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Autore: Moony91    28/06/2012    1 recensioni
"Lui, un attimo prima così sicuro di volerla tutta per sé, ora indeciso.
Che il suo fosse solo il capriccio di un uomo viziato? Preferiva non saperlo.
La lasciò vuota, sola.
Cupo in volto si rivestì e lo stesso fece lei. Le diede le spalle dopo un’ultima occhiata e uscì da quella stanza come fuggendo.
Pochi minuti dopo vomitò tutto l’amore che aveva per lei in fondo allo scarico di un bagno.
Si erano uniti alla stregua degli animali, presi dal momento, senza pensare alle conseguenze.
Due diciottenni. Due imbecilli.
Vomitarono di nuovo ripensandoci.
Vomitarono pensando alle bambine, ignare e innocenti.
Vomitarono tutte le loro paure che prima avevano represso.
E anche le loro verità, forse troppo vere per la loro realtà."
Una giovane donna sposata, un uomo 20 anni più grande di lei. Potrebbe succedere ad ognuno di noi, e se ci disinnamorassimo della persona con cui viviamo?
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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“And so it is
Just like you said it would be
Life goes easy on me
Most of the time
And so it is
The shorter story
No love, no glory
No hero in her skies
I can’t take my eyes off of you”
[da The blower’s doughter di Damien Rice]

Forse sarei potuta anche morire.
Sì, morire in quell’istante, addormentarmi dolcemente e non svegliarmi mai più.
Stavo compiendo il più grave e il più tragico degli errori che una persona potesse mai compiere e mi stava piacendo.
A dir la verità credo che di errori ne stavo compiendo un’infinità; cominciamo col fatto che stavo tradendo mio marito con il quale sono sposata da 5 anni e, sottolineiamo, dal quale ho avuto due bimbe bellissime,  continuiamo col dire che l’uomo in questione era il rettore dell’università dove lavoro, un uomo affascinante sì, ma con una ventina d’anni in più di me, e concludiamo con il fatto che stavo facendo del sesso sfrenato, disinibito e molto piacevole in un’aula universitaria.
Quindi, ricapitolando, io, madre di due bambine, moglie di un rispettabile impiegato di banca, giovane assistente di un professore di storia dell’arte, stavo facendo sesso con un uomo più vecchio di me di 20 anni e che era, in pratica, il mio principale.
Evviva la vita!
Il problema fondamentale in tutto questo ero io, io che in quel momento ho spento il cervello e improvvisamente marito, figlie e tutto il resto sono sembrate la vita di un’altra donna.
Il problema fondamentale era che il cuore mi palpitava in petto e non per l’eccitazione di fare qualcosa di proibito, ma perché c’era lui accanto a me, perché erano le sue mani che mi sfioravano, perché erano le sue labbra che accarezzavano le mie, perché era il suo respiro che condensava sulla mia pelle.
Il problema fondamentale era che mi ero disinnamorata di mio marito.
 
***

"Dammi, lo spazio e il tempo 
o anche solo un frammento della tua attenzione, 
perchè possa colpirti, sedurti, 
averti, 
in concatenazione di causa effetto, di un fascino perfetto. 
[...]
Ma se parli d'affetto 
mi avvalgo della facoltà di con comprendere!"
[da La funzione dei Subsonica]

Qualche mese prima…
-Ahem, signorina? Signorina mi scusi…-
Francesca si sentì picchiettare sulla spalla e si voltò di scatto, a pochi centimetri dal suo naso si ritrovò il sorriso amichevole del rettore.
-Mi scusi se la disturbo, doveva andare via?- Le chiese notando che la ragazza stava dirigendosi piuttosto frettolosamente verso l’uscita.
-Beh, ecco, veramente se non mi sbrigo rischio di perdere il tram…-
-Ma non c’è problema! Se mi concede qualche minuto la accompagno io, ho l’auto proprio lì…- L’uomo indicò una macchina molto elegante ricoperta di una vernice nera opaca. Francesca non riuscì a non pensare che il rettore si volesse pavoneggiare un po’ con quell’auto che, palesemente, costava svariate migliaia di euro.
-E’ che devo assolutamente andare a prendere le mie figlie a scuola entro mezz’ora…- Continuò lei; sapeva che se fosse arrivata tardi anche stavolta le maestre avrebbero chiamato la nonna, cioè sua suocera, che poi l’avrebbe tenuta per il restante pomeriggio sotto tortura, obbligandola ad ascoltare la sua sfuriata contro la sua sbadataggine e poi l’avrebbe detto al padre delle bimbe, e la discussione si sarebbe protratta con lui a casa loro, durante la cena e anche a letto e si sarebbe conclusa, come ogni volta, con il suo cuscino bagnato di silenziose lacrime e il ronfare sordo dell’altro addormentato accanto a lei.
-Beh, posso accompagnarla a prendere le sue figlie, obbiettivamente in macchina si fa più in fretta che col tram quindi non vedo il problema, per favore signorina Lorenzi mi dia solo 5 minuti del suo tempo- Le rispose l’uomo fermamente deciso.
Francesca si costrinse a sorridergli in segno di assenso, in fondo era praticamente il suo capo, non poteva dirgli di no. In realtà con il rettore Baroni non ci aveva mai parlato e anzi si meravigliò che sapesse il suo nome; in generale non aveva mai attirato la sua attenzione né in negativo né in positivo: era il rettore, punto.
L’uomo cominciò a camminare un passo avanti a lei quasi scortandola, dirigendosi verso l’uscita della struttura; Francesca conosceva la strada, ovviamente, ma preferì comunque tenere la distanza, un po’ per rispetto dei ruoli, un po’ perché in questo modo poteva osservarlo meglio: si riscoprì a pensare di aver fatto male a non essersi mai soffermata su quell’uomo perché, ad un’occhiata più attenta, si rivelava interessante e, nonostante avesse sicuramente sui 50 anni, aveva mantenuto intatto il suo fascino; l’unica pecca che aveva potuto riscontrare in quei pochi minuti era che, nonostante sembrasse molto galante e gentile, era un po’ troppo pieno di sé.
Appena usciti dall’edificio l’uomo tirò fuori dal taschino gli occhiali da sole e li inforcò con un gesto troppo ampio, quasi teatrale.
-Le posso offrire un caffè?- Le chiese sempre sorridendo amichevolmente guardandola da dietro le lenti bluette.
-Ah, beh, si certo- Balbettò lei.
Si sentì arrossire leggermente e si odiò immensamente, se voleva sembrare una matricola ci stava riuscendo alla perfezione! Si appuntò mentalmente che doveva smetterla con quel comportamento a dir poco infantile.
-Bene, doveva dirmi qualcosa signor Rettore?- Gli chiese in tono prettamente informale.
Perfetto, ottimo modo per scuotersi di dosso quell’iniziale timidezza.
-Oh la prego, fuori dall’ateneo non voglio sentirle pronunciare simili formalità! Io sono solo Enzo, va bene? Niente rettore, niente professore, e niente “lei” che mi fa sentire troppo vecchio-
Ecco. Tanta fatica per niente. Stava di nuovo per cadere nel pallone colpita da quelle parole che non si sarebbe mai e poi mai aspettata, ma stavolta voleva evitare figuracce.
-Beh va bene, ehm, Enzo…-
L’aria tra di loro era strana, poteva definirla quasi rovente, ma si disse che doveva esser solo l’estate che stava arrivando.
-…allora, beh, allora tu chiamami Francesca e non darmi più del lei, altrimenti cadremo in una situazione impari! Allora, di cosa volevi parlarmi?-
Bene così, come se stesse parlando con un amico di lunga data.
L’uomo tardò a rispondere, si prese del tempo. Francesca ebbe il dubbio che stesse cercando una risposta plausibile.
-Volevo sapere com’era andato quest’anno con il Professor Filippi, sai è al primo anno e sono un po’ dubbioso sul suo operato…-
Francesca non lo fece neanche finire, con il professor Filippo Filippi (sì, lui odiava i suoi genitori per il nome che gli avevano dato, definiva il gesto addirittura “infame”) di cui era assistente, era nata una vera amicizia al di là dei rapporti di lavoro, spesso capitava che si incontrassero con le loro rispettive famiglie per passare qualche bella serata in compagnia.
-E’ un ottimo docente! I ragazzi lo adorano, dovrebbe venire a seguire qualche sua lezione, deve vedere come riesce a ipnotizzarli e ai nostri giorni è difficile riuscire ad interessarli con una materia come storia dell’arte. Veramente, lo stimo molto e sta insegnando tanto anche a me…-
-Mi hai dato di nuovo del lei…- La interruppe Enzo.
Lei si sentì arrossire nuovamente e si maledì ancora.
-Comunque sono davvero contento, ora capisco il perché dei voti quasi sempre altissimi dei suoi studenti, bene bene, sono contento…-
Proseguirono in silenzio per neanche un paio di minuti ed arrivarono al bar; Enzo le aprì galantemente la porta e la fece entrare nel locale, poi la seguì e salutò l’uomo dietro al bancone.
-Eilà, Federico buonasera –
-Buonasera dottò, e buonasera a lei bella signorina –
Il barista sorrise a Francesca in modo eloquente e lei arrossì leggermente come faceva sempre quando qualcuno le prestava una particolare attenzione.
-Ah! Federico per favore non farmi fare brutte figure, eh! – Lo rimproverò Enzo.
A Francesca parve seccato da quell’atteggiamento.
-Ma si figuri dottò! Cosa le servo? –
- Direi, il solito, un caffè corretto freddo mescolato in vetro e…- Fece una pausa rivolgendosi alla ragazza - …che posso offrirti? -. In quella stupida e banale richiesta ancorò gli occhi a quelli di lei.
-Chiedi quello che vuoi…- Proseguì continuando a fissarla.
La ragazza si trovò costretta a sviare lo sguardo sull’orologio e mormorare  -Solo un caffè, grazie…- Realizzando che si stava facendo tardi dovette proseguire -Non vorrei sembrarti maleducata, ma credo che dovremo cominciare ad avviarci dopo il caffè, potremo continuare la conversazione in macchina se dovevi dirmi altro…-
-Sissì, certamente. Federico, per favore, siamo di fretta-
Bevvero il caffè in un sorso. Francesca rischiò di ustionarsi e dovette fare una smorfia buffa perché Enzo non riuscì a trattenersi dal ridere.
-Tutto a posto?-
Le chiese dopo aver pagato, continuando a ridere.
Francesca trovò la sua risata bellissima, era profonda, ma sincera. Non vedeva un uomo di quell’età ridere in quel modo da tempo, da quando era morto suo nonno, e lei aveva appena 8 anni…
Si ritrovò a ridere appresso all’uomo, anche lei di una risata sincera, come quella dei bambini. Anche lei non rideva in quel modo dallo stesso momento in cui aveva smesso di farlo il nonno.
Come poteva immaginare allora quello che sarebbe accaduto di lì a qualche tempo? Come poteva immaginare che di caffè in quel bar ne avrebbe presi tanti altri insieme a lui, che non avrebbe più dovuto fare l’abbonamento del tram perché lui sarebbe passato ogni mattina a prendere lei e le sue bambine, e ogni sera avrebbe riaccompagnato a casa tutte e tre, che avrebbe giocato con loro, che avrebbe fatto loro dei regali, che sarebbe andata a cena fuori con lui, che quando non erano insieme si sarebbero sentiti via sms, come i quindicenni, che in ateneo si sarebbe trovata nell’ufficio del rettore praticamente ogni giorno e che infine avrebbe ceduto al fascino di quell’uomo che ogni giorno la colpiva sempre di più in una delle aule dove quotidianamente insegnava ai suoi studenti?
***

“Non t’ho insegnato io
quello che stai facendo adesso da dio,
mi fai tremare il cuore
mi fai smettere di respirare
domani sarà tardi per rimpiangere la realtà
è meglio viverla!”
[da Gabri di Vasco Rossi]

-Bene, e con questo ho finito, se non ci sono domande…-
Il professor Filippi si tolse gli occhiali e si stropicciò gli occhi.
-…se non ci sono domande sarei molto felice di seguirvi in mensa- Concluse.
I ragazzi scoppiarono a ridere e cominciarono ad alzarsi per uscire; la lezione era terminata.
-Pranzi qui?- Chiese a Francesca.
-No, sono a dieta lo sai!-
-Che vuol dire? Lo sai che la dieta del digiuno…-
-Si, si, non serve a un fico secco- Lo interruppe lei -Certo è che i risultati ce li ho!- Concluse col tono da bambina saccente.
-Oh ci rinuncio, fai come vuoi, ma almeno lascia che ti dia questo cioccolatino, un po’ di zuccheri per non svenire ti servono!-
Francesca gli sorrise e prese il cioccolatino tondo dalle sue mani.
-Bene, allora ci vediamo più tardi!-
La ragazza annuì e l’uomo uscì dall’aula con la cartella di cuoio penzolante su un fianco, lei scartò il cioccolatino e lo mise in bocca lasciando che si sciogliesse, poi chiuse gli occhi e si lasciò andare all’indietro sulla sedia poggiando la testa al muro per rilassarsi un momento, ormai era quasi finito il primo semestre e stavano per cominciare gli appelli d’esame, quel periodo era sempre stato straziante per lei: le matricole crescevano di numero ogni anno per poi diminuire spaventosamente dopo la prima sessione d’esami, però adesso erano ogni giorno fuori dalla porta del suo ufficio a formare una fila interminabile, tutti spaventatissimi e con dubbi da sottoporle, talvolta banali, talvolta davvero imbarazzantemente banali, e talvolta semplicemente disarmanti, era come se i loro cervelli avessero indetto uno sciopero.
-Non pranzi?-
Enzo era entrato nell’aula e lei neanche se ne era accorta, sobbalzò sulla sedia e quasi cadde, si alzò in piedi per evitarlo.
-Ma sei matto, vuoi farmi prendere un infarto?-
L’uomo rise di gusto e lei non riuscì a non seguirlo.
-Bel modo di salutare il Magnifico eh…- Rise sornione scendendo gli ultimi gradini della platea.
-E smettila o comincio a chiamarti “Signor Rettore” con quell’allitterazione della “r” che tanto odi!- Lo minacciò scherzosamente lei dirigendosi verso di lui.
I due si abbracciarono. Enzo affondò il volto nella chioma boccolosa e profumata della donna, Francesca poggiò il viso sul petto dell’amico e inspirò il suo odore, adorava quell’aroma, da quando lo aveva assaporato da così vicino avrebbe voluto stare perennemente abbracciata a lui per non smettere di sentirlo. Sicuramente era frutto di un’acqua di colonia e delle sigarette che Enzo fumava a dismisura, ma non era solo questo, c’era qualcosa di particolare in quell’odore, o almeno qualcosa di particolare per lei. L’unica cosa di cui era certa era che quell’odore pungeva, ma a lei sembrava accarezzarla.
Per Enzo quegli abbracci erano delle coltellate, si era innamorato di quella donna dal primo momento che l’aveva vista, il suo sorriso, il suo sguardo, ovviamente all’inizio si trattava solo puramente di attrazione fisica, ma poi conoscendola si era affezionato a lei. Si era sentito in colpa per essere attratto da una ragazza di venti anni più giovane di lui ed era consapevole di aver fatto l’errore più grande della sua vita offrendole quel caffè la scorsa primavera. Sapeva che era sposata, ma conoscerla e diventare suo amico aveva significato vivere con lei, giocare con le sue bambine, vederla ogni giorno, tramutare quell’infatuazione in vero amore. Un uomo di mezza età innamorato di una giovane donna. Eppure lui non poteva farci proprio niente. Quel giorno sapeva che non avrebbe retto un abbraccio, non uno di quelli che dava lei dove si appoggiava al suo petto e rimaneva lì a farsi stringere per qualche minuto, in silenzio, con gli occhi chiusi. Sapeva che la sua razionalità sarebbe crollata nell’esatto momento in cui lei lo avrebbe toccato, quando i loro corpi fossero entrati in contatto. Lo sapeva perché durante la pausa estiva, in cui lei era partita con la sua famiglia, lui non si era fatto vivo con lei, ma la pensava ogni secondo, e per la frustrazione di non poterla sentire, né vedere, si buttò a capofitto nel lavoro decidendo di scrivere un saggio che si trasformò presto in una piccola pubblicazione.
“Meglio così, il lavoro mi terrà occupato” Riflettè.
Ma il lavoro doveva tenerlo troppo occupato per evitare di pensare a lei e così si ritrovò la pubblicazione di un libro fra capo e collo e gli ovvi inviti a conferenze per parlarne. Questo aveva portato a non poter vedere Francesca né al ritorno dalle vacanze, e fino ad allora si erano incrociati solo all’apertura dell’anno accademico e in altre circostanze molto formali, però si sentivano spesso per telefono e questo bastava a non farlo impazzire.
Ma adesso era finalmente lì, con lei, l’abbracciava e sapeva dopo tutta quella lontananza, dopo tutto il desiderio di rivederla che aveva provato sapeva che stava per cedere agli impulsi irrazionali; e infatti un attimo dopo le aveva sollevato il volto obbligandola a guardarlo negli occhi.
Come due poli di cariche opposte si attraggono, così le loro labbra, a quella flebile distanza fra loro non riuscirono a non unirsi, le loro lingue non riuscirono a non cercarsi, e d’un tratto tutto intorno a loro si fermò, il tempo, le voci, i rumori. Non c’era più nulla tranne loro due. Non c’erano figlie e marito, non c’erano promesse d’amore, non c’erano talami nuziali a dividerli.
Qualche passo all’indietro dettato dalla foga del gesto portò Francesca a doversi appoggiare alla cattedra.
Le mani di entrambi corsero sul corpo dell’altro, erano frementi come cavalli alle corse dietro il box di partenza, il loro box si era aperto e correvano sul loro percorso, sulle curve di lei, sui bottoni della camicia di lui.
Poi una pausa, un ripensamento.
-Ho una fede al dito…-
Sibilò lei.
Ansimavano tutti e due.
Lui si staccò malvolentieri dal contatto con il corpo di lei e si allentò il nodo della cravatta preso in contropiede dall’affermazione e le diede le spalle.
Francesca si sentì morire vedendo quel gesto, le importava davvero di quella fede? O in quel momento per lei era più importante qualcos’altro, anzi, qualcun altro? Si lisciò la gonna e prese la sua borsa appesa alla sedia, lui si girò a guardarla chiedendosi cosa volesse fare.
-Siamo in aula magna, spostiamoci, non voglio che ci scoprano…- Gli disse lei sorridendo maliziosamente.
La fiamma che stava per spegnersi si ravvivò d’un tratto.
-Seguimi- Sentenziò Enzo e a grandi falcate percorse l’aula e si buttò nel corridoio gremito di studenti che si dirigevano in mensa, loro andavano controcorrente, ma non si persero di vista e quando la folla cominciò a scemare la prese per mano e si fiondò nella prima aula libera, chiuse la porta vi fece aderire la schiena di lei e senza neanche prendere fiato la baciò, mentre con una mano girava la chiave nella serratura.
La borsa di lei scivolò dalla sua spalla e cadde con un tonfo sordo sul pavimento dove venne dimenticata.
-Ora non ci può scoprire nessuno-
Con un ghigno vittorioso e malizioso allo stesso tempo sussurrò quelle parole all’orecchio di lei con la sua voce profonda e leggermente roca che aveva sempre fatto venire i brividi a Francesca, ancor prima di conoscerlo, lei, in preda al desiderio di voler riassaggiare le labbra di lui, si avvicinò per baciarlo, ma lui si scostò un attimo prima.
-Ancora dubbi?- Le soffiò sulle labbra.
La ragazza andò oltre la domanda dell’uomo e annullò nuovamente quella impercettibile distanza fra loro.
Quella prova bastò per far crollare nuovamente Enzo, si sentiva pari a un dio, quella donna aveva appena preferito lui a suo marito, al suo matrimonio, alla vita che aveva scelto, e questo bastava a farlo godere immensamente e a farlo sentire capace di poter fare qualsiasi cosa volesse. Affondò il volto nell’incavo del collo di lei inondandolo di baci frementi; poi di dolci morsi.
Il sangue nelle tempie pulsava a dismisura e impediva loro qualsiasi ragionamento.
Un solo pensiero era fisso: volere l’altro e volerlo subito.
Enzo la sollevò leggermente da terra il tempo necessario per farla appoggiare nuovamente alla cattedra.
Francesca si lasciò arricciare la stretta gonna del tailleur grigio cenere fino ai fianchi, lui si afferrò malamente la cravatta e la tolse con uno strattone scompigliandosi tutti gli ordinati capelli.
-Prendimi adesso o sarà troppo tardi…- Gli sussurrò lei in un orecchio.
La giustezza di quell’azione sapevano che non c’era. Sapevano che si sarebbero pentiti, dopo.
E di nuovo, come qualche istante prima, le sensazioni inghiottirono i rimorsi.
Gesti ormai esperti ma nuovi fra loro, su di loro.
Bottoni divisi dalle proprie asole e corpi uniti un uno solo.
Anime a contatto, legate.
Rumori sommessi, piaceri privati.
Il piccolo crocifisso d’oro appeso al collo di Enzo dondolava, battendo ritmicamente sul suo petto, lei lo afferrò d’impulso attaccandovisi con una mano. La schiena curvata. La testa abbandonata all’oblio. Il suo fiato si infrangeva sul collo nudo di lei.
Era sua, solo per quel momento, ma lo era completamente.
Lei spalancò gli occhi; avrebbe voluto urlare. Li fissò su quelli scuri e concentrati di lui. Un brivido, la schiena nuovamente curva; il fiato di lui sui seni turgidi di lei.
Colpi precisi e puntuali. Gemiti impossibili da soffocare. Una danza.
Dalla scrivania piena di fogli di chissà chi, scivolò profetica una lettura d’opera. Si adagiò sul pavimento. “L’abbraccio” di Schiele.
Due amici, un abbraccio. Un quadro. Due amanti, passione.
Enzo si adagiò sul corpo di lei come quel foglio di carta sul pavimento, quasi privo di vita.
Ora lui con la nuca poggiata sul petto della donna.
Silenzio. Solo i rumori dei passi nel corridoio echeggiavano nell’aula.
-Perdonami…-
Non avrebbe voluto, ma sapeva di doverlo dire; lasciò andare quelle parole in un sussurro sperando che si confondessero con i respiri ancora pesanti.
Una risata di un gruppo di ragazzi entrò prepotente a distruggere quell’equilibrio formato dal nulla.
Lei lo fissava, cercava i suoi occhi, il suo sguardo, di nuovo. “E’ stato amore?” Si chiedeva fra sé.
Lui parve sentire, parve leggere quella domanda sul volto di lei e le rispose con un altro sguardo, sfuggente stavolta.
Lui, un attimo prima così sicuro di volerla tutta per sé, ora indeciso.
Che il suo fosse solo il capriccio di un uomo viziato? Preferiva non saperlo.
La lasciò vuota, sola.
Cupo in volto si rivestì e lo stesso fece lei. Le diede le spalle dopo un’ultima occhiata e uscì da quella stanza come fuggendo.
Pochi minuti dopo vomitò tutto l’amore che aveva per lei in fondo allo scarico di un bagno.
Si erano uniti alla stregua degli animali, presi dal momento, senza pensare alle conseguenze.
Due diciottenni. Due imbecilli.
Vomitarono di nuovo ripensandoci.
Vomitarono pensando alle bambine, ignare e innocenti.
Vomitarono tutte le loro paure che prima avevano represso.
E anche le loro verità, forse troppo vere per la loro realtà.
 
Francesca tornò a casa puntuale come un orologio.
Le bambine le corsero incontro per salutarla con un bacio sulla guancia e mostrarle i disegni del giorno, rispettivamente una balena e un ritratto della loro famiglia, prese quest’ultimo disegno in mano e, dopo aver abbandonato la cartella nell’ingresso, si lasciò cadere sul divano.
Quel disegno nato dalla mente e dalle mani della più piccolina la lasciò basita e senza parole.
Fu come se qualcuno le avesse conficcato l’ennesimo pugnale della giornata nella schiena, ma stavolta centrando il cuore.
-Ciao amore - La salutò Roberto.
Lei non rispose.
-Amore tutto a posto?- Ripetè l’uomo.
-Eh?- Chiese la donna distrattamente, guardava quel disegno, scaturito dalla mente innocente della sua bambina, vi erano raffigurati lei, loro due sorelline mano nella mano, il padre accanto a loro e accanto alla figura che rappresentava sé stessa vi era un altro uomo.
-Amore, Aurora vieni un attimo dalla mamma?-
La bambina fece sbucare la testa dalla porta del corridoio.
-Che c’è? Sto giocando…-
Si lamentò appena.
-Amore è bellissimo questo disegno! Sei proprio brava, ti va di spiegarmelo?-
La bambina era fiera di quell’opera ed era contenta che era piaciuta anche alla mamma quindi si apprestò alla spiegazione di buon grado. Roberto si avvicinò incuriosito.
-Allora…- Aurora cominciò ad indicare le figure sul foglio. -…Questo è papà, questa è Lucilla, questa sono io, questa sei tu mamma e questo accanto e te è Enzo-
Francesca si sentì mancare le forze e le energie tutt’insieme.
Si girò verso Roberto sforzandosi di sembrare normale e gli sorrise.
-Sono stanchissima, stasera per cena pizza, ti va?-
Roberto, che aveva accettato ormai l’amicizia fra sua moglie e quell’uomo, annuì e le stampò un bacio sulla fronte prima di prendere il telefono per prenotare la cena.
Francesca si chiuse in bagno e pianse in silenzio guardando ancora il disegno di sua figlia, poi vomitò nuovamente.
 
Enzo rimase in facoltà fino a tardi, congedò il personale con un brusco -Devo lavorare, avvisate la vigilanza che mi tratterrò nel mio ufficio- che non dava spazio a repliche.
Rimase seduto con lo schienale reclinato a guardare il soffitto per più di un’ora, non sapeva proprio che pesci prendere, mille pensieri gli sfrecciavano in testa, ogni tanto sudava freddo quando si ricordava di lei e di quello che era successo poche ore prima, gli riprendevano i conati. Poi, improvvisamente, tornò a sedersi eretto, gli occhi caddero su una foto di Francesca che teneva sulla scrivania, cominciava a sentire una forte emicrania in arrivo, capovolse la cornice così adesso il sorriso statico di lei era rivolto al freddo marmo, poi, come animato da un’improvvisa folgorazione cercò il cellulare e frettolosamente fece scorrere la rubrica fino al numero interessato e si portò l’apparecchio all’orecchio.
-Sì, pronto Giovanni, sono io, Enzo… senti ferma la stampa, ritarda la pubblicazione, ho altro materiale, domani ne parliamo meglio…no no, tranquillo non sono molte pagine, però è importante dai, sì sì, poi domani ne parliamo tu intanto ferma la stampa e rimanda la pubblicazione –
-Eh sì Enzo non è così semplice eh!  Vabbè dai, va bene domani ne parliamo meglio intanto io fermo tutto, fortuna che eravamo all’inizio…- All’altro capo del telefono vi era il suo editore nonché amico di vecchia data. - …senti però allora io ti organizzo altre convention, eh, bisognerà spiegare il perché di questo ritardo…-
-Ma sì Giovanni, sì, va benissimo, faccio tutte le conferenze che vuoi, te lo assicuro, anzi, mandami anche in Transilvania, non ho problemi, qui in ateneo se la cavano molto meglio senza il capo fra le palle!- In realtà era lui che voleva sparire per un po’.
Salutò l’amico e si mise a lavorare, stavolta per davvero.
***

“Questo è un giorno da vivere 
se non si può descrivere 
di un amore impossibile 
rimangono le briciole 
soltanto scuse insostenibile 
da qualche tempo eri tu con me 

Non c'è più niente niente niente 
che mi leghi a te 
mi sento un vuoto da disperdere 
occare il fondo per capire che 
è un nuovo giorno senza te”
[daBriciole di Noemi]

Ciò che ricordavo di quel giorno eranole sensazioni.
Da sola in macchina, aspettando in coda, ferma al semaforo rosso, mi guardavo intorno e mi sembrava di vederlo attraversare le strisce pedonali proprio davanti ai miei occhi, oppure passeggiare da solo lungo il marciapiede con un quotidiano piegato sotto il braccio, mi sembrava di vedere il suo portamento elegante ovunque, cercavo il suo sorriso in ogni viso che incontravo e mai più lo rividi.
La settimana che seguì quel giorno fu la più orribile di tutta la mia vita, lui non si era più fatto sentire, né vedere, era sparito.
Ricordo di aver pianto molto. Ripensandoci piansi anche troppo.
In università mi ero rifiutata di cercarlo e quando appresi da un discorso fra due colleghi carpito in corridoio che era partito per promuovere il suo nuovo libro non me ne pentii affatto.
Mi aveva spogliato da ogni emozione e mi aveva lasciato come un sacchetto di plastica vuoto in balia del vento mentre lui già pensava al suo nuovo lavoro, alla “tournee” di conferenze che lo aspettava.
Inevitabilmente mi sentii una stupida.
Roberto, non so se lui avesse intuito qualcosa, ma sicuramente aveva notato la mia debolezza.
Mi mandò dei fiori in facoltà una mattina, aveva organizzato una serata solo per noi due.
Andammo al cinema e a cena in un fast-food, niente di architettato. Ridemmo come non mai.
Con la pazienza che solo lui poteva avere mi prese il cuore dolorante fra le mani e cominciò ad apporre i primi punti di sutura, lo fasciò con cura e lo fece rivivere.
Facemmo l’amore in macchina come due ventenni.
Ci leccammo le ferite inferte l’un l’altro come due animali.
Piangemmo come due innamorati.
Non pensai più ad Enzo.
Poi una mattina qualunque di marzo Filippo mi diede la notizia che sapevo sarebbe arrivata ma non volevo sentirmi dire.
-Hai saputo della conferenza del rettore di oggi?-
Si, certo che avevo saputo, le locandine erano sparse per tutto l’ateneo e solo una persona distratta come Filippo poteva non accorgersene, non mi ero però resa conto che quel giorno era arrivato.
Incrociai lo sguardo di Enzo in corridoio e per un attimo il suo sorriso mi tolse il fiato.
Venni investita in pieno petto da tutte le sensazioni di quel dannato giorno.
Riuscii ad evitarlo rifugiandomi in bagno dove vomitai allo stesso modo di tre mesi prima, avrei potuto amarlo di nuovo, dannazione!
Mi diedi una rinfrescata al viso e guardandomi allo specchio mi promisi di affrontarlo.
Lo feci alla fine della conferenza. Come avevo previsto lui mi tenne d’occhio per tutto il tempo e si diresse verso di me ignorando chi cercava ancora la sua attenzione per qualche domanda.
-Professoressa Lorenzi buongiorno!- Mi salutò lui sorridendo sornione e ammiccando.
Sapevo che si sarebbe comportato così, ci conoscevamo bene.
Io tesi la mano -Buongiorno Signor Rettore - Aggiunsi con tono formale.
Lui rimase interdetto da quel comportamento, forse pensava di potersi appropriare della mia amicizia, del mio amore, del mio corpo in qualsiasi momento in qualsiasi aula della sua università, sparire per tre mesi e ripresentarsi come se nulla fosse, non lo credevo così stupido e invece lo aveva fatto veramente.
-Volevo avere conferma da lei del trasferimento, in sua assenza lo ha firmato il vice Rettore Giuliani…-
Enzo rimase ancora in silenzio, come tramortito dalle mie parole, la bocca semi aperta boccheggiante alla ricerca di parole che non riusciva a pronunciare.
-…trasferimento?- Chiese solamente.
Io annuii e aggiunsi -Dovrebbe trovare la pratica sulla sua scrivania o almeno così mi aveva assicurato la sua segretaria…-
Lui capì e divenne serio e formale, ma il suo sguardo lasciava trapelare una tristezza celata.
-Allora ci lascia, signorina…- Disse piano.
-Mi dispiace - Mi scusai io cercando di seguire le formalità.
Lui sospirò profondamente. 
-Allora la farò chiamare se ci dovessero essere problemi con la pratica – mi salutò; sembrava come se gli costasse la vita pronunciare anche solo un’altra parola.
Io annuì e lasciai che mi passasse accanto.
I nostri sguardi si incrociarono di nuovo.
Quando mi ebbe superata chiusi gli occhi e con il suo profumo ancora nelle narici riuscii a sentire ancora il suo corpo sul mio, le sue labbra sulle mie, il suo respiro mescolato al mio a formarne uno solo. Lasciai scivolare due lacrime che asciugai con un repentino movimento della mano.
 
***
Una volta a carnevale Lucilla mi fece vedere due coriandoli che per caso erano rimasti attaccati assieme, la lama non era riuscita a tagliarli.
-Guarda mamma! Questi si baciano!-
Mi aveva detto portandoli.
-Questa sei tu e questo è papà-
Ha continuato lei.
E infondo cosa siamo noi se non piccoli coriandoli.
Ognuno ha il suo colore, la sua forma, ognuno è diverso dall’altro, e tutti proveniamo dallo stesso ammasso di cellulosa.
Eppure in ognuna di quelle confezioni di allegria in busta vi sono coppie di coriandoli che la lama non ha diviso, e sono rimasti insieme, uniti da quella fibra più spessa, ma così fragile.
Sapevo che quella ero si io, ma quello non era mio marito, era Enzo.
Fortunatamente però quella mattina la lama aveva diviso anche noi, coriandoli erroneamente uniti, lasciandoci librare nell’aria, sfiorandoci ancora un’ultima volta per poi posarci al suolo definitivamente.
 
 
 
 
 
 
  NOTE DELL'AUTRICE:
Salve! Eccomi tornata, saranno anni che non pubblicavo più xD Tengo particolarmente a questa storia perchè appunto segna il mio ritorno nel mondo della scrittura, spero vi sia piaciuta :)
 
 
 
 

   
 
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