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Autore: SparkingJester    27/06/2012    1 recensioni
Imperi in guerra, principi, giullari, draghi maestosi e i loro cavalieri saranno i protagonisti di un avvenimento che metterà a soqquadro le loro menti e sconvolgerà i loro piani. Fiamme, colpi di scena comici e truculenti e una battaglia tra titani percuoteranno la vostra mente!
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Occhi azzurri scrutavano il campo di battaglia; capelli bianchi e lunghi seguivano i movimenti della testa da sotto la corona dorata; la lingua faceva capolino da una barba corta color rame per inumidire le labbra; con lo spadone in mano, il mantello in spalla e i piedi nelle staffe l’Imperatore diede finalmente la carica:
<< Avanti! >>
Il suo possente frisone non si mosse al passaggio di migliaia di suoi simili lanciati all’attacco con feroce impeto. L’imperatore fissò l’orizzonte: le forze nemiche stavano avanzando con passo lento e deciso, con picche, scuri e scudi alti. Il vento, causato dal passaggio dei cavalieri, sollevò i capelli di Bihares che, colto da una scarica di adrenalina e col sorriso sulle labbra, si lanciò anch’esso alla carica per sconfiggere l’avversario di tutta una vita: Surga, Re Anziano dei Suriaki.
Le due armate si infransero l’una sull’altra: cavalieri imperiali impalati dalle picche, soldati suriaki travolti dai possenti destrieri. Tra Impero e Suriaki vi era sempre stata guerra; in pochi ricordano di una collaborazione o di una pace tra le due potenze. L’una governa sulle terre dell’Ovest, l’altra sui deserti dell’Est e i motivi dei loro contrasti non potevano essere che di natura economica: entrambe volevano ciò che l’altra possedeva e nessuna delle due si accontentava di ciò che aveva. 
Scudi accartocciati dai martelli, teste trafitte da lance, spalle recise da spade: ecco come finivano la maggior parte delle dispute tra i due Re: nel sangue, nella morte.
La cavalleria imperiale era solo un diversivo; dalle retrovie un battaglione di fanti pesantemente corazzati avanzava in formazione serrata: sarebbe stato facile assegnare la vittoria all’Impero, erano in superiorità numerica e meglio equipaggiati. I soldati suriaki iniziarono infatti ad avere difficoltà nell’affrontarli: le spade leggere e sottili degli orientali non potevano scalfire le corazze temprate dei fanti imperiali, spesse svariati centimetri, e di certo non era facile colpire le giunture tra un pezzo e l’altro dell’armatura. Ma i suriaki, benché meno numerosi e diversamente armati, erano da sempre i migliori strateghi: un corno risuonò nel marasma della battaglia. Urla di dolore, di rabbia, di morte, smisero di uscire dalle gole di migliaia di soldati. La battaglia sembrò fermarsi. Un brivido di paura scosse gli imperiali, uno di speranza attraversò i suriaki.
Due possenti macchine da guerra attraversarono l’orizzonte riuscendo miracolosamente a piazzarsi nel bel mezzo del campo di battaglia senza essere sfiorate dalle forze avversarie. Le ruote vennero tolte, le basi fissate a terra. Due sfere di ferro, legate con una catena, vennero fatte penzolare a tre metri da terra: uno stregone iniziò a formulare strane litanie e a bagnare le sfere con un liquido. Le sfere iniziarono a brillare e gli sguardi imperiali erano fissi su di esse. Ogni soldato suriaki estrasse dalla cintola un paletto e lo conficcò, in fretta e furia, nell’armatura del soldato nemico più vicino. Lo stregone finì di preparare le macchine, tirò una leva e le sfere si mossero: un flash. Fumo e puzza di carne bruciata iniziò a riempire il campo. Bihares non riusciva a crederci, non sapeva cosa dire, cosa ordinare: le sfere si erano toccate e tutti i soldati con un paletto addosso furono colpiti da una scarica elettrica, un fulmine. Lo sguardo dell’imperatore si muoveva frenetico sul campo dove guerrieri suriaki posizionavano altri paletti nei corpi dei loro avversari, inermi alla loro velocità e sveltezza di mano, inermi alle loro magie. Le sfere si mossero ancora, si toccarono ed esplosero. Altri soldati caddero, altro fumo si levò. 
All’imperatore non restò altro da fare: estrasse uno strano corno a spirale e, con forza, richiamò la “sua” arma segreta. Con il corno in mano e il volto soddisfatto per l’imminente vittoria, Bihares spalancò le braccia e salutò i nuovi arrivati:
<< Cavalieri dei Draghi, rendetemi fiero di voi! >>
Tre grandi figure attraversarono il cielo oscurando il sole e tutti i soldati sotto di loro.
Una di esse si appollaiò sull’altura dal quale l’imperatore aveva dato la carica, l’altra atterrò su una delle macchine da guerra mandandola in pezzi e l’ultima rimase a volare in circolo, come un condor a caccia di carogne.
Eito, dall’altura, osservava seduto a gambe incrociate sulla testa del suo drago, Tolus. Alto più del normale e col fisico di un atleta, era uno dei cavalieri più rispettati dell’Impero: indossava una casacca priva di maniche, lunga fino alle caviglie e legata con una cintura. I volti di drago e cavaliere erano simili: il drago aveva una testa affusolata, lunga e liscia, senza occhi e con due strette fessure per naso; Eito invece portava sempre un velo di fronte al viso e i capelli sempre nascosti sotto ad una cuffia. I colori delle sue vesti, bianche e azzurre, rispecchiavano la sua personalità e i suoi modi di fare, nonché il suo titolo: il Pacifista. 
Bihares si voltò verso quest’ultimo come per ricevere una conferma e un cenno del capo da parte del cavaliere placò le sue paure. L’imperatore, il condottiero dell’armata, poteva tornare sul campo di battaglia in tutta tranquillità, sicuro che nessun soldato nemico sarebbe mai riuscito a toccarlo, non con il Pacifista a coprirgli le spalle.
In volo vi era Algos, la Guida dei Falchi, a cavallo del suo irto drago, Baton. Considerato il miglior arciere dell’impero, Algos rendeva onore al suo di titolo: mira infallibile con ogni tipo di arma, occhio svelto. Un soggetto iperattivo, attento ad ogni minimo movimento, obbediente e paranoico. Forse il miglior soldato che un generale possa desiderare se non fosse per la sua schizofrenia, la quale spesso riduce il povero cavaliere alla solitudine o all’emarginazione per paura di un qualche attacco d’ira. 
Protetto dalla sua armatura d’osso, con occhi verdi sgranati e coi corti capelli al vento, Algos faceva strage di nemici dall’alto col suo elaborato arco in ebano. Per grande sfortuna dei nemici però non erano frecce quelle che partivano da quell’arco, ma altre ossa. Baton era un drago particolare cresciuto con una strana abilità: quella di mutare continuamente le proprie squame e rigenerarle all’istante se queste fossero state in qualche modo danneggiate. Il vantaggio più grande per Algos, però, era che le squame non erano neanche minimamente simili a quelle degli altri draghi bensì erano enormi lance d’osso. Bastava sfilare una lunga e affilata squama, incoccarla e mirare; la morte era assicurata e il nemico a volte veniva anche sbalzato a qualche metro di distanza con forza spaventosa. Spesso Algos si divertiva a combattere corpo a corpo utilizzando le “frecce” più grandi come lance o come giavellotti. Ma questa volta, dalla schiena del suo drago, quasi fosse una faretra di frecce infinite, la Guida dei Falchi massacrava i suriaki trapassando anche due o più nemici insieme, disarcionando cavalieri o impalando nemici al terreno.
Ma il vero pericolo per i suriaki era a terra, proprio su una delle loro amate macchine da guerra: Cikra il Dragone, seguito da Vantos, il Drago Nero. Il nero era infatti il principale colore che ricopriva i due: nere le squame del drago, nere le fiamme che sputava sui nemici indifesi e nera la pelle del cavaliere che insieme alla lucente armatura, donava a Cikra un aspetto maestoso e spaventoso. Maglio alla mano, era una leggenda vivente e si diceva fosse inarrestabile. Forse mortale, forse immortale. Le sue parole risuonarono nel silenzio del campo:
<< Facciamola finita in fretta, ho una cena in sospeso! >>
La voce, profonda, bassa e minacciosa, spaventò a morte tutti. Il Dragone stava per mostrare la fonte del suo immenso potere e l’origine della leggenda della sua immortalità: Vantos si sollevò su due zampe, spalancò le ali e ruggì potente come non mai. Molti si strinsero le orecchie e contemporaneamente assistettero ad uno spettacolo unico: il drago stava lentamente svanendo, si trasformava in fumo e il suo ruggito si arrestò nell’aria. Lo strano fumo però era risucchiato da qualcosa che proveniva da terra: l’ombra del suo padrone. Cikra aveva gli occhi completamente bianchi, le braccia tremavano, il maglio cadde a terra. L’ombra catturò tutto il fumo, assorbì l’intero drago nero. E iniziò la magia: le componenti della corazza di Cikra iniziarono a cadere lasciandolo a petto scoperto. Le ossa iniziarono a fremere e poi a spaccarsi rumorosamente. Il cranio si gonfiò e, all’altezza della nuca, due ossa acuminate fuoriuscirono. Le spalle si allargarono e delle placche ossee strapparono la pelle e andarono a coprire spalle e avambracci. Le nocche divennero irte di ossa e il petto insieme alle costole si dilatarono mostrando anch’essi delle placche ossee nere come la pece. Cikra il Dragone si era ormai trasformato in un mezzo-drago. Un ibrido con la forza e i poteri di un drago e con la coscienza e l’intelletto di un uomo. Un sorriso bianco stagliò sul nero del viso:
<< Che inizino i giochi. >>
Detto questo, le guance si gonfiarono e un’intensa fiammata nera carbonizzò decine di nemici. Altri tentarono di attaccare e di penetrare le ossa con spade, lance e asce ma l’esoscheletro del drago era più resistente del previsto. Possenti pugni sfondarono teste, poderosi urli fecero volare soldati. Recuperato il maglio, Cikra era ormai in preda ad una furia omicida.

Un anziano, stanco e sdraiato su un trono di cuscini, osservava i cavalieri di Bihares devastare le sue truppe. Barba lunga e bianca, corona sulla testa e rughe sul volto, Surga era ormai allo stremo delle forze.
<< Vassor… >>
La voce, flebile e rauca, era pronta ad impartire il suo ultimo ordine:
<< Vassor…Vieni qui. >>
<< Si, maestà. Eccomi. >>
Svariati colpi di tosse resero l’immagine del potente Re Surga solo quella di un vecchio malato e in fin di vita.
<< Le nostre forze stanno per essere sbaragliate, i mercenari sono in rotta e non abbiamo più rinforzi. >>
Un dito rinsecchito fuoriusciva dalla manica delle rosse vesti sfarzose; indicava il campo di battaglia, al sicuro dal trambusto, dalle polveri, dal sangue e dalle urla in un baldacchino sull’alto di una collina, protetto da un manipolo di forze d’elite.
<< Hai il permesso di attuare il tuo piano. Fallo, fallo per il bene dei Suriaki. Poni fine alla guerra… >>
Il volto di Vassor, giovane e delicato, divenne deciso e pieno di rabbia.
<< Non la deluderò, maestà. >>
Il giovane si strinse gli ultimi lacci dell’armatura, prese con se un pugnale e una pietra con sopra incisa una runa e li ripose nel cinturone. Voltatosi verso l’Anziano Re, si inchinò per poi proseguire in sella ad un cavallo senza dire una parola e con le lacrime al viso.
Vedendolo andar via, Surga parlò tra se e se:
<< Buona fortuna, figlio mio… >>

La battaglia era ormai agli sgoccioli: Cikra e Algos stavano ripulendo il campo dagli ultimi soldati rimasti mentre Eito teneva d’occhio il suo imperatore mentre errava alla ricerca di qualche nemico facile da sconfiggere. Alla sua età Bihares non era più un valoroso guerriero ma la sua volontà era più forte di qualsiasi ramanzina dei suoi fedeli consiglieri e, spesso, si ritrovava a vagare da solo per il campo di battaglia.
Vassor, abbandonato il cavallo, attraversò rapido le file alleate scavalcando cadaveri e schivando fendenti ma senza troppi problemi riuscì a giungere al cospetto di Cikra. Intorno a lui una macchia di morte: cadaveri mutilati, ustionati, carbonizzati e maciullati. Il Dragone era intento a spezzare una formazione di scudi suriaki e di sicuro non poteva capitare momento migliore. Vassor uscì allo scoperto, sotto gli sguardi terrorizzati dei suoi compagni, e si diresse verso l’enorme guerriero. Vassor era decisamente più basso del cavaliere posseduto e sembrava che quest’ultimo non avesse neanche notato la presenza del piccolo intruso. Dopo un attimo di esitazione, il principe estrasse la pietra con la runa e con il coltello ne seguì l’incisione. Una volta finito, la lama iniziò a surriscaldarsi. Divenne incandescente e con forza Vassor la conficcò nel fianco del possente Dragone, all’altezza del rene. I soldati, sia nemici che amici, non poterono credere ai loro occhi. Un singolo colpo, una singola pugnalata, aveva scalfito l’impenetrabile corazza di Cikra dove già altre asce e spade avevano tentato senza risultati. Lo stesso cavaliere nero si voltò stupefatto e con un sorriso soddisfatto parlò:
<< Oh, complimenti. Sei il primo che ci riesce, ma mi dispiace. Addio. >>
Un veloce manrovescio scaraventò Vassor in aria facendolo atterrare su un mucchio di cadaveri. Con la schiena dolorante e col respiro mozzato, il principe benedì l’imbottitura di squame di Viverna della sua corazza leggera e col cuore in gola trovò le forze per alzarsi. In lontananza Cikra era ancora intento a massacrare i suoi compagni ma il principe non poteva perdere tempo. 
<< Devo trovare qualcosa. Ma cosa? >>
Lo sguardo si mosse in ogni direzione, il collo e tutti i muscoli tremavano ancora per il colpo ricevuto. Qualcosa catturò la sua attenzione: un bagliore. Vassor si mosse, fortunatamente era in una zona ormai piena di cadaveri e poté muoversi liberamente senza essere attaccato. Finalmente individuò la natura di quel bagliore: la corona dell’imperatore. Bihares cavalcava in quel mare di corpi senza vita alla ricerca di un nemico e i due non poterono che incrociare i loro sguardi: Bihares si paralizzò notando la divisa di Vassor. Eito era la guardia del corpo dell’imperatore e avrebbe fatto di tutto per impedire al suo sovrano di farsi del male, ma l’imperatore si accorse che il suo protettore era momentaneamente distratto, concentrato su un grosso soldato suriaki che stava apparentemente tenendo testa a Cikra con la pura forza bruta. Dopo attimi di silenzio e immobilità, Bihares diete un’occhiata fugace verso Eito, poi verso Vassor e infine si lanciò alla carica con sguardo feroce. Vassor era pronto, estrasse il pugnale e con mano rapida ripeté l’operazione con la runa sulla pietra. Bihares sollevò la spada a pochi centimetri dal nemico ma per Vassor fu piuttosto semplice: si spostò di un passò lateralmente. Il colpo andò a vuoto e Bihares, perso l’equilibrio, cadde da cavallo e batté forte la schiena contro il terreno, perdendo la corona. Il principe approfittò di quel momento e praticò un piccolo foro sulla corona dell’imperatore. Una volta finito, indietreggiò di qualche passo con aria soddisfatta fissando Bihares. Prese un cadavere e lo posizionò nel punto in cui lui avrebbe dovuto essere e lasciò che il vecchio imperatore, una volta ripresosi dal colpo, credesse di aver finalmente ucciso qualcuno.
Vassor si allontanò correndo e una volta fuori dal campo visivo, Bihares si risollevò da terra osservando con volto dolorante l’operato della sua spada. Soddisfatto, estrasse il corno e suonò. La vittoria era sua, l’Impero aveva vinto.
  
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