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Autore: FCq    27/06/2012    0 recensioni
In un modo spietato e celato egregiamente ai miopi occhi umani, qualcosa cambierà nel momento in cui un giovane incontrerà due occhi fieri e innocenti e comprenderà che non tutte le cose iniziano per finire... non quelle che contano davvero.
≪La legge? Nel nostro mondo non è altro che una parola senza senso né fine≫...
≪La mia legge non ha i volti e i nomi degli anziani, ma il mio viso e la mia coscienza. Parlo di legge morale. Dovresti riflettere sulle conseguenze che questo complotto arrecherà al mondo degli immortali e a quello degli umani≫.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2 Londra

Il suono metallico delle ruote che stridevano contro i binari della ferrovia, nell’affollata stazione di Inverness, non ridestò la giovane dai propri pensieri.

Si diceva della pietra di azzurro topazio che fosse il simbolo della contemplazione e dell’animo costante, tranquillo e temprato a tutte le avversità, che avrebbe frenato le passioni, l’ira, la lussuria e avrebbe combattuto la malinconia.

Gli occhi di Hannah avrebbero rispecchiato alla perfezione quella leggenda, se non avessero brillato di una luce malinconica insanabile. Benché non avesse distolto lo sguardo dal vetro e automaticamente dalla vista di acque limpide, verdi colline e montagne, gli occhi della giovane non avevano catalogato alcun particolare dello splendido panorama che le scorreva di fronte: guardava senza riuscire a vedere.

Nello sguardo si susseguivano le immagini dell’ultima notte a Eilean Donan. Il ricordo della vita che abbandonava gli occhi di Darren, il capo riverso sul pavimento, le labbra piegate in un’espressione pacifica, il suono della lama che si conficcava nella sua gola e il momento in cui le mani del suo assassino l’avevano malvagiamente estratta, dopo aver inflitto il colpo mortale, non si cancellava dalla sua mente come qualsiasi altro. Non era certamente la prima volta che Hannah assisteva a una scena simile, quando non erano le sue stesse mani a muovere la lama, ma dopo ore di viaggio in treno la stupiva che le tormentassero ancora la mente. Hannah pensò che la causa fosse la mancanza del suo rifugio, la grande libreria, che l’accoglieva a ogni rientro a casa. Era ormai un rito, quello di rintanarsi tra le pagine di un buon libro e dimenticare. La giovane strinse le ginocchia al petto e vi posò il mento. Hannah sarebbe voluta ritornare indietro, al pomeriggio del giorno prima, quando Darren non era ancora entrato nella libreria con quella luce negli occhi. La giovane non avrebbe saputo dire se lo squarcio che sentiva al posto dei polmoni e del battito cardiaco potesse essere definito come mancanza di qualcosa. Se così fosse stato, avrebbe tranquillamente potuto affermare di sentire la mancanza della routine e della sicurezza del proprio angolo di solitudine. Una frustata gelida la costrinse a mettere in discussione la propria argomentazione. Non avrebbe dovuto scartare immediatamente l’idea che lo squarcio fosse ciò che rimaneva del posto vacante occupato da Darren. Hannah non voleva ammettere che, in così poco tempo, avesse trovato ciò che sentiva di star aspettando e l’avesse perso altrettanto velocemente. Darren le aveva donato l’affetto, lei aveva scoperto di apprezzare quelle sensazioni e ora ne sentiva la mancanza. Le mancava la possibilità di approfondire quel rapporto. Le mancavano gli abbracci, le rassicurazioni e la fiducia. Soprattutto quell’ultima. Hannah non ne aveva mai realmente ricevuto da parte di nessuno, perciò non era certa del modo in cui si agisse in quei casi. Lasciò che fosse l’istinto a decidere per lei. Non avrebbe deluso la fiducia che Darren aveva riposto in lei, la dove avesse potuto addurre al termine “delusione” la sensazione di sconforto provata nel momento in cui capì che Darren non l’avrebbe raggiunta e in base alla quale aveva perciò deciso di ritornare indietro...

 Hannah ripercorse mentalmente la loro conversazione. Intuì, dalle parole affrettate del fratello, che il giovane fosse consapevole della propria fine.

Sei la mia speranza in caso io..., il giovane non aveva concluso il proprio presagio. Cosa potrebbe succedere?, aveva chiesto Hannah.

La giovane si rimproverò per non aver insistito.

Il mistero di cosa fosse successo a Eilean Donan le portò via molto tempo. Era possibile che qualcuno avesse fatto irruzione nel castello? Poteva trattarsi di un tradimento? All’interno della residenza si nascondevano forse delle talpe? Il padre non era certo un uomo ben voluto e ogni mercenario, nel corso della vita, crea la propria personale lista di nemici da tenere sott’occhio. Anche lei era certa di averne parecchi... Ciò spiegava il perché della presenza sul luogo di alcuni uomini in servizio al castello come guardie. Il topazio blu dei suoi occhi fiammeggiò e lampeggiò, come una pietra minerale esposta alla luce del sole. La sua mente si soffermò sull’uomo la cui mano aveva segnato la fine della vita di Darren. Hannah, non provando alcunché, aveva sempre cercato di afferrare il motivo che spingeva le persone a richiedere la morte di altri. L’odio e l’affetto. Entrambi erano ottimi moventi, le aveva spiegato Joseph un tempo. Ora che la giovane aveva assaggiato l’affetto, si chiese come potesse portare a richiedere un omicidio o una tortura. Ricordò quel qualcosa di fondamentale che le era sfuggito. L’omicidio e la tortura erano richiesti per affetto. Un eccesso di questo portava le persone a commissionarli per quei gesti. Di cosa fosse l’odio lei non ne aveva idea, ma, ancora una volta, grazie al tempo speso dietro ai libri, riuscì a riconoscerlo nelle emozioni che stava provando(le sembrava ancora strano parlare di se stessa che prova delle emozioni). I denti stridevano tra loro e nello sforzo di trattenerli serrava la mascella, sentì che lo sguardo diventava davvero freddo, come lo vedevano tutti gli altri e il proprio istinto, sempre così pacato e silenzioso, si risvegliò in tutta la propria brutalità e ferocia. Aveva ucciso innumerevoli volte, senza mai provare piacere né ira né soddisfazione. Ma sentì tutta la potenza della propria rabbia, mentre nella mente figurava l’immagine delle proprie dita strette intorno al collo dell’uomo che aveva ucciso il fratello, e seppe che, in quel caso, avrebbe provato entrambe le cose: piacere e soddisfazione.

Quando si fu ripresa, stabilì la prima certezza di quel nuovo giorno: Eilean Donan non era più un posto sicuro e lei non avrebbe potuto farvi ritorno. Si chiese se Alexander e Isobel fossero ancora vivi, ma quel dubbio non le creò altri squarci nel petto.

La seconda certezza stabilita fu, mentre l’alba sorgeva dietro le colline, che avrebbe trovato l’uomo, chiunque esso fosse, e avrebbe messo in pratica il concetto dell’eccesso di affetto o avrebbe sperimentato le conseguenze dell’odio per la prima volta, ma lo avrebbe ucciso, allo stesso modo in cui lui aveva ucciso Darren.

Decretati entrambi i suoi principali punti fermi, Hannah iniziò a porsi domande di altro genere. Il primo obiettivo era portare a termine il compito che le aveva assegnato Darren, ma lei non aveva idea di ciò che l’aspettava. Fissò il foglio che teneva tra le mani. Sembrava una semplice missiva come tante le erano state consegnate da Joseph e più unicamente da Alexander. Darren le aveva chiesto di non fare del male ai vampiri segnalati, benché il foglio ne indicasse la morte. Perciò l’omicidio era escluso. 

Devi far si che ti dicano dove si trova la principessa e metterla in guardia..., aveva detto il ragazzo, costatò la giovane, ricordando un altro frammento della loro conversazione.

Sapeva molto della principessa, tutto ciò che si potesse conoscere di lei attraverso le letture. Nessuno sapeva dove vivesse né se fossero veritiere le leggende che circolavano su di lei. In pochi avevano avuto l’onore di vederla personalmente e tutti avevano adorato e lodato la sua straordinaria bellezza. Si diceva di lei che fosse una creatura misteriosa, poco loquace e tenebrosa. Qualcosa non aveva mai convinto Hannah riguardo alla storia della principessa. Mancavano tanti tasselli al puzzle.

Avrebbe dovuto ideare un piano prima di bussare alla porta dei vampiri. Il suo scopo era ricavare informazioni sull’abitazione della principessa, per poi metterla in guardia su un potenziale pericolo di cui neanche lei era a conoscenza. Se i vampiri avessero rifiutato di dirle ciò che desiderava, avrebbe dovuto utilizzare le maniere forti? Le parole di Darren sul non far loro del male si riferivano anche a questo o soltanto alla X? Se i vampiri erano a conoscenza del luogo in cui era ubicata la residenza reale, non erano nemici da sottovalutare. Il foglio riportava due nomi ma nulla escludeva che fossero in numero maggiore. Perciò non avrebbe potuto aggredirli immediatamente e torturali fin quando non le avessero detto ciò che desiderava sapere. Allora in che modo si sarebbe presentata da loro? Avrebbe dovuto fingersi umana? Se, come supponeva, i due vampiri fossero stati dalla parte della principessa, non avrebbe semplicemente potuto spiegar loro il motivo che l’aveva condotta lì, così che le avrebbero indicato l’abitazione per avvertire Selene del pericolo incombente? In quel caso avrebbe dovuto svelare che era una mercenaria. Non era il modo in cui avrebbe agito solitamente, ma non avendo altra scelta né informazioni non avrebbe potuto fare altrimenti.

Il motivo per cui avrebbe voluto avvertire personalmente Selene, oltre a volersi accertare di portare a termine l’obiettivo che era stato di Darren, consisteva nel fatto che Hannah fosse certa che scoprire il pericolo che incombeva su Selene, l’avrebbe portata all’assassino di Darren. Era probabile che il fratello fosse implicato in affari di cui non era a conoscenza e che centravano con ciò che stava per fare, ma che non aveva avuto il tempo di realizzare.   

Joseph, abituato ai lunghi silenzi, non aveva interferito nei pensieri della ragazza, limitandosi a sederle a fianco, anch’esso immerso nelle proprie idee. L’uomo aveva ben poco sui cui riflettere, non conoscendo i motivi del viaggio e gli intrecci della situazione, ma era sempre stato acuto, o fortunato, nel cogliere segnali e mutamenti negli atteggiamenti delle persone che lo circondavano. La fretta di Darren e il suo sconvolgimento interiore non gli erano sfuggiti, quando aveva fatto irruzione nella camera, trafelato e determinato. Benché evitasse di esprimere le proprie opinioni, ciò non significava che non ne avesse costruito nella propria mente. Joseph era un buon osservatore. Aveva intuito immediatamente la diversità di Hannah e, in seguito, il rapporto gelido tra lei e il resto della sua famiglia. Darren non era un’eccezione. Joseph aveva passato anni a osservare la ragazza, anche nei momenti più critici. Il primo omicidio, all’età di sei anni, la prima tortura, durata dodici ore, a tredici anni. Eventi che segnavano i piccoli mercenari, introducendoli alla loro vita reale. Per Hannah nulla era cambiato, in entrambi i casi. Aveva svolto il suo compito con freddezza ed eccellenza. Joseph aveva visto cedimenti, ghigni di piacere e soddisfazione, accanimento, nel percorso della propria carriera, ma non si aspettava che qualcuno potesse rimanere estraneo alle prime volte sul campo. Hannah possedeva istintivamente quella capacità che si acquisiva dopo i primi cinque, sei anni nel settore.

La ragazza non gli aveva spiegato cosa fosse successo a Eilean Donan, ma, di ritorno dal palazzo, Joseph aveva visto nei suoi occhi quello sconvolgimento che attendeva da undici anni.

Soltanto nel momento in cui gli altri passeggeri iniziarono a scorrergli a fianco, Joseph si ridestò. Un uomo, di cui intravide solo lo spolverino marrone, nella fretta gli colpì il gomito con la ventiquattro ore. Le porte del treno erano affollate delle persone che spingevano per uscire. Si alzò dal proprio posto, afferrò lo zaino e posò lo sguardo sulla figura immobile di Hannah. Non aveva ancora distolto lo sguardo dal vetro, benché il grigio cemento del marciapiede avesse occupato il posto delle verdi colline, a ulteriore conferma che non stesse prestando loro attenzione. Joseph le sfiorò una spalla, richiamandola con uno sguardo sospettoso. Hannah lo guardò di rimando, impiegando qualche secondo prima di capire che il treno si era fermato ed era ormai quasi vuoto. Si alzò con un movimento aggraziato ed elegante e finalmente entrambi lasciarono il treno. Quella stessa mattina, Joseph e Hannah riuscirono a non mancare la coincidenza con l’aereo che da Inverness li avrebbe condotti a Londra. Altre due ore in cui i pensieri ebbero la possibilità di affollare entrambe le menti.

Il loro arrivo nel caotico aeroporto di Londra fu, come per il seguente, molto silenzioso. La città li aveva accolti con un clima che sembrava riflettere perfettamente lo stato d’animo di entrambi. Il cielo era di un confortevole grigio fumo, la nebbia un velo sottile e impalpabile che inumidiva la pelle e i capelli e la pioggia leggera un costante ticchettio sulla strada e sui grandi autobus a due piani che circolavano per strada. Londra era esattamente come ci s’immaginava che fosse. Non mancava nulla al quadro che la dipingeva come città nuvolosa, accogliente e, forse, a causa dei troppi libri di Harry Potter, magica. Hannah si aspettava di veder spuntare da un momento all’altro il giovane Harry con una scopa in mano e la bacchetta nell’altra. Lasciarono il city airport con il più classico taxi nero. Un ometto dal volto disponibile e il sorriso con tanto di fossette, vestito in un completo scuro, li condusse a Notting Hill. La cosa che Hannah apprezzò maggiormente dell’uomo fu la sua capacità di capire l’assenza di desiderio da parte di entrambi i passeggeri di dire alcunché e  perciò tacque, limitandosi a qualche convenevole.

≪Dove desiderate che vi lasci, di preciso?≫, chiese l’uomo.

Hannah fissò lo sguardo amichevole dell’uomo dallo specchietto. Gli occhi  nocciola brillavano. La ragazza non capì se avesse appena ricevuto buone notizie o fosse una sua caratteristica, in ogni caso, lo invidiò per la serenità che lesse nel suo sguardo. Hannah estrasse il cartoncino che teneva nella tasca dei jeans, con un movimento fulmineo vi lanciò uno sguardo, in modo che nessun’altro presente nell’auto potesse comprendere cosa vi fosse scritto.

≪158 Ladbroke Grove, ci lasci pure a qualche abitazione di distanza≫, gli rispose cortesemente la ragazza.

Joseph voltò leggermente il capo e tese lo sguardo per cogliere qualcosa di ciò che c’era scritto sul foglio, ma Hannah lo ripose immediatamente al sicuro nella propria tasca, il tutto senza degnarlo di uno sguardo. Avrebbe dovuto chiederle che cosa stesse succedendo e il perché di tanta riservatezza, una volta scesi dalla macchina.

Il tassista sorrise come sempre, ma alla ragazza non sfuggì il suo leggero sospiro.

≪Ha forse qualche problema a portarci dove le ho chiesto, ehm...?≫, chiese, curiosa di scoprire se quel quartiere celasse qualcosa di particolare.

L’ometto sussultò. Benché la ragazza si fosse rivolta con tono cordiale quegli occhi blu indagatori lo avevano destabilizzato e inquietato. Dean aveva notato immediatamente che ci fosse qualcosa di diverso in quei due individui. Qualcosa gli diceva che fossero pericolosi. La ragazza aveva un volto pulito e innocente ma teso e lo sguardo era glaciale. L’uomo, con il quale non aveva alcuna somiglianza, ma che anzi sembrava appena sopportare, aveva un volto talmente duro da sembrare scolpito nella pietra. Non avevano l’aria di essere turisti, anzi il loro accento era impeccabile. Nessuno dei due aveva aperto bocca per tutto il viaggio e a Dean era parso che fosse l’unico a risentire di quel silenzio e della situazione. La prima volta che aveva incrociato gli occhi dell’uomo aveva istintivamente temuto per la ragazza, solo di qualche anno più grande della figlioletta.

≪Dean, signorina. Assolutamente non c’è alcun problema. Vedete, oggi è il compleanno di mio fratello. Abita a Portobello Road e quando mi avete chiesto di accompagnarvi a Notting Hill ho tirato un sospiro di sollievo perché non avrei fatto ritardo a causa del lavoro. Speravo soltanto che la vostra destinazione fosse Portobello, ma non è assolutamente un vostro problema≫, disse, sfoderando la parlantina che aveva taciuto per tutto il viaggio, con grande sforzo.

Hannah annuì.

≪Vostro fratello≫, sussurrò la giovane.

Joseph le lanciò uno sguardo a dir poco strabiliato. Non l’aveva mai sentita parlare così a lungo con un’altra persona, a meno che non fosse costretta a farlo.

Dean dovette scambiare il suo sussurro per una domanda, a causa dell’intonazione che aveva utilizzato, perché rispose: ≪Oh, si. Compie sessantacinque anni. Con Ashlie, sua moglie e Chuck, mio nipote, abbiamo organizzato una festa a sorpresa. Sa, il suo compleanno coincide con il suo pensionamento≫, concluse. Dean era consapevole della facilità con cui iniziava a ciarlare quando si trattava della propria famiglia e in particolar modo del fratello. Erano sempre stati uniti, fin da bambini e benché lui fosse più piccolo di nove anni, non c’erano mai stati disaccordi o gelosie, quasi sempre...

≪Sembra che vostro fratello abbia una bella vita... come si chiama?≫, sussurrò ancora Hannah. Joseph e Dean colsero lo sconforto nella sua voce, ma reagirono diversamente. Il primo socchiuse le labbra e serrò la mascella, temendo che potesse cascare sul sedile per lo stupore, il secondo le rivolse uno sguardo paterno e rispose con entusiasmo.

≪Duncan Owen è uno degli uomini più onesti che conosca, signorina. Mio fratello è il proprietario di un’azienda di trasporti: taxi, autobus... Lavoro per lui da cinque anni. Sue moglie è una bellissima donna e suo figlio è un bambino adorabile. Le assicuro che ha lavorato duramente per guadagnare tutto quello che ha ora. Lei ha un fratello?≫, chiese, trattenendo il proprio entusiasmo e addolcendo il tono della voce. Temeva che quello fosse un tasto dolente.

Hannah, che aveva fin ora fantasticato sul racconto di Dean, immaginando il volto del fratello al posto di quello ipotetico di Duncan, alzò il capo e incrociò gli occhi color nocciola nello specchietto. Il cambiamento nel tono di voce dell’uomo non era passato inosservato, ma la rassicurò. Lo sguardo caldo che le rivolse alleviò leggermente la sensazione che le stringeva il petto. Lo squarcio si allargava, anziché richiudersi, man mano che il tempo passava. Hannah ebbe un attimo di smarrimento. Non sapeva come rispondere alla sua domanda. Un tempo, sarebbe stata incerta su cosa dire non sapendo se il suo antico rapporto con Darren potesse essere considerato pari a quello tra fratelli, ma avrebbe generalmente detto di sì. Quel giorno, sapeva di aver avuto un fratello e di averlo perso troppo in fretta. Il lato pratico le suggeriva di rispondere affermativamente, per non destare sospetti in Joseph: doveva ancora decidere se metterlo al corrente della morte di Darren. Eppure, sentiva che quella risposta avrebbe allargato a dismisura la falla nel sui petto. Non avrebbe semplicemente potuto fingere che Darren fosse ancora vivo...

Nel tempo che impiegò a prendere una decisione, destando ulteriori sospetti in Joseph, Dean comprese la sua difficoltà e la sollevò dal dover rispondere.

≪Siamo arrivi a Ladbroke Grove. E’ il 150. Desiderate che accosti qui e proseguire a piedi?≫, chiese.

Hannah si riprese e annuì. Dean accostò il taxi di fronte ad una grande casa bianca. Una serie di villette si stendevano per tutto il viale. Joseph salutò e uscì immediatamente dall’auto, respirando aria fresca. Quel viaggio era stato tremendamente lungo e sentiva le membra intorpidite. Hannah rimase così sola nel taxi con un Dean sempre sorridente. Recuperò il denaro per la corsa e si sporse in modo da consegnarlo all’uomo.

≪Avevo un fratello. E’ morto poco tempo fa...≫, sussurrò, in risposta alla sua domanda di prima.

Dean rimase un attimo perplesso prima di rivolgerle un altro sguardo paterno.

≪Mi dispiace≫, le disse.

Hannah conosceva le varie formule di cortesia della comunicazione umana, ma, nel momento in cui gli occhi color nocciola si sciolsero e il volto paffuto assunse un’espressione addolorata, comprese che non era quello il caso.

Hannah si allontanò e afferrò la maniglia.

Una mano calda sulla spalla la fermò.

≪Non conosco lei e non conoscevo suo fratello, ma leggo nei vostri occhi quanto vi manchi la sua presenza. Non saprei cosa fare senza Duncan, è sempre stato il mio punto di riferimento. Abitavo in Italia e siamo stati lontani per tanti anni. Avevamo litigato per una sciocchezza. Quando Chuck è nato ci sono state delle complicazione, Ashlie rischiava la vita. Ho preso il primo aereo è sono corso qui. Non potremo recuperare tutti gli anni che abbiamo perso, ma se io non fossi corso a Notting Hill, quel giorno, non ne avremmo avuto neanche uno insieme. Quello che voglio dirle è che finché l’affetto non si consuma il legame non si recide. Se non avessi tenuto a mio fratello non sarei andato in ospedale e lui non si sarebbe accasciato sulla mia spalla a piangere e non lo avrebbe fatto di nuovo quando ci hanno assicurato che Ashlie stava bene≫.

Hannah rifletté sulle sue parole. Forse avrebbe dovuto smettere di considerarsi immutata rispetto a qualche giorno fa. L’affetto l’aveva cambiata e, non avrebbe voluto dimenticarne il calore, neanche se il prezzo da pagare era lo squarcio nel petto. Così credeva.

Dean sorrise nuovamente come aveva fatto per tutto il viaggio e la ragazza tentò di replicare. Un angolo delle labbra si sollevò un po’ tremante e, quasi a volerle insegnare come fare, il sorriso di Dean si allargò maggiormente. La giovane aprì la portiera e scese dall’auto. Mentre il motore ripartiva si voltò indietro: ≪Dia a suo fratello i miei auguri di buon compleanno≫.

Avrebbe voluto una vita come quella di Duncan per Darren. Ciò che voleva per se stessa era ancora un mistero. Forse semplicemente perché non si era mai posta la domanda.

Quando fu al fianco di un rigido e sospettoso Joseph, gli avvenimenti nel taxi passarono in secondo piano ed Hannah ritornò con la mente alla propria missione. I due presero a camminare lungo il viale.

≪Intendi tacere a lungo?≫, le chiese d’improvviso Joseph, ormai all’esasperazione.

Hannah lo guardò per la prima volta negli occhi da quando avevano preso il taxi per Notting Hill.

≪Mi sembravi così desiderosa di conversazione, in auto≫.

Quel tono languido e ironico la fece irrigidire immediatamente. Scostò lo sguardo senza rispondere, guardandosi intorno. Erano circondati da grandi ville, con verdi giardini. In strada le auto erano poche e si muovevano quasi tutte nella direzione inversa alla loro.

≪Ho bisogno d’informazioni≫, disse in fine la ragazza.

≪Che genere di informazioni? Sarà necessaria una lunga tortura o...≫.

≪Nessuna tortura≫, lo interruppe la ragazza.  ≪Devono rimanere vivi. Guardati intorno, sono sanguisughe. Non voglio essere costretta a battermi con loro≫.

Joseph annuì, consapevole che non avrebbe ottenuto altro e si guardò intorno, come gli aveva chiesto Hannah.

Quando furono al n. 157 di Ladbroke Grove, Hannah si chiese per la prima volta se Darren non avesse sbagliato a scrivere le indicazioni sul foglio. Le villette a schiera terminavano a quel punto, per lasciare spazio ad una stradina a rotazione attorniata dal verde. Era molto simile a un piccolo parco pubblico. Due sempreverdi le coprivano la visuale. Decise di proseguire. Camminò lungo il vialetto, chinando il capo per non farsi colpire da qualche ramo o sporcare dalla rugiada delle foglie e si ritrovò a strabuzzare gli occhi. Comprese che ciò che le era parso un piccolo parco era in realtà il giardino di una grande e lussuosa villa. L’abitazione era diversa dalle altre non solo per la maestosità, ma anche per il materiale di costruzione: mattoni rossi. Un’inferriata, anch’essa in cotti, circondava la casa, alla quale si accedeva oltrepassando un largo cancello. L’edificio a tre piani era sormontato da un tetto di tegole scure. Il portone in mogano si trovava in una protuberanza della facciata principale. Le numerose imposte e gli angoli della casa erano abbelliti da strisce di legno che li delimitavano. Era un edificio moderno ma dal fascino antico. Ciò che catturò maggiormente la sua attenzione fu il numero inciso sulla cancellata: 158. Hai visto, pensò, sono qui. Lo sconcerto per la spontaneità del suo pensiero, rivolto a Darren, la distrasse tanto profondamente da non capire ciò che stava succedendo alle sue spalle fin quando non si sentì stringere, serrare, da un paio di braccia che la scaraventarono a terra con potenza inaudita, lasciandola confusa e boccheggiante, non tanto per il colpo alla schiena e alla nuca, ma a causa della luce che accendeva i profondi occhi verdi che la fissavano con rabbia.

Nonostante i suoi numerosi anni di esperienza, Joseph non aveva percepito il silenzioso avanzare del nemico. Nel momento in cui si voltava, richiamato da un insignificante quanto fuori luogo sibilo dell’aria, qualcosa lo aveva colpito alla base della schiena. Un braccio gli stringeva il collo e una mano gli tappava la bocca.

≪Shh≫, il suo aggressore gli sussurrò all’orecchio, prima di colpirlo ancora una volta alla schiena. Le ginocchia cedettero e cadde riverso a terra.

Si diceva, invece, della pietra di smeraldo che tenesse lontani i demoni, ma in quel momento, soprafatta da un corpo nemico e ancor di più dalla forza della sua rabbia, Hannah temette di star avendo personalmente a che fare con il demonio. La profondità di quello sguardo verde e lucido come lo smeraldo la teneva incollata all’asfalto. E in quegli occhi, forse per la leggenda secondo cui fissare a lungo lo smeraldo rafforzava la vista, forse per la capacità innata dello zaffiro azzurro di vedere al di là delle superfici, Hannah avvistò molti più demoni di quanti il giovane potesse allontanarne.

Il contatto visivo era durato pochi secondi, troppo brevi perché Hannah o il giovane potessero dire di aver compreso ogni cosa l’uno dell’altro – in fondo, erano entrambi creature complicate e delle volte incomprensibili – ma abbastanza perché intuissero il peggio di ciò che si celava dietro lo smeraldo e lo zaffiro. Era il peggio di una persona, la prima cosa che notavano negli altri sia uno che l’altra. Il giovane Michael aveva intuito immediatamente, a causa della sua passata – e indesiderata - esperienza con i mercenari, la natura dell’uomo e della ragazza. Eppure, aveva avuto bisogno di scontrare il proprio sguardo con quello della giovane per comprendere davvero ciò che celava e rimanerne sorpreso. Le atrocità del gesti compiuti in vita le si leggevano sul volto, probabilmente a causa della pelle troppo chiara e sottile, ma il calore del suo sguardo non era qualcosa che avesse contemplato. Il blu lo aveva avvolto. Se qualcuno avesse chiesto a Michael cosa amasse più di qualsiasi altra cosa, lui avrebbe risposto: l’oceano. Gli occhi della ragazza lo avevano accolto, grandi e limpidi, e le onde lo avevano cullato, riscaldandone la pelle ghiacciata. Per tutta questa serie di motivi nessuno dei due aveva badato a Joseph, fin quando le sue mani non artigliarono le spalle di Michael e lo allontanarono dal corpo di Hannah. Il ragazzo, brutalmente strappato dalla propria serafica pace, atterrò miracolosamente sulle gambe. Hannah si rialzò da terra, anch’ella più lenta del solito. Michael aveva perso il suo vantaggio iniziale e si ritrovava ora solo contro due avversari. Il volto dell’uomo e il suo sguardo freddo lo fecero rabbrividire. Sapeva di non essere nel pieno delle proprie capacità mentali, un po’ a causa della ragazza, un po’ per la rabbia che gli accecava la ragione di fronte alla vista di quelli che considerava i suoi nemici giurati. Si diede dello sciocco per essersi lasciato distrarre, pian piano il suo odio personale sovrastava qualsiasi altra emozione.

Hannah arretrò istintivamente, mentre qualcosa simile allo squarcio nel petto si allargava e inghiottiva un altro pezzo del suo cuore. Gli occhi che l’avevano immobilizzata, un affascinante misto tra il verde smeraldo e il verde giada, da irati erano mutati in una calma leggiadra come i fili d’erba sulle colline e nei boschi della sua bella Scozia, sospinte dalla brezza leggera e, ancora, in un fuoco verde d’odio che la sconvolgeva. Se qualcuno avesse chiesto ad Hannah cosa amasse più di qualsiasi altra cosa, lei avrebbe risposto: la foresta. Nei  boschi la luce filtrava dalla foglie e giungeva in maniera diversa a chiunque si trovasse all’interno. Il profumo dell’ossigeno puro, delle foglie, dell’erba e delle cortecce penetrava nelle narici. Verde, verde e ancora verde. Un popolo di creature, nascoste agli sguardi, si agitava nella foresta. Lì, Hannah si sentiva a casa. Non poteva credere, ora, che il verde fosse suo nemico. Che non la proteggesse, la nascondesse e la circondasse. Non poteva credere che il verde l’odiasse. Non l’aveva mai riconosciuto prima dall’ora, ma ora si rendeva conta della miriade di volte in cui aveva intravisto lo stesso odio negli occhi delle sue vittime. Eppure non aveva mai aperto alcuna crepa nel suo petto già lacerato, prima d’allora.

Lo scatto del ragazzo verso la sua figura fu fulmineo, Hannah non si mosse dal proprio posto. Joseph assorbì l’impatto al suo posto e riuscì a respingere il ragazzo. I due presero a muoversi velocemente intorno a lei.

Fu durante il combattimento che Hannah riuscì a comprendere ciò che aveva tralasciato fino a quel momento: il giovane era un vampiro. Collegò immediatamente ciò che l’aveva condotta lì, Darren e la sua missione.

≪Fermo, Joseph≫, urlò.

Nessuno dei due le diede ascolto. Allora decise di riprendere in mano la situazione. Aveva già permesso che il ragazzo la distraesse abbastanza. Si portò davanti a Joseph, posandogli una mano sul petto e arrestando il piccolo combattimento.

Entrambi gli uomini rimasero basiti dalla velocità con la quale la piccola figura si era precipitata in mezzo ad entrambi.

≪Ora basta≫, ribadì, trucidando con uno sguardo il proprio compagno.

≪Lui è...≫, prima che potesse proseguire, Joseph la tolse di mezzo e schivò l’affondo del giovane che aveva approfittato della situazione per attaccare.

≪Maledizione≫, esclamò la ragazza, ma nessuno la udì.

Se il ragazzo non aveva intenzione di darle ascolto, avrebbe fatto in modo di catturare la sua attenzione. Badando che il giovane la notasse si voltò in direzione dell’abitazione e iniziò a correre. Non troppo in fretta, ma abbastanza perché il vampiro non potesse acciuffarla.

Michael scartò di lato, evitando di essere colpito alla base della nuca. Era stato per tutto il tempo del combattimento abbastanza accorto, spaventato all’idea che qualcuno potessi notarli. All’improvviso la ragazza si era voltata ed aveva iniziato a correre a velocità sostenuta verso la villa alla fine della strada, verso la sua casa. Un moto di preoccupazione per la sua famiglia lo assalì. Lasciò l’uomo a terra e si apprestò all’inseguimento di occhi-blu.

Hannah ghignò soddisfatta, quando udì il fruscio causato dai passi veloci del vampiro alle sue calcagna. Scavalcò l’inferriata con due abili mosse e cadde dolcemente sull’erba sottile del giardino. Non si soffermò ad ammirare la bellezza di quel luogo, ma se lo avesse fatto avrebbe notato i cespugli di rose rampicanti e la simmetria dei fili d’erba. Hannah era consapevole che avventurarsi in quella proprietà, in territorio nemico, dove sarebbe stata in svantaggio in tutti i sensi possibili, era un rischio, ma non aveva altro modo per procedere. La copertura era evidentemente saltata, perché il ragazzo doveva averla riconosciuta come mercenaria e come minaccia, ma lei non aveva intenzioni bellicose e avrebbe fatto in modo che lo capisse. Era pronta a tutto pur di raggiungere il suo obbiettivo. Se ci fosse stato un modo più ragionevole di agire lo avrebbe adottato, non si aspettava di essere colta di sorpresa dal vampiro... In un certo senso, nonostante il pericolo che correva, ben conscia che il ragazzo non l’avrebbe mai raggiunta, la divertiva che questo si affannasse a seguirla. Decise che avrebbe giocato un po’ con lui. Se non errava, i bambini umani lo chiamavano: nascondino. Scattò a destra.

Michael si chiedeva come quella ragazzina potesse muovere le gambe così velocemente, stentava a starle dietro. Avrebbe voluto poter mutare la propria forma in un pipistrello, come nelle leggende, pur di avere un paio d’ali con cui raggiungerla. Naturalmente, la maggior parte delle leggende era falsa. I vampiri non avevano problemi con gli specchi né con il sole. Erano dotati di una forza e di una velocità sovrumana, ma se avessero piantato loro un paletto nel cuore, sempre se fossero stati tanto rapidi da riuscirci, ne avrebbero sofferto per un bel po’. Avevano una rapida capacità di rigenerazioni e la loro vita era eterna, sospesa per sempre nell’età della maturità. Da ciò si distinguevano i vampiri nati come tali e gli umani resi immortali artificialmente. D’un tratto la ragazza svoltò a destra e Michael fu costretto ad arrestarsi bruscamente, prima di poterla raggiungere in quella direzione. Imprecò tra i denti: i canini dolevano per la frustrazione. Michael si massaggiò la mascella e aumentò il passo. La ragazza svoltò a sinistra, scomparendo dietro uno degli alberi del loro giardino delle dimensioni di un piccolo parco. Il sentiero che conduceva a casa era libero. Per la sorpresa dovette nuovamente arrestarsi all’improvviso, inciampando in avanti e affondando il volto nell’erba. Sibilò e si risollevò con le braccia. Da qualche pare una risata cristallina e breve sferzò l’aria. Trovata.

Hannah portò una mano sulla bocca, trattenendo il sorriso. Aveva assistito alla scena appollaiata sull’albero. Il ragazzo era caduto goffamente a faccia in giù nell’erba, dopo una brusca frenata della sua corsa. Ciò che sorprese maggiormente la giovane, non fu aver assistito alla figura esilarante del vampiro, ma la sua conseguente e spontanea risata. Aveva riso, per la prima volta nella sua vita e il sorriso non sembrava intenzionato ad abbandonare le sue labbra. Avrebbe voluto prolungare il suono della propria risata per non dimenticarlo, ma aveva capito di aver fatto un passo falso. Il vampiro l’aveva trovata.

Un corpo maschile penzolava simpaticamente, aggrappato all’alto ramo dello stesso albero sul quale Hannah era appollaiata. Si incontrarono nuovamente l’oceano e la foresta, la menta e i mirtilli, lo smeraldo e lo zaffiro, quando i due giovani incrociarono gli sguardi. Che strana situazione, pensarono entrambi. Il vampiro e la mercenaria continuavano a fissarsi negli occhi, dalle loro assurde posizioni, uno penzoloni da un albero e l’altra appollaiata su un ramo vicino. Il giovane succhiasangue alzò un sopracciglio. Le labbra rosse a cuore della giovane tremolavano, mentre lo fissava ripetutamente dalla testa ai piedi, poi scoppiò in un fragorosa risata. Senza dubbio il suono più cristallino che il ragazzo avesse mai udito, benché ne percepisse il tono rauco, quasi non utilizzasse la voce da troppo tempo. La ragazza saltò agilmente dal ramo, senza smettere di ridere. Michael storse le labbra, punto in viso dalla sua ilarità. Si beffava sfacciatamente di lui. I canini premettero sul labbro inferiore. Aprì le mani e anche lui si lasciò cadere. La mercenaria continuò a non badargli, quasi non avesse davanti a se un nemico. Michael si chiese se il motivo fosse la sua sicurezza nelle proprie capacità o semplice imprudenza.

≪Mi stai prendendo in giro?≫, chiese, sempre più infastidito da quella strana ragazza.

Hannah asciugò gli occhi con le dita, altri accenni di lacrime le avevano bagnato le guance, ma le sensazioni che stava provando erano diverse dall’ultima volta. Alzò il capo e guardò il ragazzo. Hannah socchiuse le labbra per lo stupore. Era sorpresa di non aver notato prima quel particolare fondamentale, troppo presa dal verde dei suoi occhi, aveva messo in secondo piano il viso del giovane. Hannah non era un’appassionata d’arte, ma sapeva attribuire il giusto merito alle cose belle. E prima dall’ora non aveva mai sentito di poter definire bello qualsiasi cosa non fosse un libro, un dipinto, un’opera architettonica, un paesaggio naturale. Quel volto era meritevolmente catalogabile come “molto bello”. Il motivo per cui non aveva mai assegnato tale attributo a una faccia era facilmente spiegabile: un volto non è mai perfetto e in totale armonia. Un particolare, che sia il naso troppo piccolo o troppo grande, le labbra troppo piene o assenti, il taglio degli occhi, poteva stridere con tutto il resto. Era così per ogni viso, mentre nei dipinti e nelle statue ogni dettaglio era perfetto e armonioso con il resto. Il giovane era il primo uomo a poter rientrare nella categoria delle belle arti. Il suo volto era perfetto, ogni particolare sembrava essere stato scolpito in armonia con il resto, dalle mani esperte di un maestro. Le guance larghe, il mento volitivo, i grandi occhi, le labbra perfette e rosee, le ciglia e le sopracciglia, la fronte e il naso erano tutti tratti disegnati. Quel volto era incorniciato da fili dorati che accarezzavano dolcemente il collo e i lati della fronte. Il mento era accarezzato da un velo sottile di barba di un colore leggermente più scuro dei capelli. E lì, sulle sue guance, Hannah notò il residuo scuro di un po’ di terra, dovuto all’atterraggio frontale di prima e tornò a sorridere.

Quel sorriso impertinente fu la risposta alla domanda di Michael. La ragazza alzò un dito e indicò il suo volto, verso la sua guancia. Lui passò una manica della sua maglietta sulla propria gota e la ritrovò sporca di terra. Allora comprese il motivo della sua ilarità. Storse ancora le labbra, ma questa volta per trattenere un sorriso. Doveva ammettere che, a parti inverse, avrebbe riso anche lui. Allora decise, nel gesto più insensato che avesse compiuto fin ora, di riprendersi la rivincita che gli spettava. La ragazza, troppo impegnata a ridere, non lo vide correrle incontro e, sorprendendola alle spalle, spingerla a terra. Occhi-blu cadde rovinosamente faccia avanti. Michael scoppiò in una risata doppiamente fragorosa e soddisfatta.

Dopo un primo attimo di smarrimento Hannah comprese cosa fosse successo e anche la posizione del vampiro, quando era lei a ridere della sua disavventura. Si alzò, con indosso la stessa espressione del giovane, corrugando le belle labbra e stringendo i pugni.

Fu così, la prima frustrata e irritata e il secondo ancora a ridere, che Joseph e altri quattro vampiri li ritrovarono. Il mercenario si arrestò alle spalle dei due, cercando di trovare un significato a quella scena inconcepibile. I quattro vampiri, proprietari della casa, erano stati richiamati dalle risate e dalla consapevolezza che una presenza estranea si trovava nel loro giardino.

≪Cosa sta succedendo?≫, chiese una voce maschile.

Il primo a farsi avanti era stato un uomo, immutato da chissà quanto tempo nei suoi trent’anni.

Sentendo la voce di suo zio, Michael si riprese e alzò il capo per incrociare i suoi occhi. Nicolas Leroy era un vampiro originario della Francia, la sua età dimostrava che non fosse nato come essere immortale, ma che fosse stato trasformato e reso tale. Michael non aveva mia conosciuto un uomo più zelante di lui. Ora lo fissava, un sopracciglio rivolto verso l’alto e una muta richiesta di spiegazioni negli occhi scuri.  

≪E’ una lunga storia≫, bofonchiò il ragazzo.

≪Chi sei?≫, chiese poi l’uomo, rivolto ad Hannah.

Questa non ebbe il tempo di rispondere, perché Michael l’anticipò.

≪L’ho sorpresa a spiare la nostra casa, insieme a lui≫, disse, indicando Joseph con un cenno del capo, senza rivolgergli uno sguardo, con le braccia incrociate sul petto e memore del suo rancore e della sua iniziale preoccupazione.

≪Io. Non. Spiavo≫, lo corresse Hannah, sottolineando le parole con un tono di voce più duro.

≪A no?≫, chiese Michael. Hannah si limitò a rivolgere la propria attenzione al vampiro adulto, irritando il ragazzo.

≪Non perdiamo la calma, Michael. Spiegati ragazza≫, lo rabbonì Nicolas.

Un’altra volta Hannah fu interrotta, mentre Joseph le si avvicinava.

≪Sono mercenari, Nicolas≫, sibilò Michael. Quelle parole attirarono l’attenzione di tutti e quattro i vampiri.

Al suono della parola “mercenari” una donna, dai lunghi capelli biondi e gli occhi verdi-azzurri, strinse con forza un braccio di Nicolas, fissando Joseph ed Hannah con rancore mal celato. Un ragazzo dai capelli neri come l’ebano, si portò davanti ad una giovane dall’aria spaesata, che poteva passare tranquillamente per la sorella di Michael, visti i suoi corti capelli biondi color oro e gi occhi verdi.

Il timore era una cosa comprensibilissima di fronte ad un mercenario, quasi un allarme naturale dell’istinto, ma in quella famiglia sembravano odiare i membri di quella razza e conoscerli molto bene.

Nicolas carezzò il braccio della donna che lo aveva arpionato, quasi volesse trattenerlo o trattenersi... e si rivolse a noi, sempre pacatamente, ma con molta più accortezza nello sguardo.

≪Cosa vi porta qui?≫, chiese.

≪Non abbiamo cattive intenzioni, ho soltanto bisogno di alcune informazioni...≫, rispose Hannah, sul vago.

≪Mi consentirai di non fidarmi ciecamente di te, ragazza≫, disse Nicolas.

≪E’ lecito≫, rispose lei, ≪ma il motivo della mia visita potrebbe interessarvi direttamente≫.

≪In che modo?≫, chiese Michael.

≪Non c’importa il motivo per cui siete qui. Andate fuori dalla nostra proprietà e badate a non rimetterci più piede≫, ringhiò la donna bionda, mostrando i canini.

Né Hannah né Joseph si scomposero.

≪Bonnie≫, l’ammonì Nicolas.

Hannah fissò a lungo negli occhi quella donna, il dolore che vi lesse dentro, nonostante fossero offuscati dalle lacrime cui non permise di debordare, le ricordò il suo tormento per Darren. La ragazza, senza accorgersene, diventava minuto dopo minuto un’osservatrice sempre più sagace e sensibile alle emozioni altrui.

Hannah chinò il capo. Avrebbe voluto fare qualcosa per lei, fin troppo consapevole di ciò che si provasse, ma non poteva, perché neanche lei conosceva la cura o una colla abbastanza resistente perché riattaccasse i bordi dello squarcio che era certa bruciasse anche nel petto della vampira.

≪Riguarda Selene≫, sussurrò.

Due parole ebbero la capacità, allo stesso tempo, di calmare gli animi e di scaldarli. Rispettivamente quietarono i vampiri, che presero a fissarla con intensità, e agitarono Joseph, sempre ignaro, sempre confuso, sempre sospettoso. La mente di Joseph era in un tale stato di confusione e sgomento che considerò impossibile poter raggiungere livelli maggiori di stupore e incertezza. Aveva udito il suono nuovo e, così fuori luogo, delle risa della sua protetta fin dalla strada, sebbene si aspettasse urla di dolore o il tacito silenzio della morte. Il suo volto e i suoi occhi non erano mai stati tanto vivi prima dall’ora, qualsiasi cosa le avesse oscurato lo sguardo la sera del giorno precedente era momentaneamente scomparso dalla sua mente. Joseph capì immediatamente cosa lo turbasse: non era normale per un mercenario un simile comportamento. La ragazza perdeva di vista il concetto di assenza di emozioni. Davanti alla casa si era lasciata cogliere di sorpresa, rischiando la propria vita, quella del compagno e la missione. E poi l’aveva ritrovata a ridere e sghignazzare pateticamente con lo stesso vampiro che l’aveva aggredita pochi istanti prima. Joseph iniziò a temere che Alexander avesse avuto ragione fin dall’inizio su di lei...

Una lastra di ghiaccio sostituì il corpo di Nicolas per qualche istante al suono del nome della principessa udito dalle labbra della ragazza. Un panico irrazionale gli avvolse i pensieri.

≪Cosa sai della principessa? Parla. Selene...≫, la voce si affievolì fino a tacere. Il volto della principessa colmò la sua mente. Doveva ogni cosa a lei...

≪E’ questo il problema. Non so molto più di voi≫, disse Hannah, a voce più alta.

Nicolas scambiò qualche sguardo con la propria famiglia, che annuì, indagando fin nell’anima i turbamenti dei membri più fragili: sua moglie e suo nipote. Michael e Bonnie annuirono.

≪Perché non entriamo in casa, nel frattempo? Ma badate a ciò che fate. Siamo in maggioranza e se dovesse rivelarsi un subdolo tranello...≫, li avvisò Nicolas, mettendo immediatamente in chiaro la situazione.

≪Ci ucciderete, lo sappiamo≫, concluse Hannah. Il suo primo istinto fu quello di rivolgergli un sorriso sardonico. Non era nella sua natura accettare uno svantaggio o una situazione tanto rischiosa e imprevedibile. Avrebbe desiderato potergli dimostrare con quanta facilità avrebbe potuto uccidere tutti loro e uscirne illesa... Hannah scosse la testa e soppresse il proprio istinto e la propria propensione naturale a quel genere di atti.

Seguirono il vialetto che conduceva alla grande casa, oltrepassando l’immenso giardino, in religioso silenzio. Hannah fu affiancata da Joseph ed entrambi finsero di non notare la disposizione dei vampiri che li avevano circondati con movimenti casuali. Michael si trovava alle loro spalle, la ragazza bionda alla loro sinistra, il ragazzo moro alla loro desta e Nicolas e Bonnie in testa a quello strano corteo. Come se, con la sua velocità, Hannah, irritata dalla situazione, non avesse potuto fuggire o far altro.

Ne era consapevole il giovane vampiro che chiudeva la fila.  Aveva visto con i propri occhi la straordinaria velocità della mercenaria e l’abilità in combattimento dell’uomo. Chiunque sarebbe rimasto paralizzato dopo il suo colpo, mentre lui si era limitato a cadere in ginocchio, prima di rialzarsi e affrontarlo senza neanche una goccia di sudore in volto. Michael era preoccupato dalla situazione. Stavano accogliendo nella propria casa due potenziali nemici con capacità che li rendevano nettamente superiori al loro livello. Forse soltanto la maggioranza numerica li avrebbe salvati, in caso di scontro. Deglutì, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. La sua mente lo avvertiva del pericolo che costituiva la giovane, ma Michael non riusciva a temerla. Piuttosto, lo turbava il secondo, che iniziò a tenere sottocchio con maggiore accuratezza.

Varcata la soglia d’ingresso, Hannah si guardò intorno con celato stupore. Non credeva di aver mai visto una cosa tanto bella, ma il suo sgomento non si fermava alla sfarzosità dell’ambiente, ma al calore che emanava ogni singola superficie. Quella era davvero una casa, non un rifugio o un insieme raffinato di mobili racchiusi in quattro mura di mattoni. Hannah fu immediatamente certa che, sfiorando con un dito ogni singola parete e superficie ne avrebbe scorte le tracce della storia che si celava dietro di essa.

Le sensazioni di Joseph furono ben diverse. Si sentì immediatamente in trappola, nel momento in cui la porta fu richiusa alle loro spalle. Temeva che Hannah li avesse cacciati in guai grossi e non badò alla casa, se non per scorgere qualche eventuale via di fuga.

L’atrio era un grande spazio colmato da numerosi scaffali pieni di libri, quadri e un grande scala a chiocciola. Lo sguardo di Hannah si soffermò sulla libreria, soltanto uno di loro notò il luccichio fanatico nei suoi occhi alla vista di tutti quei volumi: Michael.

≪Sediamoci in salotto, sarà più comodo e piacevole discutere≫, esortò gli ospiti Nicolas.

Solo in quel momento Hannah scostò lo sguardo dalla libreria e lo condusse dove l’uomo indicava. Oltrepassando un grande arco furono catapultati in una realtà di salotto molto più moderna ma egualmente semplice. I due mercenari si accomodarono sul bel divano chiaro a due posti e gli altri chi sulle poltrone chi sul sofà più grande.

≪Credo sia il caso di fare le presentazioni, innanzitutto≫, esordì Nicolas.

≪Il mio nome è Joseph, sono il collaboratore della famiglia Reed e in particolare della signorina Hannah Arriviamo dalla Scozia con un aereo da Inverness≫, disse Joseph.

≪Mi chiamo Nicolas Leroy e questa è mia moglie Bonnie, lei è mia figlia Anne e suo marito, David, e lui è mio nipote Michael. Che cosa vi ha portato dalla Scozia a Notting Hill?≫.

Sia Joseph che i vampiri si voltarono in direzione di Hannah.

≪Una fonte affidabile mi ha consegnato il vostro recapito come punto di riferimento per contattare la principessa, come ben sapete, non è facile rintracciarla≫, disse la ragazza.

≪Per quale motivo dei mercenari hanno un così urgente bisogno di comunicare personalmente con la principessa?≫, chiese Nicolas.

Quella era la domanda cui Hannah non era certa di volere né sapere rispondere. Aveva già stabilito in treno che l’unica possibilità era dire la verità. Perciò rispose: ≪Devo avvertire la principessa del grave pericolo che corre≫.

Un silenzio assordante calò nella stanza. Il primo a reagire fu Joseph.

≪Cosa?≫, esclamò, sollevandosi dal posto e fissando Hannah con gli occhi fuori dalle orbite.

Hannha gli restituì uno sguardo tranquillo.

≪Che problema c’è≫, chiese, come se non lo sapesse.

Era insolito, per non dire impossibile, che un mercenario si lanciasse in una missione di protezione o salvataggio.

≪Sei consapevole di ciò che stai facendo, Hannah≫, ringhiò l’uomo.

Hannah si alzò per fronteggiarlo. ≪Non hai voce in capitolo≫, gli disse la ragazza.

Il gesto fu molto veloce, non abbastanza perché Hannah non potesse schivarlo, ma decise di accettare ugualmente lo schiaffo. Lo stava aspettando.

La mano di Joseph si schiantò contro il suo volto e ghignò malignamente, quando Hannah chinò il capo. Ciò che nessuno dei due si aspettava fu la reazione di chi li circondava. Le donne ebbero un sussulto, udendo quel colpo che avrebbe frantumato una parete, Nicolas serrò la mascella, David distolse lo sguardo e Michael... il vampiro ringhiò e si frappose fra i due, mostrando i canini a uno stupito Joseph.

≪Non immischiarti in affari di famiglia≫, disse lui, con un tono di voce glaciale, che fece rabbrividire il vampiro, nonostante ciò, questo ringhiò ancora. 

≪Michael≫, lo richiamò Nicolas, scuotendo il capo.

Il ragazzo lo guardò di rimando, il verde smeraldo divenne verde giada. Soltanto guardare i volti della sua famiglia consentì a Michael di riacquistare un po’ di lucidità. Scosse il capo e ritrasse i canini, lanciò un ultimo sguardo a Joseph e si voltò verso la ragazza, ancora a capo chino. Non aveva neanche voltato il capo. Aveva assorbito totalmente l’impatto. Michael le alzò il mento con le dita, costatando l’entità del danno. Sulla guancia era evidente il calco delle dita della mano che l’aveva colpita. La ragazza non incrociò il suo sguardo, tenendo basso il proprio.

≪Stai bene?≫, le chiese.

Solo in quel momento, Hannah alzò lo sguardo e ritornò con la mente al sicuro nella foresta.

Vedendo la pelle così chiara del suo volto, orribilmente deturpata, Michael sentì risalire la bile e premere i denti contro le gengive.

≪Certo che sta bene, siamo mercenari. Non basta certo uno schiaffo a ucciderci e poi non e la prima volta né sarà l’ultima≫, Joseph sussurrò le ultime parole come una minaccia e un avvertimento.

Michael si sentì nuovamente punto in viso e decise di rispondere per le rime.

≪Mercenari?≫, chiese ironicamente. Sparì per il tempo di un battito di ciglia e riapparve con del ghiaccio, che depositò nella mano di Hannah e che condusse alla sua guancia. Lei lo fissò con uno strano sguardo, che il ragazzo non seppe spiegare. Dopodiché, Michael si voltò e guardò di sottecchi Joseph, continuando con la frase di prima.

≪Io qui vedo un mercenario e un valletto. E’ Hannah a prendere le decisioni, rammentate, Joseph? E mi sembra che lei abbia le idee piuttosto chiare in merito a ciò che vuole fare≫, disse Michael con un mezzo sorriso. Gli occhi di Joseph lampeggiarono e fu tentato di strappargli il cuore dal petto, ma, memore della veridicità delle sue parole, decise di risparmiarlo.

Michael non era consapevole di aver colpito un punto debole e di aver affondato la lama, ma lo sperava.

≪Abbassiamo i toni e riprendiamo civilmente la conversazione, naturalmente se Hannah è d’accordo≫, disse Nicolas e infierì, volontariamente, un altro colpo a Joseph che riprese il proprio posto sul divano.

Hannah annuì, allontanò la mano con il ghiaccio dal volto e si girò in direzione della famiglia di vampiri. Michael non si mosse di un solo passo e neanche lei lo fece.

≪Hai parlato di un pericolo. Di che si tratta? Ne sei certa? Come ne sei a conoscenza?≫, la spronò Nicolas.

≪Mi dispiace, ma non posso rispondere alla maggior parte delle tue domande≫, rispose Hannah.

Nicolas le lanciò uno sguardo interrogativo.

≪So di un pericolo imminente, la mia fonte mi ha chiesto di mettere in guardia la principessa, ma non ha avuto il tempo di spiegarmi di cosa si trattasse. Però sì, ne sono certa. E no, al momento non posso riferirvi come sono venuta a conoscenza della cosa. Ho bisogno soltanto di sapere dove trovare Selene, al resto penserò io. Devo sapere chi si nasconde dietro questa minaccia: è una questione personale. Perciò devo parlarle personalmente≫, concluse la giovane mercenaria.

I vampiri si lanciarono sguardi incerti.

≪Capirai che non possiamo darti l’indirizzo della principessa. Ti parlerò chiaramente ragazza. Potresti essere un pericolo per lei, Hannah, ma potresti anche dire la verità e a quel punto non me lo perdonerei mai. Ho bisogno di tempo, prima di potermi fidare ciecamente di te. E nel caso in cui decidessimo di dirti dove si trova, ti seguiremo da lei. Se accetti di darci tempo e le nostre condizioni, hai una possibilità≫, disse Nicolas.

Hannah fu immediatamente cosciente dell’intelligenza della sua strategia. Avrebbero prima dovuto fidarsi di lei e in ogni caso non l’avrebbero mandata da sola. Avrebbe accettato di farsi analizzare e giudicare?  Doveva, se voleva portare a termine la missione di Darren. Per la prima volta, avrebbe fatto in modo di conquistare la fiducia di qualcuno.

≪Accetto le vostre condizioni≫, disse, ≪spero solo che facciate in fretta, non so quanto tempo rimanga alla principessa. Non vorrei che tutto fosse stato vano≫. Solo Hannah capì quanto fossero fondate quelle ultime parole. Sempre più certa della sua teoria, non voleva che la morte di Darren fosse stata vana.

≪Nel frattempo sarete ospiti in casa nostra, speriamo di arrivare presto alla giusta conclusione≫, augurò Nicolas.

Sui volti di ciascuno dei presenti si dipinsero espressioni diverse. Alcuni erano curiosi, altri irritati, altri preoccupati, altri soddisfatti, all’idea della prossima convivenza. Lo smeraldo e lo zaffiro incrociarono nuovamente le proprie strade, nessuno dei due sapeva cosa il futuro riservasse loro. Lo smeraldo non brillava più come un tempo e cercava, senza saperlo, la luce che lo avrebbe fatto risplendere nuovamente. Lo zaffiro non aveva mai brillato, non perché non possedesse la lucentezza necessaria, semplicemente perché non era mai stato in grado di farlo. Anche lo zaffiro attendeva. Aspettava un gioiello che bramasse la sua luce e riuscisse a trovarla, dovunque essa si fosse nascosta, per fuggire dalle tenebre che la minacciavano.     

  
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