiche cene, né ridicoli applausi, perché Kairi non avrebbe mai indossato un meraviglioso vestito bianco, e nessun uomo avrebbe mai giurato di volerla per sempre davanti alla sua famiglia e a Dio, anche perché non era troppo improbabile che all’altare quello si sarebbe reso conto, non so, tipo di essere innamorato del suo migliore amico che aveva sempre avuto davanti agli occhi, ma si era dovuto far venire l’illuminazione proprio dopo che Kairi si era sviscerata il cuore e gliel’aveva offerto fiduciosa.

Kairi non sarebbe mai stata una madre.

Ne era così sicura che l’amarezza si tramutava in lacrime, pensandoci, e cominciava a piangere stancamente, senza slancio, come avrebbe pianto da vecchia, riguardandosi indietro, come se tutto fosse già successo, solo che lei non era stata lì per vederlo.

Si alzò in piedi, e ricominciò a camminare.

Era una domenica fredda, anche se era già Marzo.

Il suo ragazzo le aveva dato buca all’ultimo momento, e invece di tornare a casa Kairi aveva cominciato a vagare per la città, con le mani in tasca e lo sguardo basso, e aveva pensato alla mancanza di dolcezza della vita. All’ironia sardonica della vita, al suo cinismo, all’irrimediabile tendenza al tradimento e alla menzogna della vita. Non era nemmeno troppo innamorata del suo ragazzo, preferiva quello di Selphie, e aveva la sensazione che Selphie preferisse il suo.

Che cosa sterile, l’amore.

Una questione di scelte. Di tempestività, di fortuna.

Lei che smaniava per il ragazzo di Selphie. Lei che si faceva il ragazzo di Selphie quando Selphie non c’era. Lei che perdeva interesse per il ragazzo di Selphie, Selphie che lasciava il suo ragazzo e si metteva con l’ex di Kairi, Kairi che prometteva di stare sola per sempre, che era meglio, ma che poi si prendeva una sbandata per il nuovo ragazzo di Selphie appena ne trovava uno.

D’altra parte, non c’era nient’altro che lei si aspettasse dalla vita.

Non ne poteva più del liceo, non aveva interesse nell’università, non aveva idea di che cosa volesse fare da grande e anzi, non voleva fare proprio niente, da grande (anche perché prima o poi qualche scienziato avrebbe scoperto il suo straordinario potere di rendere gay anche gli eterosessuali più scontati, e l’avrebbe rinchiusa in un laboratorio per fare degli esperimenti e estrapolarle il gene dell’induzione all’omosessualità, con il quale avrebbe stroncato i popoli e così lei sarebbe dovuta convivere pure col rimorso per aver fatto estinguere la razza umana). Passava le sue giornate truccandosi per ore per ragazzi che avrebbero visto solo i suoi difetti, o per altri che ci avrebbero provato anche se fosse stata senza un occhio e con un porro sul naso, mangiava schifezze a letto e si sentiva in colpa perché così la sua pelle diventava lucida e lei diventava grassa, allora si pesava, poi si guardava allo specchio e si sentiva orrenda, decideva che tutti i suoi vestiti facevano schifo e voleva rivoluzionare la sua immagine, così progettava di comprare mille miliardi di cose e diventare in mille miliardi di modi, ma poi andava a dormire e quando si svegliava era sempre la solita irritante e insoddisfatta Kairi.

Aveva solo diciassette anni, ma i sentimenti che aveva provato un mattino d’estate, guardando il mare con gli occhi ben aperti, le sembravano così distanti che era come se non le fossero mai appartenuti, e li avesse invece sentiti raccontare da qualcun altro.

Kairi provava pena per quella ragazzina stupida che dava per scontate le cose che non bisognerebbe mai dare per scontato, perché la vita è fatta di questo: di amore che tradisce, di amicizie che ti mentono, di certezze che crollano e di lacrime che si consumano in piccolezze, mentre i tuoi occhi rimangono asciutti davanti alla distruzione, alla morte, alla fame, a Titanic.

A diciassette anni, Kairi sentiva che non ci fosse niente di sacro nel mondo.

Era ancora vergine, e non completamente per suo volere. Al contrario, una parte di lei desiderava dare un calcio a quella condizione infantile diventata ormai insopportabile, ma d’altra parte era anche convinta di valere troppo per levarsi lo sfizio col primo coglione che le diceva "sei speciale" perché, che cacchio, lo sapeva benissimo di essere speciale, sarebbe stato lui a non saperlo, non davvero.

Non le importava che fosse particolarmente significativo, o particolarmente romantico, ma le dava troppo fastidio l’idea di quello che lui avrebbe potuto pensare. Odiava che questo si credesse un grande seduttore, il Dio che l’aveva piegata, lei, Kairi, la vergine d’acciaio, odiava che il primo stronzo che passava pensasse di essere significato qualcosa per lei, e che quello stesso stronzo due settimane dopo andasse a vantarsi con gli amici di quanto poco gliene fregasse di lei. A questo doveva poi essere aggiunto che, quando per un mero colpo di fortuna trovava un ragazzo disposto a stravedere per lei, lei cominciava subito a trovare tremila difetti nel modo in cui baciava, e così lo lasciava molto sottilmente (ossia non parlandogli più per settimane). Il tutto senza contare la timidezza cronica che l’affliggeva solo ed esclusivamente quando trovava interessante qualcuno, e il vizio che non le era mai passato di trasformare questa timidezza in scontrosità.

Vedeva due sole soluzioni a questo problema.

La prima: avrebbe finito per buttarla via col primo deficiente che la beccava al momento buono, un uomo indegno che avrebbe odiato per ogni secondo della durata del supplizio, sarebbe stata l’esperienza più disgustosa della sua vita e avrebbe continuato a negarla per sempre, cercando di cancellarla dalla memoria e sentendosi terribile perché, santo cielo, era una ragazza carina in fin dei conti, e se doveva trovare qualcuno solo perché glielo desse, poteva anche ambire a qualcuno che glielo desse bene, e invece non aveva mai imparato a valutarsi in modo obiettivo, e così, per paura di chiedere un prezzo troppo alto, si era sempre svenduta.

La seconda: semplicemente sarebbe rimasta vergine per sempre. Non le sembrava un’ipotesi troppo tirata, anzi. Perché qualcuno avrebbe dovuto desiderarla abbastanza da convincerla che valeva la pena tentare?

Kairi sapeva che avrebbe ovviamente chiesto l’impossibile a qualsiasi uomo le si sarebbe avvicinato, ci sarebbe sempre stato un minuscolo particolare di lui che non avrebbe sopportato, e anno dopo anno questa cosa l’avrebbe resa una vecchia zitella sola e sessualmente frustrata, che era sempre stata la damigella delle altre, mai la sposa.

Che tristezza.

Non parlava con Sora e Riku da un anno, ormai.

A un certo punto anche ignorarli a scuola era diventato normale. A un certo punto, anche lo straziante batticuore che la coglieva quando Sora si avvicinava si era placato. E quando Riku si era diplomato era stato chiaro che la separazione era ormai diventata un divorzio. Sora avrebbe continuato a vederlo, Kairi no. Non era più solo un litigio, una discussione, un lungo periodo di tensione, o che altro. Riku non sarebbe più comparso nella vita di Kairi, mentre sarebbe continuato ad appartenere a quella di Sora.

Erano cose diverse, ormai.

Anche se per tanto tempo erano stati così tanto la stessa cosa, che sembrava impossibile.

E’ assurdo quello che succede per le vecchie amicizie. Il modo in cui ti sembra addirittura un po’ imbarazzante averle avute. Forse è giusto così. La vita è talmente ridicola, che è normale che guardandosi indietro tutto sembri ugualmente ridicolo.

Solo, in qualche modo, anche se non lo sopportava e a scuola doveva trattenersi dal saltargli alla schiena, azzannargli il collo e strappargli uno a uno i capelli, quello che aveva provato per Sora restava.

Non era il sentimento, o almeno, non in quella forma così piena e letale.

Ma era la consapevolezza che, nonostante quello che era successo, Sora restasse comunque…Sora.

Occhi blu, fossette deliziose, smorfietta arrabbiata estremamente sexy e tutto il resto. Il ragazzo perfetto, esattamente come lo avrebbe voluto lei, ma che non poteva avere.

A volte si chiedeva superficialmente se Sora e Riku stessero ancora assieme, o quel cacchio che erano. Chissà se avevano deciso come chiamarla, quella cosa. Dentro di lei era placidamente, pacificamente certa, che tra loro fosse tutto finito. Era chiaramente così. Erano troppo amici. Erano sempre stati vicini, e starlo in modo particolare li aveva spinti a diventare curiosi. Probabilmente all’università Riku si era messo con una bionda con le tette enormi. E probabilmente Sora aveva piagnucolato, finché non era giunta una ragazzina (o un ragazzino?) sottomessa a tirargli su il morale.

Non c’è niente di sacro nella vita.

Tutto arriva, tutto va, e viene trascinato via dalle onde, là in fondo, dove non lo puoi vedere, fino ai coralli, dove si depositano tutti i pezzi marciti della gente. La discarica delle speranze e dei sogni.

*

Kairi notò prima di tutto Sora.

Tecnicamente non lo vedeva solamente da due mesi, ma è sempre la solita storia di quanto sia incredibile come un ragazzo possa sembrarti diverso da un mese all’altro, mentre le ragazze, che cercano così disperatamente di cambiare, rimangono imprigionate nel loro corpo, bloccate dentro loro stesse.

E’ l’ironia feroce del tempo.

Scampato all’adolescenza, un uomo può diventare solo più bello.

Ma persa la sua adolescenza una donna sfiorisce. Può solo aggrapparsi senza orgoglio ai brandelli di quello che è stato, imitare la ragazza che era, e sperare di trovare un uomo che si sforzi di credere alle sue bugie.

Kairi aveva già cominciato a fingere.

Sora cominciava a trasformarsi in se stesso.

Si strinse di più al braccio di Tidus e cercò di fargli cambiare direzione, ma era troppo tardi, perché in quel momento Riku distolse lo sguardo dalla vetrina che stavano osservando e la vide. Lei non poté fare altro che sorridere, artigliando il braccio del suo ragazzo perché non avesse la malsana idea di lasciarla sola.

Anche Sora si accorse di lei, ma dopo averle rivolto un breve sguardo dispiaciuto, era tornato a farsi gli affari suoi.

Sora non era mai riuscito a guardarla con indifferenza. Anche a scuola, tutte le volte che si incrociavano lui distoglieva l’attenzione con un’espressione ben leggibile sul viso. Non era in grado di simulare niente, era così scioccamente cristallino. Purtroppo Kairi ricordava bene che quella sincerità era uno dei motivi per cui se ne era innamorata.

"Kairi" cominciò Riku, in assoluta tranquillità "Da quanto tempo."

"Chissà poi per colpa di chi" bofonchiò Sora, ficcandosi le mani in tasca e allontanandosi di qualche passo.

Kairi cercò di sorridere, come se fossero stati semplicemente vecchi amici che per cause di forza maggiore avevano perso i contatti, e adesso erano contenti di rivedersi, ma non avevano idea di che cosa raccontarsi.

"Davvero, è un sacco…Ti ricordi di Tidus?"

"Ho finito il liceo solo l’anno scorso, Kairi."

Lei rise nervosamente, e non chiese a Tidus se invece si ricordasse di Riku. Tutti si ricordavano di Riku.

Lui ignorò Tidus e le chiese: "Come va?"

Lei guardò alle sue spalle Sora, che stava staccando della vernice da un muro prendendolo svogliatamente a calci.

"…tutto come deve andare."

"E’ già qualcosa."

La sua freddezza la faceva tremare, e sperava che Tidus non se ne accorgesse. Poi si ricordò che Tidus era un maschio, quindi anche se si fosse scritta sulla fronte col pennarello indelebile "aiutami, ti prego, sono disperata!" lui al massimo le avrebbe detto "c’è qualcosa di diverso sulla tua faccia, hai cambiato rossetto?" -questo senza che lei portasse il rossetto.

"Senti…" cominciò, quasi tremando. Non seppe cosa voleva dire finché non lo disse: "…ti andrebbe se uno di questi giorni ci vedessimo una mezz’ora…?"

Sora smise improvvisamente di prendere a calci il muro e guardò Riku in cagnesco, anche se lui non se ne poteva accorgere perché gli dava le spalle. Se ne accorse Kairi, invece, e ne fu tutt’altro che contenta.

"Volentieri" rispose Riku, calmo "Dopodomani verso le cinque ci sei?"

Kairi annuì. Se non usciva con Tidus non aveva niente da fare, a parte stare a casa a rimuginare sulla sfortuna, sull’inutilità delle cose, su quanto la sua vita facesse schifo, su quanto sarebbe continuata a fare schifo, e su come anche la sua prossima incarnazione avrebbe avuto una vita da schifo.

"Sì, ci sono."

"Ti va bene se ci vediamo al bar vicino alla scuola?"

"Sì, va bene. Perfetto."

"Ok, allora" poi si girò e parlò con Sora "Vuoi finire di demolire il palazzo o possiamo andare?"

"Se ti crollasse in testa e ti seppellisse, ne varrebbe la pena" rispose lui con il muso lungo e la testa bassa, prendendo a camminare senza aspettarlo. Riku la salutò velocemente, poi lo raggiunse.

Kairi si fermò davanti alla vetrina fingendo di guardare. Cercò di capire in che cosa si fosse cacciata, e cominciò a pensare ai modi in cui se ne poteva cavare. L’idea di passare un’intera serata seduti ad un tavolo a fingere di avere qualcosa da dirsi la intristiva in modo insopportabile.

Tidus le tirò un braccio per richiamare l’attenzione.

"Kai, me la levi una curiosità?"

"Se posso."

"Ma quei due sono froci?"

Kairi aveva scosso lentamente la testa: "Non lo so. Non chiederlo a me."

*

Si guardò a lungo attorno per controllare se non fossero lì in giro, quindi intuì che dovevano essere andati a sedersi al chiuso. Si sistemò i capelli si assicurò che la gonna non le si fosse arricciata fino a mostrare a tutti le mutande, cosa che ogni tanto succedeva e, benché non si potesse dire che non la aiutava ad attirare l’attenzione, non la metteva nemmeno a suo agio.

L’interno del locale era paradossalmente più fresco dell’esterno. Grandi fiori tropicali addobbavano, forse con un’esagerazione che sfociava nel cattivo gusto visto che erano appena in primavera, il bancone e i bicchieroni di cocktail ai tavoli. Alla radio, i dj di una stazione che non aveva mai sentito stavano parlando di tecnologie del futuro.

Mentre passava, tenendosi ben stretta la borsetta come se qualcuno gliel’avesse voluta rubare, le sembrò che un paio di ragazzi si fossero fermato a guardarla, e lei non sapeva se sentirsi imbarazzata, lusingata o furiosa. Magari stava mostrando le mutande, quindi controllò, ma niente. Dovevano essere dei pazzi.

Camminò fin quasi sul retro dove, dal tavolo nell’angolo più appartato, vicino ai bagni, Riku non la chiamò.

Sora era seduto al suo fianco, e ciucciava svogliatamente Coca Cola dalla cannuccia.

Kairi prese tutta l’aria che poté e si avvicinò. Appoggiò la borsetta sul tavolo e sorrise: "Eccovi qui, non vi trovavo."

"Io volevo aspettarti fuori, ma il sole ha avuto l’ardire di scaldare oltre il limite consentito da Sora, così l’ho dovuto portare qui prima che cominciasse a piagnucolare..."

Per manifestare il suo dissenso, Sora soffiò nella cannuccia e schizzò ovunque gocce di Coca Cola.

Kairi cercò di sorridere, e si rese conto che era passato così tanto tempo dall’ultima volta che erano stati tutte e tre insieme che sembrava non ricordassero nemmeno più in quale punto delle loro reciproche vite si fossero separati. Quanti anni avessero, che cosa pensassero, che cosa avessero già fatto e che cosa avrebbero voluto fare, che cosa amassero, e che cosa invece odiassero.

Kairi ricordava benissimo che Sora soffriva incredibilmente il caldo, e questo rendeva una tortura peggiore il fatto che invece adorasse l’estate. Ma l’ultima estate che avevano passato insieme era così lontana, adesso, che ricordava quasi con affetto Sora che per la trecentesima volta in dieci minuti ripeteva "Dio, ma che caldo, non è possibile!" sventolandosi qualcosa davanti alla faccia, benché in quel momento avesse lottato con l’impulso di prendergli la testa e ficcargliela sotto la sabbia per farlo stare zitto.

"Allora" cominciò fingendosi molto più spavalda e sicura di quanto non fosse "voi due state ancora insieme?"

"Sì" aveva risposto Sora affettatamente, senza guardarla, con ancora la cannuccia in bocca.

E dire che Kairi aveva puntato tutto sul fatto che Sora avrebbe fatto gli occhioni da cagnolino lacrimoso tutta sera, così lei avrebbe avuto qualcuno a cui sentirsi superiore e questo l’avrebbe fatta uscire a testa alta da quella odiosa situazione. Invece doveva essere stata così pessima che persino Sora –persino Sora- non riusciva a perdonarla. Sora. Quello che aveva perdonato praticamente tutti i cattivi dei film Disney perché, poverini "sono tanto soli".

"Beh, almeno adesso va bene dire che state insieme, non è più una cosa. Un bel passo avanti, suppongo."

Lo aveva detto con un tono quasi accusatorio, ma non se ne pentì, anche se non era andata lì con l’intento di rivangare il passato. Ma d’altra parte che cos’altro avrebbero potuto fare? Il passato era l’unico luogo dove fossero ancora uniti, l’unico del quale potessero ancora parlare insieme. Quelli in cui vivevano adesso erano spazi diversi, e lontani. Spazi incondivisibili.

"E’ colpa sua" disse Sora indicando Riku, ma guardando altrove "Prova a chiedergli se gli piacciono gli uomini."

Riku sospirò seccato: "non mi piacciono gli uomini, quante volte te lo devo dire? Sei tu quello a cui piacciono gli uomini."

"No che non mi piacciono, smettila, perché devo essere io quello a cui piacciono gli uomini?"

Kairi li guardò con un misto di ilarità e confusione, appoggiando i gomiti sul tavolo.

"Sora, Riku…voi siete degli uomini, ve ne siete accorti…?"

"Che c’entra" risposero insieme, così netti che sembravano aver dato la risposta inopinabile e definitiva.

Sora, vedendo che aveva finito la Coca, bevve un sorso dal bicchiere di Riku, ma fece una smorfia e chiese disgustato: "Ma cos’è sta schifezza?"

Riku gli tolse il bicchiere e glielo mise il più lontano possibile: "E’ una cosa per bambini grandi, non toccare". Fermò una cameriera e ordinò un’altra Coca Cola, poi guardò Kairi. Lei non aveva idea di cosa fosse, ma indicò il cocktail di Riku e disse: "Uno così anche per me".

La cameriera scriveva distrattamente, e continuava a rivolgere il suo sguardo su Riku e a sorridere come una scema. Riku le sorrideva a sua volta, finché Sora non gli frustò una spalla con la cannuccia, e allora smise. Kairi dovette notare che contrariamente ad ogni previsione sì, Riku era riuscito a sfidare le leggi della natura e diventare ancora più bello. Ormai poteva solo sforare dall’altra parte e diventare un cesso.

La cameriera fu presto di ritorno con le loro cose. Kairi assaggiò il cocktail e dovette concordare con Sora, faceva schifo e in pratica si era già ubriacata con un mezzo sorso, ma non lo ammise, perché voleva dimostrare di essere più adulta di lui. Portò la fettina di mango alla bocca, dopo averla infilzata con lo stuzzicadenti colorato.

"E…qualcuno lo sa?"

"Mia madre" rispose Riku, pensando, e Kairi lo interruppe: "Certo che lo sa, una madre tende a notare suo figlio che si rotola mezzo nudo sul pavimento con la porta aperta."

Sora, finalmente, rise. Per farlo stare zitto Riku prese l’ombrellino dal suo cocktail e glielo diede, dicendogli "tò, gioca". Poi continuò: "A mio padre l’ho detto, ma fa finta di non aver sentito. Continua a chiedermi come va con le ragazze."

Sora, che si era messo l’ombrellino in bocca e lo stava facendo roteare, disse: "Per me è così con mia madre. Con mio padre è un disastro, praticamente passo tutto il tempo in cui siamo nella stessa stanza a commentare le tette in televisione per cercare di depistarlo."

Kairi rise, e Riku tolse l’ombrellino dalla bocca di Sora, dicendo che si sarebbe fatto male.

"Si può sapere come faccio a farmi male?"

"Tra cinque minuti al massimo te lo conficcherai nel palato, nella lingua o nella gengiva, oppure ne morderai un pezzo e lo manderai giù, ne sono assolutamente sicuro."

"Non sono così stupido, ridammi il mio ombrellino."

Riku sospirò, gli spezzò la punta e gliela diede. Sora lo mise nuovamente un bocca, constatando: "Ehy, così non punge!"

Kairi prese il suo ombrellino e cominciò a farlo girare tra le dita, tristemente. La punta se l’era spezzata da sola.

Disse: "Sono contenta di trovarvi bene…"

"Beh, noi ci vediamo tutti i giorni a scuola, comunque, quindi se ti interessava potevi anche chiedermi come stavo…"

Kairi fermò l’ombrellino e ammise: "Sì, hai ragione."

Questo era tutto quello che aveva da dire.

Sora aveva ragione.

Sentendolo dire una cosa così ovvia, così incontestabile, si sentì ancora più stupida e desiderò non aver mai messo piede in quel bar.

Riku si alzò, e Sora subito gli chiese dove voleva scappare.

"Andrei in bagno, se mi lasci passare."

"No, salta."

Riku non se lo fece ripetere due volte e lo scavalcò. Quando rimasero soli, Sora si attaccò nuovamente alla cannuccia e ricominciò a bere, guardando altrove.

Kairi sospirò: "Senti, ce l’hai con me, per caso?"

Sora sbottò: "Veramente saresti tu quella che ce l’ha con me! Se ti ricordi hai smesso di parlarmi, hai presente? Che cosa dovrei fare, finta di niente? Mi hai ignorato ogni singolo giorno da quando ti ho detto di me e Riku. Scusa se non l’ho presa come una dichiarazione di eterna amicizia".

Kairi si morse il labbro e non rispose.

E che cosa avrebbe mai potuto rispondere, poi?

Aveva covato dentro di se tanta rabbia, tanta frustrazione, e si era imparata a memoria almeno seicento motivi con i quali dimostrare che lei aveva ragione…eppure davanti al viso aggrottato di Sora sentiva che tutta la sua ragione diventava impalpabile.

Restava solo l’evidenza del fatti: aveva smesso da un giorno all’altro di parlare con il suo migliore amico perché non riusciva a digerire che avesse scelto Riku invece di lei, e non era stata nemmeno abbastanza onesta da dirglielo.

Chissà che cosa aveva pensato Sora, per tutto quel tempo.

All’improvviso si vergognava in modo insopportabile.

"Sora…" lo chiamò, dopo essersi sforzata di bere un altro goccio del cocktail.

"Che c’è?"

"…non so che idea ti sia fatto riguardo a quello che è successo, però…"

"Che idea vuoi che mi sia fatto? Che ti faceva troppo schifo parlare con un frocio."

Dette da Sora, che ricordava essere così dolce, così insensatamente ottimista, quelle parole le fecero ancora più male. Kairi si rese conto di quello che aveva fatto e le venne da piangere. Sospirò, cercando di trattenere le lacrime, e premette forte gli occhi con le dita.

Scosse la testa: "Non era per quello."

"E allora per che cosa?"

Kairi non riuscì a parlare, perché aveva paura che facendolo avrebbe riaperto definitivamente i rubinetti. Cercò di riprendere il controllo, ma prima che ci riuscisse Sora concluse tristemente: "Non che abbia importanza, ormai…"

Kairi non poté fare altro che tenere nascosto il viso e piangere sommessamente, senza lasciarsi andare, o sarebbe stata la fine. Per un attimo si era aspettata che l’indole tenera di Sora avrebbe preso il sopravvento, che le avrebbe detto di smettere, e stare tranquilla, ma questo non successe. Il silenzio, invece, sembrava dirle che meritava di versare ogni singola lacrima.

Riku tornò dal bagno e scavalcò nuovamente Sora, che si riattaccò alla cannuccia. Lui lo notò e gli disse, preoccupato: "Guarda che se continui così o esplodi o voli via."

Sora scrollò le spalle: "Mi legherò al tuo polso con una corda, così non dovrei andare troppo lontano."

"Sì, ma se esplodi?"

"Magari a qualcuno farebbe piacere."

Kairi tirò su col naso. Riku si accorse che aveva pianto, ma non disse niente a riguardo, era troppo discreto. E forse, pensava lei, troppo dispiaciuto di non poterla difendere, perché qualsiasi cosa le avesse detto Sora era chiaro che se la fosse cercata.

"Non mi farebbe affatto piacere" disse con la voce spezzata, poi allontanò il cocktail e supplicò: "Riku, bevilo tu, è troppo forte."

Riku lo prese e fermò nuovamente la cameriera. Ordinò un’altra Coca Cola, rifiutandosi però di prenderne una terza per Sora, così lui gli mise il muso. Quando la bevve, si sentì subito un po’ meglio. Sora a un certo punto si sporse sul tavolo, mise la sua cannuccia nel suo bicchiere e ne ciucciò metà in un colpo solo.

"Adesso siamo pari" disse poi, senza guardarla.

Sul subito Kairi non capì, e forse non capì davvero nemmeno dopo.

Quello che contava era che aveva annuito, sorridendo, e che vedendola aveva sorriso anche Sora.

Quando si piegò per raccogliere l’ombrellino da terra, che non si era accorta di aver fatto cadere, vide sotto il tavolo che Sora aveva una gamba accavallata a quella di Riku.

Rialzandosi, Kairi si chiese da che cosa fosse scappata, e sentì, per la prima volta, che la colpa non era stata loro, ma non era stata nemmeno sua.

La colpa era stata dei desideri.

Di quelle storie inattendibili, di tutte quelle fiabe di principesse e affascinanti principi azzurri.

Quelle cose erano state scritte e ripetute così tante volte che Kairi aveva finito per considerarle reali, e per credere che la felicità si manifestasse solo a certe condizioni.

Due uomini. Una donna. L’amore di tutti solo per lei.

Aveva odiato così a lungo Riku e Sora per averle tolto la sua fiaba, che non aveva nemmeno considerato il loro diritto a scegliere da soli il lieto fine che volevano avere.

Certo, erano stati i cliché a tradirla…ma era stata lei a tradire i suoi amici.

All’improvviso, tutto quello che di negativo e freddo aveva provato nei loro confronti era scomparso, così com’era scomparsa dal suo cuore ogni traccia della fissazione romantica per Sora che le aveva impedito di affrontare le cose con maggior lucidità.

Le restavano solo i ricordi, e la sensazione che niente fosse mai davvero finito, anche se per tanto tempo era rimasto nascosto, per non farsi notare.

Non erano più dei bambini, ma da qualche parte, forse, erano ancora le stesse persone che avevano disegnato le loro facce sulla parete della roccia. E Riku e Sora erano ancora quelli che facevano a gara a chi l’avrebbe portata più lontana, anche se il tempo li aveva trasformati in giovani uomini che si amavano, e qualsiasi pianeta avrebbero scoperto per lei, sicuramente, lo avrebbero raggiunto tutte e tre insieme.

Kairi sentiva di aver buttato alle ortiche un mucchio di tempo, eppure non riusciva ad avercela con se stessa. Al contrario, per quanto fosse assurdo, era grata a tutto quel rancore, a quell’ingiustificato e tetro cinismo.

Lo spicchio di locale in cui stavano si era momentaneamente svuotato, e Sora, dopo essersi guardato per un po’ attorno, le aveva chiesto timidamente: "…ti dà fastidio se…?"

Kairi aveva scosso la testa, pensando che volessero baciarsi. Invece Sora aveva semplicemente appoggiato la testa sulla palla di Riku, e gli aveva preso il bicchiere, per poi succhiare con fastidio il cocktail amaro con la cannuccia. Quando la cameriera passò a pulire i tavoli fece per allontanarsi, ma Riku lo trattenne, e lui rimase.

Davanti a questo, Kairi pensava che non aveva importanza se le cose non erano andate come immaginava.

L’importante doveva essere, alla fine, quel momento. La sensazione di pace irripetibile che provava adesso.

*

"Sora!"

Lui si girò con un’espressione non solo stupita, ma addirittura sconvolta.

Kairi gli corse incontro, e dopo aver esitato per un po’ gli porse il bento e disse, guardandolo con un sorriso triste: "Ti ho preparato il pranzo."

Sora le aveva sorriso apertamente, allora, e glielo aveva praticamente strappato dalle mani.

Erano andati a mangiare all’aperto, sotto l’ombra di un albero. Mentre Kairi era indecisa anche solo su che cosa dovesse provare, in quel momento, Sora disse con un’esultanza quasi commossa: "Quanto mi è mancato il tuo cibo!"

Kairi rise, e anche se non lo aveva mai dimenticato, adesso ricordava più che mai che cosa amasse di Sora.

Aveva fatto la stronza quasi due anni, e lui non si era nemmeno fermato a chiederle se non gli avesse avvelenato il riso. La sua fiducia la intimidiva, quasi, e l’idea di avergli fatto credere per tutto quel tempo che avesse schifo di lui e dei suoi sentimenti per Riku la addolorava ancora di più.

Mentre mangiavano, Kairi si fermò e sospirò.

Sora le chiese se qualcosa non andasse, e lei fu colpita dal fatto che se ne fosse accorto. Poi cercò di non ridere pensando che, beh, magari era solo il sintomo dell’omosessualità che procede verso il livello master.

Appoggiò il bento sulle ginocchia, si fece forza, e cominciò.

"Senti…forse dovrei dirti una cosa…"

"Le cose sono cambiate tra te e Selphie?"

"…no, cretino."

"E’ che ho avuto tipo un…come si chiama, quando rivedi delle cose che hai già vissuto…"

"Deja vù?"

"Quello. Comunque dimmi pure, scusa."

Kairi rise, anche se una parte di lei aveva ancora a intermittenza questi impulsi violenti che le suggerivano di staccargli un braccio a morsi. Sospirò, cercando di calmarsi, ma invece di diventare tranquilla le si formò un grande vuoto nello stomaco. Sospirò di nuovo.

"Il motivo per cui l’ho presa così male…quando mi hai detto di te e Riku, quella sera…certo, c’erano tanti motivi. Mi sono sentita tradita e…altre cose assurde di cui non mi va di parlare. Però vedi…" chiuse gli occhi e mandò giù, poi la fece uscire una volta per tutte "…tu mi piacevi, Sora. Mi piacevi molto."

Si sarebbe aspettata che Sora arrossisse, o magari sorridesse stupidamente. Invece, senza scomporsi troppo, appoggiò le mani sull’erba e disse, quasi con un soffio: "Sì, lo so, me l’ha detto Riku."

Kairi si sentì così scema che poté dire solo: "Ah."

Rimasero in silenzio a lungo, e fu lei a ricominciare: "…pensavo che ti volessi…sai, dichiarare, quella sera. Quindi quando mi hai detto quella cosa è stata…beh, una botta tremenda sui denti."

Sora rise tristemente e la guardò: "Lo sai qual è la cosa più assurda?"

Kairi scosse la testa. In realtà di cose assurde gliene venivano in mente un miliardo.

"Anche tu mi piacevi molto, Kairi. Sai, in quel senso lì."

Lei arrossì. Non avrebbe potuto fare cosa più stupida, a quel punto.

Sora continuò: "Mi sei piaciuta in quel senso per parecchio tempo, anche se non saprei dirti quanto…sarà stata una cosa graduale da quando eravamo piccoli, no? Poi…niente, è cominciata la cosa con Riku che mi ha preso totalmente alla sprovvista. Allora ho cominciato a rivedere un po’ le cose, e ho capito che alla fine da un po’ di tempo quello che provavo per te era come…rientrato negli argini. Ero solo troppo abituato a pensarlo per accorgermene subito."

Kairi non sapeva se ridere o se piangere, così appoggiò le braccia sulle ginocchia e ci nascose la testa, in attesa. Alla fine, non fece niente. Solo una lacrimuccia le infastidì un occhio, ma era una lacrima di nostalgia, più che di rimpianto.

Sora cambiò completamente tono di voce. Tornò pimpante come sempre, le diede una manata sulla schiena e disse ridendo: "Dai, non fare così! Se ti fossi svegliata un annetto prima che la giungla ormonale di Riku mi tirasse dentro in sto casino, ti avrei giurato amore eterno!"

Lei lo guardò malissimo, stordita dalla sua stupidità, e non capiva bene se se lo fosse immaginato, o se davvero quel deficiente pensava che una cosa simile potesse consolarla.

Si era fatta sfuggire dalle mani il ragazzo dei suoi sogni per una questione di tempismo.

Se non era sfortuna questa, beh, non sapeva proprio che cosa poteva esserlo.

D’altra parte, dentro di lei, non credeva a questa opportunità mancata. Certo, sarebbe potuto succedere qualcosa, ma poi?

Si addolcì, e scosse piano la testa: "Non sarebbe cambiato molto. Prima o poi se questa cosa tra te e Riku doveva venire fuori, sarebbe venuta fuori comunque."

"Dici?"

"Dico."

"Mmmmh…"

"Senti, davvero non ci avevi mai pensato?"

"A che cosa?"

"A te e Riku. Prima che vi baciaste."

Sora sembrava quasi offeso da quell’insinuazione: "Assolutamente mai!"

Kairi si fece più maliziosa: "Nemmeno una volta piccolina piccolina? Nemmeno in sogno, nemmeno nel segreto del tuo lettuccio…"

"Piantalaaaa…"

Lei rise e lui sbuffò, poi le disse: "Ok, forse qualche volta sì. Ma solo ed esclusivamente in determinati…contesti."

"Eh, sì, me lo immagino in quali contesti…"

"Questo non toglie che non ci avevo mai pensato seriamente."

"Sì, sì…comunque senti, fammi un favore: nella prossima vita fammelo sapere prima, se sei gay."

"Basta con questa storia, ti ho già detto che non sono gay!"

"Sora, Riku è un maschio, te lo devo far presente io, non hai avuto modo di accorgertene in tutto questo tempo…?"

"Riku non è un maschio."

"Stai diventando un po’ irragionevole…"

"Riku è Riku" sbottò lui, incrociando le braccia sul petto.

"Sì, ma correggimi se sbaglio, Riku ha il pene."

"Sì che ce l’ha, ma avrebbe potuto anche non avercelo, mi sarebbe piaciuto allo stesso modo se fosse stato una femmina…" mentre lo diceva la sua espressione da bambino offeso era sembrata, a Kairi, ancora più insopportabilmente adorabile. Poi era arrossito, e aveva fatto un sorriso trasognato e stupido: "Non che a conti fatti mi dispiaccia che sia un maschio, comunque."

Kairi aveva strappato un ciuffetto d’erba e glielo aveva tirato addosso.

"Sì, intanto stai a vedere che qui nessuno è gay, mi avete rifiutata solo perché puzzo!"

"Eh, che cosa vuoi" disse Sora sospirando, con fare altezzoso "D’altra parte non potevi vincere con Riku, mi dispiace, baby."

Lei strappò altra erba e gliela buttò addosso, facendogliela finire fin dentro la camicia.

Aveva diciassette anni, e sotto un albero mosso dal vento, in un altro pomeriggio di Maggio, mentre la sua risata e quella di Sora si intrecciavano come se non fossero mai state separate, Kairi ebbe la bellissima sensazione di essersi riappropriata della propria adolescenza.

make me laugh
say you know you can turn me into the real thing
so I show you some more
and I learn…


Per il tuo diciottesimo compleanno cammini a piedi nudi in riva al mare.

La sabbia è fresca e soffice, anche se sai che nasconde sicuramente mozziconi di sigarette, conchiglie rotte, forse vetri, ma non te ne importa niente. E’ così piacevole la sensazione che dà sulla pelle, che invece di fare attenzione a dove cammini la scavi, con le dita, e scrivi il tuo nome che presto viene cancellato da un’onda tranquilla.

Osservi una boa, cullata dall’acqua, e ti abbassi. Scrivi "Sora" con un dito sulla sabbia. Quando l’acqua se lo porta via ti senti così bene, perché lasciarlo andare è diventato facile, ormai, e respiri l’aria di mare con tutta te stessa.

Poi senti la voce forte di Sora che ti chiama, e infrange la quiete delle onde che si muovono regolarmente avanti e indietro. Ti alzi e vai da loro, senza controllare se la tua gonna è pulita, e senza preoccuparti se l’aria ti ha scompigliato i capelli.

Sora vorrebbe farti vedere i fuochi d’artificio, ma ti accusa di portare sfiga, perché a suo dire da quando lo stai guardando sono diventati impossibili da accendere. Cerca di cacciarti via, allora, ma Riku ti dice di restare e riesce ad accendere al primo colpo il bastoncino, che subito comincia a far esplodere scintille.

"Anch’io, anch’io!" piagnucola Sora, ma lui lo allontana con una manata che lo fa cadere col sedere sulla sabbia, e porge a te lo stecchetto.

"Prima la festeggiata."

Tu lo prendi, e ti pavoneggi muovendolo davanti a Sora, che ci soffia sopra nel tentativo di spegnertelo. Riku ne accede un altro e lo dà a lui, che smette così di boicottarti.

Sei stata a così tante feste per i diciotto anni, quest’anno, che a un certo punto ne avevi la nausea.

Feste in discoteca, feste in piscina, feste con un sacco di musica, e un sacco di alcol e un sacco di fumo. Feste con un sacco di ragazzi e di ragazze che si espongono come merce aspettando che qualcuno li noti, che si dimenano sotto le luci artificiali che rendono fosforescenti le macchie di sperma nei jeans, feste di reggiseni imbottiti e palpeggiamenti e qualche scopata fortunata.

A queste feste tu rimani in un angolo, sorseggiando bevande analcoliche e guardando quello che accadeva, non senza sentirti compiaciutamente superiore.

Certo, sai bene che deve essere questa quella che chiamano giovinezza, e che in futuro saranno i ricordi di quelle stronzate a testimoniare agli altri che sei stata giovane. Sai altrettanto bene che magari, un giorno, mentre attorno ad una deprimente tavolata di coscritti tutti ricorderanno chi avevano buttato in piscina, chi si era fatto chi, chi aveva fumato dieci canne e dopo non capiva un cazzo, chi aveva vomitato e chi invece era andato in coma etilico, tu saresti rimasta in disparte.

Ma preferisci l’idea di essere messa da parte nel futuro, piuttosto che metterti da sola da parte nel presente.

Così hai invitato Riku e Sora a casa tua. Vi siete riempiti di schifezze (precisamente, tu e Sora vi siete riempiti di schifezze, Riku ha invece finalmente ammesso di non mangiare cose che potrebbero rovinare il miracolo operato sulla sua faccia dalla natura), avete giocato a Silent Hill seduti sul pavimento, tu e Sora avete aggiornato Riku sugli ultimi pettegolezzi del triste liceo, poi vi siete lamentati degli esami, e di tutte le facoltà universitarie possibili e immaginabili, anche della sua, e ad un certo punto della serata hai annunciato di aver capito che il tuo destino non era così caritatevole da volerti ridurre a una zitella incazzata e frustrata, ma molto peggio: il tuo destino era chiaramente essere per sempre una faghag.

Riku ha riattaccato con la solita solfa di non essere gay, ma si è anche ridimensionato, e da eterosessuale con eccezione che conferma la regola è passato a dichiararsi bisessuale. Pensi che magari tra un paio di anni giungerete infine alla risoluzione di questa annosa questione, anche perché ti scoccerebbe davvero tanto se venisse fuori che sono tutti e due aperti a sperimentazioni e che tu, proprio adesso, hai cominciato a considerarli due figurine amabili ed eteree, del tutto privi di identità sessuale.

Quando hai chiesto a Sora che cosa aveva da dire a riguardo aveva risposto, facendo spallucce "A me piace tanto Riku", alché tu hai fatto gli occhioni lucidi da fangirl emettendo un "ooown" che ti è costato una tirata di capelli.

Mentre le scintille del tuo fuoco cominciano ad esaurirsi, scoppiettando piano, il cellulare ti vibra nella tasca. Ti allontani per rispondere, ed è tua madre, che ti chiede per che ora pensate di tornare, e se volete dormire tutti nella stessa stanza, oppure Riku e Sora vogliono stare in salotto.

Tu ti giri per chiederlo, ma vedi che Riku si è tirato Sora vicino e lo sta baciando, allora ti giri di nuovo e rispondi che sì, è meglio se apre il letto in salotto, anche se questo creerà certamente dell’imbarazzo a tuo padre, che quando gli hai spiegato la situazione ha balbettato e ripetuto istericamente per un’ora: "oh, che bella cosa, ahah, che bello".

Ti diverte vedere la reazione degli altri all’annuncio, e infatti hai chiesto loro il permesso di dirlo in giro più spesso, ma te lo hanno negato, e così alla fine l’hai detto solo ai tuoi genitori, anche se fino all’ultimo pensavi di dirlo a Selphie.

Una volta eravate in un bar, e la solita cameriera stronzetta e smorfiosa aveva chiesto a Riku che cosa desidera? con quel sorriso da "anche le mie tette sono in lista, per te", e tu hai riso e mormorato "Guardi che casca proprio male…"

Sora e Riku ti hanno stoccato uno sguardo tale che ti sei quasi sentita incenerire, ma a te non sembrava di aver detto niente di male, anzi, nella tua mentalità semplice e immediata eri addirittura convinta di stare facendo un favore riconoscendo il loro rapporto davanti agli altri.

Proprio non riesci a capire che cosa li spinga ad essere così permalosi sull’argomento.

Sono gay, e allora? Non dovrebbero esserne fieri, o qualcosa del genere? Invece appena ne parli partono occhiatacce da gufi e sbuffi. Tu non capisci. Non capisci questo bisogno di nascondersi anche da chi non è pericoloso, non capisci questa tendenza così radicata a ghettizzarsi da soli. E te lo potevi anche aspettare da Riku, che è sempre stato sufficientemente convinto di essere superiore a tutti da non sentirsi in obbligo di condividere niente con la plebaglia, ma Sora? Pensavi che avrebbe fatto stampare dei francobolli commemorativi, come minimo.

Ma poi ricordi anche il motivo per il quale non vi siete parlati per un anno, e ti senti insensibile e stupida a pretendere di giudicare le loro scelte. Forse che hanno bisogno di tempo, come dicono, è l’unica reale spiegazione.

Lo sai che sembra assurdo detto da te, ma a volte vorresti solamente che potessero prendersi per mano in centro, ed è ancora più assurdo se pensi che quando queste cose accadono, quando dimostrano per un attimo di essere in intimità tra di loro più di quanto non lo siano con te, tu senti chiaramente il fastidio pungerti nello stomaco, e vorresti che la facessero finita.

La verità è che non li hai mai perdonati.

Non sai se li perdonerai mai.

Li hai capiti, però, perché era inevitabile farlo, e speri che anche loro, in qualche modo, abbiano capito te.

E i momenti d’imbarazzo che calano a volte, quando vi scagliate il passato in faccia come polvere negli occhi, cerchi di considerarli una contropartita legittima, un simbolo di quello che è stato e del fatto che, comunque, sei riuscita a fare quel passo indietro necessario per ritrovare quello che avevi perso.

Torni da loro, e Sora sta facendo bruciare l’ultimo bastoncino aggrappato al braccio di Riku. E’ cresciuto molto, in altezza, e sta lentamente perdendo i tratti infantili del viso. Solo i suoi grandi occhi azzurri rimangono gli stessi. Una scheggia di qualcosa di eterno, invariato. Come il mare, che continua a fare avanti e indietro spinto dalla brezza, non importa a che cosa pensino le sciocche ragazzine idealiste e depresse guardandolo.

"Mamma vi sta preparando il letto matrimoniale, ditemi se non è un tesoro."

"Secondo me ha litigato con tuo padre e lo vuole punire" insinua Riku, mentre Sora gli bacia una spalla.

E’ un gesto così intimo che ti blocchi e arrossisci, poi ridi nervosamente. Riku se ne accorge e tenta di schiodarselo di dosso, ma Sora gli resta ostinatamente incollato al braccio, poi comincia ad urlargli che è cattivo, e gli butta le braccia al collo.

Tu ridi e congiungi le mani: "Vi prego, ragazzi, fatemi almeno scrivere una fanfiction su di voi!"

"No, no! Poi a me tocca fare il passivo sfigato perché sono il più basso!" si lamenta Sora.

"E sarebbe così distante dalla realtà…" lo provoca Riku.

Lui risponde "sì, io sono un duro, ecco…" strusciando la testa contro il suo braccio, come un gattino che fa le fusa.

Tornate a casa tenendovi per mano, tutti e tre, come quando eravate piccoli. Tu stai in mezzo, e ti senti ancora come allora, una principessa scortata dai suoi nobili pretendenti. Chi lo dice che poi, anche delle fiabe, non ci abbiano censurato qualcosa riguardo alla vita privata dei cavalieri.

Restate svegli fino alle quattro del mattino, non sai bene a fare cosa, ma a parlare, principalmente. Parlate di cose che si fondono, saltando senza criterio dall’argomento più serio a quello più cretino, aprite parentesi su parentesi e non vi ricordate più da dove siete partiti, e a volte, dopo un po’, hai la sensazione di non aver concluso qualcosa di importante, anche se non ricordi assolutamente cosa. E non ti importa.

Quando dai loro la buona notte vai nella tua stanza, dopo esserti lavata a stento i denti così velocemente che senti ancora il sapore del dentifricio sulla lingua.

Poi ti infili sotto le coperte, e senti che è tutto quanto perfetto.

Il modo in cui ti sta il tuo pigiama, come le lenzuola ti avvolgono, la temperatura della stanza, la forma del cuscino, il pupazzo di Topolino che stringi a te.

E’ tutto così perfetto, che pensi non potrebbe essere altrimenti.

Quando ti svegli al mattino ti butti subito sotto la doccia fresca, e quando ne esci, stretta nel tuo accappatoio morbido appena comprato, ti senti come se tutte le porte stessero cominciando ad aprirsi.

Ogni cosa sta diventando possibile, e tu sei qui, per loro.

Sei viva per ciascuna di quelle piccole cose.

Indossi un paio di jeans e la prima maglietta senza maniche che trovi, e con la testa ancora bagnata e spettinata scendi le scale. I tuoi genitori ti hanno lasciato un post-it sulla porta dove dicono che sono usciti, e ti augurano un buon primo giorno da diciottenne. Tu prendi una penna, ci disegni sopra un cuore, e vai in salotto, con l’idea di svegliare Riku e Sora nel modo più rumoroso possibile, ma quando li vedi cambi idea.

Sora è rannicchiato contro la schiena di Riku, e respirando gli sposta leggermente i capelli. E’ in mutande e si è scoperto completamente, visto che siete in agosto, ma non ha avuto l’accortezza di pensare che forse sarebbe stato più logico smettere di fare la piovra col suo ragazzo e magari mantenere la decenza in casa d’altri.

Riku è più composto, e neanche a dirlo è bellissimo anche mentre dorme. La gente normale sbava, russa, suda, ha il segno del cuscino sulla faccia e i capelli che sembrano un riccio di mare. Lui sembra pronto per alzarsi e andare così com’è a sfilare per Calvin Klain. Quanto lo odi. In un certo senso è ovvio che Sora non molli la presa nemmeno nel sonno, probabilmente si rende conto che uno stupido come lui ha avuto un’incredibile botta di fortuna ad accalappiarlo, e teme che lui se ne accorga di colpo e scappi nella notte.

E dire che se le cose fossero andate come dovevano saresti stata tu la prima candidata per stare aggrappata alla schiena di Riku, e che saresti stata tu la donna troppo bella per essere vera che Sora stritolava nel sonno.

Che voglia di picchiarli, mamma mia.

Siccome sei masochista cerchi di immaginarli mentre fanno l’amore, per un po’, ma la tua mente si rifiuta categoricamente di andare al di là di quello che hai visto quasi tre anni fa a casa di Riku, ossia loro che si comportano da perfetti idioti come di consueto, solo mezzi nudi. Non metti in dubbio che, esteticamente, debbano essere decisamente gradevoli. Sembrano così…proporzionati. Riku è solido, affascinante e forte. Sora invece è così piccolo rispetto a lui, appassionato e carino. Probabilmente lo fanno in un letto di rose. Sicuramente Sora lo prende, ma è meglio che non lo rendi partecipe di questa intuizione.

Comunque, smetti di pensare a queste scemenze vai in cucina, cercando di fare il meno rumore possibile. Mentre passi vedi come un corteo sotto la tua finestra, così ti appoggi al vetro, e capisci che si tratta di un funerale. Guardi la bara, le persone che piangono, e poi tutte le altre dietro…ed è in questo momento, Kairi, che riesci a vedere il vostro futuro.

Hai venticinque anni e sei ancora vergine. Avrai rifiutato molto uomini per difetti ridicoli, perché in nessuno avrai ritrovato tutte quelle cose che ti erano piaciute così tanto in Sora. Nessuno era abbastanza divertente, abbastanza ottimista o abbastanza sincero, e nessuno faceva bene come lui quella smorfietta arrabbiata. Poi vedi un uomo con cui parlerai, parlerai tantissimo, e ti senti benissimo raccontare di quella volta in cui ti sei presa una cotta per un tuo amico che poi, sorpresa sorpresa, se n’è uscito a dirti che stava già con l’altro tuo amico. E lui ti chiederà, ridendo: Oddio, era gay? E tu con le lacrime agli occhi gli avresti risposto di sì, santo cielo, chi lo avrebbe mai detto? E avresti riso. Avresti riso moltissimo, e avresti riso ancora di più quando gli avresti presentato Sora, e lui gli avrebbe raccontanto "…e in pratica io le dico le cose tra me e Riku sono cambiate, e lei mi fa sta faccia sconvolta, con gli occhi a palla…", e allora Riku si sarebbe schierato dalla tua parte, dicendo che "io la capisco anche. Abbi pazienza, ma da come ti spieghi non stento a credere che sembrasse che ti stessi dichiarando". Con quest’uomo lo farai per la prima volta, e ripenserai a quello che aveva detto Riku: travolgente, e incantevole.

Quando finalmente arriverà il momento di indossare l’abito bianco ti sentirai in colpa nei loro confronti, e rischierai di mandare all’aria tutto, ma saranno loro a convincerti a non farlo. Il giorno del tuo matrimonio ti sentirai comunque persa e vorrai scappare, ma non lo farai. E resterai.

Riku e Sora rimarranno insieme per tutta la vita. Ad un certo punto avranno dei problemi e cominceranno a litigare e a tradirsi, poi Riku non ne potrà più di tutto quel casino e leverà le tende senza lasciar detto niente a nessuno. Sora non ci penserà due volte a sparire pure lui per cercarlo, inizialmente con l’intento di prenderlo a calci fino ad ucciderlo, ma quando lo vedrà non riuscirà a muoversi, e Riku ammetterà di aver fatto un terribile errore e gli dirà di non aver mai smesso di amarlo. Sora non esiterà un attimo a riaccoglierlo, anche se sarà così ferito che lo punirà, all’inizio, ma non gli porterà rancore.

Sarete tutti abbastanza adulti da rendervi conto che ogni evento è minuscolo, quasi ridicolo, se guardato in proporzione a tutto il lunghissimo percorso della vita, e ogni cosa, anche la più brutta, vi farà pensare che niente è stato vano, se alla fine ce l’avete comunque fatta.

Tuo marito sarà il primo a morire. Forse una malattia ereditaria. Tu sarai disperata e penserai di volerti ammazzare, ma i tuoi bambini ti convinceranno che c’è troppo da vedere, ancora, troppe cose stupende che rischieresti di perderti. Riku e Sora ti daranno una mano, tratteranno i tuoi figli come se fossero i loro, e quando il più grande ti chiederà perché gli zii siano sposati anche se sono due maschi, tu risponderai "perché certi stronzi farebbero di tutto per non mettersi con la loro migliore amica" e Sora si arrabbierà.

Forse sarà proprio Sora il primo di voi ad andarsene. Riku si chiuderà in una noce impenetrabile di dolore, e sarà gentile solamente con te e i tuoi bambini. Il rimpianto e l’incapacità di accettare la vecchiaia lo renderanno un uomo anziano comunque bello, ma meno affascinante di quanto non sarebbe potuto diventare se fosse stato felice. Lui sarà l’ultimo. A settant’anni, non troppi, ma nemmeno molti, tu sarai in un letto d’ospedale divorata dall’ultimo stadio di un cancro al seno. La solita ironia beffarda della vita: e dire che sei sempre stata poco più che piatta. Avresti visto anche l’ultimo dei tuoi nipotini, e guardando fuori dalla finestra, un meraviglioso, luminoso giorno di Maggio, avresti pensato che ne era valsa la pena.

Hai mangiato il gelato artigianale. Hai addobbato un albero di natale di blu. Hai visto Via col vento. Ti sei arricciata i capelli, per poi capire che stavano meglio lisci. Hai pianto fino a non sentire più le ossa. Hai gridato fino a farti bruciare la gola. Hai comprato scarpe. Hai amato. Hai visto le persone che amavi amare a loro volta. Hai dato la possibilità a qualcun altro di nascere, e fare tutte queste cose meravigliose.

Ogni secondo. Ogni ridicolo momento.

Ogni insignificante gesto, anche quelli che ti avevano fatto più male.

Non ci sarebbe stato niente, in quella giornata di Maggio, che non avresti ricordato con amore, e non sarebbe stata solo la nostalgia di una vecchia che si prepara a lasciare questo mondo, ma sarebbe stata ammirazione. Così profonda da sentirti misera.

La commozione di una donna davanti all’incomparabile, suprema, struggente bellezza della vita.

Poi torni ad un mattino di agosto.

Hai diciotto anni, e se apri le finestre puoi sentire il rumore del mare.

Sora bofonchia qualcosa, tu ti giri e lo saluti. Lui fa lo stesso con la mano, e comincia a tormentare Riku, spingendogli la schiena con la testa e mordendogli una spalla. Lui si mette a pancia in sotto e lo schiaccia con un braccio, per farlo stare fermo. Sora cerca di liberarsi a morsi per un po’, ma poi si rassegna e striscia verso di lui, come se volesse infilarsi tra il suo corpo e il materasso. Riku si mette su un fianco e lo stringe, dicendogli ancora addormentato "fai il bravo, fai la nanna". Sora si riaddormenta quasi subito.

A te viene da piangere, non sai perché, ma ricacci velocemente le lacrime dietro agli occhi. Lo fai con gioia, e soddisfazione. Sorridi a te stessa, e in cucina prepari un’enorme caraffa di caffè americano. Te ne versi una tazza, ti siedi a tavola, e così, sola e in silenzio nella tua cucina, ti rendi conto di essere felice.

Anche se niente di quello che avevi desiderato si è ancora realizzato.

Anche se niente si realizzerà mai, niente di quello che credevi importa.

Non hai paura del futuro, e sai che quello che desideri cambierà giorno dopo giorno con te. Per questo, prima o poi, quello che è destinato ad accadere accadrà.

Non hai nessuna fretta e, ti sorprendi a pensare, nessuna curiosità.

La tazza di caffè freddo tra le tue mani. I capelli ancora bagnati. La lista della spesa che mamma ha dimenticato calamitata al frigorifero. La tovaglia con le fragole. I tuoi amici che dormono nella stanza accanto.

Tutto quello che vuoi sapere è qui. Racchiuso in questo caldo mattino di agosto.

Sorridi, riflessa nel caffè.

E ti rendi finalmente conto che tutto deve ancora cominciare.

***

Note incoerenti dell’autrice

Un’altra storiellina scritta in tre giorni >.<

Queste note servono esclusivamente per dire che la dedico ad Elisa, aka l’Attina <3 per tanti motivi diversi.

Il primo, più veniale, è che sono venuta in possesso della mia copia di Kingdom Hearts 2 a casa sua (sebbene la copia in questione non sia la sua, ma quella di Matteo), quindi visto questo e vista la pucceria dei personaggi (spero abbiate notato tutti la guest starring di King Mickey nel ruolo del peluche!), ho pensato subito a lei. In realtà confesso di aver pensato a lei anche per altri motivi, ma a mia discolpa posso dire di averci pensato solo mentre già scrivevo la storia, e non mentre la immaginavo è_é""!

Poi, cosa non meno importante, ultimamente mi ha aiutata con ammirevole prontezza a ritrovare il mio trolley, che come una deficiente ho dimenticato su un tram XD Per farlo ha quasi sacrificato il suo Metal Gear Solid: subsistence, e converrete con me, di persone che dicono di amare qualcuno ce ne sono tante, ma di persone che rischiano di perdere un Metal Gear Solid per te e, ciononostante, non cominciano ad odiarti, ce ne sono poche, e sono decisamente d’oro.

Infine, non mi perdonerà mai per non averla nominata a sufficienza e con specifiche caratteristiche della sua adorabile persona nel mio racconto lung(issim)o originale ;_;" Offro questo come pegno ;*;

Comunque, per tutto questo e tanto altro, queste quasi-trenta paginette sono per la mia amica bresciana che non ha mai detto "pota", ma per qualche assurda ragione se la imitiamo glielo facciamo dire sempre ":O

Noi tutti ti amiamo, ragazza :*

Solo una nota: i branettini sparsi nel testo appartengono a "Jeckie’s Strength" di Tori Amos, una delle canzoni di questa donna miracolosa che amo di più. L’ho ascoltata molto spesso mentre scrivevo questa storia, e mi dispiace solo non essere brava abbastanza da renderne l’atmosfera (infatti non ci ho nemmeno provato, lol *Caska ammirevole*). D’altra parte, non è che sia una gran scoperta: nessuno è bravo come Tori <3 Adesso mi preparo all’assalto di amici offesi perché non ho mai dedicato niente a loro ;__;""

  
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