Ciao a tutti!
Ogni tanto la mia mente partorisce cose strane…sarà normale? Comincio a
preoccuparmi. Seriamente. Comunque. Dopo una qualche lavoretto qua e là su Harry
Potter, ecco qua un’altra ff, nata come one-shot, ma passibile di diventare il
primo capitolo di una ff più lunga.
Sapete cosa
faccio?
Nella mia
eterna indecisione, lascio a voi la libertà di leggere, commentare e
consigliarmi cosa fare della mia vit- ehm… della ff.
Certo.
^__^
Un saluto a
tutti, buona lettura e, please, fatemi sapere cosa ne pensate,
okay?
Thank
you for your attention!!!
Tess
***
Il
Tempo di Una Burrobirra
Le calde volute
di fumo che si alzavano a spirale dalle vivande, adagiate sulla tavola in
bell’ordine e riccamente decorate, riempivano l’aria di aromi e di promesse
invitanti, tanto per gli occhi quanto per il palato. I fuochi che ardevano nei
grandi camini ai lati della Sala riscaldavano tutto l’ambiente, accompagnando i
rumori, che si mescolavano in uno strano concerto di voci, risate, tintinnio di
posate, con l’allegro e scoppiettante rumore della legna che ardeva, divorata
dalle fiamme rosse e arancioni. L’atmosfera era così accogliente, la scena così
famigliare che difficilmente si sarebbe potuta immaginare una situazione più
felice, più allegra di quella.
Si percepiva
nell’aria quella sorta di tepore impalpabile che scaturisce dalle persone e che
aleggia attorno a loro, quando si è seduti di fronte a una tavola imbandita, insieme alle
persone che più contano, insieme agli amici, ai compagni di una
vita.
Un ragazzo,
portandosi un bicchiere di burrobirra alle labbra, lasciò vagare pigramente il
suoi occhi per
Si diede
mentalmente dello sciocco per quel pensiero, spostandosi automaticamente
all’indietro per evitare il gomito di Ron, presissimo nell’ennesima
dimostrazione della prodigiosa parata da lui effettuata nella partita di quel
pomeriggio: la parata che aveva impedito agli Slytherin di pareggiare, un attimo
prima che il boccino d’oro fosse afferrato. Il ragazzo ne andava fierissimo,
ovviamente. La disparità di punti tra le sue squadre, e di conseguenza il
risultato di una delle partite più attese dell’anno, Gryffindor contro
Slytherin, non era dipesa soltanto dall’ormai indiscussa abilità del loro
cercatore, ma anche da lui: dal
piccolo Ronald Weasley, che da sette anni cercava un suo ruolo nella scuola che
non fosse ‘l’amico di’, ‘il fratello di’, ‘il figlio di’.
Ronald Weasley.
Il tenero e
imbranato, testardo, ingenuo Ronald Weasley, un po’ ridicolo forse, nella sua
schiettezza; un po’ invidioso, forse, smanioso di attirare su di sé un piccolo
raggio di luce riflessa dalla fama del suo migliore amico.
Ronald Weasley.
Il leale Ronald
Weasley, dal sorriso aperto e sincero, che, al di là dei bisticci e delle
incomprensioni, per quell’amico, se solo gliel’avesse chiesto, avrebbe dato
tutto quel poco che aveva, subito e senza domande.
L’aveva
dimostrato in più di un’occasione. Perché gliela si leggeva negli occhi
l’adorazione per quell’amico così speciale. Ma non per il suo nome, no, no. Non
era per quello. Anche uno stolto se ne sarebbe accorto subito.
Un complimento
di quell’amico, per Ronald Weasley, valeva più di mille complimenti fatti da
chiunque altro.
Un sorriso di
quell’amico, e Ronald Weasley si illuminava.
E ora,
quell’amico speciale, lo stava ascoltando attentamente, nonostante fosse
l’ennesima volta che gli stesse mostrando la sua parata spettacolare. Forse era
esagerato nella sua esibizione, certo, come sempre. Tutti se ne rendevano conto,
ma nessuno si sarebbe mai sognato di dirgli “Okay, abbiamo capito, ma ora
finiscila”.
Dopo la partita
il suo migliore amico era andato da lui e l’aveva stretto in un abbraccio,
congratulandosi per la bellissima azione.
Lui, che aveva
afferrato il boccino chissà quante volte da quando era iniziata la scuola, il
più giovane cercatore che Hogwarts avesse visto da almeno un secolo, il miglior
giocatore della scuola, era andato da lui e con un sorriso e una pacca sulla
spalla gli aveva detto “Grande Ron, dovrai farmela rivedere questa parata
spettacolare”, con sincero entusiasmo.
Ron. Solo Ron.
Ecco perché, a
dispetto di tutto, Ronald Weasley, sebbene non l’avesse mai detto a nessuno e
mai l’avrebbe fatto, giusto per non sembrare retorico, per quell’amico, avrebbe
dato tutto.
Ma proprio tutto.
Il ragazzo dai
capelli corvini e disordinati come non mai, dopo aver evitato un ulteriore
impatto tra il suo naso e il braccio del rosso seduto di fianco a lui, sorseggiò
ancora un po’ della sua burrobirra, scuotendo la testa con un sorrisetto
divertito di fronte a tutta quell’esuberanza e scambiando uno sguardo d’intesa
con una ragazza di fronte a lui.
I suoi caldi
occhi nocciola, semicoperti da una frangetta, non nascondevano la gioia nel
vedere Ron così felice, sebbene il suo atteggiamento e i suoi commenti
lasciassero intendere che, forse, prima di collassare sulla torta ricoperta di
panna montata o di uccidere qualcuno, avrebbe fatto meglio a darsi una calmata.
Atteggiamento
tipico di Hermione Granger, la ‘mamma’, la sorella maggiore, la coscienza, il
sostegno scolastico e non, di quei due scavezzacollo dei suoi migliori amici.
O meglio, del
suo migliore amico e del suo ‘qualcosa di più che un migliore amico’.
Ma queste
ultime erano questioni delicate da toccare, nervi scoperti: infinite variabili
da considerare e nessun libro da consultare.
Troppo, anche
per la mai impreparata Gryffindor, che il suo migliore amico non aveva esitato a
definire più volte l’ allieva più in gamba del loro anno a Hogwarts.
E grazie tante.
Detto da un
mago talentuoso come lui, non era un complimento da prendere sottogamba. Lui era
Il Mago per eccellenza, lui era
quello famoso.
Ma di fronte a
lei si era sempre, metaforicamente, levato il cappello e inchinato.
Babbana o non
babbana, lui la considerava la strega più brillante che avesse mai conosciuto.
Non Granger,
non Mezzosangue, non Zannuta, né So-tutto-io.
Hermione, solo
Herm.
E questo,
signori, valeva più di mille voti eccellenti.
Anche perché,
nonostante la sua severità, non riusciva mai a rifiutare un aiuto né a Ron, né a
lui.
Quanti volti e
quanti ricordi si affacciarono alla mente intorpidita dal caldo di quel ragazzo
con gli occhi verdi. Tanto che il dubbio di poco prima si affacciò di nuovo alla
sua mente, travolgendolo con un’ondata di malinconia.
La nostalgia si
impossessò a poco a poco del suo petto, gonfiandolo di commozione, e salì fino
alla gola, bruciandogliela un po’, solleticando il suo naso e continuando il suo
percorso fino a pungergli gli occhi.
Un velo di
lacrime, cammuffato da un colpo di tosse e nascosto allo sguardo di chiunque,
voltando la testa verso l’alto soffitto della Sala Grande.
Tutto ciò
sarebbe veramente finito.
Tutto quel
calore, le tavole imbandite, le allegre comitive in gita per Hogsmeade, le
nottate a parlare, la compagnia dei suoi amici.
Tutto
finito.
E non solo per
un’estate, ma per sempre.
La sua
esperienza a Hogwarts stava per volgere al termine, i cancelli si sarebbero
chiusi dietro di lui alla fine di quell’anno, per non riaprirsi poi il primo
settembre successivo. Niente più binari, niente più espressi, niente più
lezioni, niente di niente.
Ma soprattutto,
niente più famiglia, niente più ‘casa’.
Lui era
solo.
Non aveva
nessuno pronto ad accoglierlo.
Rimase in fissa
ancora un attimo sulle finte stelle che punteggiavano la volta sopra di lui,
facendogli l’occhiolino.
Tutte le voci
parvero d’un tratto giungere da molto lontano, mentre i suoi occhi verdi
tornavano a vagare sulle persone sedute a tavola.
Imprimendo
volti e nomi nella memoria.
Cosa avrebbe
sognato tutte le notti, solo nella sua stanza?
Di cosa si
sarebbe pentito una volta tornato a casa dopo sette anni passati in quella
scuola?
Chi gli sarebbe
mancato di più? E perché?
Cercando di
scacciare quei pensieri tristi dalla mente, afferrò nuovamente il bicchiere per
un’altra sorsata di burrobirra.
Fu un attimo e
i suoi occhi si allontanarono dal tavolo rosso-oro di Gryffindor, per andare a
posarsi su quello verde-argento degli Slytherin e sui suoi
occupanti.
Draco Malfoy.
Malfoy. Il
bambino arrogante, abituato ad avere tutto, che si era visto rifiutare
l’amicizia dal maghetto più famoso nel mondo.
Il bambino che
si era visto preferire un Weasley, il
bambino che era diventato ragazzino cercando in tutti i modi di eguagliarlo, di
superarlo, di umiliarlo.
Perché? Il
ragazzino che era cresciuto sotto l’egida sbagliata, che aveva fatto delle
scelte, che era stato costretto ad altre, che alla fine era tornato a essere ciò
che doveva essere: uno studente di Hogwarts, niente di più, niente di meno.
Non una pedina
mossa da mani crudeli in uno scacchiere più grande di lui.
Solo Malfoy.
Il perfido,
biondo, asciutto Malfoy, dal ghigno strafottente e le battutine acide e
taglienti.
Il ragazzo che
da lontano lo scrutava con i suoi occhi freddi e grigi, agognando una luce che
non gli apparteneva.
Solo.
Anche
lui.
Malfoy.
Giusto un
attimo prima di tornare ad immergersi nella realtà, nella sua realtà, Harry Potter si concedette
una lenta e lunga sorsata di burrobirra, l’ultima, chiedendosi ancora come
sarebbe stato chiamarlo, anche solo per una volta, Draco.
Solo
Draco.
***
Come
ho risposto a Stateira in altra
sede, ho riflettuto riguardo al futuro di questa ff, che è nata di getto, per
un’ispirazione del momento, senza il reale progetto di un seguito. Il mio dubbio
(se continuarla o meno) era dovuto a una sensazione di…‘incompletezza’. Non so
nemmeno io come definirla. Ad ogni modo, rileggendola oggi, a freddo, mi rendo
conto che ciò che volevo esprimere è veramente tutto lì. Non escludo la
possibilità di scrivere un’altra ff che in qualche modo riprenda la trama, ma ho
deciso di lasciare che questa duri realmente il tempo di una Burrobirra. Baci, a
presto, Tess.