Crossover
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Autore: KaienPhantomhive    27/06/2012    4 recensioni
[Cross-Over: DieBuster; LineBarrels of Iron; Infinite Stratos; Transformers; Inazuma Eleven; Star Driver; Eureka 7; Puella Madoka Magika; FFXIII]
[Spin-Off 'Aim for the Top! - GunBuster; Aim fo the Top! 2 - DieBuster; quest serie confluirà in Evangelion AFTERMATH, che si consiglia di leggere al fine di comprendere alcuni degli eventi di questa fiction]
Anno 14.000 D.C.: il piccolissimo Sam Witwicky promette alle stelle di seguire le orme del padre e divenire un pilota spaziale, affascinato dal mito della leggendaria Noriko Takaya.
Dieci anni dopo: quando la famiglia Witwicky si trasferisce a Neo-Okinawa, il ragazzo verrà ammesso alla prestigiosa Accademia Avio-Spaziale della città.
Quello che non sa è che la ST&RS conta un'improbabile squadra sportiva; una sfilza di studenti dotati di strane capacità ed una classe composta...da sole ragazze.
Ma se questo idiliaco Harem si rivelasse una paradossale Accademia per 'Topless'?
Una favola futuristica di amore, Astrofisica, mecha giganti e pasta all'italiana...
Genere: Commedia, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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 I hang my head to the night wind,
after my dream I know would never happen.
The moonlight trickles my tears down from my hands…
My lips uttered in the darkness:
“What is that you want?”

The smile that pierced my Heart when we met:
I want to protect it so much!
I’m holding onto our fleeting promise,
even if I writhe in Agony.

Just being able to be close to you!
Just being able to spend the same time with you!
Would bring up distant memories, even if you can cure my sadness from it.
As my thoughts keep on revolving,
wondering if we will ever come to a peaceful End!
This frequently-asked question dances up the Heavens
and in the dawn sky it changes into light… 
 
 

Capitolo 4:
≈Non voglio più essere Topless!≈

 

 
 
 
Un cielo nero come l’inchiostro, puntellato di Stelle.
Una distesa erbosa nera, sotto di esso.
Una lenta pioggia di piume bianche.
Tra di esse, la sagoma di un gigante blu scuro spiega un paio di immense ali meccaniche.
Ai suoi piedi, un uomo dal viso sottile ed oscurato sorride finemente ed i boccioli di rose nere che reca tra le braccia esplodono in un turbine di petali scuri.
Viaggiano nel vento che li agita e scuote, sorvolando una serie di longilinee lapidi nere stilizzate.
Oltre la distesa di semplice e lucido acciaio funebre, la piccola figura di un giovane senza volto si volta di tre quarti.
Delle normi mani robotiche dalle lunghe dita affilate lo coprono rapidamente, gettandolo nell’Oscurità, mentre due sottili occhi verdi scintillano lugubri e minacciosi nel Vuoto.
 
Poi tutta la scena si contorce e restringe, dando forma ad una torre di un rosso rubino, la cui sommità è divisa in una spirale.
Una luce abbagliante si propaga dalle due punte, investendo tutto…
 
 
*   *   *
 
 
Luogo sconosciuto. Ora ignota.
 
“Ah!” – ansimando febbrilmente in preda all’ansia, la giovane Vanille si svegliò di soprassalto; la fronte imperlata di sudore.
Rimase seduta su quello che appariva come un complicato trono metallico circondato di monitor ed ologrammi, da cui dipartivano come tentacoli decine di grossi tubi.
Portò una mano alla gola, tentando di riprendere fiato:
“Io…l’ho visto…ho visto qualcosa…!”
 
“Qualcosa ti turba…Oerba?” – la voce fredda e lenta di una donna giunge da un angolo in ombra.
Al suo fianco, una Topless gemella si stringe nelle spalle:
“La tua First Phase della Visione ha forse riconosciuto l’identità del ‘Topless Eterno’?”
 
“No…” – mormora la ragazza esotica – “…è stato…diverso. Una Visione orribile! C’era così tanto buio, Morte e…quegli occhi! Io…credo di aver capito cosa succederà a lui. E poi ho visto anche quell’uomo…e il Marchio Rosso.”
 
“Il Destino a cui andrà incontro quel ragazzo sarà una rivelazione scioccante, per la sua giovane mente.” – riprese la prima delle Gemelle Serpentyne – “Dopotutto l’accettazione sarà fondamentale per la scelta che compirà alla fine.”
“E quanto all’altro eravamo certe fin dall’inizio che avrebbe scoperto le carte in tavola…il suo tradimento, seppur previsto, non rimarrà impunito.”
 
“Io…ho paura. Non voglio che accada ciò che ho visto…” – Vanille si strinse nelle braccia scoperte, gemendo.
 
“Sai che questo è impossibile.” – la remunera una delle due sorelle.
“Lo aveva previsto anche Ayingott…”
E si volta alla sua destra:
 
Un baratro sconfinato si apre nella sala misteriosa, avvolta da scintillii di Galassie soprannaturali e fumi cosmici alieni.
Un enorme gigante dalla lugubre presenza ruotò i suoi tre inquietanti occhi rossi verso il gruppo sulla predella metallica.
 
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“Sta’ tranquilla, piccola sirena…” – la rincuorò la Serpentyne, rivolgendosi alla giovane dai capelli di un rosso cangiante… - “…tutto andrà grandiosamente bene.”
 
Un debole brontolio sgorgò dalla gola artificiale della spettrale Machine, risuonando per le oscure stanze del Settore…
 
 
*   *   *
 
 
31 Gennaio 14.010 D.C.
Ore 03:00. A.M. Sistema Solare H-43.
Spazio aereo di sorveglianza di Aegis-7.
 
Il grande shuttle intra-galattico di osservazione sorvolò un’immensa voragine circolare, scavata nella superficie del Pianeta; sulla carena del velivolo la dicitura ‘GOULD CORP.’.:
 
L’uomo seduto accanto all’oblò osservò con attenzione le decine di laboratori di ricerca dalla luccicante copertura metallica, sparsi scompostamente sulla terra rossa di Aegis-7.
Concentrò la sua attenzione verso il ciclopico cratere, sul cui fondo sembrava agitarsi lentamente qualcosa sonnolento ed enorme:
“Eccolo lì: il Grande Mostro Spaziale, la Fonte di Gravità Variabile. Ibernato in un Permagelo di oltre 10.000 anni, sta finalmente iniziando a produrre i primi vagiti; ma per quanto ancora potremo controllarlo? Uno, cinque…forse altri dieci anni al massimo?”
 
“Per ora le sue attività sono tenute sotto stretta osservazione.” – puntualizzò un tecnico, seduto al suo fianco – “Ci vorrà del tempo prima che il suo corpo possa riabituarsi alle pressioni extra-crostali ed all’assenza di Ossigeno. Certamente, sarebbe tutto più rassicurante se il Marchio Rosso potesse rimanere al suo posto, su Aegis-7…”
 
“Ormai quel manufatto non ha pressoché alcun valore contenitivo.” – riflettè Dylan Gould, ad alta voce – “Il processo di ingegneria-inversa utilizzato per la Degenerazione del ‘Black MARKER’ è stato fallimentare e questo né il risultato: il codice ricombinante impresso sì è trasformato in un segnale riunificante per gli altri Mostri. Continuando a trattenerlo in questo luogo, non faremo altro che accelerare il risveglio di quella creatura…”
 
“E’ per questo che ha fatto trasportare dall’Ishimura solo parte di quel oggetto? Per poterne sfruttare appieno il potere, senza le limitazioni imposte dal Governo Solare? Ma a quale scopo?”
 
Il Presidente della Fondazione GOULD non rispose subito, ma si perse nel contemplare gli immensi altopiani del Pianeta alieno, mormorando:
E’ tutto come una grande bolla. Si dice che la madre di tutte le bolle sia stata l’Esplosione Cambriana. E’ successo per caso, più di sei milioni di anni fa. Gli scienziati tuttora non si spiegano come accadde…sanno solo che fu un attimo e da quel momento, all’improvviso, apparvero milioni di nuove specie. E poi siamo arrivati noi: la Razza Umana. Con la nostra crescita incontrollata abbiamo fatto scoppiare quella bolla, arrestando il processo evolutivo di ogni altra specie vivente. Poi, però…sono comparsi i Mostri Spaziali: esseri spaventosi il cui unico obiettivo è riprodursi all’infinito, divorando le Stelle. Annullano le altre vite per la loro sopravvivenza…esattamente come noi. A differenza degli Umani, i Mostri Spaziali sono in grado di viaggiare a velocità-luce senza apporti meccanici e possono resistere al Vuoto Cosmico…siamo dunque ancora noi, la Razza evoluta? No…siamo solo coloro che hanno spinto altre forme di vita a svilupparsi ulteriormente, a scapito dell’Universo, per contrastarci e ristabilire l’Ordine Naturale. Guerre, carestie e perfino gli Alieni…tutto merito nostro: degli Uomini.”
 
L’uomo al suo fianco lo fissò diffidente:
“Credevo lei fosse un fedele della Chiesa di Unitology, ma dalle sue parole si direbbe che non approvi i loro fini…”
 
Poi, Gould lo squadrò con la coda dell’occhio:
“La religione non ha mai creato alcun Essere Umano, tuttavia la Fede condiziona le nostre scelte; nonostante questo, ognuno di noi è libero di vedere nella propria vita quel Bene che per noi è necessario. Adesso le chiedo, Professore: come sarebbero andate le cose, se la Razza Umana non si fosse evoluta? Non ho una risposta certa…ed è per questo che ho bisogno del Marchio Rosso: per ottenere le risposte che desidero.”
 
Infine si voltò verso il suo interlocutore:
“Devo rientrare nel nostro Sistema Solare per la Conferenza Annuale: torniamo indietro. Ah, a proposito...preparate il mio ‘Vardant’ a reagire con il MARKER.”
 
 
*   *   *
 
 
Stesso giorno. Ore 9:00 A.M.
Casa della famiglia ‘Witwicky’. Neo-Okinawa. Terra.
 
La luce biancastra di quel gelido mattino d’inverno filtrava dalla saracinesca posta sulla finestra, accanto al letto.
Una sveglia gettata per terra ticchettò lievemente, per poi spegnersi.
 
Il ragazzo steso sul letto allungò una mano verso il soffitto, tentando di afferrare i raggi di debole Sole.
Osservò le dita della sua mano piegarsi nella luce fredda, creando rifrazioni insolite e misteriose.
Poi chiuse lentamente il pugno.
Afferrò una spilla dorata poggiata sulle lenzuola e la sollevò nuovamente verso la luce:
La piccola stella alata dell’effige luccicò appena, quasi il suo fulgore fosse intristito da un presagio doloroso.
 
Quel giorno Sam non aveva affatto voglia di alzarsi.
Imbarcarsi al primo Spazio-Porto e raggiungere la stazione di comunicazione satellitare orbitante, per sostenere il discorso di fine anno della FRATERNITY:
Dopo pochi mesi di servizio in quell’enorme ed affascinante Organizzazione, era stato già incaricato di portare avanti l’impegno morale della prima fonte di difesa dell’Umanità.
Avrebbe dovuto farlo tra poco meno di un’ora e mezza.
 
Davvero ne ho il coraggio? Sto davvero credendo alle parole di quel discorso che dovrò ripetere a memoria? – domandò a sé stesso, continuando a rigirare tra le dita la spilla della Fondazione – E se fosse tutto falso? Se tutto quello per cui ho sperato si rivelasse un sogno? Dopotutto, non si tratta proprio di questo: di un sogno? Il mio Sogno: diventare il ‘Topless’ che avrebbe condotto alla Felicità tutti coloro che mi circondavano…dovevo essere proprio un bambino, quando l’ho immaginato.
 
Si voltò di lato.
Sulla parete della camera aveva appeso una fotografia scattata con una delle rare macchine fotografiche manuali che il padre collezionava:
Rappresentava un gruppetto di cinque adolescenti:
Un ragazzo al centro era stretto da due avvenenti ragazze, che sembravano non fare altro che lanciarsi occhiatacce, mentre lui sorrideva stentatamente verso l’obiettivo.
Alle sue spalle, un giovane uomo biondo dalla bizzarra acconciatura e dagli occhiali sportivi sfoggiava un ampio sorriso; una bambina dai lunghi capelli argentati e dai tristi occhi rossi cercava di rimanere in disparte, arrossendo.
 
Più che provarne piacere, Sam corrugò la fronte:
Però, la promessa che ho fatto loro…almeno quella promessa, devo mantenerla. E poi per mamma e papà…sì, per loro io continuerò ad essere uno dei ‘Paladini dell’Umanità’!
 
Si mise a sedere sul letto e sospirò:
“Ok, basta cazzeggiare: in marcia!”
 
 
*   *   *
 
 
Poco dopo.
 
“Sì…direi proprio che ti sta a pennello.” – sorrise la madre, aggiustando l’ultimo bottone della divisa da rappresentanza della FRATERNITY. – “Sarai un figurino!”
 
“Sì, come no…!” – borbottò il ragazzo, nel rigirarsi davanti allo specchio, tutto agghindato come un Ufficiale per l’occasione – “Ma guardami: sembro vestito per un funerale! Mi mette a disagio…”
 
Un brivido impercettibile corse lungo la schiena della donna al suono di quella parola; azzardando un sorriso, provò a rincuorarlo:
“Oh, sciocchezze! Vedrai che sarai fantastico! E poi, non vorrai mica sfigurare in mondo-visone?”
 
Il figlio la guardò nel riflesso, inarcando con disappunto un sopracciglio:
“Grazie per farmi sentire ancora di più il peso del mio ruolo…”
 
Poi entrò nella stanza un uomo robusto, accompagnato da un ragazzino esuberante.
Appariva più pallido del solito, ma faceva del tutto per sembrare raggiante.
Lo salutò con ironia:
“Ehilà, campione! Tutto in tiro, eh? Oh, sta’ attento a non respirare troppo, Signor Punteggio Massimo, o finirai per sgualcire l’abito!”
 
“Spiritoso. Molto spiritoso.” – lo apostrofò il figlio, senza troppe cortesie.
 
Poi, Ryan si avvicinò esultante al fratello adottivo, squadrandolo da capo a piedi:
“Che forza, non avevo mai visto il fratellone vestito così! Certo che alla FRATERNITY siete proprio complicati, eh!”
Poi gli allungò un colpetto con il gomito:
“Ehi, fratellone, perché non chiedi a quella ragazza di cui parli se le piaci, vestito così…
 
Lui divenne livido in volto, sbuffando perfino dalle orecchie e assentandogli una dolorosa pedata nel fondoschiena:
“Tu fatti gli affari tuoi, nanetto!”
 
Invece di prendersela, il bambino si mise a ridere soddisfatto.
 
Poi, il suono stridulo di una sirena di clacson risuonò fuori dalla finestra.
Sam si affacciò:
Una limousine nera a levitazione magnetica galleggiava sul viale di casa; un finestrino si abbassò, mentre la testa di Casio Takashiro fece capolino.
Fischiò un paio di volte, come un richiamo, ed agitò un braccio in aria.
 
Il giovane pilota si voltò dall’altra parte, verso i familiari:
“Beh, direi che è ora. Voi non venite, allora?”
 
“No, meglio di no.” – disse il padre – “Ryan è troppo piccolo per essere portato fin là ed io e tua madre non vorremmo rovinarti i tuoi quindici minuti di gloria. Dopotutto, sarei sempre ripreso dalle telecamere, no? Ti vedremo in tele-…cough!”
Un colpo di tosse secca interruppe la frase a metà.
Ne se seguirono altri due più violenti, che costrinsero il Signor Witwicky a piegarsi in due.
La moglie gli poggiò una mano sula schiena, senza però tentar di aiutarlo, quasi rassegnata.
 
Sam chiese preoccupato:
“Papà! Sei sicuro che sia tutto ok?”
 
Lui si riprese a fatica, ansimando:
“Sì…sì, tranquillo. Ehi, non sono più il grande, famoso, pluri-premiato Ammiraglio Ronald Witwicky di un tempo, sai? Eh, il Tempo passa!”
Poi lo fissò con affetto:
“Adesso è il tuo…va’ e farti onore.”
 
Sam indugiò sull’uscio, poi sorrise apparente ingenuità:
“Grazie…lo farò di certo!”
 
 
*   *   *
 
 
Orbita Lunare. Ore 13.00 P.M.
Spazio aereo civile della Stazione d’Avamposto Satellitare ‘Imperial Tokyo.’
 
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“Sarebbe quella la Stazione Orbitale dell’Impero Solare?” – domandò Sam, avvicinandosi all’oblò del grande ed elegante shuttle di rappresentanza.”
“Esatto.” – rispose Casio, intento ad aggiustarsi al collo il nodo della cravatta rossa – “E’ stata inaugurata circa duecento anni orsono. Il microclima terrestre è garantito dalla Copertura Geodetica, sorretta da quelle che, si dice, siano le carene di antichi Exelion ritirati dal servizio militare…”
“E’ bellissima.” – commentò semplicemente.
“Se quella ti piace, allora dovresti vedere la Douze-Mille. Dicono sia abbastanza grande da oscurare totalmente la Terra. Dopotutto, deve pur sempre contenere Giove-3, no?”
“Dici sul serio?! Sarà davvero tanto immensa?! E chi sarà il suo pilota?”
Casio fece spallucce, pulendo distrattamente le lenti degli occhiali con un fazzoletto:
“E chi lo sa! Se avremo fortuna lo sapremo oggi…”
 
Sam annuì in silenzio e tornò a fissare la pista d’atterraggio che si faceva sempre più prossima:
“A pensare che dovrò tenere un discorso su una di quelle torri mi manca il fiato! Anche se si tratta solo di un testo prescritto, l’idea che dovrò parlare davanti a tutti mi inibisce…”
 
Casio sospirò con un’espressione di nostalgica soddisfazione:
“Ah, il ‘Discorso di Fine Anno’…ci siamo passati tutti! In realtà è meno spaventoso di quanto sembri: pendono tutti dalle tue labbra! L’anno scorso è toccato a Mikaela, sai?
Poi rovistò con una mano nel taschino della giacca:
“Oh, a proposito…tieni, questo è per te. E’ da parte sua.”
 
“Un regalo della Signorina?” – chiese stupito il ragazzo, prendendo in mano quello che sembrava un portachiavi con la testa di un gatto bianco stilizzato, con un buffo sorriso stampato in faccia.
 
“Proprio così.” – rispose l’amico, sorridendo maliziosamente – “E’ il suo portafortuna, dice che le da’ sempre una mano nei comizi pubblici; voleva che lo tenessi tu, per oggi. Ehi, se la scontrosa Miss Punteggio Massimo regala qualcosa al timido Mister Punteggio Massimo vuol dire che c’è un certo ‘feeling’. Secondo me le piaci…”
 
“Magari fosse così…!” – mormorò l’altro, un po’ imbronciato – “Ma sono certo che alla Signorina non piacciono i tipi come me. Si arrabbia sempre, quando mi avvicino…”
 
“Sai come si dice in questi casi, no?” – Casio allungò le gambe sulla poltroncina davanti ed incrociò le braccai dietro alla testa – “L’irritazione nasce dall’ammissione di un bisogno. Una dimostrazione rabbia non è altro che il grido dell’Anima che richiama a sé quella di cui ha più bisogno…
Poi aprì un solo occhio, sorridendo ironico:
“Ah, tanto per informazione, allacciati le cinture: balleremo un po’ nell’atterraggio.”
 
 
*   *   *
 
 
Poco dopo. Sala congressi. Imperial Tokyo.
 
Con un vociare diffuso, tutti i duecento partecipanti ospiti del Discorso presero posto nella grande aula ricoperta d’acciaio bianco.
Sul palco, oltre la grande scrivania delle guest star, una gigantesca vetrata rinforzata si affacciava sulla splendida Via Lattea.
 
Sparsi nelle prime due file della platea, la squadra Topless al completo attendeva il suo personale encomio; alle loro spalle, una marea di uomini e donne dell’alta società politica chiacchieravano eccitati, così a lor agio in quegli abiti scuri e seriosi.
 
Casio prese posto in seconda fila, mentre Sam notò una poltroncina casualmente libera, a fianco ad una Mikaela Banes troppo presa nell’osservare la situazione.
Era pericolosamente bella:
I lunghi e lucidi capelli scuri le scivolavano sulle spalle e sul seno, stretti sulla nuca da un fiocco della più tenue tonalità di lilla.
L’abitino nero ed aderente si allargava sulle maniche e nell’ampia gonna; con tutti quei merletti e finiture in pizzo bianco la sua persona perdeva l’abituale prorompenza e assumeva un dolce e malinconico tono indiscutibilmente Gothic Lolita.
“Ehi, ciao…” – iniziò lui, a bassa voce – “…oggi siamo proprio tirate a lucido, eh?”
“Perché non pensi per te, invece?!” – rispose spocchiosamente lei – “Sembri un pinguino.”
Lui si congelò. Letteralmente.
 
Ho appena risposto a Ryan: non le piaccio vestito così. Ok, Sam, pessima prima mossa. Vediamo se riesco a recuperare con i ‘supplementari’…
 
“Un ‘ciao anche a te, come stai’ sarebbe stato più che sufficiente. Ad ogni modo! Casio mi ha dato il tuo portachiavi: è davvero carino. Sei stata gentile a regalarmelo…”
Lei si voltò dall’altra parte, gonfiando un po’ le guance:
“Non te l’ho regalato: è un prestito a fondo perduto.”
Lui la guardò e sorrise; fece per dire qualcosa, ma…
 
“Ciao cutie-honey!” – una vocetta squillante lo fece sobbalzare.
 
“Ah, sei tu, Carly…” – balbettò in imbarazzo.
 
L’avvenente Marziana era ritta alla sua destra, sfoggiando le forme perfette fasciate dalla divisa in latex di ‘Adult Bank’; aveva decolorati i caratteristici capelli verdi di Marte fino ad un biondo chiarissimo, eccezion fatta per un un'unica ciocca laterale.
 
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La conturbante pilota spaziale gli strinse un braccio, con un occhiolino che preannunciava tutto un programma:
“E così sarai tu tenere il Discorso, quest’anno? Ah, sei così pieno di sorprese!”
“Già…” – biascicò il ragazzo, per nulla convinto e con una sudorazione improvvisa che gli mandò a fuoco il viso.
“E tu, Mikaela?” – la donna dai capelli verde chiaro si voltò verso l’eterna rivale – “Non fai anche tu i complimenti al mio cutie-honey? Non pensi che se lo sia meritato questo ruolo?”
“Sì, fantastico.” – si limitò a borbottare la Banes, zittendola subito – “Ed ora piantala di fare la gatta morta! Stanno per cominciare...”
 
Le luci calarono nella sala, mentre i riflettori si accesero sul palco.
Decine di deboli lumi di telecamere e schermi televisivi affollavano la platea.
Oltre le finestre dell’auditorium, le Stelle del Cosmo rilucevano sempre più splendenti.
 
Avanzando al centro della piattaforma sopraelevata, una donna di mezza età dai corti capelli blu scuro e dal lungo abito bianco prese in mano il microfono.
Parlò lentamente e con solennità:
“Salve a tutti. Mi presento: sono il Capo di Stato Maggiore, Rebecca Basile…ma questo lo sapete già. Come ormai da tradizione, siamo riuniti in quest’Aula per ribadire il nostro impegno nella salvaguardia dell’Umanità intera ed il nostro dovere nei confronti di essa. Anche quest’anno, la grande organizzazione dell’Impero Solare ha permesso a tutti gli Umani, Terrestri e Coloni, di poter dormire sonni tranquilli…e di poter celebrare il Dono della Vita in tutte le sue forme. Affiancati dall’efficienza della nostra Flotta e del N.E.S.T. abbiamo potuto far fronte alle minacce cosmiche conosciute da secoli immemori con il nome di ‘Space Monsters’. Inoltre, le giovani promesse dell’Umanità -i Topless- hanno riprova della loro forza ed importanza nella difesa dei nostri Pianeti natali.”
 
Si voltò verso un anziano uomo alle sue spalle, dalla divisa militare splendente di onorevoli medagli d’onore:
“Ringrazio innanzitutto l’Ammiraglio di Flotta Vancouver Dhorasoo; la sua decennale esperienza ha potuto rendere le nostre Stelle più pacifiche e silenti.”
 
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Un applauso fragoroso sciamò tra i presenti.
L’uomo si levò in piedi -gli occhi saggi e scuri fissi sul pubblico- proferendo con la risolutezza acquisita dagli anni:
“Oggi posso rallegrarmi di essere tra voi…poiché sono vivo. Questo è il motto della nostra Flotta: la Forza della Vita aprirà i Cancelli dell’Orizzonte! Il Navy Envirorment and Space Technologies sta come sempre studiando nuove forme di difesa e sicurezza per il nostro Sistema Solare. La nostra Scienza ed i nostri Sforzi si unirà alla Volontà dei giovani che combattono per noi tutti…per questo dobbiamo tener Fede alla nostra promessa! Quest’anno posso vantare felicemente il nostro record personale: neanche un solo soldato è perito in guerra, tutto grazie all’efficienza del nostro personale bellico!”
 
Un secondo applauso risuonò nell’Aula, mentre l’uomo si risedette al suo posto.
 
Sam si voltò di tre quarti, verso Casio, sussurrando:
“L’Ammiraglio Dhorasoo è un uomo molto rispettato in Marina. Mio padre è stato al suo servizio per molto tempo: non fa altro che parlarne!”
 
La donna sorrise compiaciuta, mentre prese ancora la parola:
“La ringrazio a nome di tutti. Ed ora passiamo alla novità di questo Congresso: gli attuali avanzamenti astrofisici e la rinnovata conoscenza del nostro meraviglioso ed infinito Cosmo ha recentemente portato alla luce gli scavi gravitazionali di Aegis-7, un grande Pianeta nel Sistema ‘Cygnus’. I nostri scienziati hanno appurato l’esistenza di incredibili fonti d’Energia rinnovabile, che potrebbero essere utilizzate per scopi incredibili: a tale scopo è stata ideata la più grande Macchina che l’Umanità abbia mai concepita…ma per questo vorrei lasciare la parola ad uno dei Membri della Commissione per le Difese Interplanetarie: il Presidente delle Imprese GOULD, Dylan Grimsley Valentyne III!”
 
Un terzo applauso accompagno un uomo alto e longilineo alzarsi in piedi, oltrepassando il tavolo da congressi.
 
Carly Starr Spencer fremette d’impazienza:
“Oh, eccolo! Che personalità, che eleganza! Quell’uomo sprizza magnetismo da tutti i pori! Fa impazzire praticamente a tutte le ragazze che conosco!” – poi portò un indice alle labbra, confusa – “A dire la verità…anche qualche ragazzo.”
Casio Takashiro borbottò offeso:
Tsk! Chissà cosa avrà di tanto speciale! Se gli togli tutta quei vestiti firmati e quella brillantina dai capelli, che cosa rimane?”
La ragazza marziana sorrise divertita, lanciandogli una frecciatina:
“Solo un…genio-miliardario-playboy-filantropo?”
 
Il suddetto ‘playboy’ in questione si schiarì la voce, iniziando il suo discorso, tenendo comodamente una mano nella tasca di pantaloni dalla piega impeccabile:
“Buon pomeriggio. Vorrei ringraziare preliminarmente Miss Basile per avermi introdotto. Se così non fosse stato…quanti, tra voi, sono venuti qui solo perché mi conoscono come lo ‘Scapolo d’Oro dell’Anno’?”
 
Diverse decine di donne sollevarono una mano in alto, insieme ad una risata generale, ma contenuta.
 
Il giovane Presidente continuò il suo monologo.
“Cercherò di essere piuttosto conciso, dato che solitamente non vi riesco. E’ con mio immenso onore che vi comunico che, da oggi, l’Umanità intera entra in uno dei periodi più importanti e significativi della sua Storia: i fondi concessi dalla mia Società hanno permesso di portare a termine la progettazione della più potente Nave Spaziale mai realizzata: il Vergil-Exelion; con i suoi trecentoventi chilometri di lunghezza ed i suoi Propulsori Iperspaziali a Compressione Inerziale è attualmente l’oggetto più veloce attualmente esistente in tutto l’Universo. Ma per muovere grandi masse sono necessari grandi sforzi…ed è nel momento del bisogno, che l’ingegno dell’Uomo da’ i suoi frutti maggiori: la Buster Machine n.12.000, la Douze-Mille.”
 
Una diapositiva raffigurante quello che sembrava un immenso esoscheletro metallico, abbastanza grande da stagliarsi contro la mole lunare, venne proiettata alle sue spalle.
Un mormorio di stupore si levò dagli ospiti.
 
“La fonte principale di Energia della Grande Ammiraglia è stata identificata nella Scintilla dell’Acceleratore Lineare a fase trasformata di Lorentz, il Nucleo Degenerato dello stesso Giove-3: l’ALL-SPARK. Un oggetto dalla massa talmente enorme da poter ricreare un Buco Nero controllato, in grado di spingere un’Astronave delle dimensioni dell’Exelion nel Sub-Spazio. Tutti noi sappiamo che in tanti milioni di storia umana, mai nessun entità è riuscita a violare il Limite della luce, nonostante le nostre tecnologie ci permettano di viaggiare a velocità molto prossime ad essa. Ebbene oggi potremo oltrepassare questa barriera innalzata dalla Natura! Potremmo raggiungere i confini dell’Iper-Luce, osservando i fenomeni altrimenti a noi preclusi! Viaggiare a velocità superiori a quelle della luce vale a dire ripercorrere il Paradosso del Tempo: Passato, Presente e Futuro si fondono e si sciolgono al nostro volere, mentre perfino le Porte dell’Universo divengono trascurabili!”
 
Il vociare si fece sempre più intenso: le eleganti parole di quell’uomo affascinante si inasprivano via via di una vena di onnipotenza.
 
“Ma per far questo abbiamo bisogno dei giusti mezzi…” – tentò di riprendere fiato, moderando il tono della discussione – “…e per questo è stato realizzato qualcosa di perfino più grande del Vergil-Exelion: la Douze-Mille rappresenta il Degeneratore Planetario più grande al Mondo: si tratta del macchinario più immenso che sia mai stato costruito dall’Uomo! Un cyber-Pianeta: ecco cosa siamo in grado di fare, al giorno d’oggi. Da quando mio padre morì, affidandomi le sorti della GOULD COR., la mia Impresa ha prodotto più di venti preziose Buster Machines che ora combattono per la salvezza della Razza Umana…ed ora siamo pronti a compiere il Grande Salto: la scoperta scientifica che ci permetterà di gettare uno sguardo aldilà dei Mondi noti, imparando a conoscere anche le Realtà a noi parallele. Questo è il mio impegno: le Industrie GOULD porteranno l’Umanità ad un nuovo livello!”
 
Ci fu un breve momento di attonito silenzio, quasi scioccato da certe pretese.
Poi, l’affascinante Presidente dalla lunga sciarpa di seta si strinse nelle spalle, sorridendo ingenuamente:
“Beh, sembra proprio che anche oggi mi sia prolungato più del dovuto!”
Improvvisamente, un fragoroso applauso scoppiò nella Sala Congressi, accogliendo l’incredibile genio di quel giovane uomo.
Poi sorrise al pubblico, puntando verso al squadra Topless:
“Ma tutto questo non sarebbe possibile senza i nostri giovani eroi, dico bene? Non voglio rubare altro tempo a questi ragazzi. C’è una persona in particolare che vorrei ringraziare: sali pure sul palco…figlio dell’Ammiraglio Witwicky.”
 
Seduto al suo posto, il ragazzo sentì puntare su dì sé tutti gli sguardi degli invitati.
Casio gli diede un colpetto alla schiena:
“Coraggio, su! Non farci fare brutte figure!”
Lui si guardò intorno, levandosi lentamente.
Guardò per un attimo il gattino portafortuna, sorridendo.
Fugacemente, avvicinò le sue labbra all’orecchio destro della ragazza seduta al suo fianco e sussurrò:
“Sono contento che sia stata tu a darmelo…”
Lei non rispose…ma arrossì segretamente: così in fretta, quella frase suonò quasi come un bacio sul collo.
 
Poi salì sul palco illuminato; Dylan Gould si fece garbatamente da parte.
Il ragazzo afferrò il microfono e deglutì ansioso:
Era avvolto dalla luce accecante dei riflettori; ai suoi piedi, nella semi-oscurità della platea, tutti i più importanti Capi di Stato del Sistema Solare attendevano il suo encomio; decine di telecamere lo fissavano e riprendevano come cinici sguardi accusatori.
Sentì la pulsazione delle tempie aumentare all’improvviso, mentre il sudore iniziava già ad imperlargli la fronte.
 
Fantastico…- si disse - …ho totalmente scordato il discorso.
 
Era già qualche interminabile secondo che se ne stava lì senza spiccicare una sola parola; poteva sentire la tensione e le occhiatacce del pubblico infilarsi sulla sua pelle come aghi.
Era inutile: non avrebbe mai ricordato a memoria quello stupido discorsetto scritto da chissàchi.
 
Strinse il più forte possibile il portachiavi regalatogli e azzardò con voce tremante:
“S-salve a tutti…”
Non era così difficile, in fondo. Aveva iniziato, ora doveva solo continuare:
“Il mio nome è Samuel Lloyd Irvin Witwicky…ok, non che sia un nome facile da pronunciare; diciamo solo ‘Sam’, ok?”
Gli sguardi poco convinti della platea gli suggerirono che non era ‘ok’, ma a lui non importava:
“Sono entrato solo da pochi mesi alla FRATERNITY, però…l’ho sempre conosciuta, in un certo senso: i ‘Paladini dell’Umanità’, così li chiamano tutti, no? Beh…oggi sono qui perché, in teoria, dovrei tenere un discorso in loro vece. Ad essere sincero, però…non ne ricordo neanche una riga.”
 
Una grassa risata riempì le bocche dell’uditorio; perfino Rebecca Basile sorrise sommessamente.
Non erano risate di scherno; piuttosto di leggerezza e tenerezza verso quello che doveva essere il rappresentante della Difesa Umana, ma che si presentava per quello che in realtà era: un ragazzino, come tutti gli altri, dopotutto.
 
Sam si sentì solo un po’ più sollevato, riprendendo il discorso:
“Però non credo che importi molto a nessuno di un monologo trito e ritrito. Quindi ho deciso di raccontarvelo a modo mio: vi parlerò di un Desiderio, il Desiderio di un bambino. Questo bambino aveva promesso alle Stelle che un giorno sarebbe stato tra loro…che avrebbe potuto osservare la Terra in tutta la sua piccolezza, dall’alto, ma che avrebbe anche potuto stringerlo tra le mani e proteggerlo, per quanto possibile. Forse oggi quel bambino c’è riuscito. Certo, le guerre nel Mondo non finiranno su due piedi, né le malattie cesseranno di esistere, però…tutto questo è diventato un po’ meno drammatico, da qualche tempo. E tutto ciò grazie ad un Sogno; un Sogno non solo di un individuo, ma di tanti altri…di tutti coloro che hanno deciso di anteporre le vite altrui alle proprie –cioè i militari della Flotta di Difesa Terrestre- e tutti quelli che hanno il dovere civile di sfruttare un loro ‘dono’ per il Bene di tutti…cioè noi Topless. Ogni giorno combattiamo contro quei Mostri che tentano di privaci del nostro diritto di vita, per poter abbracciare coloro che amiamo all’alba del giorno dopo…
 
Però…!– pensò Mikaela Banes, sorridendo lievemente – Non è poi così male, a parlare…
 
 
*   *   *
 
 
Contemporaneamente.
Casa della famiglia ‘Witwicky’. Neo-Okinawa. Terra.
 
Il tele-proiettore della sala da pranzo continuava a riprodurre l’immagine di quel ragazzo sui sedici anni intento in discorso di commiato, la cui immagine talvolta tremolava come una fiammella, a causa delle interferenze di trasmissione inter-planetaria.
 
“…il nostro impegno non verrà mai meno!” – affermò con sicurezza il giovane oratore – “I ‘Topless’ renderanno tutti felici!”
 
“Sentilo, come parla, il giovanotto…!” – Ronald Witwicky tentò di sorridere debolmente, seduto stancamente sul divano, affiancato dalla moglie – “Sono proprio felice di vederlo così: è cresciuto bene…”
La donna fissò ancora il video, mormorando:
“Già…”
Il padre chiuse gli occhi, sconsolato:
“Spero solo che possa davvero essere felice…nonostante quello che accadrà.”
Infine si rasserenò:
Sento che il momento sta per arrivare…
 
La donna trattenne una lacrima, stringendo con vigora la mano del marito.
 
 
*   *   *
 
 
Poco dopo. Sala congressi. Imperial Tokyo.
 
Quando le luci principali si riaccesero ed i cameramen staccarono le loro apparecchiature, il pubblico di rappresentanza si sollevò rumorosamente in piedi, iniziando a defluire verso l’uscita della stazione lunare.
 
Lasciandosi andare ad un lungo sospiro di sollievo, Sam si sedette sulle scale adiacenti a palco:
“E anche questa è andata…”
 
“Però, che oratore!” – Casio gli si avvicinò, con una pacca amichevole sulla spalla – “E bravo il nostro Mister Punteggio Massimo! Forse un po’ troppo personale…ma d’effetto.”
“Ah, sei stato così…carismatico!” – Carly batté le mani con entusiasmo, volteggiando allegramente – “Fantastico!”
 
Ma lui sembrò quasi totalmente indifferente a quei complimenti; piuttosto cercava con lo sguardo la bella ragazza dai lunghi capelli corvini che indugiava alle loro spalle:
“Devo proprio ringraziarla, Signorina: il suo portafortuna mi ha ispirato! Di quel discorso non ricordavo nemmeno l’inizio! Se non fosse stato per lei…”
 
“Sì, ho capito. Dacci un taglio.” – lo interruppe lei, bruscamente, seppur segretamente lieta – “Non te la sei cavata malaccio…per un novellino.”
Poi, cercò il modo più delicato e meno evidente per far ammettere a sé stessa quel sentimento di gioia e tensione che il riconoscimento di quel ragazzo le aveva suscitato:
“Forse per un novellino come te potrebbe essere utile tenere quel portachiavi ancora per un po’…puoi tenerlo. Ma ricorda che è solo un prestito!”
 
Lui recepì l’antifona e sorrise di rimando:
“Grazie.”
 
Ehi, Sam!” – una voce d’uomo lo richiamò.
Dylan Gould gli venne in contro, allungando una mano in segno di apprezzamento:
“Devo farti i miei complimenti: un vero discorso di fine anno! Uno dei più sentiti della FRATERNITY, fino ad ora!”
“La ringrazio, Signor Gould…ma mai come lei! Riesce sempre a catturare l’attenzione di tutti! Mi chiedo come faccia ad essere sempre così a suo agio…”
“Oh, solo esperienza.” – banalizzò l’uomo, mentre con un braccio già lo spingeva un po’ più in disparte – “Ad ogni modo, ti dispiacerebbe se ti parlassi per un momento. Da soli.”
Il ragazzo si voltò per un momento verso i compagni, poi annuì:
“Nessun problema.”
 
I giovani Topless lo fissarono allontanarsi a pochi metri, diffidenti.
 
“Vedi, Sam…” – cominciò Gould, meditando ogni parola – “…è un po’ che ci penso su: mi sono reso conto che in tutto il tempo che ho vissuto nel Mondo non ho mai avuto la possibilità di incontrare qualcuno di cui mi fidassi ciecamente…a parte la mia amata Diana.”
“Oh…beh, mi spiace.” – ammise l’altro.
“Il punto è che quando frequenti gli ambienti a cui sono abituato, ti rendi conto di quanta ipocrita umanità e superficialità aleggi intorno a noi: si ha sempre la sensazione di essere sul punto di venire pugnalati alle spalle. E così diventa impossibile fidarsi del Prossimo…e di conseguenza anche affidare la propria vita ed i propri Sogni a qualcuno. Dimmi, tu hai fiducia nel Prossimo?”
“Io? Direi di sì…”
“Lo stesso vale per me: ho bisogno di qualcuno di cui potermi fidare, per potervi affidare le mie speranze. La Douze-Mille: l’emblema della ricerca umana di nuovi orizzonti e realtà da affrontare, il bisogno di contatto con Mondi fuori dal nostro; questo è ciò che voglio affidarti. Vorrei che fossi tu il Topless selezionato per pilotare la n.12.000.”
“Cosa?! Sta parlando sul serio?!” – Sam sgranò gli occhi, incredulo – “Io…non credo di avere sufficiente esperienza…”
“Hai una First Phase abbastanza ampia da poter riattivare LineBarrel; non sarà un problema muovere quella strutture, con la Guida Vettoriale. Ma non devi prenderlo come un obbligo: pensaci su…ma ricorda che hai meno di una settimana per decidere.”
“Io…non saprei davvero.”
“Non ha importanza. Pensavo solo che con un impresa simile avresti certamente reso tutti orgogliosi. Il tuo nome verrebbe scolpito nei libri di storia.”
 
Il ragazzo chinò lo sguardo.
Suppose che non sarebbe stata l’impresa in sé a renderlo felice di sé stesso, né le parole di quell’uomo, sempre così elogiative.
Piuttosto l’immagine dei suoi familiari ad attenderlo al ritorno da quella missione, con gli sguardi colmi d’ammirazione ed affetto, gli strappò un sospiro.
E poi gli occhi di lei; i suoi lunghi capelli scuri ondeggianti nel Sole accecante d’estata, con un vestito leggero.
Nel suo sorriso la promessa di una gioia ormai dichiarata.
 
Strinse un pugno, certo ormai della sua decisione, e strinse inaspettatamente le spalle dell’uomo:
“Sarebbe fantastico! La ringrazio, Signor Gould; lei è come un padre, per me!”
Poi lo lasciò andare, mentre già si allontanava verso l’uscita.
 
Il giovane impresario rimase per un momento attonito da tanta euforia.
Poi sorrise tra sé, infilandosi le mani nelle tasche dai pantaloni dal costo inarrivabile.
 
 
*   *   *
 
 
Un’ora dopo.
Neo-Okinawa. Terra.
 
La limousine nera di rappresentanza si fermò lungo la strada ampia e levigata d’asfalto, disattivando i repulsori ed adagiandosi delicatamente al suolo, a poche decine di metri da una delle tante rigide villette stilizzate a schiera di Neo-Okinawa.
 
Posteggiata all’angolo, la mole cubica dagli angoli smussati di un’ambulanza-droide attendeva il suo paziente con i lampeggianti disattivati.
 
La portiera posteriore si spalancò all’improvviso, mentre un ragazzo corse rapidamente fuori.
“Sam, non correre tanto!” – Mikaela si sporse fuori dalla vettura, allungando un braccio a vuoto.
 
Il giovane discendente dell’Ammiraglio Ronald Witwicky risalì rapidamente il vialetto senza nemmeno accorgersi del veicolo medico.
Sorrideva e respirava profondamente ad ogni passo:
Finalmente! Finalmente l’occasione che cercavo! Un ‘Paladino dell’Umanità’, una missione da svolgere che tutti apprezzeranno!
Corse su per il prato della casa, infischiandosene di come i suoi genitori non sopportassero l’idea di camminare su quell’erba perfettamente tagliata:
Corse contro la pungente aria pomeridiana di un denso inverno senza neve, che minacciava dal cielo:
Ti renderò orgoglioso, papà! Io…io…
Con una mano colpì la liscia porta automatica dell’abitazione; non incontrò alcuna resistenza e l’uscio si spalancò alla leggera pressione.
La voce e lo spirito gli sfuggirono dalle labbra, in un impeto di entusiasmo:
“PAPA’!!!”
 
-tu-tum…tu-tum-
 
Per un momento, tutto il mondo circostante parve diventare silente, mentre solo il battito del suo stesso cuore gli rimbombava nei timpani.
Le gambe gli si paralizzarono e un’ondata di sudore freddo gli raggelò le vene.
Un brivido scorse lungo la schiena, lasciando il posto ad una muta e spiacevole sorpresa:
 
Un piccolo drappello di personale in tenuta medica era radunato nel grande ingresso-salone, circondando una donna e quello che appariva come il corpo steso sul divano di un uomo di mezza età.
Tutti si voltarono improvvisamente verso il nuovo arrivato; lo sguardo della madre era stravolto e vacuo, seppur rassegnato, mentre stringeva un ragazzino poco più che dodicenne, in lacrime.
I medici sembrarono quasi rilassarsi.
Quel Ron Witwicky che giaceva disteso non accennò muoversi.
 
Indietreggiò di un passo, boccheggiante.
 
“Ma insomma, Sam, che hai da corr-…oh, no!” – Mikaela Banes oltrepassò la soglia della porta, quasi infastidita, prima che la scena gli strappasse un gridolino acuto.
Atterriti e confusi, Casio e Carly si avvicinarono in silenzio, spostando lo sguardo dal mesto spettacolo al giovane a pochi metri da loro.
 
Sam portò istintivamente una mano alla fonte, reggendo la testa avvertita improvvisamente molto più pesante.
I polmoni erano quasi inesistenti: non respirava nemmeno, oppure quell’azione era divenuta tanto meccanica da non avvertirne nemmeno le contrazioni.
Una seconda scarica di freddo gli vibrò nelle ossa, fino a stringergli la gola.
Nel singolo istante nel quale una goccia di sudore abbandonò la sua fronte e scivolò lungo la tempia, per poi infrangersi al suolo, un fiume indistinto di voce e ricordi gli trapassò il cervello come una lama affilata:
 
Quei bisbigli segreti e carichi d’angoscia che risuonavano nella stanza dei genitori, accennando a vite spezzate e malattie incurabili…
La rivelazione, il giorno del suo tredicesimo compleanno, della mostruosità naturale contenuta nel suo genoma degli individui maschili della sua famiglia, conosciuta come ‘Sindrome di Archibald Witwicky’…
Le inutili cure mediche e soldi buttati al vento dai suoi familiari per trovare un rimedio efficiente che non distruggesse quella giovane vita troppo presto…
La fatica impiegata per prendere coscienza della propria situazione ed il dolore costretto a forza nel fondo del suo animo, per guardare con forza ad un nuovo giorno…
Le notti passate in lamenti e pianti sommessi, simili più ad uggiolii, che spesso si ritrovava a trascorrere raggomitolato sotto il calore delle coperte…
 
Un mare di ricordi dolorosi lo assalì, mentre la verità iniziava a strappare via frammenti di Spirito, tornando a galla.
Immaginò il resto della sua vita senza più un padre e nella consapevolezza che la Fine si avvicinava anche per lui, ad ogni minuto.
Il dispiacere per non poter avere dei figli, per paura del medesimo destino.
Poi il rimorso per non aver nemmeno prestato attenzione a quell’uomo tanto benevolo quanto saggio negli ultimi anni la consapevolezza che aveva preso  il Biglietto di Sola Andata dal Mondo senza nemmeno il suo unico vero figlio l suo fianco.
Infine nella sua mente l’immagine della bella Mikaela Banes affondò nelle Tenebre, ormai irraggiungibile e distante dalle sconfinate catene spinate del Nero Destino.
Gli veniva da vomitare.
 
“Mi spiace, ragazzo…” – un infermiere gli si avvicinò, tendendogli una mano sulla spalla, ma il giovane Topless la scostò bruscamente, quasi ustionato dal contatto.
 
Indietreggiò ancora, tremante.
“Mi dispiace così tanto, Sam…” – la ragazza dai lunghi capelli scuri cercò la sua mano, ma lui la represse.
“Io…io vorrei solo…” – Carly Spencer non trovò nemmeno la forza per sollevare un muscolo, irrigidita dalla scena.
Novellino…se solo avessi saputo…io…mi spiace.” – balbettò confusamente Casio, frastornato e avvilito dalla dolorosa vista dell’amico.
 
“No…no…” – mormorò tra sé il giovane – “…no…”
Continuò a camminare di spalle, con le dita ad artigliarsi la nuca, fino all’eterno dell’abitazione.
 
“…no…NO!!!” – gridò improvvisamente, mentre una croce di luce azzurra esplose dalla sua fronte, distruggendo il Sigillo di Contenimento Topless.
Con un fragore stordente, accompagnato da un’onda sismica devastante, il terreno si gonfiò ed esplose in centinaia di frammenti; lo spostamento d’aria fu abbastanza potente da annullare la Gravità per un breve attimo.
Un’enorme sagoma bianca si issò dal sottosuolo, divaricandosi in una foresta aggrovigliata di ferraglia e cavi elettrici.
Un busto umanoide si modellò dalla confusione, inghiottendo il giovane, mentre due grandi mani meccaniche artigliarono il suolo, permettendo ad un colosso metallico di oltre sessanta metri di ergersi in tutta la sua impressionante altezza.
 
Casio inciampò e cadde al suolo, bocconi:
L-LineBarrel…!”
 
La Machine sfoderò gli artigli affilati, ringhiando verso il cielo ottenebrato di nuvole dense come matasse di ferro.
La polvere ed i detriti d’asfalto si solverono a mezz’aria, vorticando attratti dalla forza dei propulsori inferiori.
Poi il suolo si appiattì in una conca circolare di asfalto disintegrato, mentre una colonna di fiamme azzurre sospinse in alto LineBarrel.
Un’interminabile scia di fumo si allungò verso la volta celeste, perforando in un anelo di Vuoto un cumulonembo e perdendosi alla vista.
 
I presenti rimasero quasi del tutto immobili, trattenendo il respiro e tremando.
Lo sguardo stravolto della madre e del piccolo Ryan ancora fiso verso il cielo, in cerca del gigante d’acciaio.
Il giardino ora era praticamente ridotto solo ad una zolla smossa di terra e catrame indurito, ma c’erano cose notevolmente più importanti a cui pensare.
Portando una mano alla gola, quasi soffocata, Mikaela Banes riuscì solo a mormorare:
“Se ne è andato…”
 
 
*   *   *
 
 
Ascendendo con una velocità nauseante, la BM-13 puntava verso una meta ignota, trapassando nubi e rombando agni accelerazione.
L’orizzonte non appariva più grigio e malinconico, come dalla Terra, ma iniziava a tingersi di una tenue sfumatura rosata, oltre le nuvole oramai distanti dal robot.
 
Il pilota stingeva le leve – gli occhi serrati – e digrignava i denti, in una smorfia di rabbia, nervosismo ed auto-commiserazione.
Una piccola perla luccicante bagnava gli angli delle sue palpebre, senza nemmeno essere in grado di distaccarsi e tramutarsi in una delle tante lacrime versiate anni prima.
Il ragazzo ringhiò tra sé, spingendo la Machine al limite delle prestazioni; serrò le dita sulla cloche fin quando le unghie non si piantarono nel suo steso palmo.
Sugli schermi giroscopici dell’abitacolo scorrevano un indistinta varietà di dati, grafici atmosferici e segnali di cedimento barometrico.
Il cielo circostante era ridotto solo ad una cascata di macchie bianche, rossastre e blu intenso.
Poi tutta la cabina venne avvolta da un manto nero, puntellato di lumicini bianchi.
 
LineBarrelaveva ormai raggiunto la Stratosfera, continuando ad allontanarsi da quel immenso e meraviglioso Pianeta che ora appariva in tutta la sua maestosa grandezza, distante migliaia di chilometri.
Poi, senza preavviso, i reattori si spensero del tutto e la Machine si arrestò bruscamente, rimanendo a galleggiare nell’immensità della Gravità-0.
 
Per inerzia, Sam perse l’equilibrio, venendo sbalzato giù dal sedile di guida e cadendo di viso sul fondo della cabina.
Portò una mano l naso sanguinante, gemendo:
“Dannazione…”
Poi si inginocchiò lentamente e, guardando sotto di sé, spalancò gli occhi affaticati al dolore in un moto di intensa meraviglia:
 
L’immenso Spazio sconfinato di estendeva in ogni direzione, riflesso dai proiettori dell’abitacolo.
Un’infinta pennellata di plasma e colore si allungava all’orizzonte, brillando come un luogo segreto a cui fare ritorno: la Via Lattea.
Milioni di Stelle pulsanti luccicavano come diamanti nella tela di raso nero del Cosmo, memori di dimenticati eoni passati e ciclopici eventi naturali.
 
Seduto direttamente sui monitor sferici, Sam ebbe quasi l’impressione di poter galleggiare in quello Spazio, dal quale era invece schermato da più di 12.000 piastre corazzate della sua Machine.
Sotto i palmi delle sua mani, la grande e luminosa Terra appariva abbastanza vicina da poterla addirittura sfiorare.
Il ragazzo smise di piangere per un momento, fermandosi a contemplare quello scenario soprannaturale, compiangendo sé stesso e l’Umanità per la proprio piccolezza:
Così attratto da quella vita così eccitante e pericolosa da Topless, così fuori dall’ordinario, aveva totalmente perso di vista il suo Sogno primigenio, il suo Desiderio di scoperta e libertà che lo accompagnava fin da bambino:
Lo Spazio, la sorgente di Vita e scoperte senza fine, l’immensità della Natura in grado di riprodursi a velocità irraggiungibile, che cela segreti e fenomeni grandi oltre ogni immaginazione.
Pianeti lontani, Stelle remote e lucenti, Galassie sconosciute in armoniosa rotazione sul proprio asse…Corpi Celesti dai colori e dalle forme paradisiache e dalla logica commovente.
Essere lì in quel momento – così distante dall’Umanità e dai suoi piccoli problemi, perso nella silenziosa ed elegante fissità anti-gravitazionale del Vuoto – era come essersi avvicinati un po’ più a Dio…se mai ad un dio si doveva la creazione di tutta quella paradisiaca e perfetta grandezza.
 
Perdendosi nei suoi pensieri, prese atto di come la morte di suo padre, la sua e di tutti gli esseri viventi che seguono la stesa sorte all’insaputa del Mondo, non era altro che una riconferma dell’infinita esiguità umana.
Ancora una volta, gli venne da piangere, piegandosi su sé stesso.
Le lacrime questa volta sgorgavano copiose, scivolando lungo le guance e precipitando sui monitor.
Poi il dolore fece spazio ad una rabbia immotivata:
Strinse un pugno e si levò in piedi, battendo un colpo contro le pareti della cabina:
“Perché?! LineBarrel, perché siamo qui?! Perché diavolo ti sei fermato?! Anche tu vuoi darmi contro, ora?!”
E assestò un calcio contro i vetri.
“Perché, dannazione?! Io volevo solo fuggire via! Non voglio più mettere piede sulla Terra! E tu devi obbedirmi! Quindi perché ti sei fermato…perché?!”
Continuava ad allungare poderosi calci contro l’abitacolo, mentre gli schemi sfrigolavano ad ogni colpo.
Serrava le palpebre e si mordeva le labbra, mentre martoriava il cockpit di pugni:
RISPONDIMI, LINEBARREL!!!”
 
Con un brontolìo infastidito, l’intero corpo della n.13 si scosse con vigore, mentre decine di segnali digitali indicavano l’inserimento del pilota automatico.
 
“Cosa…?” – boccheggiò attonito Sam.
 
Improvvisamente, la Buster Machine si inclinò all’indietro, attivando i motori a combustione.
Iniziò a discendere rapidamente verso la Terra, accelerando spaventosamente.
 
Sam si tentò di allungare una mano verso le leve di movimento, senza però essere in grado di afferrale.
L’abitacolo tremava e cigolava al cambio di pressione, mentre gli schermi parevano avvolti da fiamme intense: l’Unità stava entrando nell’Atmosfera, precipitando in caduta libera.
Il ragazzo strinse una mano al cuore, pregando solamente di morire rapidamente, prima che le fiamme potessero divorare il suo corpo esausto.
 
Non accadde:
La corazzatura del mecha resistette grandiosamente alle temperature atmosferiche, continuando a cadere in picchiata.
Perforò una fitta serie di nubi, che si incastonarono alla sua armatura come ovatta, per poi evaporare.
L’indistinto mare di luci che ricoprivano le Nazioni si fece sempre più fitto, mentre i tetti degli avveniristici grattacieli iniziavano a prendere forma.
Sempre più giù: la città di Neo-Okinawa fu presto visibile, ricoperta da un manto lattescente di quella che appariva essere neve.
 
Infine l’ampio spazio immacolato di un parco ghiacciato si allargò alla vista del pilota.
Sentì mancarsi l’appoggio sotto i piedi:
In una pulsazione cardiaca, l’intera struttura bio-meccanica del LineBarrel si separò e disintegrò e anche le pareti della cabina smisero di circondare l’atterrito ragazzo:
La sua Machine lo aveva abbandonato; aveva volontariamente invertito l’Exotic Manoeuvre, smaterializzandosi e scomparendo nel nulla.
 
Fu un attimo:
Sam avvertì il suo corpo diventare estremamente massiccio e cadde a peso morto per almeno una quindicina di metri.
L’ultima sensazione cosciente che provò fu quella di un sordo impatto nella soffice neve ed il gelo del ghiaccio che si infilava sotto le sue vesti, intorpidendogli i sensi.
Forse per l’urto, forse per il freddo o anche solo per lo spavento, Sam chiuse gli occhi, con il corpo ormai affondato nella neve…e perse la percezione del Mondo circostante.
 
 
*   *   *
 
 
Contemporaneamente.
Casa della famiglia ‘Witwicky’.
 
Un bambino ed una donna sedevano stretti sul divano.
“Mamma…” – Ryan si strinse in lacrime alla madre adottiva, che amava però più della naturale – “…papà non c’è più, vero? E il fratellone? Non tornerà più da noi?”
“Non fare così…papà non ci ha abbandonato.” – lei glia accarezzò la testa; lo sguardo perso – “E nemmeno tuo fratello.”
“Coraggio, signora!” – Casio le strinse vigorosamente il dorso della mano – “Deve farsi forza! Per sé stessa e per i suoi figli!”
 
La casa era ormai vuota, il personale medico aveva portato via la salma del fu Ammiraglio Ronald Witwicky, in attesa per l’obitorio ed il funerale.
Il giardino, ora ricoperto da uno strato di neve sottile, era devastato; la porta d’ingresso spalancata e le finestre incrinate dal decollo dell’enorme n.13.
Carly Spencer era ritta sull’uscio, fissando l’esterno e rabbrividendo del gelo invernale di quel cielo che piangeva silenziosamente lenti fiocchi di cristallo.
Mikaela si strinse nelle braccia, con gli occhi fissi su una delle venature della finestra del salone, confusa e stordita.
 
Poi, d’un tratto, la bella Marziana si voltò verso di lei, inveendo:
“E’ tutta colpa tua!”
La ragazza si voltò, interdetta:
“Che cosa…?”
“Mi hai sentito!” – continuò Carly, lasciando tutti ammutoliti – “Se Sam ora è scappato via, se ora soffre, se non è qui…è solo tutta colpa tua!”
Quell’accusa fu peggiore di una gomitata nello stomaco; Mikaela strinse i pugni:
“Ma come puoi dire una cosa simile?!”
“Se non fosse stato per te, ora lui avrebbe accettato di rimanere almeno qui! Sei stata tu a farlo fuggire! E’ tutta colpa del tuo atteggiamento!”
La rabbia crebbe più forte in Miss Punteggio Massimo:
Del mio atteggiamento?! Ma…come fai ad accusarmi di una cosa simile?! Come puoi pretendere di giudicarmi tanto aspramente?!”
“Perché sei sempre la solita!” – rispose la Spencer, su tutte le furie – “Perché non fai altro che voltarti dall’altra parte ogni volta che qualcuno ti si avvicina! Vuoi sempre sembrare la vittima della situazione, per evitare il contatto con gli altri e giustificare il tuo odio verso il Mondo! Sei stata solo crudele con lui, così come con tutti gli altri!”
 
Il suo odio verso il Mondo.
Quella ragazza la stava incolpando di un genocidio interiore; stava rapidamente e dolorosamente scavando nella sua coscienza, come una lama che si rivolta nella piaga.
 
“Tu…come osi parlare così a me?!” – ringhiò la pilota della n.27 – “Pensi di essere migliore?! Credi di sapere abbastanza di me?! Come può mai una come te anche solo sperare di avvinarsi ai miei sentimenti?!”
 
Carly ingioiò un groppo amaro, tentennando.
 
“Dici che sono crudele? E tu, allora?! Sempre a scodinzolare in giro per farti notare! Non fai altro che atteggiarti a gran donna, ad ostentare il tuo lusso e la tua bellezza…a vendere la tua persona!”
 
Questa fu una valida e pungente risposta alla provocazione della Marziana.
 
“Tu hai sempre avuto tutto dalla vita: i tuoi vestiti alla moda, i tuoi soldi, la tua bellezza…non sei altro che apparenza! Come puoi capirmi, tu?! Ti diverti ad ammiccare a tutti i ragazzi e non ti concedi mai, per il semplice gusto di vederli strisciare nella tua ombra! Tu passi la tua vita nell’infelicità altrui! A te non importa nulla di uno come Sam; vuoi solo un ragazzo abbastanza gentile da farti da schiavetto senza fiatare e soffrire in silenzio! Sei solo un’infida vipera!”
 
“Io sarò anche una vipera ma tu sei una Vedova Nera.” – replicò freddamente l’altra – “Non pensare di essere migliore solo perché provi vanto nella tua disgrazia. Sempre a rimuginare sugli errori di tuo padre, a pensare a quante difficoltà hai dovuto affrontare: la verità è che tu godi della tua miseria!”
 
Mikaela ebbe un sussulto, portando una mano al seno, tremante:
“Cosa…? Tu…ti sbagli!”
 
“Per favore, smettetela!” – gemette la donna, inascoltata – “Tutte e due!”
 
“No che non mi sbaglio!” – protestò Carly, alzando il tono di voce – “Sei fuggita di casa per non affrontare quel delinquente di tuo padre, hai accettato di diventare una Topless per dimostrare al Mondo la tua forza: sei sempre stata in cerca del riscatto e dell’auto-affermazione della tua Anima, ma in realtà stai solo cercando un pretesto per rifuggire le tue paure più intime! La verità è che tu temi te stessa! Sei talmente preoccupata dal difendere i tuoi sentimenti, per paura di venir ancora una volta tradita, che innalzi un muro intorno al tuo Cuore! Speri di difenderti dal Mondo e di difendere gli altri da te, ma finisci solo per far del male a coloro che ti circondano!”
 
“No…” – la bella Topless cadde in ginocchio – “…non è vero…”
 
Incurante di tutto, Carly gridò sempre con maggior forza:
“E INVECE SI’!!! Come una Vedova Nera hai fatto terra bruciata di tutti coloro che ti volevano bene e questo è il risultato! Hai perso la tua famiglia e ora perderai anche lui! Affronta la verità, Mikaela: perderai l’unico ragazzo che ti abbia davvero voluto bene per ciò che sei, che sia riuscito a guardare oltre le Mura del tuo Animo! E ora, per il tuo comportamento, rimarrai completamente sola!”
Infine urlò con quanto più fiato in gola, stringendo i pugni e pestando un piede a terra:
E FATTENE UNA RAGIONE!!!”
 
-CIAFF!!!-
 
“SMETTILA!!!” – Mikaela Banes era scattata in piedi ed aveva assestato un violento schiaffo alla ragazza dagli occhi d’ametista.
Con al voce spezzata e gli occhi umidi di lacrime amare, continuò a parlare:
“Smettila di dire certe cose…! Io…io non sono come dici tu! Io gli voglio bene! Io non voglio che soffra!”
Distolse lo sguardo e serrò i denti:
“Io non voglio che soffra nessuno! Perché io…io…”
 
C’era una parola che gli pendeva dalle labbra; una parola carica di un sentimento molto più forte del semplice affetto.
Abbastanza più forte da non riuscire ad essere espresso.
 
Con la testa ancora voltata di tre quarti, Carly Spencer la squadrò con la coda dell’occhio:
“Allora se dici di tenere a lui come affermi, se sei certa dei tuoi sentimenti…provamelo! Va’ da lui! Dimostrami che la tua non è solo paura! Dimostragli di avere qualcuna su cui poter contare ciecamente!”
 
Mikaela sollevò di scatto il bel viso dagli occhi addolorati, trafitta da quelle parole.
Riuscì solo a stringere ancora più forte i suoi pugni e a sibilare:
“Sì…!”
 
 
*   *   *
 
 
Con un rumore continuo e ovattato, i polpacci di Sam procedevano nella densa e fredda neve, scavando con difficoltà lunghi solchi.
Arrancava nel grigiore tardo pomeridiano d’inverno, con i piccoli fiocchi bianchi a discendere dall’alto in totale silenzio.
Il ghiaccio gli aveva inzuppato i pantaloni e le scarpe, mentre la schiena e le spalle iniziavano già ad inumidirsi del gelo disciolto con il calore del corpo.
La testa girava e la pelle tirava come cuoio; il fisico quasi non avvertiva più la distinzione tra ‘freddo’ e ‘caldo’: tutti suoi muscoli erano intorpiditi, i riflessi rallentati.
 
Si portò una mano alla fronte, tanto gelida da risultare quasi incandescente; non sapeva quanto tempo fosse rimasto privo di sensi, ma sapeva di essersi risvegliato quando un singolo cristallo immacolato era piovuto dal cielo ed era precipitato sul suo viso.
Ormai non pensava nemmeno più: non gli importava di sé stesso, né dei suoi amici…probabilmente non gli importava neanche più della morte del padre, che preannunciava la sua.
Era troppo esausto e confuso anche solo per soffrire nell’animo.
 
Nascosto dalla neve, un sasso gli intralciò il passo, facendolo inciampare.
Affondò nel biancore fino ai polsi.
Un secondo conato di vomito gli strinse la gola; dovette mettersi in bocca un pugno di neve per contrastarlo.
La sua stessa Machine lo aveva scaricato nel primo parco della città ed ora se ne stava lì a non fare nulla se non a sentirsi male in continuazione e piangersi addosso: provava quasi pietà di sé stesso.
 
Poi una voce lo richiamò:
“Tutto bene, figliolo?”
Sam si voltò appena: un vecchietto dall’aria bonaria e dal pesante cappotto di lana grigia gli aveva posato una mano sulla spalla ed ora lo guardava preoccupato:
“Sono certo che rotolarti nella neve con degli abiti così leggeri non faccia molto bene alla tua salute. Vieni qui…”
 
Lo aiutò ad alzarsi e lo accompagnò fino ad un’anonima panchina, sotto un albero dalle fronde imbiancate.
Si sedette al suo fianco, offrendogli una barretta di cioccolato compresso che aveva tirato fuori dalla tasca:
“Mangia. Ci vogliono calorie d’inverno! Quando ti sentirai meglio potrai raccontarmi cosa ti è successo…”
Lui addentò senza troppa voglia il dolcetto, per quanto dovette riconoscere che il sapore dolce e caldo di quel piccolo regalo fosse la cosa più rincuorante delle ultime ore; nella desolazione di quel momento era quasi commovente.
Poi il cortese nonnino chiese ancora:
“E così sei un Topless, giusto?”
Sam rimase sorpreso da quella considerazione:
“E lei come farebbe a saperlo?”
L’uomo sorrise allegramente:
“Beh, non si vede tutti i giorni una Buster Machine della FRATERNITY planare a venti metri da terra e scaraventare fuori un adolescente, non ti pare?”
“Oh…quindi è stato così evidente?”
“Sarei più stupito se qualcuno non lo avesse notato. E poi…” – l’uomo lo squadrò meglio – “…un momento: non sei tu il ragazzo che ha palato alla televisione un paio d’ore fa?”
Sam chinò la testa e annuì, fissando il terreno tra i piedi immersi nella neve:
“Comunque sia ormai non ha più importanza…non sono più un Topless. Ho perso qualsiasi controllo sul mio compagno e questo è ciò che mi merito. Ma in fondo è meglio così: non voglio più essere un Topless.”
L’anziano interlocutore si rabbuiò:
“Per quale motivo parli così? Dov’è finita tutta la dedizione del tuo discorso? I ‘Paladini dell’Umanità’…dunque non vuoi più portare la Felicità nel Mondo?”
Il ragazzo strinse i denti, mentre le lacrime iniziavano nuovamente a lumeggiare nei suoi occhi:
“Ma quale Felicità…?! Io…io ero così convinto di ciò che dicevo! E poi…poi...poi è successo quello che continuavo a mentire a me stesso: la ‘Sindrome di Archibald Witwicky’, l’unica malattia incurabile contratta dal mio trisavolo…ha infine ucciso mio padre. E lo stesso toccherà a me…è solo una questione di tempo. E quindi, se non posso sperare di vivere di più di così…che motivo c’è di lottare ancora?”
 
Lo sguardo del vecchino dal viso asciutto si adombrò di tristezza e compassione, mormorando:
“Capisco…devi sentirti davvero inerme, in confronto al dispotismo del Tempo.”
Poi sollevò lo sguardo al cielo, sorridendo solo lievemente:
“Però non sono d’accordo. Trovo inutile tutta questa auto-commiserazione e sottovalutazione. Dopotutto: non c’è molto da fare, quindi perché sentirsi incapaci di fare? Credo piuttosto che dovresti imparare la differenza tra ciò che ti piacerebbe fare e ciò che è giusto fare.”
 
“Cosa…?”
 
“La nostra vita ci mette davanti ad innumerevoli strade, tra le quali dobbiamo scegliere la più giusta da seguire.” – continuò l’ometto – “Spesso ci sentiamo insicuri e spaventati da ciò che deve essere intrapreso, perché temiamo di non poterlo potare a termine. Tuttavia, nel momento in cui decidiamo di fuggire non facciamo altro che chiudere gli occhi davanti al pericolo imminente, aspettando in silenzio la Fine. E’ questo che vuoi?”
 
“Io…no, però…non so cosa fare!” – Sam si prese la testa tra le mani – “Dannazione, ho solo sedici anni! Come posso accollarmi il peso di tante vite?!”
 
L’uomo sorrise ancora e chiese:
“Dimmi, conosci la Leggenda del GunBuster?”
 
“La grande Machine che combatté più di 12.000 anni fa?”
 
“Esatto. Si dice che le sue pilote fossero Noriko Takaya e Kazumi Amano, venivano proprio da Okinawa. E non erano affatto delle Topless! Erano delle ragazze normali, con i loro piccoli piaceri e dissapori. Il tempo provò a dividerle con i propri Paradossi, ma la loro forza vitale permise loro di rimanere unite e salvare questo nostro Universo. Per questo noi le attendiamo ancora…fin quando non torneranno. Ed è tutto merito degli Sforzi e della Volontà umana: ciò che davvero ci permette di compiere grandi cose…per preservare la nostra memoria ed essere come immortali.”
 
“Immortali…?”
 
“Già. Per noi esseri umani è un concetto così complicato da comprendere! Sai, io sono un ricercatore: cinque anni fa mi trovavo nella fascia di asteroidi di Saturno; era il giorno del passaggio di Halley.”
La sua voce si tinse di passione ed estasi:
“Quale altro uomo si sarebbe potuto interessare di una Cometa tanto antica e ormai dimenticata, se non un vecchio scienziato brontolone come me? Beh, in quel giorno io la vidi…vidi la Cometa di Halley e vidi lei: incastonata nella pietra bianca spaziale, priva di vestiti. La chiamai ‘Nono’…era la Buster Machine n.7.”
 
Sam mormorò incredulo:
“Lei ha rinvenuto una Machine?”
 
“Sì. Non so da quanto tempo fosse lì, probabilmente millenni interi. Noi Uomini non possiamo avere idea di cosa sia trascorrere un tempo tanto immenso nel buio e nella solitudine, poiché non appartiene alla nostra vita, però quella Machine conservava un solo ricordo: colei che chiamava ‘Nonoriri’.”
 
Nonoriri…” – ripeté tra sé il giovane.
 
“A parte certe eccezioni…” – riflettè lo scienziato – “…tutti al Mondo, persone ed animali, lavorano strenuamente per continuare ad esistere…anche se non vale assolutamente la pena tentare di vivere di più, poiché tutto prima o poi ha fine, anche la Vita. Però, con i nostri gesti possiamo imprimere il nostro ricordo per l’Eternità. Spesso ci diciamo che sarebbe meglio avere una Macchina del Tempo, per tornare indietro o avanti nella nostra esistenza, ma tutti noi abbiamo la nostra Macchina del Tempo: quella che ci porta indietro – il Ricordo – e quella che ci porta avanti, la Volontà. Per questo, pur comprendendo la tua sofferenza, non posso far altro che spronarti a combattere per te stesso e per coloro che ami: la giovinezza si impara a conoscere solo da vecchi, te lo dice che uno che va per i ‘settanta’.”
Si voltò verso Sam, sorridendogli.
“Tieniti stretta quella Machine, perché insieme nascondete un grande potenziale. Per rimuginare sul Passato c’è sempre tempo, ma per vivere il Presente, per commettere tutti quei meravigliosi errori…abbiamo solo una Vita.”
Infine guardò l’antiquato orologio da polso:
“Che sbadato! Sono proprio un vecchio nonno brontolone: sé già fatto tardi! Spero di non aver annoiato un bel giovanotto come te…”
 
Il ragazzo strinse una mano al cuore:
“No…mi ha fatto piacere. Però, se posso permettermi…qual è il suo nome?”
 
Appoggiandosi al suo bastone, l’ometto già era quasi scomparso nella neve cadente, come uno spettro…ma la sua voce aleggiò comunque:
“Io sono, anzi ero…Takuto Tsunashi, pilota della Buster Machine n.13 e del TauBurn.”
 
 
*   *   *
 
 
Poco dopo.
 
Sam si strinse nelle spalle, avanzando ancor un po’ nella neve fresca.
Non aveva più freddo, né voglia di piangere.
Ora era solo in cerca di sé stesso.
 
Poi, come una fragile figura di carte che ondeggia nella nebbia, la sagoma di una ragazza dai lunghi capelli neri s’intravide nel nebbioso candore di quella sera.
Alle sue spalle, un giovane uomo in divisa Topless era appoggiato alla gamba meccanica di un gigante nero inginocchiato, il cui mantello sfiorava il suolo.
Così muto ed immobile – enorme sagoma nera nella lucente chiarezza della neve – Dix-Neuf sembrava più una piccola montagna assopita sotto un cielo nero ed innevato.
 
Quasi involontariamente, Sam Witwicky cadde nuovamente al suolo; le gambe molli e pesanti.
Infilò le mani già rosse dal freddo nella neve, domandando:
“Perché siete venuti fin qui?”
 
“Perché tu sei nostro amico, giusto?” – rispose Mikaela Banes – “E’ così che si fa con una persona a cui si tiene, o forse sto sbagliando ancora?”
 
Lui chinò il capo, come sconfitto, mormorando:
Amici, già…dei Topless, come tanti altri, come me. Ma a che cosa serviamo, davvero? Che senso ha questa parola?”
 
“Io…” – rispose incerta la ragazza – “…credo che voglia indicare…qualcuno di cui puoi fidarti.”
“Non puoi rinnegare la tua persona, Sam.” – irruppe la voce severe ed impostata di Casio Takashiro – “Puoi anche fingere di non sentire, puoi anche scappare il più lontano possibile da questa Terra…ma alla fine non farai alto che tornare sui tuoi passi. Perché è questo ciò che sei: un Topless. Tu sei te stesso: sei Samuel Witwicky, il figlio di quello che un tempo fu noto come l’Ammiraglio Ronald Witwicky.”
 
“Io…” – strinse un pugno nella neve – “…io non posso cambiarmi, però…però voglio smettere di essere un Topless! Forse quell’uomo ha ragione, forse posso davvero aiutare qualcuno, ma…io non credo di esserne capace! In tuto questo tempo ho sempre sperato di reprimere le mie paure e alla fine cosa ho ottenuto?!”
Corrugò la fronte e gridò, carico di ira:
“Nulla! Solo altro dolore! Ma non capite?! Non abbiamo alcun potere! L’Energia Topless…quale assurda idiozia! Essere un Topless non alcun senso! Le guerre non cesseranno, il Male non abbandonerà mai gli Uomini ed io…io mi sento così inutile! Se non posso nemmeno salvare me stesso, come posso sperare di salvare qualcun altro?! TUTTO QUESTO E’ RIDICOLO!!! So già che sarò costretto ad affrontare la mia prossima missione, ma giuro che non avrò più intenzione di mettere piede a bordo di una Machine!”
Sibilò venefico:
“Niente più poteri speciali, niente più Discorsi di Fine Anno, niente più Squadra ‘Zuccherini’…niente di niente! Sono tutte cavolate…!”
 
In preda ad un moto dell’Anima che sfuggì alla sua stessa comprensione, Mikaela Banes corse nella neve bianca e soffice, gettandosi innanzi a lui, con le ginocchia nude nel gelido biancore.
Lo abbracciò, stringendogli il collo e gemette in preda a deboli lacrime ghiacciate:
“Mi dispiace…mi dispiace così tanto! Io…io…io ti…”
Ma quella parola proprio non voleva saperne di uscire dalle sue labbra, troppo orgogliose per poter ammettere il suo dolore.
 
Tuttavia, il ragazzo agì con una freddezza più glaciale di quella giornata, che il suo stesso Cuore stentò a riconoscere:
Non ricambiò l’amplesso, né se ne curò; semplicemente si scostò un po’, mormorando tra sé:
“La ringrazio, Signorina….ma oramai ‘Topless’ non sono più i difensori dell’Umanità.”
 
Come una melanconica melodia invernale, quelle parole sfumarono nell’aria fredda notturna.
 
Senza aggiungere altro, Casio Takashiro scrutò con compassione e rimorso quei due giovani adolescenti dal Cuore annerito per il troppo dolore.
Tenendo loro una mano oltre la cascata soave di neve candida, riuscì solo a pronunciare una frase:
 
 

 

“Torniamo a casa…”

 
 
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