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Autore: meiousetsuna    27/06/2012    9 recensioni
Questa storia partecipa al contest “È nella mia natura...” indetto da Nirvana_04 sul forum di Efp.
3X22... tardiva! Elena si è appena trasformata in vampira, ed è sua ferma intenzione non completare la transizione, preferendo morire che diventare una creatura delle tenebre.
Stefan ne è stato in gran parte responsabile, ma è Damon che tenterà di farla tornare sulla sua decisione.
Un po' in ritardo sui tempi... ma l'ispirazione è arrivata adesso!
Dal testo: "Tu l'hai uccisa Stefan! Come se lo avessi fatto con le tue stesse mani, per salvare Matt!" Elena non si ricordava di aver mai sentito la voce di Damon diventare un tale ringhio animale da farle veramente paura. Percepiva chiaramente che non accennavano a muoversi, e capì senza ombra di dubbio che se avesse ceduto alla tentazione di colpire suo fratello lo avrebbe ucciso, questa volta sarebbe andato fino in fondo".
Anche se ne avrete già lette tante sull'argomento, fermatevi, se vi va!
Baci dalla vostra Setsuna
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest “È nella mia natura...” indetto da Nirvana_04 sul forum di Efp.

Ambientazione: fine della 3 x 22
Paring: Damon/Elena, + Stefan
Genere: Romantico, triste, drammatico
Avvertimenti: Fluff

Everything of Me

 

Lo studio privato di Damon a casa Salvatore non avrebbe potuto definirsi certo ‘una stanza piccola’, nel comune senso di questa esplicitazione, anche se lo era nell’economia della grandezza di tutte le altre camere.
Comunque, per Elena era praticamente una tomba in quel momento, che poi era il luogo dove avrebbe dovuto trovarsi. Sì, perché era morta, ne era certa ormai, anche se una provvidenziale e fortunata serie di circostanze le aveva permesso di tornare tra i viventi. O forse, il nome più appropriato era Maledizione.
Aveva aperto gli occhi sul tavolo di un obitorio e dopo pochi secondi tutto era apparso fin troppo chiaro, aveva assistito ormai innumerevoli volte a strane resurrezioni per avere dubbi su quello che stava succedendo. Era diventata una vampira. Senza la benché minima partecipazione della sua volontà, neanche quella postuma che avrebbe dovuto accompagnarsi alla scoperta di non essere finita per sempre. Mentre la trascinavano via avvolta in una coperta, correndo a nasconderla nella casa più sicura della città, aveva avuto tutto il tempo per riflettere.


Era ‘scomparsa’ a diciotto anni, dopo un’esistenza che per qualcuno avrebbe già potuto definirsi piena e particolare, ma non secondo il suo metro di giudizio. Ricordava di aver visto perire i suoi genitori, Jenna, John e perfino Isobel. Di aver sperimentato negli ultimi due anni solo immenso dolore intorno a lei, lutti, separazioni, tragedie.
Aveva amato ed era stata amata, nessuno avrebbe potuto mettere in dubbio questo, ma senza arrivare a conoscere la piena felicità neanche un giorno; anche quelli migliori portavano l’ombra di un presentimento negativo, che trovava la sua piena espressione in quel momento.
Condannata all’eterno tormento.* Alla sete di sangue umano, per mantenersi giovane, bella, forte… viva. Anche se quella parola non le si adattava più. Era tutto quello che aveva odiato, la parte che avrebbe strappato via perfino da Stefan se avesse potuto, offrendogli in cambio un’esistenza semplice, normale, di sessanta magari settanta anni ancora, invecchiando insieme, vedendo crescere i loro figli.
Era solo una questione di coraggio, di sopportare una giornata di agonia, poi tutto sarebbe finito. Quando Jeremy e Stefan le avevano raccontato ogni cosa, fino ai più piccoli dettagli, tenendole le mani per trasmetterle il loro appoggio e distrarla da se stessa - la fine di Alaric, di Tyler - avevano ottenuto il contrario dell’effetto sperato.
Non sarebbe diventata un potenziale strumento  omicida, un pericolo per le persone care che potevano ancora salvarsi. Suo fratello sarebbe tornato a Denver e Matt sarebbe potuto andare via con lui, entrando in qualche college con la borsa di studio del football; gli Originali avevano vinto, anche quelli che non c’erano più. Ma ora non aveva importanza.


Quando aveva comunicato la sua decisione di non completare la trasformazione, mentre tutti erano saltati in piedi circondandola per rassicurarla del loro affetto, con parole affettuose e suadenti, si era sentita trascinare via per un braccio con violenza. Si ritrovò in una camera, la schiena sbattuta contro un mobile, mentre un furioso Damon la lasciava lì chiudendo la porta dietro di sé, tenendola bloccata con le spalle dall’esterno, ma non ce ne sarebbe stato bisogno; senza ingerire quello che serviva alla transizione si sentiva debolissima, tanto da restare esattamente come lui l’aveva lasciata. Inerme.
Malgrado avesse optato per la morte definitiva, l’istinto di conservazione della specie predatoria gridava ferocemente dentro di lei, costringendola a decidere di economizzare le energie. Fuori era in corso una lite furiosa, che i due fratelli non cercavano neanche di nascondere; ormai il suo udito era acuito in modo assurdo e le loro voci rimbombavano dolorosamente direttamente nel cervello, giungendo a provocarle fitte lancinanti dalle orecchie lungo tutto il sistema nervoso.
Tu l’hai uccisa Stefan! Come se lo avessi fatto con le tue mani, per salvare Matt!” 
Elena non si ricordava di aver mai sentito la voce di Damon diventare un tale ringhio animale da farle veramente paura. Percepiva chiaramente che non accennava a muoversi e capì senza ombra di dubbio che se avesse ceduto alla tentazione di colpire suo fratello lo avrebbe ucciso, questa volta sarebbe andato fino in fondo. Per lei, per colpa sua. Renderla definitamente la copia di Katherine, li avrebbe divisi in un modo irreparabile.


Stefan piangeva col viso nascosto tra le mani, senza osare opporre l’unica difesa che possedeva, cioè spiegargli di nuovo, per la centesima volta, che aveva assecondato i suoi desideri, che era quello che Elena voleva. All’inizio credeva in quello che diceva, mentre tutti insieme trattenevano a malapena Damon, poi col passare delle ore si era come raffreddato e aveva riflettuto davvero per la prima volta.
Aveva accettato di vederla affogare per rispettare la sua decisione e ora incolpava il destino, quando era stato tutto nelle sue mani; ora imprecava a vuoto, contro se stesso, perché non riusciva a tollerare di avere metà della responsabilità di quello che era successo, avrebbe dato l’anima per poter tornare indietro, ma questo non era possibile. Non aveva alcuna intenzione di scappare per sottrarsi alla furia di Damon, anzi sperava che lo facesse. Porre fine alla sua eternità di sofferenze.
Soprattutto non osava guardarlo negli occhi sapendo di leggervi un disprezzo che meritava pienamente e da parte di una persona a cui teneva in un modo che stava capendo davvero solo in quel momento; si era comunque sentito lui quello più buono, più capace di fare un passo incontro all’altro, ma ora tutte le sue illusioni a riguardo cadevano come foglie in autunno. Se l’era sempre presa comoda, in un certo senso, tanto quello che faceva e disfaceva le cose era suo fratello, l’energia era sua per amarlo di più, odiarlo di più. Mai restare indifferente.
Adesso sentiva che il suo disgusto superava di gran lunga la sua voglia di vendetta, che piuttosto che donargli il sollievo di non essere testimone dei prossimi avvenimenti, quali che fossero, gli avrebbe fatto scavare con la mani nude la terra per la tomba di Elena, se fosse morta, o lo avrebbe costretto ad andare a caccia per portarle degli umani feriti o degli innocenti animaletti, dovendole insegnare a convivere per sempre con la fame.


Non avrebbe potuto rifiutare nessuna di queste punizioni, pensò, le meritava tutte e nessuna era preferibile all’altra. Nel primo caso, avrebbe potuto buttare via l’anello e restare al cimitero ad attendere il levarsi del sole, ma la sua dipartita non avrebbe restituito la vita alla ragazza amata, nel secondo sarebbe vissuta, impedendogli di immolarsi per prendersi cura di lei.
Appena prima che il vuoto tra loro fosse riempito verbalmente o fisicamente, qualcosa interruppe quello stallo doloroso.
“Damon”. Era appena un sussurro, ma la pesante porta di noce era come un foglio di carta velina tra i tre vampiri.
Lui si voltò alle sue spalle, come se l’ostacolo neanche esistesse, poi tornò a posare lo sguardo sul più giovane.
“Sparisci dalla mia presenza, ma senza allontanarti troppo. Ti verrei a cercare in capo al mondo e non sarebbe un bel momento per te”.
“Sarò al piano di sotto, con gli altri. Non ci penso nemmeno a fuggire, credimi. Qualsiasi cosa deciderete, sarà giusta, per me.”
Si alzò con stanchezza infinita, senza risollevare gli occhi inondati di lacrime dal pavimento, scendendo le scale senza alcun rumore, l’ombra di se stesso.
Damon si chiese, con un guizzo del suo macabro senso dell’umorismo, che in quel momento lo fece imbarazzare, se i vampiri potessero lasciare un fantasma dietro di sé.
Entrò nella stanza, dove aveva acceso appositamente solo una lampada da lettura piuttosto velata, per non ferire le pupille di Elena finché non si fosse abituata a sopportare bene il nuovo effetto delle luci intense e la loro stupida amica strega non le avesse incantato un gioiello protettivo. Non si era mossa di un millimetro, mentre imparava spontaneamente a respirare nella diversa maniera dei vampiri, non perché il suo fisico avesse bisogno di ossigeno condotto in quel modo, ma per mera abitudine, in modo superficiale. Era lei, ma così diversa.
Gli occhi avevano una luminosità più accentuata, la sua emanazione era più eterea, ma nel contempo più percepibile e peculiare  come se gli atomi che componevano la sua forma danzassero ad un ritmo impazzito, riorganizzandosi.

“Non puoi ucciderlo, lo sai - Damon fece un violento sforzo per contenere la sua rabbia tentando di concentrarsi completamente sull’ascolto di quello che lei gli stava dicendo – non te lo perdoneresti mai.
“Se non l’ho fatto e non ho valutato neanche un secondo di arrivare a tanto è per lasciarlo a te ”.
Elena accennò uno strano sorriso tagliente che la mise a disagio, sentiva che la era la cosa a controllare lei e che non rafforzandosi, quella sensazione l’avrebbe accompagnata fino alla fine.
“Normalmente comincerei a farti riflettere su quello che hai appena detto, ma non c’è tempo… diciamo che ho scelto di fidarmi e basta. Così tanto che vorrei mi promettessi di vigilare anche sul mio, di fratellino, ho paura che faccia qualche stupidaggine quando sarò…”
“Non azzardarti a finire questa frase – il tono del ragazzo era duro, privo di qualsiasi cedimento – per fortuna, nelle stanze dove passo più tempo ho sempre qualche riserva”.
Aprì con uno scatto secco quello che sembrava un normale sportello tra i molti libri presenti sugli scaffali, rivelando un mini-bar dal quale estrasse una sacca di sangue, strappando l’attaccatura del tubicino e versando un po’ del contenuto in un calice panciuto, scaldandolo con le mani. Si avvicinò prudentemente alla ragazza, fino a intrappolarla tra il suo corpo e la libreria, portandole il bicchiere all’altezza della bocca, aspettando senza battere ciglio.
Lei deglutì con difficoltà, serrando i denti nel vano tentativo di nascondere i canini che sporgevano leggermente, stimolati dall’odore pungente del liquido rosso scuro, girando il viso di lato e facendo un segno di diniego con la testa, salvo ritrovarsi mezzo secondo dopo le dita di Damon su una tempia che delicatamente ma fermamente la fecero di nuovo voltare fino a intrecciare gli occhi con i suoi.


“Mettiamo una cosa in chiaro. C’è qualche ora a disposizione, ma sarò più tranquillo se ci toglieremo il pensiero subito, d’accordo? Ci sono tre modi in cui questo può succedere, per fortuna non ci saranno testimoni in nessun caso e ti giuro che preferirei moltissimo il primo. Uno, ragioni e decidi di bere tranquillamente, ti assicuro che non sarà così terribile, devi credermi. Due, vuoi vedermi chiedertelo in ginocchio? Lo farò e intendo letteralmente, non c’è nessun altro che possa vantarsi di sapere com’è osservarmi dall’alto in basso così, ma se è di una giustificazione morale che hai bisogno, ti offrirò la possibilità di pensare che lo fai perché ti sei impietosita”.
Elena non credeva a quello che sentiva, ma la frase successiva le tolse del tutto il fiato.
“L’ultima, sarebbe quella di forzarti, dovessi alzare le mani su una donna per la prima volta nei centosettantadue anni della mia vita. Questo mi costerebbe quello che è rimasto del mio onore, ti sarei oltremodo grato se non mi obbligassi”.
“Non ne saresti capace, per nessun motivo al mondo”. 
Si stupì di se stessa, un attimo prima era inebetita dalla sorpresa delle parole che aveva ascoltato, ma una parte di lei aveva scavalcato con facilità l’altra, lasciando rispondere l’istinto. Forse era quello che intendevano quando spiegavano che per i vampiri tutto è amplificato? Non aveva potuto controllarsi e scegliere un prudente silenzio.
Damon sollevò lentamente la mano, socchiudendo gli occhi.
“So che mi disprezzerai per tutta la tua esistenza, ma la avrai e sarà eterna, se vorrai, solo questo conta per me. Bevi?” 
“No”.


Il pugno del vampiro fendette l’aria a tale velocità da sollevare i capelli sottili di Elena e si abbatté a pochi millimetri dal suo viso con tale forza da spezzarne alcuni insieme al legno, arrivando fino alla parete. Lei non si era scomposta, sapendo perfettamente che sarebbe andata così. Ma non che avrebbe visto lacrime di rabbia scendere su quel viso perfetto portando in sé il riflesso azzurrino delle iridi che avevano toccato prima di riversarsi.
Damon stava odiando se stesso fin nel profondo, aveva appena mandato all’aria il ritrovato legame con Stefan perché non era stato uomo abbastanza da decidere per il meglio e ora stava facendo esattamente la stessa cosa, eseguendo i suoi ordini. Più tardi avrebbe sistemato anche quella faccenda, adesso il tempo stringeva, poteva vedere di attimo in attimo delle ombre bianche allargarsi sulle palpebre di Elena, le gengive impallidire, le sue mani gli sembrarono quanto mai sottili… probabilmente in parte era la sua immaginazione.
Crollò con la fronte su quella della ragazza, completamente distrutto da quella prova, quella lotta e dal senso di inadeguatezza che provava.
“Bevi, ti prego. Non voglio essere violento con te, ma non starò a guardare mentre ti suicidi. Non te lo permetto. Conto fino a tre, poi ti caccio questo sangue in gola direttamente dalla sacca, sai che non riuscirai a opporti”.
Elena lo fissò, asciugandogli le lacrime con i pollici, sforzandosi di restare impassibile, per non cedere.
“Non berrò mai sangue umano. E so che quello animale non è abbastanza complesso per la trasformazione. Capisci? Hai fatto tutto il possibile per me, lo so, ma ora devi lasciarmi andare”.
“Niente sangue umano".
Con studiata lentezza Damon rovesciò il contenuto del bicchiere sul prezioso tappeto indiano, cercando di rimarcare il gesto con un sospiro, poi prima che Elena accennasse a fermarlo, si morse delicatamente un polso e fece sgocciolare un sottile rivolo, riempiendolo quasi fino all’orlo, quindi le fece il cenno di prenderlo.

Lei era come ipnotizzata; non aveva cambiato idea, ma l’intimità di quel gesto era coinvolgente e il profumo che giungeva a solleticare il suo olfatto ipersensibile, ben diverso dall’odore morto di prima. Sembrava vino rosso speziato, molto simile alla fragranza naturale della pelle del vampiro, che non aveva mai distinta profondamente sotto la copertura del sapone  e del dopobarba, per quanto leggerissimi.
Era l’atteggiamento più rilassato di Damon, a farla tentennare. Aveva percepito subito il suo cedimento e si sentiva la vittoria in tasca, permettendosi così di tornare a essere protettivo e attento. Intinse un dito nel suo stesso sangue e dolcemente, glielo passò sulle labbra, colorandole come un rossetto scarlatto; un brivido lo attraversò vedendo come quella traccia la rendesse terribilmente sensuale.
“Da brava, non è umano. Mantieni la parola”.
Elena chiuse gli occhi fortissimo e mettendosi una mano davanti la bocca, per non farsi guardare da lui, si leccò in un attimo; era stato più forte di lei, ne aveva già pregustato il sapore e  il suo corpo si era procurato quello che gli serviva. Semplice.
Ormai era fatta, tornare indietro era un’opzione difficile, Damon lo sapeva per esperienza personale. Non riusciva a essere né felice, né il contrario, ma non erano le proprie emozioni a importargli in quel momento. Doveva riuscire a distrarla dal riflettere sulle conseguenze future e mantenerla nello stato d’animo di continuare ad assumere una dose sufficiente di sangue per ultimare la trasformazione. Prese un piccolo sorso dal bicchiere e senza aspettare nessun assenso le diede un bacio, prima sfiorandola appena, poi premendo e facendosi spazio pianissimo con la punta della lingua.
Quando lei cominciò a ricambiarlo con passione, la abbracciò stringendola al petto, senza smettere di accarezzarle i capelli e la schiena, finché non la sentì arrendersi senza più riserve. Elena si scansò da lui per prendere il calice, svuotandolo fino all’ultimo, per poi scoppiare finalmente in un pianto liberatorio, le mani intrecciate dietro la nuca del ragazzo. Damon cominciò a cullarla, senza allentare la presa, sussurrandole nell’orecchio.


“É fatta, il peggio è passato, ti giuro che da adesso andrà meglio, ti fidi di me? Saremo tutti vicino a te, io ci sarò ogni momento. Prima ho dovuto minacciarti di ricorrere alle maniere forti, ma finalmente hai capito – Damon tentò di distrarla scherzando – probabilmente non hai potuto resistere, perché essendo il mio sangue, è il più buono, il più desiderabile, il più ricco, caldo, profumato, inebriante…”
A ogni parola il suo sorriso si allargava, sentendo che Elena stava smettendo di singhiozzare, finché non si calmò completamente, risollevando il viso, guardandolo fisso negli occhi.
“Non è stato quello”.
“Cosa, allora?”
“Sapeva di amore”.

* Requiem

  
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