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Autore: LadyBlake    11/01/2007    10 recensioni
Un ragazzo, portandosi un bicchiere di burrobirra alle labbra, lasciò vagare pigramente il suoi occhi per la Sala, abbracciandola tutta in un solo sguardo, cercando inconsciamente di memorizzare quanti più particolari possibili, quasi che tutto ciò potesse svanire da un momento all’altro.
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Ogni tanto la mia mente partorisce cose strane…sarà normale? Comincio a preoccuparmi. Seriamente. Comunque. Dopo una qualche lavoretto qua e là su Harry Potter, ecco qua un’altra ff, nata come one-shot, ma passibile di diventare il primo capitolo di una ff più lunga.

Sapete cosa faccio?

Nella mia eterna indecisione, lascio a voi la libertà di leggere, commentare e consigliarmi cosa fare della mia vit- ehm… della ff. Certo.

^__^

Un saluto a tutti, buona lettura e, please, fatemi sapere cosa ne pensate, okay?

Thank you for your attention!!!

Tess

***

 

Il Tempo di Una Burrobirra

 

Le calde volute di fumo che si alzavano a spirale dalle vivande, adagiate sulla tavola in bell’ordine e riccamente decorate, riempivano l’aria di aromi e di promesse invitanti, tanto per gli occhi quanto per il palato. I fuochi che ardevano nei grandi camini ai lati della Sala riscaldavano tutto l’ambiente, accompagnando i rumori, che si mescolavano in uno strano concerto di voci, risate, tintinnio di posate, con l’allegro e scoppiettante rumore della legna che ardeva, divorata dalle fiamme rosse e arancioni. L’atmosfera era così accogliente, la scena così famigliare che difficilmente si sarebbe potuta immaginare una situazione più felice, più allegra di quella.

Si percepiva nell’aria quella sorta di tepore impalpabile che scaturisce dalle persone e che aleggia attorno a loro, quando si è seduti di fronte a  una tavola imbandita, insieme alle persone che più contano, insieme agli amici, ai compagni di una vita.

Un ragazzo, portandosi un bicchiere di burrobirra alle labbra, lasciò vagare pigramente il suoi occhi per la Sala, abbracciandola tutta in un solo sguardo, cercando inconsciamente di memorizzare quanti più particolari possibili, quasi che tutto ciò potesse svanire da un momento all’altro.

 

Si diede mentalmente dello sciocco per quel pensiero, spostandosi automaticamente all’indietro per evitare il gomito di Ron, presissimo nell’ennesima dimostrazione della prodigiosa parata da lui effettuata nella partita di quel pomeriggio: la parata che aveva impedito agli Slytherin di pareggiare, un attimo prima che il boccino d’oro fosse afferrato. Il ragazzo ne andava fierissimo, ovviamente. La disparità di punti tra le sue squadre, e di conseguenza il risultato di una delle partite più attese dell’anno, Gryffindor contro Slytherin, non era dipesa soltanto dall’ormai indiscussa abilità del loro cercatore, ma anche da lui:  dal piccolo Ronald Weasley, che da sette anni cercava un suo ruolo nella scuola che non fosse ‘l’amico di’, ‘il fratello di’, ‘il figlio di’.

Ronald Weasley.

Il tenero e imbranato, testardo, ingenuo Ronald Weasley, un po’ ridicolo forse, nella sua schiettezza; un po’ invidioso, forse, smanioso di attirare su di sé un piccolo raggio di luce riflessa dalla fama del suo migliore amico.

Ronald Weasley.

Il leale Ronald Weasley, dal sorriso aperto e sincero, che, al di là dei bisticci e delle incomprensioni, per quell’amico, se solo gliel’avesse chiesto, avrebbe dato tutto quel poco che aveva, subito e senza domande.

L’aveva dimostrato in più di un’occasione. Perché gliela si leggeva negli occhi l’adorazione per quell’amico così speciale. Ma non per il suo nome, no, no. Non era per quello. Anche uno stolto se ne sarebbe accorto subito.

Un complimento di quell’amico, per Ronald Weasley, valeva più di mille complimenti fatti da chiunque altro.

Un sorriso di quell’amico, e Ronald Weasley si illuminava.

E ora, quell’amico speciale, lo stava ascoltando attentamente, nonostante fosse l’ennesima volta che gli stesse mostrando la sua parata spettacolare. Forse era esagerato nella sua esibizione, certo, come sempre. Tutti se ne rendevano conto, ma nessuno si sarebbe mai sognato di dirgli “Okay, abbiamo capito, ma ora finiscila”.

Dopo la partita il suo migliore amico era andato da lui e l’aveva stretto in un abbraccio, congratulandosi per la bellissima azione.

Lui, che aveva afferrato il boccino chissà quante volte da quando era iniziata la scuola, il più giovane cercatore che Hogwarts avesse visto da almeno un secolo, il miglior giocatore della scuola, era andato da lui e con un sorriso e una pacca sulla spalla gli aveva detto “Grande Ron, dovrai farmela rivedere questa parata spettacolare”, con sincero entusiasmo.

Ron. Solo Ron.

Ecco perché, a dispetto di tutto, Ronald Weasley, sebbene non l’avesse mai detto a nessuno e mai l’avrebbe fatto, giusto per non sembrare retorico, per quell’amico, avrebbe dato tutto.

Ma proprio tutto.

 

Il ragazzo dai capelli corvini e disordinati come non mai, dopo aver evitato un ulteriore impatto tra il suo naso e il braccio del rosso seduto di fianco a lui, sorseggiò ancora un po’ della sua burrobirra, scuotendo la testa con un sorrisetto divertito di fronte a tutta quell’esuberanza e scambiando uno sguardo d’intesa con una ragazza di fronte a lui.

I suoi caldi occhi nocciola, semicoperti da una frangetta, non nascondevano la gioia nel vedere Ron così felice, sebbene il suo atteggiamento e i suoi commenti lasciassero intendere che, forse, prima di collassare sulla torta ricoperta di panna montata o di uccidere qualcuno, avrebbe fatto meglio a darsi una calmata.

Atteggiamento tipico di Hermione Granger, la ‘mamma’, la sorella maggiore, la coscienza, il sostegno scolastico e non, di quei due scavezzacollo dei suoi migliori amici.

O meglio, del suo migliore amico e del suo ‘qualcosa di più che un migliore amico’.

Ma queste ultime erano questioni delicate da toccare, nervi scoperti: infinite variabili da considerare e nessun libro da consultare.

Troppo, anche per la mai impreparata Gryffindor, che il suo migliore amico non aveva esitato a definire più volte l’ allieva più in gamba del loro anno a Hogwarts.

E grazie tante.

Detto da un mago talentuoso come lui, non era un complimento da prendere sottogamba. Lui era Il Mago per eccellenza, lui era quello famoso.

Ma di fronte a lei si era sempre, metaforicamente, levato il cappello e inchinato.

Babbana o non babbana, lui la considerava la strega più brillante che avesse mai conosciuto.

Non Granger, non Mezzosangue, non Zannuta, né So-tutto-io.

Hermione, solo Herm.

E questo, signori, valeva più di mille voti eccellenti.

Anche perché, nonostante la sua severità, non riusciva mai a rifiutare un aiuto né a Ron, né a lui.

 

Quanti volti e quanti ricordi si affacciarono alla mente intorpidita dal caldo di quel ragazzo con gli occhi verdi. Tanto che il dubbio di poco prima si affacciò di nuovo alla sua mente, travolgendolo con un’ondata di malinconia.

La nostalgia si impossessò a poco a poco del suo petto, gonfiandolo di commozione, e salì fino alla gola, bruciandogliela un po’, solleticando il suo naso e continuando il suo percorso fino a pungergli gli occhi.

Un velo di lacrime, cammuffato da un colpo di tosse e nascosto allo sguardo di chiunque, voltando la testa verso l’alto soffitto della Sala Grande.

Tutto ciò sarebbe veramente finito.

Tutto quel calore, le tavole imbandite, le allegre comitive in gita per Hogsmeade, le nottate a parlare, la compagnia dei suoi amici.

Tutto finito.

E non solo per un’estate, ma per sempre.

La sua esperienza a Hogwarts stava per volgere al termine, i cancelli si sarebbero chiusi dietro di lui alla fine di quell’anno, per non riaprirsi poi il primo settembre successivo. Niente più binari, niente più espressi, niente più lezioni, niente di niente.

Ma soprattutto, niente più famiglia, niente più ‘casa’.

 

Lui era solo.

Non aveva nessuno pronto ad accoglierlo.

 

Rimase in fissa ancora un attimo sulle finte stelle che punteggiavano la volta sopra di lui, facendogli l’occhiolino.

Tutte le voci parvero d’un tratto giungere da molto lontano, mentre i suoi occhi verdi tornavano a vagare sulle persone sedute a tavola.

Imprimendo volti e nomi nella memoria.

Cosa avrebbe sognato tutte le notti, solo nella sua stanza?

Di cosa si sarebbe pentito una volta tornato a casa dopo sette anni passati in quella scuola?

Chi gli sarebbe mancato di più? E perché?

 

Cercando di scacciare quei pensieri tristi dalla mente, afferrò nuovamente il bicchiere per un’altra sorsata di burrobirra.

Fu un attimo e i suoi occhi si allontanarono dal tavolo rosso-oro di Gryffindor, per andare a posarsi su quello verde-argento degli Slytherin e sui suoi occupanti.

 

Draco Malfoy.

Malfoy. Il bambino arrogante, abituato ad avere tutto, che si era visto rifiutare l’amicizia dal maghetto più famoso nel mondo.

Il bambino che si era visto preferire un Weasley, il bambino che era diventato ragazzino cercando in tutti i modi di eguagliarlo, di superarlo, di umiliarlo.

Perché? Il ragazzino che era cresciuto sotto l’egida sbagliata, che aveva fatto delle scelte, che era stato costretto ad altre, che alla fine era tornato a essere ciò che doveva essere: uno studente di Hogwarts, niente di più, niente di meno.

Non una pedina mossa da mani crudeli in uno scacchiere più grande di lui.

Solo Malfoy.

Il perfido, biondo, asciutto Malfoy, dal ghigno strafottente e le battutine acide e taglienti.

Il ragazzo che da lontano lo scrutava con i suoi occhi freddi e grigi, agognando una luce che non gli apparteneva.

Solo.

Anche lui.

Malfoy.

 

Giusto un attimo prima di tornare ad immergersi nella realtà, nella sua realtà, Harry Potter si concedette una lenta e lunga sorsata di burrobirra, l’ultima, chiedendosi ancora come sarebbe stato chiamarlo, anche solo per una volta, Draco.

Solo Draco.

 

***

 

 

Come ho risposto a Stateira in altra sede, ho riflettuto riguardo al futuro di questa ff, che è nata di getto, per un’ispirazione del momento, senza il reale progetto di un seguito. Il mio dubbio (se continuarla o meno) era dovuto a una sensazione di…‘incompletezza’. Non so nemmeno io come definirla. Ad ogni modo, rileggendola oggi, a freddo, mi rendo conto che ciò che volevo esprimere è veramente tutto lì. Non escludo la possibilità di scrivere un’altra ff che in qualche modo riprenda la trama, ma ho deciso di lasciare che questa duri realmente il tempo di una Burrobirra. Baci, a presto, Tess.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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